A08 107 - Aracne editrice

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l'esercitazione del corso di Restauro Urbano, riservato agli studenti ... realtà complessa, costituita da una molteplicità di elementi e di condizioni .... lata da controlli tecnico-scientifici, ha contribuito a depauperare silenziosamente e lentamente .... città. cfr. punto 8, in CRISTINELLI, Giuseppe (a cura di), La Carta di Cracovia.
A08 107

Politecnico di Torino Dipartimento Casa Città

La dimensione culturale del paesaggio urbano Saluzzo: il sistema delle piazze come cerniera tra conservazione e innovazione

a cura di Maria Adriana Giusti

Copyright © MMVI ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133 A/B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN

88–548–0667–6

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: giugno 2006



La dimensione culturale del paesaggio urbano. Saluzzo: il sistema delle piazze come cerniera tra conservazione e innovazione a cura di Maria Adriana Giusti Presentazione, sindaco di Saluzzo

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Dal restauro alla conservazione del paesaggio urbano: tracce di un percorso culturale Maria Adriana Giusti

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Il piano regolatore di Saluzzo (1961-1964): appunti per la ricerca di un equilibrio tra territorio e progetto di conservazione Anna Magrin

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Saluzzo, città-laboratorio Maria Adriana Giusti

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La Castiglia, monumento princeps di Saluzzo. Un cantiere di conservazione integrale Marco Dezzi Bardeschi

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Il processo di conoscenza: Note sull’attività del Laboratorio di Saluzzo Alessandra Gallo Orsi

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ESPERIENZE DI LABORATORIO

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Gli strumenti informatici per la conoscenza del patrimonio Esperienze di catalogazione GIS e GIS-Web Danila Attivissimo e Stefania Dassi

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Bibliografia di riferimento

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Indice delle abbreviazioni: Maria Adriana Giusti (M.A.G.) Marco Dezzi Bardeschi (M.D.B.) Danila Attivissimo (D.A.) Stefania Dassi (S.D.) Alessandra Gallo Orsi (A.G.O.) Anna Magrin (A.M.)



La dimensione culturale del paesaggio urbano

Presentazione Quando nel settembre del 2005 la prof. Giusti chiese di utilizzare Saluzzo come laboratorio per l’esercitazione del corso di Restauro Urbano, riservato agli studenti dell’ultimo anno della facoltà di Architettura di Torino, l’Amministrazione accolse con favore la proposta per almeno due motivi: il primo perché si era convinti di fornire agli studenti un materiale di studio di notevole pregio, viste le indubbie e riconosciute molteplici bellezze che una città come Saluzzo offre; il secondo perché, affidando agli studenti un tema coinvolgente come il recupero ai fini della socializzazione delle piazze, si poteva ottenere un intelligente e disinteressato banco di prova su come un occhio esterno vede la città e ne immagina la trasformazione. Lo si è ripetuto a più riprese: il loro coinvolgimento, oltre agli scopi didattici, aveva anche la non tanto velata pretesa di alimentare il patrimonio di idee presenti in città con riflessioni e provocazioni giunte dall’esterno. La genetica lo insegna: il DNA normalmente si rafforza quando provengono apporti dall’esterno e si inaridisce quando ci si chiude nella propria comunità. Il risultato non poteva essere più soddisfacente e questo documento ne è prova tangibile. E’ ben chiara la sensazione di essere davanti al prodotto di un laboratorio di idee in piena attività, affrontato dagli studenti con una serietà ammirabile e con risultati spesso eccellenti. E’ inoltre ben chiaro che non c’è fretta dietro ogni idea esposta, ma un lungo lavoro di confronto e ragionamento; in altre parole non c’è la necessita di stupire a tutti i costi, ma molta responsabilità e voglia di produrre qualcosa di bello. Era stato richiesto agli studenti di essere provocatori: non hanno sicuramente disatteso le aspettative senza tuttavia scadere nella boutade o nella produzione di idee strampalate avulse dal contesto e dai problemi pratici di attuazione. Questo momento di confronto che oggi l’Amministrazione Comunale offre alla comunità intera vuole essere un passo decisivo verso quello che è stato definito come “progetto di riqualificazione del centro cittadino”, inclusivo delle piazze del centro e dell’asse viario compreso tra le antiche porte della città. Riscoprire la bellezza di un ambiente a misura d’uomo, vincere la battaglia spaziale instauratasi tra uomo e automobile, rivalutare le aree aperte e pubbliche in chiave sociale come spazio di incontro e di scambio: ecco le sfide che attendono nell’immediato futuro chi ha a cuore il destino di Saluzzo. Le idee e riflessioni di queste pagine offrono semplicemente uno strumento in più. Un grazie sincero alla professoressa Giusti e ai Suoi studenti, alla Fondazione Cassa di Risparmio di Saluzzo ancora una volta partner intelligente dell’Amministrazione Comunale al servizio della città. Saluzzo, 24 giugno 2006 dottor Paolo Alemanno Sindaco di Saluzzo

Dal restauro alla conservazione del paesaggio urbano: tracce di un percorso culturale



“Les nobles habitent près du château, sur la colline; les bourgeois et tout le commerce sont en bas. Presque toutes les boutiques sont sous les arcades qui se trouvent sur la place, à gauche en arrivant, et qui sont très vivantes. La montée entre la ville basse et la partie haute est très rapide. Il y a des rues qui tournent beaucoup et qui montent assez doucement; il y a ensuite de petits passages avec des espèces de degrés formés par des morceaux de lauze, qui sont absolument droits. Saluces est à dix lieues de Tourin, cinq de Pignerol, cinq de Coni, deux et demie de Savigliano, dix de Bra” (Stendhal, Oeuvres intimes)

Dal restauro alla conservazione del paesaggio urbano: tracce di un percorso culturale “Restauro urbano: un sostantivo che connota un’attività equivoca, polisenso, suscettibile di essere definita nei modi più diversi e un aggettivo che riferisce il sostantivo alla città; cioè, ad una realtà complessa, costituita da una molteplicità di elementi e di condizioni ove opera legittimamente, per vivere, per realizzare, per trasformarla, un’estesissima, differenziata varietà di attori; quindi un campo che non può e non deve essere considerato pertinente in modo esclusivo al restauro”1. In queste parole, Gaetano Miarelli Mariani condensa la complessità dell’approccio alla tematica della conservazione urbana, acquisita come materia di insegnamento solo dal 1982 (D.P.R. 9.9.82). La disciplina riconduce le specifiche problematiche della conservazione e tutela a scala urbana nell’alveo metodologico del restauro, sviluppando uno statuto metodologico proprio, aperto all’interazione con più discipline (urbanistica, composizione, economia, informatica, ecc.) e, come oltre vedremo, a un approccio sistemico del progetto per gestire la complessità e la dinamica del dato urbano. Il restauro urbano riverbera il dibattito degli anni ’70, sulla problematica dei “Centri storici”2 - la cui conservazione era stata riconosciuta dalla Carta di Gubbio quale “premessa allo stesso sviluppo della città moderna”3 - e sulla ridefinizione degli strumenti per la loro salvaguardia. A distanza di oltre un decennio, il nuovo interesse per il tema, nel contesto dei nuovi meccanismi di urbanizzazione, sollecitati anche dalla crisi edilizia della fine degli anni ’60, s’innestò coi grandi temi della casa , dei trasporti, dei servizi sociali. La situazione di quegli anni eviden1 MIARELLI MARIANI, Gaetano, Restauro urbano: un ponte fra conservazione e sviluppo, in “Quasar”, 23, numero monografico sul restauro urbano, Firenze 2000, p.9 2 Alcuni riferimenti alla disciplina giuridica del dopoguerra, di impostazione essenzialmente vincolistica e cautelativa: dopo la legge Urbanistica (1942) e i piani di ricostruzione , la legge 765 del 6.8.1967 che riconosce al centro storico una rilevanza urbanistica come parte della struttura urbana. Il centro storico, definito su alcuni parametri “temporali” (cfr. circolare Ministero LL.PP. n.3210), rappresenta una categoria dello zoning, cioè zona territoriale omogenea. Legge per la casa comprende: 865/1971 il problema del c.s. viene affrontato in maniera nuova, volto non solo al recupero delle strutture fisiche, ma in primo luogo alle valenze civili e sociali del tessuto urbano. Da qui eguì una serie di leggi speciali (Venezia, Gubbio, ecc.) 3 Si tratta di documento che accoglie l’esito dei lavori del Convegno Nazionale sulla Salvaguardia e risanamento dei centri storico-artistici (Gubbio, 17, 18 e 19 settembre 1960) promosso da un gruppo di architetti, urbanisti, giuristi, studiosi di restauro, e dai rappresentanti di alcuni (Ascoli Piceno, Bergamo, Erice, Ferrara, Genova, Gubbio, Perugia, Venezia). I punti centrali della Carta riguardano: la conoscenza e il rispetto delle specificità locali, la ricognizione e classificazione dei centri storici e delle zone da salvaguardare e risanare, per inserirle nei Piani regolatori generali. La Carta invoca l’immediata disposizione di vincoli di salvaguardia e la sospensione di ogni intervento edificatorio, in attesa della predisposizione dei necessari Piani di risanamento conservativo: essi vengono intesi come speciali piani particolareggiati di iniziativa pubblica, di cui un’apposita, urgente, legge generale dovrà stabilire caratteri e procedure; la legge dovrà anche definire criteri e finanziamenti per il censimento dei centri storici e prevedere, tra gli operatori del risanamento, gli Enti per l’edilizia sovvenzionata; sul piano delle modalità operative, la Carta “rifiuta i criteri del ripristino e delle aggiunte stilistiche, del rifacimento mimetico, della “demolizione” di edifici anche modesti, non ammette diradamenti del tessuto, isolamento di monumenti, nuovi inserimenti in ambiente antico. Le relazioni sono svolte da: G. Samonà, A. Cederna, M. Manieri Elia, G. Badano, D. Rodella, E.R. Trincanato, G. Romano, L. Belgiojoso, E. Caracciolo, P. Bottoni. La Carta di Gubbio, 8° congresso INU “Il codice dell’urbanistica” (Roma, 16/18 dicembre), Gli atti sono pubblicati nel n. 32 di “Urbanistica” numero monografico sulla questione dei centri storici.



La dimensione culturale del paesaggio urbano

zia “il carattere politico e quindi socialmente conflittuale di una operazione di risanamento di un centro storico”, scrive in proposito Giorgio Piccinato4. Le scelte urbanistiche di limitare al massimo l’espansione, premendo sulle aree interne, comportarono conseguenze ridistributive e funzionali, sia a livello infrastrutturale (si pensi soltanto al problema della viabilità, con la pedonalizzazione del centro e l’ incremento dei trasporto pubblico o al nuovo ruolo delle piazze-parcheggio), che strutturale (nuove gerarchie urbane, riuso e microfrazionamento dell’edilizia storica). Tutto ciò, sostenuto da un trend normativo: dalla legge sulla casa (865/1971), che riconosce l’indissolubilità del legame tra struttura edilizia e valenze sociali nel recupero del tessuto edilizio, alla Legge 167/75 che prevede finanziamenti straordinari destinati al “risanamento di complessi edilizi nel centro storici di proprietà dello Stato e di Enti pubblici”, fino alla legge 457/1977, che legittimò, attraverso categorie d’intervento dall’apparenza innocua (cfr. art.3: manutenzione ordinaria, straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, ristrutturazione urbanistica), ma dai contenuti devastanti, un vero e proprio saccheggio dell’edilizia storica, aprendo non solo a interventi di sventramento di singoli edifici, ma anche a demolizioni di intere aree urbane ritenute incongrue. Si trattò di un vero e proprio arretramento culturale rispetto ai principi affermati dalla Carta del Restauro (1972) che rappresentò un momento fondamentale di dialettica tra la cultura urbanistica e la tutela, estendendo l’ambito alla “tutti gli insediamenti umani”5 e, ancor più, dalla Dichiarazione di Amsterdam (1975) che, come oltre vedremo, arriva a riconoscere il valore della complessità del patrimonio e ad affermare l’istanza della conservazione integrata. Sugli esiti della 457/78, basti qui ricordare il lucido intervento di Marco Dezzi Bardeschi, che in Centri storici: ultimo atto o comica finale? (1979) denuncia il “tradimento” culturale della Carta di Venezia e della Dichiarazione di Amsterdam, richiamando le istanze della “nuova cultura materiale della conservazione” che s’identificano con gli stessi principi promossi dall’ANCSA6 e cioè, spiega,“restauro come intervento leggero e diffuso condotto sul patrimonio edilizio di progrediente degrado (e non già ruderizzato al di là della ragionevole soglia del non ritorno), 4 Piccinato, Giorgio, La questione del centro storico, in Ciardini, Francesco e Falini, Paola (a cura di), I centri storici. Politica urbanistica e programmi di intervento pubblico: Bergamo, Bologna, Brescia, Como, Gubbio, Pesaro, Vicenza, Mazzotta, Milano 1980, p.31. 5 “Il carattere storico va riferito all’interesse che detti insediamenti presentano quali testimonianze di civiltà del passato e quali documenti di cultura urbana, anche indipendentemente dall’intrinseco pregio artistico o formale o dal loro particolare aspetto ambientale, che ne possono arricchire o esaltare ulteriormente il valore in quanto non solo l’architettura, ma anche la struttura urbanistica possiede, di per se stessa, significato e valore”. Al fine di “garantire con mezzi e strumenti ordinari e straordinari, il permanere nel tempo dei valori che caratterizzano questi complessi”. La Carta, suddivisa in più capitoli, espone vari livelli di intervento a scala urbana ed edilizia, quali: 1. ristrutturazione urbanistica 2. riassetto viario 3. revisione dell’arredo urbano 4. risanamento statico e igienico degli edifici 5. rinnovamento funzionale degli organismi interni, “ai fini del mantenimento in uso dell’edificio” 6. strumenti operativi, quali piani regolatori generali, piani particolareggiati, piani esecutivi di comparto, “estesi ad un isolato o ad un insieme di elementi organicamente raggruppabili” cfr. Carta del restauro (1972), in GURRIERI, Francesco, Restauro e conservazione, Polistampa 1992, pp. 51-72. 6 Gli obiettivi dell’Associazione sono definiti nell’art.3 dello statuto: a) promuovere studi e ricerche a carattere storico, urbanistico, socio-economico, gestionale e legislativo per la salvaguardia e il risanamento dei centri italiani di antica origine; b) raccogliere e coordinare le risultanze degli studi e delle ricerche compiute a tali fini dai Comuni e da altri Enti interessati, da studiosi ed esperti nelle discipline coinvolte; c) promuovere iniziative di diffusione, di informazione e di coinvolgimento di tutti gli Enti e le persone aventi interesse a tale opera di risanamento e di salvaguardia; d) promuovere interventi da parte dei Comuni e cooperare alla loro attuazione presentando agli Enti o ai privati interessati opera di consulenza critica e di assistenza tecnica sia in fase di progettazione che di realizzazione degli interventi; e) promuovere provvedimenti legislativi ed amministrativi per l’attuazione dei detti interventi; f) promuovere e svolgere ogni altra attività ritenuta attinente ai fini sociali.

Dal restauro alla conservazione del paesaggio urbano: tracce di un percorso culturale



per anticipare, prevenire, intervenire tempestivamente su contesti ancora sani e non su cadaveri eccellenti, ormai non più recuperabili ad un corretto uso sociale e nei quali la necrosi sia talmente avanzata che l’intervento di rifacimento (sempre da sconsigliare) prevalga su quello della conservazione delle risorse quale extant”7. Il battage si attesta sul caso bolognese, che volle porsi in quegli anni, come “modello” di una concreta operatività, promuovendo un’ immagine “altra” della città, riconfigurata da interventi di sostituzione e rimanipolazione dell’esistente, a spese della preesistenza. La stessa categoria della manutenzione, prevista dalla legge, svincolata da controlli tecnico-scientifici, ha contribuito a depauperare silenziosamente e lentamente le risorse storiche autentiche. Infatti, negli interventi di manutenzione, materiali ed elementi costruttivi soccombono alle trasformazioni che investono il patrimonio in uso, pur nel rispetto formale delle norme e cioé, senza alterarne la “tipologia” (anzi, con l’intento perfino di riprodurla)8. In tale dibattito s’inserì attivamente Francesco Gurrieri9, che in apertura alle Note bibliografiche sui centri storici (1977), mise in luce la necessità di far chiarezza sulla disciplina del restauro, a fronte di “fenomeni culturalmente e disciplinarmente inquinanti”, soprattutto in relazione alla normativa urbanistica che associa il restauro alla “ristrutturazione” e all’”intramontabile equivoco termine risanamento”10 ; argomento centrale che, a distanza di oltre un ventennio, lo stesso Gurrieri riprenderà nella giornata di studi (Firenze, 30 novembre 1998) sul tema Restauro urbano: che fare? 11, ponendo confronti e riflessioni alla luce dei nuovi scenari normativi e di un più articolato territorio di esperienze e ricerche. L’estensione dei principi della conservazione, maturata in seno al dibattito culturale, fu sancita dalla Dichiarazione di Amsterdam (1975), che introduce l’esercizio della “conservazione integrata”, quale risultato dell’azione congiunta delle tecniche di restauro e della ricerca di funzioni adeguate. Alla base è il riconoscimento dei valori spirituali, economici, sociali del patrimonio, riconducibili a tre principi fondamentali quali la legittimità della conservazione, la protezione globale, la conservazione integrata. Come puntualizza Roberto Di Stefano: “Il primo, significa riconoscere alla conservazione un posto di primo piano all’interno della società; il secondo, suppone la protezione non solo del singolo monumento ma dell’intero ambiente umano; il terzo, significa integrare la conservazione nella vita moderna[…] il che comporta l’individuazione di una precisa valenza economica dell’attività di conservazione del patrimonio culturale […], inteso come un’attività produttiva […] che trasforma la risorsa in bene”12. A ribadire la centralità della tematica urbana e la necessità di definire una metodologia capace di affrontare la realtà territoriale nella sua complessità, è la Carta di Washington del 1987. Promosso dall’International Council on Monuments and Sites (Icomos) per la salvaguardia della città storica, il documento ripropone in termini perentori i problemi della compatibilità della città storica come luogo privilegiato della vita di relazione fra gli uomini e le funzioni moderne, contemporanee e future. “Il patrimonio dei beni culturali”, scrive Stella Casiello, “possiede un valore sociale complesso che comprende, oltre al valore economico e sociale, anche il valore culturale. Quest’ultimo non può tuttavia fare riferimento solo alla bellezza; infatti, per analizzare il costruito, già in passato si è ricorsi a varie strategie che contemplano la 7 Centri storici, ultimo atto o comica finale?, in DEZZI BARDESCHI, Marco, Restauro: Punto e da capo. Frammenti per una (impossibile) teoria, a cura di Vittorio Locatelli, Ex Fabbrica Franco Angeli, Milano, p.348. 8 GIOVANNETTI, Francesco, La priorità materiale nella conservazione degli edifici storici in uso. Il caso di Roma, p.233. 9 Si richiamano qui i numeri annuali dei “Quaderni di studio e Ricerche di restauro architettonico e territoriale”, oltre ai volumi monografici curati dallo stesso Francesco Gurrieri: 10 GURRIERI, Francesco, introduzione a VAN RIEL, Silvio, Monumenti e centri storici. Note bibliografiche, Uniedit, Firenze 1977. 11 “QUASAR” 23, numero monografico sul tema Restauro urbano: che fare? 12 DI STEFANO, Roberto,Il recupero dei valori. Centri storici e monumenti, EDSI, Napoli 1979.

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morfologia, lo stile, il modello, il valore storico-artistico e ambientale. E proprio dalla complessità di lettura del patrimonio architettonico scaturisce la problematica della sua conservazione”13. A tal proposito, negli ultimi anni, sono stati messi a punto strumenti metaprogettuali come piani del colore, manuali del recupero, codici di pratica, linee guida che cercano di definire un quadro operativo unitario, pur limitati a specifiche problematiche della pianificazione paesistica. In particolare, i Codici di pratica degli anni ’90 tendono, non tanto a normare il progetto secondo schemi rigidi, quanto piuttosto a regolare il processo attraverso l’emanazione di linee-guida destinate agli operatori, in merito alle scelte progettuali più idonee alla conservazione (alcuni esempi: i fronti esterni dell’Isola di Ortigia, il centro storico di Palermo14, i Sassi di Matera15). Essi inglobano la totalità del costruito, nell’accezione di bene culturale, in alcuni casi, tuttavia, coi limiti della suddivisione in settori urbani omogenei che tende a omologare il costruito e a tipizzare gli interventi da compiere (si veda in proposito il Manuale del recupero del centro storico di Palermo, una raccolta antologica di tipi effettivamente documentati, ma estensibili ad altri tipi”16). Il tema della complessità urbana e territoriale del progetto di conservazione è ripreso dalla Carta di Cracovia (2000) che consolida il principio di unità territoriale, dove “la città e i villaggi storici, nel loro contesto territoriale […] devono essere visti nell’insieme di strutture, spazi ed attività umane, normalmente in un processo di continua evoluzione e cambiamento17”. Ne consegue che il progetto di restauro “deve prevedere la gestione delle trasformazioni e una verifica di sostenibilità delle scelte, considerando gli aspetti patrimoniali insieme con gli aspetti sociali ed economici”. Tutto ciò implica uno “studio preliminare dei corretti metodi per la conoscenza delle forze di cambiamento e degli strumenti di gestione del processo, oltre che la conoscenza dei manufatti”. Pertanto, il progetto di restauro delle aree storiche assume gli edifici del tessuto connettivo nella loro duplice funzione: a. di elementi che definiscono gli spazi della città nell’insieme della loro forma; b. di sistemi distributivi di spazi interni strettamente consustanziali all’edificio stesso”18 Come si è visto, tali acquisizioni culturali e normative, rafforzate e sancite dal nuovo codice dei Beni culturali – che affida l’unitarietà della tutela al Piano Paesistico - e dalla Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze, 2000) che stabilisce i termini della cooperazione internazionale in materia19, hanno contribuito a riconoscere il “bene culturale” nella totalità delle permanenze. Ragione per cui pare oggi più appropriato parlare in termini di “patrimonio urbano e paesaggistico”. Una dilatazione che non è solo quantitativa, di scala, ma culturale, economica, politica, sociale e pertanto implica l’adozione di strategie progettuali, competenze e soggetti operativi 13 CASIELLO, Stella, Il restauro dei centri storici: proposte per una lettura interdisciplinare, introduzione al volume di BAND-

LER, Wyllis, CASIELLO, Stella, COLETTA, Mario, MANCINI, Vasco, VENTRE, Aldo, Venafro e la problematica dei centri storici, Fiorentino, Napoli 1995, pp. 1-8. (cit. p.2). 14 con approfondimenti sulla realtà costruttiva ed esempi applicativi. 15 GIANBRUNO, Maria Cristina, Verso la dimensione urbana della conservazione, Alinea, Firenze, 2002, pp.202 e segg. 16 CAROCCI, Caterina, DE ANGELIS, Diletta RICCIOTTI, Maria Teresa, GIUFFRE’, LI CASTRI, Mario, Il codice di pratica per Palermo: uno strumento per l’amministrazione comunale, in SEGARRA LAGUNES, Maria Margarita (a cura di), pp. 213-214. 17 Ne consegue che: “Questo coinvolge tutti i settori della popolazione e richiede un processo di pianificazione integrata all’interno del quale si colloca una grande varietà di interventi. La conservazione nel contesto urbano ha per oggetto insiemi di edifici e spazi scoperti che costituiscono parti di aree urbane più vaste, o di interi piccoli nuclei insediativi urbani o rurali, comprensivi dei valori intangibili. In questo contesto, l’intervento consiste nel riferirsi sempre alla città nel suo insieme morfologico, funzionale e strutturale, come parte del suo territorio, del suo contesto e del paesaggio circostante. Gli edifici nelle aree storiche possono anche avere un elevato valore architettonico in se stessi, ma devono essere salvaguardati per la loro unità organica, per le loro connotazioni dimensionali, costruttive, spaziali, decorative e cromatiche che li caratterizzano come parti connettive, insostituibili nell’unità organica costituita dalla città. cfr. punto 8, in CRISTINELLI, Giuseppe (a cura di), La Carta di Cracovia 2000, Principi per la conservazione del patrimonio costruito, Marsilio, Venezia 2002, pp.184-185. 18 ibidem

Dal restauro alla conservazione del paesaggio urbano: tracce di un percorso culturale

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diversi. In tal senso “urbano” acquista l’accezione di “territorio antropizzato”, come precisa Maurizio Boriani, definendo gli ambiti della disciplina che affronta“ i problemi della tutela, della conservazione e del recupero del patrimonio storico-architettonico e paesistico, inteso come sistema, cioè come struttura formale complessa, risultato della continua azione dell’uomo e della natura sul territorio”20. Da qui il problema centrale consiste nel normare la qualità del progetto di tutela, conservazione, riuso, valorizzazione, a partire dalle fasi della conoscenza (analisi storico-analitiche, diagnostica, rilievi, ecc…). Tutto ciò implica un forte investimento nel gestire la gran quantità d’ informazioni e una radicale trasformazione e riorganizzazione del sistema delle competenze oltre che delle procedure amministrative. Da qui anche la necessità di ricorrere a metodologie interdisciplinari di studio, capaci non solo di affrontare le singole componenti fenomenologiche, ma di analizzarne anche le relazioni, i sistemi connettivi, sia in senso spaziale che diacronico. In tal senso l’utilizzo di GIS può soddisfare la necessità di reperire e gestire informazioni, facilitare le possibilità di dialogo e interscambio tra le discipline, nonché consentire la divulgazione delle conoscenze dei singoli beni (individuazione, stato di conservazione, vincolo), nella loro interazione con il territorio su cui gli stessi beni insistono.(M.A.G.)

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Sull’argomento, cfr. Il paesaggio nelle politiche europee, atti del Convegno (10-11 novembre 2003), Roma, Ministero BB.AA.CC., 2003. 20 BORIANI, Maurizio, Sul restauro urbano e sul suo insegnamento nelle facoltà di architettura, in “QUASAR” 23, numero monografico sul tema Restauro urbano: che fare?, pp. 167-169.

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Il piano regolatore di Saluzzo (1961-1964): appunti per la ricerca di un equilibrio tra territorio e progetto di conservazione Nel 1965 Giovanni Astengo pubblica, sul numero 42-43 della rivista Urbanistica da lui diretta, e con un articolo dal titolo “studi, esperienze e problemi attuali dei centri storici in Italia”1, la relazione alla prima sessione di lavoro del Comité permanent des sites historique urbains, tenutasi a Venezia nel maggio dell’anno precedente2. Le considerazioni espresse in questa occasione, in particolare la necessità e l’urgenza di individuare “strumenti per poter effettivamente operare” in quanto “la soluzione dei problemi dei centri storici non può, infatti, in alcun modo concretarsi se dalla semplice imposizione di ‘vincoli a non fare’ non si passa alla precisazione di ‘ciò che si vuole e che si deve fare”, segnano in qualche modo la conclusione di quasi un decennio di scoperte, analisi, ricerche e soprattutto denunce riguardo il tema della città storica e la necessità della sua conservazione. Se infatti il Convegno di Gubbio per la salvaguardia e il risanamento dei centri storico-artistici, promosso da Astengo nel 1960, è luogo e momento di confronto disciplinare e maturo sul tema, non ci sono dubbi che sia l’incarico per la redazione del Piano di Assisi3, “l’impatto con la storica città umbra non poteva che essere sconvolgente”4, l’occasione che costringe l’urbanista piemontese ad indagare le questioni complesse della tutela e del recupero. Non è forse infondato sostenere che è stata proprio l’esperienza di Assisi, “improvvisa, non ricercata”, e poi conflittuale e a tratti dolorosa, a radicare in Giovanni Astengo quella sensibilità nei confronti del patrimonio storico che emergerà nei decenni successivi, nell’attività professionale come in quella di ricerca5. E’ in questo momento particolare dell’attività professionale ed intellettuale di Giovanni Astengo, denso di riflessioni riguardo la conservazione dei centri storici e sperimentazioni sui metodi e gli strumenti di indagine, che si colloca la redazione del Piano Regolatore Generale per Saluzzo: Astengo ottiene l’incarico nel 1961, l’anno successivo al Convegno di Gubbio, per lavorare alla definizione del progetto fino al luglio del 1964, quando, maturate le considerazioni esposte al convegno di Venezia, l’urbanista piemontese si accinge a convogliare esperienza ed impegno politico nella commissione d’indagine Franceschini per la tutela e la valorizzazione del patrimonio artistico, storico, archeologico e del paesaggio6. Il Piano per Saluzzo, la cui vicenda non presenta i caratteri di eccezionalità e singolarità dei piani per Assisi o Gubbio, è certamente un documento minore nel panorama complessivo del lavoro di Giovanni Astengo, tuttavia, e probabilmente per queste stesse ragioni, può essere conside1 Astengo, Giovanni, Studi, esperienze e problemi attuali dei centri storici in Italia, in “Urbanistica” n° 42-43/1965 pp.50-53 2 Il Comité Permanent des Sites Historique Urbains nasce in seno alla Fédération Internationale pour l’Habitation, l’Urbanisme

et l’Aménagement des Territoires (FIHUAT), la federazione di associazioni nazionali fondata nel 1913 della quale Astengo è rappresentante per ltalia dal 1954 3 L’incarico per il Piano Regolatore generale di Assisi è del 1955, Astengo vi lavorerà alacremente fino al giugno del 1958. Negli anni immediatamente successivi le forti opposizioni al piano, legate prevalentemente agli interessi economici dell’imprenditoria immobiliare, convincono la nuova giunta comunale ad abbandonare la proposta. Un nuovo incarico per Assisi verrà affidato a Giovanni Astengo fra il 1966 ed il 1969. Il piano per Assisi è documentato in “Urbanistica” n° 24-25/1958; la vicenda raccontata in Dolcetta, Bruno, L’esperienza di Assisi, in Francesco Indovina (a cura di), Le ragioni del piano: Giovanni Astengo e l’urbanistica italiana, Milano 1991, pp. 103-117 4 Astengo, Giovanni,“Assisi: un’esperienza”, da IUAV-Provincia Autonoma di Trento, Insediamenti storici: risorse per il futuro, mostra didattica, 1981; pubblicato in: Indovina, Francesco (a cura di), La ragione del piano: Giovanni Astengo e l’urbanistica italiana, Milano 1991, pp. 118-119 5 Per un regesto completo degli scritti, dei piani e degli studi urbanistici di Giovanni Astengo cfr. di Biagi, Paola, Astengo, Giovanni, Un metodo per dare rigore scientifico e morale all’urbanistica, in Paola di Biagi, Patrizia Gabellini (a cura di), Urbanisti italiani, Bari 1992, pp. 451-467 6 Nella commissione Astengo è coordinatore dei lavori su paesaggio, centri storici e urbanistica. Negli anni successivi sarà membro della Commissione d’indagine del Ministero dei Lavori Pubblici sulla situazione urbanistico-edilizia di Agrigento (1966).

Il piano regolatore di Saluzzo (1961-1964)

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rato un “documento esemplare”, se “il valore di un esempio, di un esperimento, sta anzitutto in se stesso,e quindi anche nella sua potenziale ripetibilità; (…) un’indagine ben condotta, un piano regolatore ben avviato, uno studio teorico scientificamente corretto sono non soltanto validi in sé (…) ma possono essere, o divenire, determinanti di un nuovo ambiente culturale, di un nuovo indirizzo di vita”7. La scelta di pubblicare questo lavoro in seno all’attività divulgativa dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia contribuisce a rafforzare questa ipotesi8. La Saluzzo che si apre nel 1961 all’osservazione di Astengo, così come egli la descrive nella relazione introduttiva al piano9, è una città di 16.258 abitanti, collocata al margine di quel promontorio collinare che, determinando la conformazione della città storica e condizionando le linee di espansione della città più recente verso la pianura, ha mantenuto integro il proprio ambiente naturale. Anche il Centro Storico stesso si è mantenuto sostanzialmente intatto, a causa di una tendenza, peraltro in quegli anni generalizzata sul territorio italiano, della popolazione a cercare abitazioni nuove e meglio attrezzate, e degli operatori economici ad investire altrove le proprie risorse. Queste condizioni orientano le proposte del piano verso due direzioni complementari: se infatti da un lato appare evidente e assolutamente necessaria la tutela del Centro Storico e del paesaggio della zona collinare, sembra però altrettanto importante immaginare soluzioni progettuali che possano consentire alla città un nuovo sviluppo economico e sociale, peraltro rispettoso del ruolo della Saluzzo storica nel quadro più ampio del territorio piemontese. Se infatti “Saluzzo svolse, dall’età medievale, la funzione di cerniera delle attività produttive e degli scambi, ed insieme centro propulsore del primato politico-militare del Marchesato nella storia piemontese” e poi “andò perdendo prima ogni autonomia di azione politica e ridusse poi l’ampiezza della propria zona d’influenza geo-economica (…)si può prevedere che nel quadro di un riordinamento programmato delle attività produttive piemontesi in sistemi territoriali omogenei e complementari, Saluzzo possa in futuro riacquistare l’originaria funzione di un centro di inziativa e coordinamento (…) del suo comprensorio.”10 L’attenzione che Astengo pone sulla ricerca di possibilità di sviluppo che siano compatibili con la morfologia urbana di Saluzzo, ma anche con la sua antica attitudine a costituire una centralità, può essere inserita nel quadro più ampio di una riflessione, maturata fra il 1960 ed il 1962 grazie agli studi per il Piano di sviluppo economico dell’Umbria, che riguarda le prospettive degli insediamenti storici nel quadro della pianificazione territoriale: “gli insediamenti storici, anche quelli minori, si sono rivelati molto spesso di estremo interesse nel quadro della pianificazione territoriale, come centri, ora in abbandono, che potranno nuovamente divenire vitali (…) sarà così non solo scoperta, ma anche utilizzata una antichissima rete di insediamenti che rappresenta un momento estremamente felice della civilizzazione italica”11. Se dunque nella Dichiarazione finale del Convegno di Gubbio si afferma una generica seppure “fondamentale e imprescindibile necessità di considerare le operazioni di ricognizione e 7 Astengo, Giovanni, Per una pianificazione attiva, in “Urbanistica” n° 13/1953 pp.2-5; citato in di Biagi, Paola, Astengo,

Giovanni, Un metodo per dare rigore scientifico e morale all’urbanistica, in Paola di Biagi, Patrizia Gabellini (a cura di), Urbanisti italiani, Bari 1992, pp. 425-426.8 L’Istituto Universitario di Architettura di Venezia pubblica i piani per Saluzzo e per Bastia Umbra nel 1966, quando, ottenuta la cattedra di Urbanistica, inizia a concretizzarsi l’impegno di Giovanni Astengo nella didattica 9 Astengo, Giovanni, Il Piano regolatore generale di Saluzzo, Istituto Universitario di Architettura di Venezia, Venezia 1966, pp. 5-10. 10 Astengo, Giovanni,, Il Piano regolatore generale di Saluzzo, Istituto Universitario di Architettura di Venezia, Venezia 1966, pag. 5 11 Astengo, Giovanni,, Studi, esperienze e problemi attuali dei centri storici in Italia, in “Urbanistica” n° 42-43/1965 pag. 52

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classificazione preliminare dei centri storici con le zone da salvaguardare e risanare come premessa allo sviluppo della città moderna”12, già nel piano per Saluzzo, dove Astengo propone il risanamento e la conservazione del centro storico in stretta relazione, fisica e funzionale, con la formazione di un nuovo centro direzionale e commerciale con influenza comprensoriale, si evidenzia la consapevolezza chiaramente espressa al Convegno Nazionale di Studio dell’ANCSA dell’ottobre 1962 che “con l’interdipendenza stretta fra la risoluzione dei problemi dei centri storico e la risoluzione dei problemi urbanistici in generale e territoriale anche il problema delle funzioni da attribuire ai centri storici e della vita economica dei centri storici maggiori e minori trova il suo quadro metodologica per la risoluzione”13. Il nuovo centro direzionale14 infatti, collocandosi nella zona adiacente la stazione ferroviaria in quanto “baricentro del complesso centro storico - zone industriali - zone residenziali” e quindi “ad immediato contatto con il centro storico, ne costituisce la diretta integrazione, e lo sostituisce per quelle attività che nel centro storico non potrebbero trovare sede se non a prezzo di sistemazioni profonde, in definitiva deturpanti.”15 Il Centro storico, la cui “originaria funzione è, e deve restare, residenziale (…) continuerà ad ospitare gli addetti alle attività terziarie che in esso e nel centro direzionale troveranno sede”16. Per il Centro Storico come per la zona collinare Astengo esprime poi la necessità di un Piano Particolareggiato come esclusivo strumento di attuazione del Piano Regolatore stesso, da redigersi entro sei mesi dalla data del decreto di approvazione del P.R.G.. Le poche indicazioni presenti nelle norme di attuazione, e precisamente relative alle trasformazioni e al rifacimento degli edifici esistenti17, propongono per il centro storico, la zona collinare e l’area compresa nell’inviluppo formato da via delle Vigne, corso Piemonte, piazza Montebello, via Donaudi, piazza Cavour, piazza Garibaldi, via Martiri della Libertà e piazza Risorgimento quei vincoli di intangibilità e conservazione la cui opportunità ed efficacia era stata già sperimentata da Astengo nel piano per Gubbio. Ancora nel 1964 quindi sembra apparire forte, e nonostante l’importante campagna di sensibilizzazione condotta dalle associazioni in primo luogo presso i Comuni18 e secondariamente presso le istituzioni, nonostante le polemiche che hanno seguito la mancata attuazione del primo piano per Assisi, quella necessità di “sospendere qualsiasi intervento, anche di modesta entità, in tutti i centri storici prima che i relativi piani di risanamento conservativo siano stati formulati e resi operanti.”19 (A.M.)

12 Astengo, Giovanni, Convegno sulla salvaguardia e il risanamento dei centri storico-artistici, Gubbio 17-18-19 settembre

1960, in “Urbanistica” n° 32/1960, pag. 66.

13 Astengo, Giovanni, relazione al convegno di studio dell’ANCSA, Venezia 27 e 28 ottobre 1962, in ANCSA, Convegno

nazionale di studio, Gubbio 1964, pp. 97-107.

14 Il piano particolareggiato per il nuovo centro direzionale-commerciale e la relativa rete infrastrutturale sarà redatto da

Astengo fra 1969 ed il 1973.

15 Astengo, Giovanni, Il Piano regolatore generale di Saluzzo, Istituto Universitario di Architettura di Venezia, Venezia 1966,

pag. 16. 16 Astengo, Giovanni, Il Piano regolatore generale di Saluzzo, Istituto Universitario di Architettura di Venezia, Venezia 1966, pag. 16. 17 Astengo, Giovanni, Il Piano regolatore generale di Saluzzo, Istituto Universitario di Architettura di Venezia, Venezia 1966, pag. 27. 18 Il ruolo delle associazioni è riconosciuto da Astengo in Astengo, Giovanni, Studi, esperienze e problemi attuali dei centri storici in Italia, in “Urbanistica” n° 42-43/1965 pag. 52. 19 Astengo, Giovanni, Convegno sulla salvaguardia e il risanamento dei centri storico-artistici, Gubbio 17-18-19 settembre 1960, in “Urbanistica” n° 32/1960, pag. 66.

Saluzzo: città laboratorio

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Saluzzo: città laboratorio Come si è visto, nel primo fondamentale progetto di pianificazione della città di Saluzzo, un urbanista del calibro di Giovanni Astengo affrontò fin dal 1961, in maniera lungimirante, il legame tra centro storico e l’ intorno, essenziale ad assicurare la sopravvivenza del contesto antico (vedremo oltre come lo stesso Astengo, tra i maggiori artefici dell’ANCSA, autore dei piani per Assisi e per Gubbio, prenda parte attiva ai lavori della Commissione Franceschini del 1966. La filosofia del piano corrisponde a una “stagione felice” della gestione del patrimonio culturale e paesaggistico di Saluzzo, per l’attenzione che Astengo (dal 1967 coadiuvato dall’architetto Giuseppe Abbate per l’elaborazione di una “nuova rappresentazione unitaria globale” del PRG1) riversò alla salvaguardia dei caratteri culturali dell’ambito collinare e della pianura. Le indicazione normative del ‘64 furono riprese e ulteriormente approfondite nel piano regolatore del 1973 (Astengo-Abbate), che introdusse l’obbligo di un ”piano particolareggiato esecutivo2 per tutti i complessi ambientali dell’espansione ottocentesca esistente ai bordi” di una più ampia perimetrazione del centro storico. Il “Centro Storico” di Saluzzo è di fatto l’intera città, “centro di convergenza” di un sistema territoriale ugualmente storico, rispetto al quale la stessa città si pone in relazione di continuità spazio-temporale, di paesaggio, di risorse economiche, di rete infrastrutturale, di tradizioni e cultura. Rispetto a una tale organicità di progetto territoriale di tale piano (ma anche rispetto alla complessità dei precedenti piani otto-novecenteschi) pare riduttivo l’approccio settoriale del Piano del Colore degli anni ’80. Le fonti storiche su cui si è fondato il Piano di Saluzzo3 documentano un indirizzo che va oltre il mero principio del decoro per investire il rapporto pubblico-privato in un disegno urbano più ampio. Basta leggere i regolamenti d’ornato redatti alla fine del XIX secolo per capire come l’azione di controllo risponda a un’idea di città, di cui l’immagine esteriore è solo l’indizio estetico più appariscente. La commissione d’ornato è infatti chiamata a “vegliare al progressivo miglioramento del pubblico aspetto” della città, provvedendo pertanto a “quanto si riferisce all’utilità, ai maggiori commodi ed abbellimenti ed ornati esteriori”4 . Il regime autorizzatorio riguarda, infatti, tanto il tipo d’ intonaco (a calce, con semplice arricciatura o in laterizio a vista) e le coloriture, quanto gli allineamenti, i serramenti, le insegne, le iscrizioni5. Il regolamento distingue inoltre le nuove costruzioni e le radicali ricostruzioni, cioé “tutte le nuove fabbriche, come pure quelle a cui si pratichino importanti restauri”6 dalla restante parte del tessuto edilizio. Dal Regolamento del 1881 a quello del 1936 si generalizzano le scelte cromatiche del1 cfr. Abbate, Giuseppe, Zuccotti, Gian Pio, Saluzzo fra passato e futuro. Rapporto sullo stato del centro storico al 1980,

Torino 1981

2 La redazione del piano particolareggiato fu deliberata nel 1978 dal Consiglio Comunale 3 Il Piano del colore di Saluzzo s’inquadra nella più ampia problematica dell’intervento a scala urbana, avviato per la prima volta

a Torino dal 1978 al 1983, dallo stesso Brino (cfr. Giovanni Brino, Franco Rosso, Colore e città. I colori di Torino 1801-1863, Idea Books, Milano 1987). 4 26.11.1834, Regie lettere patenti colle quali S.M. stabilisce nella città di Saluzzo una commissione di pubblico ornato ed approva l’annesso regolamento per la conserrvazione ed abbellimento esteriore de’ fabbricati e luoghi pubblici della medesima, tip. Saluzzo 1835, in BRINO, Giovanni, Il piano del colore di Saluzzo, Forma, Torino 1985, p. 48. 5 cfr. Regolamento d’ornato adottato dalla Commissione Comunale (12.11.1861), art. 18: “”tanto nelle nuove costruzioni che nelle essenziali ricostruzioni, le botteghe non potranno avere alcuno sporto, risalto o gradino sporgente dalla linea del muro” ed è vietato di “fare alcuna iscrizione sopra i muri, dovendo le medesime formarsi in appositi quadri che prima di venir collocati a vista del pubblico dovranno essere approvati dalla Giunta, e dovranno poi venir solidamente infissi nei muri a conveniente altezza e non potranno protendere da questa verso le vie e piazze, ed i vicoli, oltre a dieci centimetri” […] di fare alcuna iscrizione sopra i nudi muri, dovendo le medesime formarsi in appositi quadri che prima di venir collocati a vista del pubblico dovranno essere approvati dalla Giunta, e dovranno poi venir solidamente infissi nei muri a conveniente altezza e non potranno protendere da questa verso le vie e piazze, ed i vicoli, oltre a dieci centimetri”, ibidem, p.47. 6 Le categorie d’intervento sono le stesse in tutti i Regolamenti redatti tra il 1861 e il 1881, cit. in BRINO 1985, pp. 47-48.

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le facciate, che “dovranno essere tinteggiate e conservate costantemente pulite ed in buono stato” e, comunque, “non dovranno eseguirsi con tinte, che per troppa vivacità o per essere troppo cariche offendano la vista ed ingenerino oscurità”7, mentre s’impone una zoccolatura negli “edifici fronteggianti il suolo pubblico o di uso pubblico” (“in pietra naturale, artificiale o in cemento, di altezza media non inferiore a 40 cm misurati sul marciapiedi”8). E’ da rilevare, in questa più recente versione del piano (1936), una maggiore complessità nel repertorio dei manufatti e dei loro dettagli costruttivi (finestre, persiane, vetrate, cancellate, inferriate, ringhiere, parapetti dei balconi e dei terrazzi, serrande metalliche delle botteghe, delle vetrine e dei baracconi) e una particolare attenzione agli esercizi commerciali (oltre alle “botteghe”, “insegne e relative iscrizioni”, compaiono, infatti, i “baracconi”), oltre che una più ampia tipologia degli affacci, comprendente “vie, viottoli, piazze, corsi, cortili, giardini ed altri recinti visibili dal suolo pubblico, come pure le pareti ed i volti degli anditi delle scale”)9. Tutto ciò dimostra la continuità degli strumenti e delle procedure di controllo, tesi a garantire omogeneità d’immagine e di decoro, nel controluce dei processi di trasformazione urbana. A distanza di un cinquantennio, alla luce di un serrato dibattito sul tema della città, della sua complessità fenomenologica, delle sue dinamiche di trasformazione, del suo valore di palinsesto, sembra riduttivo riproporre il tema in termini di “rinnovo delle tinteggiature” e “graduale intervento manutentivo dell’arredo urbano”. Non sono, infatti, da sottovalutare, ai fini della conservazione, i risultati delle sistematiche sostituzioni, in nome del rinnovo d’ intonaci e coloriture preesistenti, sia pure col sostegno di una base conoscitiva e progettuale. Non solo, recenti interventi dimostrano il persistere di un’impostazione ancora “tipologica” al restauro che ha portato, in alcuni casi (palazzo comunale) a eliminare le stratificazioni ultime del paramento di facciata (liberazione del porticato, con sostituzione di elementi costruttivi), rimanipolando la materia autentica. Queste esperienze dimostrano come il Piano del colore rappresenti un settore molto particolare del progetto urbano, rispetto al quale s’impone un’integrazione di conoscenze puntuali e diffuse che investano non solo la materia e, in questo caso, il mero restauro “di superficie”, ma l’ambiente, coi suoi livelli di inquinamento fisico e antropico, le nuove gerarchie funzionali, le nuove risorse dell’edificato. In base a questi principi è stato impostato il Laboratorio di restauro urbano che si colloca nell’anno conclusivo del Corso di Laurea Specialistica in Architettura (Restauro e Valorizzazione) e assume didatticamente il ruolo di sintesi di un percorso formativo finalizzato all’ acquisizione degli strumenti di conoscenza (rilievo geometrico, materico, dei materiali, dei degradi e dei dissesti), delle strategie per il contenimento del degrado e la verifica della compatibilità coi nuovi usi, della cultura del progetto di valorizzazione. Come prima detto, quando si passa dalla scala puntuale del singolo bene a quella diffusa (paesaggistica e urbana), tali campi impongono strumenti informatici per gestire la complessità dei dati derivanti da un’altrettanto complessa fenomenologia; strumenti che siano quindi interattivi, per la capacità di estendere il dialogo con le altre discipline e soggetti in gioco. Su questi apporti fondamentali si fonda una metodologia d’intervento sull’esistente, organizzata per sistemi multidisciplinari, il cui territorio di confronto è la città nella più ampia accezione di patrimonio architettonico, paesaggistico, risorsa diffusa e continuamente implementabile; la città come momento di convergenza della struttura territoriale, con la quale essa si rapporta senza soluzione di continuità, trasmettendone la cultura attraverso i segni delle permanenze e 7 19.2.1936. Regolamento edilizio deliberato dal Podestà, art.23, cit. ibidem, p. 48 8 art.23, cit. ibidem, p. 48 9 Ibidem, art.27

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delle mutazioni; la città come bene complesso da salvaguardare, perché peribile e irripetibile, che possiede “un grandissimo valore di risorsa sempre crescente” per citare Marco Dezzi Bardeschi, senza essere un museo e quindi non museabilizzabile, “ma un’opera inevitabilmente aperta al fare e a chi la vive, un patrimonio che continuamente subisce sottrazioni, manomissioni e anche aggiunte”10. Una metodologia capace di rispondere ai requisiti della complessità del sistema urbano è dunque incentrata sulla qualità del progetto nella sua più ampia e complessa dimensione culturale, sia di conservazione che d’ innovazione. Due ambiti distinti e distinguibili, dove la conservazione impone la salvaguardia del bene materiale esistente e l’innovazione aggiunge all’esistente le risorse necessarie a garantirne la sopravvivenza e l’identità, senza mistificazioni, contaminazioni e tanto meno sottrazioni, ma autereferenziandosi come espressione della contemporaneità. In linea coi principi sostenuti da Roberto Pane fin dagli anni ’6011, Stella Casiello evidenzia come “la natura culturale del problema imponga il rifiuto di soluzioni di ripristino tipologico e, una volta ritenuta opportuna la ricucitura di un tessuto urbano lacerato, questa va effettuata con architettura moderna, anche mediante una del contesto”12. Saluzzo è, dunque, la “città laboratorio”, il cui studio sistemico prende l’avvio dalle piazze13, una tematica “nuova” per la città, perché storicamente, la vita di relazioni si svolgeva in maniera diffusa, lungo le vie e gli slarghi. La piazza, tuttavia, non è qui intesa non come “vuoto” ricavato per negativo dalle masse murarie dell’edificato, né come assenza d’ identità spaziale o “non luogo”, secondo la definizione di Marc Augié cara ai nuovi geografi del sociale, bensì come materia costruita nella rarefazione dell’edificato che organizza volumi, crea connessioni, catalizza i processi di rifunzionalizzazione urbana e territoriale. Si può pertanto affermare che la sua configurazione deriva da processi di sottrazione - soprattutto di strutture funzionali, come le pensiline dei mercati - più che di addizione, da cambiamenti di funzioni e dall’espansione urbana, più che da progetti unitari e organici con lo sviluppo urbano storico. Risultano morfologie differenti, compresenza di tessuti diversi (luoghi di scambio, d’ informazione, espressioni e rappresentazioni della collettività, forma simbolica, luoghi di riti e funzioni pubbliche) e degrado diffuso. Solo in parte è confermata la permanenza di funzioni - quali ad esempio il mercato che rafforza il valore d’uso storico dei siti; mentre lo sviluppo urbano degli ultimi decenni ha comportato lo slittamento baricentrico di alcune attività che si svolgevano nel connettivo urbano, soprattutto a causa della viabilità veicolare che, dilatandosi negli spazi deboli della maglia viaria, ne ha indebolito i significati spaziali e ibridato le stesse funzioni. La scelta del tema, in questa prima fase di lavoro, è stata strategica, poiché le “piazze” rappresentano un momento di possibile riequilibrio urbano e territoriale (cerniera col paesaggio agricolo, mercati, scambi commerciali, ecc.), nel procedere verso la conservazione dei valori d’identità e una risorsa da utilizzare, anche per le eventuali ricadute sui valori della rendita di posizione (e quindi sulla conservazione degli edifici che ne fanno parte); al tempo stesso, per avviare un progetto sistematico di conoscenza e definire subito alcuni nodi di sviluppo che pongono di fronte pubblico e privato, centro e periferia, identità storica e innovazione. Come si precisa oltre, il lavoro si è sviluppato in progress, affinando i consueti strumenti disciplinari della conoscenza fenomenologica (rilevamento di tutti gli elementi e a tutte le scale), attraverso 10 11 12 13

DEZZI BARESCHI, Marco, Restauro: due punti e da capo (a cura di Laura Gioeni), Ex fabrica Francoangeli, Milano 2004, p. 51 PANE, Roberto, Attualità dell’ambiente antico, Firenze 1967 ibidem, pp.5-6 Nei prossimi anni, la ricerca sarà estesa ad altri temi e altri luoghi della città, mentre si avvia la sistematizzazione dei dati raccolti in un GIS che potrà fornire la base di conoscenza aperta.

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un continuativo contatto con la vita della città. Ciò ha comportato di stabilire momento per momento il livello della conoscenza, i particolari da approfondire, organizzare la consequenzialità dei dati, fino a verificare le linee-guida del progetto di conservazione e innovazione nel dialogo coi cittadini su alcuni temi (per esempio la percezione dell’edificio scolastico degli anni ‘30, considerato elemento di disturbo dal più recente piano urbanistico) e con gli amministratori, mediante incontri periodici. Sul piano metodologico, la scelta è stata quella di non trattare settori trasversali come i fronti urbani, ma spazi nella loro stratificazione singolare e nel loro sistema di relazioni. Questo modo di procedere ha consentito di contemperare il livello teorico e meramente accademico con quello più concretamente progettuale. L’ esperienza dunque si pone come momento di sintesi a tutti i livelli progettuali: teoria e prassi, conservazione e innovazione, singolarità e collettività, dove tutti gli strumenti entrano in gioco: studio dell’iconografia e delle fonti storiche, degli organismi edilizi, dei materiali, delle tecniche costruttive, degli strumenti urbanistici vigenti, fino alla definizione delle linee guida per la conservazione, (tecniche di contenimento dei degradi, individuazione di nuovi usi compatibili) e di rifunzionalizzazione urbana che investe la viabilità, i parcheggi, l’abbattimento delle barriere, il verde, l’arredo, l’illuminazione . Qui s’innestano alcuni ambiti di riflessione, su cui aprire il dialogo con le altre discipline, alla base, come si è detto, della metodologia del progetto di conservazione che prevede anche lo studio di soluzioni innovative, capaci di addizionare nuove risorse per le nuove funzioni. Più precisamente: - conoscenza del tessuto esistente e delle relazioni tra paesaggio urbano ed extraurbano, come base del progetto di conservazione; - analisi delle implicazioni sociali, ecologiche, economiche e culturali del paesaggio urbano, come espressione di modi di vivere lo spazio pubblico, - verifica della compatibilità degli usi con l’identità storica del tessuto esistente; - individuazione di strategie e tecniche, su cui fondare le proposte progettuali, nei distinti e riconoscibili ambiti della conservazione e dell’innovazione. (M.A.G.)

La Castiglia, monumento princeps di Saluzzo. Un cantiere di conservazione integrale

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La Castiglia, monumento princeps di Saluzzo. Un cantiere di conservazione integrale L’impostazione metodologica impressa nel progetto e nel cantiere del suo primo lotto funzionale dal nostro gruppo al progetto di conservazione e recupero della Castiglia è così schematizzabile. Per storia e per emergenza architettonica la Castiglia è certamente il monumento princeps di Saluzzo, troppo a lungo -come carcere- rimasta segregata dallo sviluppo e dalla vita quotidiana della città. L’obiettivo primario (raggiunto con il primo lotto di lavori, che si sono conclusi proprio questi giorni) è stato quello della sua riapertura alla visita dei cittadini. Al suo interno sta prendendo forma una struttura polivalente integrata nella rete dei percorsi culturali e turistici del Marchesato, ottenuta trasformando quella che era divenuta la sede di una istituzione globale esclusiva come il Carcere in una struttura di massima accessibilità e permeabilità, in modo da incoraggiarne la riscoperta, senza tuttavia eliminare i forti segni dell’ultima destinazione d’uso repressiva (per la quale si sta anzi realizzando un museo della vita carceraria). Questo comporta un attento rispetto e cura di tutti i segnali individuanti e caratteristici che connotano le successive destinazioni per le quali è passato il vasto complesso monumentale (il camminamento delle guardie carcerarie, le inferriate, le barriere di sicurezza, i segni dell’uso quotidiano, le scritte incise dai suoi temporanei ospiti, il singolare cinema interno e la cabina di proiezione d’emergenza, ecc.). E’ stata dunque scelta -per quanto possibile- la strada, molto motivata e radicale, della conservazione integrale di ogni testimonianza e documento storico. Si è scelto cioè di eleggere a testimonio e di far parlare degli eventi che l’hanno lambito nel tempo ogni paramento murario ed ogni componente anche povera e apparentemente “banale”. Abbiamo fatto in modo di mettere ogni visitatore come allo specchio di fronte alla storia scritta direttamente sui muri da chi l’ha frequentata. L’intervento eseguito sui fronti ed i paramenti esterni è stato condotto all’insegna di tale filosofia. Abbiamo intanto eletto la Grande Fabbrica a museo di sé stessa, per caricarla poi di nuove privilegiate alte funzioni e destinazioni collettive (questa operazione è ovviamente appena iniziata). Ma inserire nuove funzioni comporta intercalare nel palinsesto storico in copia unica nuove componenti necessarie (scale, ascensori, impianti, attrezzature, servizi.). E così abbiamo fatto, attribuendo a queste ultime carattere di chiara leggibilità e riconoscibilità (si può già vedere l’impegnativo nuovo volume tecnologico degli impianti, ora in funzione, inserito verso monte nel ristretto cuneo tra terrazze e camminamento di ronda). L’intervento è stato finora condotto, in un buon rapporto di organica collaborazione con la Soprintendenza, all’insegna del conservare (quello che già c’è) e non del “restaurare” inteso come, rifare/riprodurre, riprodurre ciò che non c’è più (se mai ci sia stato). E dell’aggiungere (e non del sottrarre) cultura materiale attribuendo all’architettura valore di nuova risorsa come chiaro testimone dialogico dichiarato del nostro tempo. Sì, siamo particolarmente soddisfatti dello sforzo fatto da tutti (Amministratori, Soprintendenza, Impresa e tecnici coinvolti) e che ha fruttato con il rispetto dei tempi il riconoscimento da parte della Regione di un significativo premio di produzione (700.000 euro). Ed ora che, grazie a tutto questo, è arrivato un nuovo finanziamento per andare avanti con un secondo lotto, auspichiamo che si possa attuare quella preziosa ed efficace sinergia e continuità metodologica ed operativa che confermi il programma avviato e le opere finora eseguite in cantiere. Perciò ho voluto assicurare a titolo mio personale e dei miei stessi colleghi all’Amminstrazione tutta la nostra collaborazione per evitare ogni indesiderabile possibile distrazione e scollamento operativo, anche in previsione degli ulteriori finanziamenti opportuni per concludere positivamente –come tutti ci auguriamo- l’impegnativo, quanto innovativo, cantiere di conservazione e progetto finora avviato. (M.D.B.)

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Il processo di conoscenza: Note sull’attività del Laboratorio di Saluzzo Il progetto di conoscenza di un tessuto urbano storicamente stratificato, eterogeneo e articolato, come quello della città di Saluzzo, è un problema complesso che ha come finalità non solo quella di raccogliere i dati necessari per l’intervento di conservazione, ma anche la capacità di conservare i dati conoscitivi acquisiti per poterli consultare nel futuro (quando l’intervento sul manufatto è concluso) e trasmettere alle prossime generazioni. Questo concetto è stato ben sintetizzato da Paolo Torsello con l’espressione “conoscere per conservare” ma soprattutto “conservare per conoscere”1, riconducendo l’operatività a vero e proprio work in progress che non si esaurisce con l’intervento. Per richiamare un pensiero di Marco Dezzi Bardeschi, studiare a fondo il “palinsesto” urbano su cui s’ interviene, ampliandone la comprensione sotto le sue molteplici valenze, è alla base di qualsiasi intervento sull’esistente finalizzato a un progetto che lo rispetti e ne garantisca la trasmissione del “continuum costruito”2, alle generazioni future. Infatti, la testimonianza materia, compresa in tutti i suoi aspetti, potrà essere arricchita da nuovi apporti progettuali con nuovi valori d’uso compatibili che parleranno della nostra cultura continuando l’infinito processo della storia. La conoscenza del luogo inizia con le impressioni ricevute nel momento in cui lo si percorre per la prima volta, a cui seguono visite e frequentazioni ripetute a diverse ore del giorno, in diversi giorni della settimana e in diverse stagioni dell’anno. Questa frequentazione permette di comprendere l’utilizzazione dello spazio e individuarne le problematiche. L’approccio deve essere anche allargato alle aree circostanti e, in seguito, a tutto il tessuto urbano e al territorio, per afferrare gli aspetti più minuti della vita all’interno ed all’esterno della città. Nel caso specifico della città di Saluzzo, lo studio delle piazze ha comportato visite in diversi momenti per approfondire, attraverso un approccio diretto, il fenomeno urbano, le eventuali sofferenze e le potenziali risorse. Ma se queste analisi hanno messo in luce i problemi legati all’uso, altrettanto importanti sono stati i contatti con le amministrazioni locali che, con grande spirito di collaborazione, hanno messo in luce altri problemi, forse meno legati alla disciplina del restauro in senso stretto, ma non meno significativi ai fini della conservazione e valorizzazione (come per esempio la gestione del traffico, i parcheggi, chiarendo i loro intendimenti (e le aspettative della popolazione) sulla gestione di specifiche problematiche urbane. Sono stati così individuati alcuni ambiti urbani che necessitano di soluzioni progettuali più appropriate, volte a ottimizzare il valore d’uso della città in maniera compatibile con la sua identità storica e culturale. Parallelamente a queste indagini è stata condotta una campagna di rilievo, intesa come una sorta di “ascolto minuzioso”3 dello stato di consistenza degli spazi urbani, dei manufatti che su questi si affacciavano e della materia costituente gli edifici. Il rilievo è stato inteso, non come una semplice raccolta e stesura dei dati geometrico-dimensionali, ma come una raccolta della cultura materiale depositata e stratificata sui manufatti. Con le operazioni di rilevamento l’architettura è stata scomposta, analizzata e ricondotta a considerazioni valutative diverse: da quelle geometriche-compositive, a quelle proprie dell’ arti1 TORSELLO, B. Paolo, La fabbrica e i segni: metodi analitici per l’architettura, in “Tema”, n° 3, Milano 1993, pp.56-58 2 DEZZI BARDESCHI, Marco, Restauro: due punti e da capo, Milano 2004, pp. 422 3 DEZZI BARDESCHI, Marco, cit., 2004, pp. 424

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colazione compositiva, degli allineamenti, della serialità, delle proporzioni e dell’aggregazione delle parti. Il rilievo è anche il supporto grafico che ha permesso una comprensione della compagine strutturale, degli apparati decorativi, della materia, dei caratteri costruttivi, del degrado e di quant’altro era impresso sugli edifici. In quest’ottica quindi il rilievo è da considerarsi un’operazione volta a conoscere il tessuto edificato nella sua globalità penetrando nella realtà profonda e cogliendone tutti i valori; ogni edificio, nella sua relazione con le restanti parti del tessuto edilizio, diventa una sorta di monumento-documento che il rilevatore deve attentamente leggere e che il conservatore deve tramandare al futuro. Il rilievo ha rappresentato un ottimo terreno di studi interdisciplinari (quadri fessurativi, analisi dei tipi murari, indagini costruttive, studio del degrado ecc…), per il suo carattere al tempo stesso sintetico ed analitico, rappresentativo ed interpretativo, aperto ai più diversi interessi scientifici ed operativi4. Questi aspetti conoscitivi del rilievo preludono a quello dell’accertamento diagnostico, ovvero dello stato di consistenza del costruito e quindi alla individuazione e definizione dei difetti in esso presenti che, con l’individuazione delle cause che li hanno determinati, conferiscono un significato di completezza, di unitarietà, di analisi e di possibilità di valutazione obiettive, tali da consentire l’orientamento verso più sicure indicazioni di intervento restaurativi. Nello specifico il rilievamento è stato condotto a scala urbana, dove, per i fronti la scala di definizione è stata quella di 1:200. I prospetti dei singoli edifici sono stati montati in linea per individuare lo sky-liner degli spazi urbani studiati. La composizione dei diversi prospetti delle piazze e la loro elaborazione informatica in ambito tridimensionale ha permesso di visualizzare con un solo sguardo l’intero spazio urbano oggetto di studio. Quest’operazione ha permesso di registrare più facilmente le omogeneità, le emergenze, i vuoti, le sovrapposizioni degli arredi, il degrado fisico e antropico del tessuto urbano nella sua complessità.

Fig. 1 Esempio di modellazione tridimensionale

Fig. 2 Elaborazione informatizzata di vista prospettica

In alcuni casi particolari sono stati fatti approfondimenti a scala più grande (in particolare, i punti di attacco delle nuove strutture sul costruito esistente, le pavimentazioni, gli arredi oppure i manufatti più “fragili” e deperibili per il disuso come, nello specifico, la tettoia del mercato di Piazza Cavour, oppure il padiglione metallico della Pesa di piazza della Stazione). La lettura diretta del costruito è stata condotta in simmetria con la conoscenza indiretta, 4 CARBONARA, Giovanni, Avvicinamento al Restauro, Teoria Storia Monumenti, Napoli 1997, pp. 476

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attraverso la ricerca storico-archivistica delle fonti, per “misurare” la vicenda storica sulla concretezza delle permanenze e ampliare l’analisi critica dei contenuti figurativi e materiali dell’architettura. Questa ricerca ha inteso integrare e compenetrare le conoscenze dirette per schematizzare una stratigrafia storica dei manufatti, per comprendere la modificazione e l’evoluzione storica degli spazi e infine per individuare le implicazioni conseguenti. “Quest’analisi ha contribuito alla identificazione dei valori presenti nell’ambito di studio che nella successiva azione di restauro dovrebbero essere legittimati per mantenere i significati attraverso il fine della conservazione. Valori riconoscibili per il loro significato di testimonianza di civiltà, di elevazione e di affermazione dello spirito, che devono trovare nel contributo delle tecniche quella necessaria prudenza e attenzione all’intervento nella sostanza materiale del “costruito”; contributo al riconoscimento del significato dell’unicità dell’opera, da considerare irripetibile, perché caratterizzata da linguaggi e da espressioni valorizzati dalla storicizzazione dell’opera architettonica”5. La ricerca archivistica presso l’Archivio Storico e l’Archivio Edilizio del Comune di Saluzzo ha permesso di studiare e confrontare tra loro le planimetrie storiche fino ai piani regolatori più recenti. Questo studio ha contribuito alla comprensione dello sviluppo e della morfologia della città per individuare e conservare le permanenze; al tempo stesso è stata la base informativa del progetto d’innovazione, necessario per consentire la rifunzionalizzazione dello spazio esistente. Ciò tuttavia, senza voler riprodurre o riesumare un passato ormai obliterato dalle nuove funzioni d’uso, ma per richiamare il genius loci della storia attraverso il segno riconoscibile e del tutto autonomo rispetto all’esistente, della contemporaneità. Ed è proprio dalla lettura cartografica che sono scaturiti, segni progettuali anche molto forti, come nel caso di piazza d’Armi, oggi contrassegnata da un’eterogeneità di elementi che si sono aggregati nel tempo senza una visione d’insieme dello spazio. Informazioni desunte dal Libro delle Valbe, del 1772, che rappresenta gli antichi tracciati agricoli, hanno stimolato un’evocazione in chiave progettuale moderna, individuando un disegno degli spazi verdi che consente di rilegare tra loro la memoria dell’identità agricola del luogo con l’espansione urbana più recente. La conoscenza del costruito, nella sua completa estensione culturale architettonica storica, ha contemplato anche la considerazione di tutte le peculiarità proprie dell’ambiente e delle sue trasformazioni temporali, in relazione al sito, al significato paesaggistico, al territorio e al contesto urbano6. La globale considerazione di questi aspetti ha determinano il coinvolgimento nel maggior numero e in modo più completo dei problemi connessi, per giungere alla loro considerazione teorica e applicativa in giusta misura, senza privilegiarne alcuni aspetti su altri. Il processo conoscitivo implica la memorizzazione di tutti i dati analitici raccolti in archivi automatizzati (banche dati) a carattere aperto per permettere integrazioni successive, in modo da incrementare ulteriormente ed illimitatamente la conoscenza. Nel caso specifico i dati raccolti, se pur informatizzati, non sono ancora stati organizzati in archivi consultabili e maggiorabili, ma la ricerca continuerà per colmare questa lacuna organizzando le informazioni in un sistema informativo territoriale. Prima di giungere alla vera e propria stesura del progetto la ricerca ha individuato una fase intermedia (metaprogetto), di valore soprattutto didattico, in cui sono stati elaborati e sistematizzati i dati raccolti. In questa fase la ricerca ha individuato quali erano gli elementi positivi, da sottolineare e da far emergere e quali erano quelli negativi, penalizzanti, da correggere o da eliminare. In questo modo sono state individuate e sintetizzate le linee guida su cui indirizzare 5 DALLA COSTA, Mario, Il progetto di restauro per la conservazione del costruito, Torino 2000, pp. 13 6 DALLA COSTA, Mario, cit., 2000, pp. 16

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la progettazione. La determinazione del processo di conoscenza e la individuazione dei valori presenti nel costruito ha sviluppato una lettura critica dell’esistente e delle scelte progettuali compatibili, considerando le “ragioni della vita” come obiettivo imprescindibile per la valorizzazione e la preservazione nel tempo dei manufatti e degli spazi urbani. Si comprende così come la conoscenza assuma il valore di dato di partenza della progettazione; infatti attraverso lo studio del costruito è stato caratterizzato il progetto che è diventato un’operazione complessa e articolata, richiedendo il coordinamento di fasi individuabili in modo distinto, nella “conoscenza”, nel “restauro” e nella funzionalizzazione”7. In questa processualità del progetto di conservazione i valori architettonici e quelli figurativi si connettono a quelli legati alla materialità del costruito. In relazione alla funzionalizzazione degli spazi urbani questa deve sempre adeguarsi al rispetto dei valori delle preesistenze e delle concezioni tecniche e tecnologiche del tessuto edificato. Infatti questa non può prescindere dalla valutazione del bene, sia in riferimento alle valenze dei problemi sociali di quelli economici della comunità alla quale esso appartiene, anche se queste non devono essere determinanti nelle previsioni funzionali e in quelle dei costi8. Il conservatore ha “l’imperativo morale” di comprendere e riconoscere la piacevolezza di vivere in un determinato ambiente: in questo modo la città viene interpretata come un corpo vivo e come tale deve essere conservato amando tutti i segni lasciati dall’uomo sulla città, sul paesaggio e sul territorio9. Nel caso di studio specifico i progetti hanno tenuto conto dei dati acquisiti nel percorso conoscitivo. Alcuni progetti hanno posto l’accento sulla valenza del territorio che ha determinato lo sviluppo urbanistico della città come la traccia della “centuriazione dei campi” che entra nella piazza della Castiglia, il disegno dei campi coltivati della campagna intorno alla città che determinano il disegno e la coloritura delle pavimentazioni di piazza Cavour. Questi progetti interpretano in maniera originale la valenza territoriale che viene a contestualizzarsi nel tessuto urbano attuale, ponendosi come segni distintivi che rimandano ai valori di continuità del più ampio contesto paesaggistico. In altri progetti l’accento è stato posto sulla valenza storica del luogo interpretato in chiave contemporanea: il “Fil rouge” che si trasforma da segno di colore sulla strada in elemento d’arredo fino a diventare la nuova materializzazione della porta di accesso alla piazza Castello e alla città. Il filo rosso lega tutti gli elementi caratterizzanti lo spazio, entra all’interno degli edifici individuandone le connessioni che sono frutto dell’elaborazione conoscitiva effettuata. Nel contempo gli inserimenti sul costruito sono stati attentamente studiati per non essere invasivi e non alterare la materia esistente, ma addizionandosi a essa come una nuova risorsa nella dinamica delle trasformazioni del costruito urbano. Anche l’istanza sociale, mutuata dai suggerimenti dell’amministrazione e dalle istanze della pianificazione, ha avuto il suo peso in diversi progetti: l’individuazione di un autosilos in piazza XX Settembre è stato dettato da un effettiva disfunzione della gestione del traffico e dalla necessità di una migliore viabilità e vivibilità della piazza stessa, posta a cerniera con il territorio e, più ampiamente, delle aree urbane più centrali. Il progetto che prevede la modificazione del traffico per ricreare il sagrato al Duomo nasce in prima istanza dalla necessità di diminuire il quoziente di inquinamento con ricadute significative sulla conservazione degli edifici, nel contempo, dalla 7 DALLA COSTA, Mario, cit., 2000, pp. 11 8 DALLA COSTA, Mario, cit., 2000, pp. 17 9 DEZZI BARDESCHI, Marco, cit., 2004, pp. 49

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necessità di ridare vita ad uno spazio sociale storicamente e culturalmente importante per la città. Dall’analisi di tutti gli elaborati emerge in modo netto il rapporto stretto che la città di Saluzzo ha con il territorio circostante: un’insieme di relazioni tra città e campagna che si materializzano e si condensano nei momenti particolari dei giorni di mercato, in cui prevale la continuità del valore d’uso della città come “centro” di commercializzazione dei prodotti provenienti dalla campagna circostante. Nell’evoluzione storica ed economica si è sviluppata una linea di commercio più ampia e articolata che ha contribuito ad aumentare il valore della città di Saluzzo come centro di scambio e di riferimento del territorio. Pare a questo punto significativo notare come l’analisi conoscitiva, pur non avendo approfondito con strumenti scientifici adeguati l’aspetto economico, sia giunta a comprendere quest’aspetto, propria sulla base dei segni delle permanenze registrati nel tessuto urbano attuale, tanto da far apparire intriseco e radicato questo ruolo, contribuendo a delinearne un’identità forte (A.G.O).

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Esperienze di laboratorio Elaborati progettuali del Corso di Restauro Urbano Politecnico di Torino, A.A. 2005 - 2006 Prof. Maria Adriana Giusti Contributi: Daniela Bosia, Orio De’ Paoli Collaboratori: Danila Attivissimo, Stefania Dassi, Davide Dutto, Alessandra Gallo Orsi

Piazza della Castiglia, Saluzzo

Giulia Alessio, Serena Aletto, Cristina Arnò, Alessia Balliano, Elena Astori, Cristina Bardelli, Marianna Beltramini, Elena Boggia, Laura Corsino, Diana Costantini, Denise Gallino, Lara Gennai, Stefano Guerra, Lara Lamaestra, Francesca Marcovecchio, Monica Merra, Anna Rucci, Valentina Sacchetti, Francesca Zanivan.

Piazza XX settembre, Saluzzo Chiara Francese, Federica Gandolfi, Eleonora Grandi, Maria Chiara Guerra, Francesca Leo, Sara Rasento.

Piazza Garibaldi, Saluzzo Ilaria Capobianco, Teresa Corazza, Elisa Monticone.

Piazza Cavour, Saluzzo

Paola Benetto, Letizia Biondino, Sara Caprino, Dario Cavallini, Marco Chiaravalli, Michela Colaone, Valentina Cortese, Laura Davico, Manuela Del Rio, Eleonora Ferrari, Irene Gobino, Paola Lovera Fenoglio, Alice Mainardi, Francesco Mangiaratti, Stefania Marengo, Alessandra Naso, Aline Nunes, Valentina Rosso, Valentina Rosso, Gabriella Vigetti, Luisa Violetta, Benedetta Visentin.

Piazza Risorgimento, Saluzzo Manuela Santagata, Laurent Turcotti, Agata Verde.

Piazza d’Armi, Saluzzo Anna Cleri, Francesca Gile, Valentina Lombardo.

Piazza della Stazione, Saluzzo Davide Airò, Sara Amatteis, Vittorio Bruno, Alessia Marcon.

La città dei bambini Francesco Fossati, Emanuel Gobbo, Claudio Piccarretta, Diego Penna.

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Gli strumenti informatici per la conoscenza del patrimonio Esperienze di catalogazione GIS e GIS-Web La città è un complesso fortemente stratificato, la cui formazione è dovuta a fattori di diversa natura: gli strumenti conoscitivi a supporto delle azioni di tutela e valorizzazione, ma anche di pianificazione e gestione, devono pertanto prevedere l’integrazione di molteplici dati eterogenei, finalizzati alla descrizione dello spazio urbano, quali fonti archeologiche, storico-archivistiche, cartografie storiche, documentazione tecnica relativa ai recenti piani regolatori e agli interventi edilizi moderni, oltre alle caratteristiche idrogeologiche del territorio. Il sistema GIS-Web permette a dati tipologicamente diversi, ma relazionabili ad una stessa realtà, un linguaggio informatico uniforme che ne garantisce l’integrazione, nonché la condivisione con gli organi amministrativi e l’intera comunità urbana. Le carte tematiche prodotte relazionano i dati rilevati evidenziandoli, mediante cromatismi, rispetto all’attuale spazio abitato: si tratta di elaborati utili per lo studio e per la comunicazione dello stato delle conoscenze. L’integrazione della dimensione attuale con quella passata si dimostra un efficace strumento di tutela e di produzione di carte di rischio. La tecnologia GIS risultava, fino a qualche anno fa, meno utilizzata e diffusa nelle amministrazioni pubbliche italiane rispetto ad altri paesi europei: ciò non era dovuto all’assenza di consapevolezza tecnico-scientifica, quanto alla mancanza di strategie e politiche di sviluppo delle infrastrutture di dati numerici e georeferenziati. La L.142/1990 e in seguito la L.267/2000, che attuano un processo di riforma degli Enti locali e di ridefinizione delle loro funzioni, insieme alla L.241/1990 relativa alla trasparenza e alla facilità di accesso dei cittadini alle informazioni, hanno favorito la creazione di nuove organizzazioni (Sistemi Informativi Territoriali) e nuovi sistemi informativi georeferenziati di supporto agli amministratori e ai tecnici nelle loro attività di gestione del territorio. (D.A) I Sistemi Informativi Geografici sono sistemi informatizzati per l’acquisizione, la memorizzazione, il controllo, l’integrazione, l’elaborazione e la rappresentazione di dati che sono spazialmente riferiti alla superficie terrestre. In Italia alcuni distinguono l’acronimo inglese G.I.S. (Geographical Information System) da quello italiano S.I.T. (Sistema Informativo Territoriale)1 e si usa G.I.S. per indicare il software e S.I.T. per indicare il complesso di hardware, software, dati ed operatori. Tale distinzione non ha rilevanza nella letteratura internazionale inglese, dove si usa solo GIS. Il primo sistema GIS fu il Canada Geographic Information System (CGIS), realizzato nel 1960 dal governo federale con lo scopo di classificare il territorio nazionale in base alle risorse presenti e il loro potenziale utilizzo; il risultato più utile ottenuto fu un’agevole misurazione delle aree attraverso le mappe che fino a quel momento rappresentava una difficoltà2. In un ambito di sviluppo differente, nel 1960 le agenzie di cartografia iniziarono a dotarsi di computer, riducendo costi e tempi di produzione. Il primo prodotto cartografico digitale fu quindi realizzato nel 1960 e alla fine degli anni ‘70 la maggior parte delle agenzie cartografiche 1 2000 Vico, Franco, Costruire il GIS: dati versus processi, in

PANZERI, Matteo, GASTALDO Guido, a cura di, Sistemi informativi geografici e Beni Culturali, atti della giornata di studi, Torino 27 novembre 1997, Politecnico di Torino, Regione Valle D’Aosta, Torino 2 Un secondo passo fu compiuto dall’ufficio del censimento degli Stati Uniti che portò nel 1970 al censimento della popola-

zione: il programma utilizzato Dual Independent Map Encoding (DIME) registrava un record digitale per ogni strada e ognuno di essi veniva automaticamente riferito ad aggregati di schede di censimento. Alla fine degli anni ‘70 fu sviluppato un ulteriore progetto chiamato ODYSSEY GIS formulato dal laboratorio per le analisi spaziali dell’Università di Harvard

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era parzialmente computerizzato3. L’utilizzo del GIS iniziò effettivamente a propagarsi a metà degli anni ‘80, quando il prezzo dell’hardware scese a livelli sostenibili e software applicativi divennero disponibili; è da questa data che convenzionalmente si fa partire la storia moderna del GIS. Il GIS è in grado di integrare dati attraverso il riferimento spaziale, per cui si sovrappongono strati informativi diversi. Le operazione di sovrapposizione consentono di analizzare relazioni topologiche4 esistenti fra entità geografiche e l’analisi delle intersezioni può portare alla generazione di nuove entità geografiche. Quasi tutti i software G.I.S. dispongono di una funzionalità che permette di definire un ventaglio di scale all’interno del quale una determinata base cartografica può essere visualizzata. Lo sviluppo della tecnologia e di Internet ha permesso di pensare ad un modello di accesso al dato geografico fondato sull’interscambio: i diversi soggetti scambiano dati attraverso una rete che può essere aperta (internet) o ad accesso controllato (intranet) e ogni soggetto mantiene la propria autonomia e la responsabilità dei dati che decide di scambiare. Il passaggio successivo è il Web-GIS, strumento per la visualizzazione e presentazione dei contenuti e per la loro navigazione e interrogazione, che permette di usufruire nel web delle funzionalità di base dei sistemi GIS. Con i web GIS è possibile analizzare una data entità o un dato fenomeno unitamente al suo aspetto spaziale, accedendo a reti internet. Utilizzare un Web-GIS per la distribuzione del dato geografico porta alcuni vantaggi quali il controllo centralizzato, l’indipendenza dalla struttura dei dati5, la condivisione dei dati, la riduzione di duplicazioni dei dati, l’accesso diretto ai dati senza compromettere l’integrità dei medesimi ed infine la sicurezza6. Alcuni dei campi di applicazione sono i settori di impiego della cartografia geografica7 o topografica, della cartografia geotematica e i settori di pianificazione territoriale8. Nello sviluppo delle metodologie catalografiche, a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso, si assiste all’introduzione delle tecnologie informatiche per gestire la grande mole dei dati raccolti durante il processo di conoscenza: innovazione determinante che ha comportato verifiche sull’assetto dell’attività di catalogazione e sugli strumenti per realizzarla anche in relazione ai diversi ambiti disciplinari. In particolare sono stati elaborati nuovi tracciati informatizzati impostati su una struttura molto articolata in modo da avere nella scheda informazioni organizzate in paragrafi, campi e sottocampi, secondo il principio di scomporre i dati conoscitivi sul bene in segmenti sempre più piccoli per facilitare le interrogazioni ed i controlli. Alla descrizione completa ed articolata del bene, si aggiunge l’informazione geografica ponendo in relazione i beni tra loro, con la documentazione che li riguarda, con i fenomeni che li interessano e con il territorio su ci insistono. L’ICCD (Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali) ha da tempo promosso ricerche specifiche e oggi i soggetti 3 La prima immagine satellitare risale al 1950. Fino al tardo 1960 queste immagini erano riprese con una normale camera

fotografica e sviluppata su comuni pellicole, ma alla fine del 1970 queste furono ampiamente rimpiazzate dai sistemi Remote Sensing (immagini Landsat). Il Remote Sensing iniziò ad essere integrato nei GIS sia come sorgente di tecnologia che come sorgente di dati. Il corpo militare fu il primo ad impiegare un sistema globale per la localizzazione e la misura delle distanze, utilizzato principalmente per il lancio di missili intercontinentali. Lo sviluppo di questo sistema conduce al metodo del controllo della posizione adottato oggigiorno. Oltretutto sono state ancora le necessità militari a portare allo sviluppo dello strumento GPS 4 Relazioni tra diversi elementi spaziali 5 Gli applicativi non hanno bisogno di conoscere come sono fisicamente strutturati ed archiviati i dati 6 L’amministratore può definire i profili degli utenti e le porzioni della basi dati a cui possono accedere nonché i “privilegi” necessari per apportare modifiche 7 Geologica, geomorfologia, idrogeologica, delle risorse, forestale, ambientale 8 Un ente pubblico che gestisce il territorio impiega G.I.S. per la redazione e lo sviluppo di piani urbanistici

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coinvolti nella catalogazione del patrimonio culturale sono molteplici: accanto all’ICCD ed alle Soprintendenze ci sono Enti locali ed Enti ecclesiastici. In particolare le Regioni hanno acquisito, in base alle recente legislazione, un ruolo significativo nella definizione delle metodologie per la raccolta e l’elaborazione di banche dati. Oggi numerosi enti sono coinvolti in esperienze attinenti alla georeferenziazione e intenzionati a realizzare propri Sistemi Informativi Territoriali, altri li hanno già realizzati e stanno già sperimentando il web-gis. (S.D.) 1. La Carta del Rischio del patrimonio culturale La “Carta del Rischio del patrimonio culturale”9 è un progetto dell’Istituto Centrale del Restauro, elaborato da Giovanni Urbani, che si propone, di individuare sistemi e procedimenti che consentano la manutenzione programmata dei beni culturali architettonici, archelogici e storico-artistici in seguito al rilevamento dello stato di conservazione e dell’aggressività dell’ambiente in cui sorgono, e allo scopo di fornire al Ministero e alle Soprintendenze nuovi strumenti di gestione degli interventi di conservazione. La raccolta e l’analisi delle informazioni costituenti tale strumento conoscitivo vengono attuate mediante la compilazione di una serie di schede, realizzate dall’ICR variando il modello schedografico concepito e adottato dall’Istituto Centrale del Catalogo e della Documentazione10 in funzione del rilevamento dello stato di conservazione dei diversi beni culturali. La schedatura, effettuata su quattro zone campione, contiene dati di diverso formato: alfanumerici, grafici e immagini. In particolare queste ultime sono state realizzate con un sistema di ripresa e di archiviazione, denominato “modello iconometrico”, che permette di avere una documentazione fotografica con valenza metrica, sulla quale leggere, tramite linguaggi ipertestuali, informazioni sullo stato di conservazione, utilizzando strumenti di tipo grafico e di tipo alfanumerico. In alcuni luoghi, scelti per le caratteristiche ambientali, la schedatura viene implementata da dati provenienti da tre tipologie di rilevamento: studio dei materiali lapidei, controllo dell’inquinamento ambientale, controllo del clima, allo scopo di verificare i processi di degrado dei materiali in relazione all’ambiente dove sorgono i beni culturali analizzati, e successivamente l’oggettività dei fenomeni evidenziati nelle carte tematiche della pericolosità. La raccolta di dati è stata realizzata da quattro poli periferici 11, costituiti dalle Soprintendenze di Roma, Napoli, Torino e Ravenna; la gestione di tali informazioni viene curata dal polo centrale, residente presso il laboratorio di Fisica dell’Istituto Centrale del Restauro. In effetti, la documentazione proveniente dall’attività di schedatura viene archiviata in banche dati, in grado di analizzare, mediante comparazione e sovrapposizione, i potenziali fattori di rischio: ad ogni manufatto esaminato viene associato un valore numerico relativo allo stato di conservazione del bene (indice di vulnerabilità). Mediante supporto cartografico informatizzato georeferenziato (GIS) vengono redatte tre carte tematiche relative ai fattori di pericolosità e alla loro distribuzione sul territorio italiano: Pericolosità antropica: furti, vandalismi, pressione turistica; Pericolosita’ statico-strutturale: terremoti, dissesti idrogeologici, fenomeni vulcanici; Pericolosita’ ambiente-aria: inquinamento atmosfe9 Progetto realizzato in seguito alla sperimentazione attuata dal Piano Pilota per la conservazione programmata dei beni cultu-

rali in Umbria (1975) e alla L.84/1990 “Piano organico di inventariazione, catalogazione ed elaborazione della carta del rischio dei beni culturali in relazione all’entrata in vigore dell’Atto unico europeo: primi interventi” 10 L’Ufficio Centrale per il catalogo, costituito nel 1969, diviene nel 1975 Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (Iccd) con la funzione di raccolta, elaborazione, pubblica consultazione e gestione automatizzata delle documentazioni. 11 Il rilevamento effettuato su quattro poli costituisce un primo campione che per moduli successivi va estendendosi all’intero sistema nazionale di tutela, come ad esempio il polo della Regione Lombardia (Programma Regionale di Sviluppo 1998-2000)

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rico, clima, aerosol marino. Tale cartografia viene correlata in particolare con il database costituito dalle informazioni dedotte da fonti bibliografiche relative al patrimonio culturale a livello comunale, per evidenziare le aree maggiormente esposte a rischio. La “Carta del Rischio” costituisce uno strumento utile per il monitoraggio e la gestione economica dei beni culturali di competenza di tutte le Amministrazioni territoriali (Regioni, Province e Comuni).

Il Sistema Informativo Beni Culturali della Regione Piemonte (Progetto Guarini) Secondo le indicazioni della Legge 84/1990 “Piano organico di inventariazione, catalogazione ed elaborazione della carta del rischio dei beni culturali”, la Regione Piemonte, in collaborazione con le Soprintendenze piemontesi, avvia il progetto “Dalle Alpi alle Piramidi” (biennio 1991-1992) con l’intento di catalogare diverse tipologie di “beni culturali”, definite secondo le indicazioni ministeriali, con l’obiettivo di creare il Sistema Informativo dei Beni Culturali della Regione Piemonte. Le Leggi Regionali del 1995 (L.R. 34/95 e L.R. 35/95) hanno successivamente normato le fasi e gli strumenti di catalogazione per la creazione e la gestione dei dati di tale Sistema informativo, finalizzato ad una gestione maggiormente consapevole del patrimonio culturale e a promuoverne la sua conoscenza. In particolare la L.R. 35/95 definisce obiettivo del progetto nell’ambito del patrimonio architettonico: “l’acquisizione di informazioni analitiche sul patrimonio edilizio diffuso in ambito regionale, secondo aree delimitate geograficamente e caratterizzate da elementi di omogeneità riconoscibili e storicamente fondati”, e sue finalità: “la valorizzazione e tutela dei caratteri tipologici costruttivi e decorativi con significato culturale, storico, architettonico, ambientale degli edifici e delle loro pertinenze, che sono riconosciuti Beni culturali architettonici”. Su proposta delle amministrazioni comunali, che nel loro PRG12 abbiano individuato i beni ambientali da salvaguardare, la Regione Piemonte ne finanzia il censimento secondo le modalità descritte dalla normativa regionale. Le operazioni di catalogazione, svolte dagli Enti di Tutela e dalle associazioni ritenute idonee a supportare tali Enti nella conservazione e valorizzazione dei beni culturali, utilizzano le diverse tipologie schedografiche dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali (ICCD). I risultati ottenuti da questa fase di conoscenza vengono gestiti da un programma informatico (Guarini)13, utilizzato dal 199414 come procedura standard per la catalogazione dei beni culturali nel territorio piemontese. La prima versione è stata, negli anni, aggiornata con nuovi moduli, per rispondere alle esigenze delle diverse tipologie di bene da censire, e attualmente il sistema dispone delle seguenti componenti: - la componente “standard” Patrimonio Culturale, comprendente la schedatura dei beni archeologici, architettonici, storici, artistici, demoetnoantropologici, la georeferenziazione dei dati su Carta Tecnica Regionale, e, recentemente, il Modulo Movimentazione, concernente e informazioni sugli spostamenti degli oggetti catalogati in ambito museale; - la versione Censimento-L.R. 34/95, riguardante la schedatura delle attrezzature produttive e commerciali15; - la versione Censimento-L.R. 35/95, relativa al patrimonio edilizio, di cui si forniscono 12 Art. 24 della L.R. 56/1977 13 Il software Guarini è stato creato dal Consorzio per il Sistema Informativo (CSI) 14 Deliberazione della Giunta Regionale n. 368-37612 del 3.8.1994

15 Comitato scientifico composto da Politecnico di Torino, dal CSI-Piemonte e dall’Associazione locali storici d’Italia

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schede tecniche, elaborati grafici inerenti il rilievo cartografico, rilievi fotografici16. - la componente Beni Librari; - la componente Archivi. I sistemi Guarini Patrimonio Culturale e Guarini Archivi, costituiscono il motore di ricerca (in corso di realizzazione) su spazio web, che permetterà l’acquisizione delle informazioni analitiche relative ai beni storico-artistici e ai fondi archivistici. (D.A) 2. Il Censimento dei Mercati di Torino Il progetto di ricerca coordinato dal professor Dino Coppo (Politecnico di Torino) si svolge a supporto del Piano di riqualificazione delle aree mercatali elaborato dal Comune di Torino, strumento di pianificazione del sistema dei mercati ambulanti. L’analisi condotta dal gruppo di ricerca intende confrontare l’immagine dei mercati, intesi come “luoghi in cui si svolge la più semplice attività di mercato ambulante, nelle sue forme di vita, di relazione, di presenza nella città contemporanea, come componente tuttora presente e insostituibile, della vita commerciale e dell’immagine urbana”17, con i temi caratteristici della morfologia urbana: l’evoluzione del tessuto cittadino, l’immagine assunta dall’entità mercatale in ogni quartiere, il rapporto economico ed edilizio con i luoghi di commercio fisso. In prospettiva storica, mediante lo studio delle fonti archivistiche, è stato possibile comprendere il grado di coerenza fra evoluzione urbanistica della città di Torino ed espansione dei mercati, fenomeno legato a politiche merceologiche. Successivamente mediante schedatura è stata realizzata la mappatura delle quarantadue aree di mercato attualmente presenti a Torino. Le informazioni conseguite sono state inserite su supporto informatico attraverso la creazione di una specifica banca dati comune. La progettazione del database ha comportato la scelta dei temi, la cui organizzazione permettesse, in fase di restituzione e consultazione, di ottenere corretti strumenti di conoscenza dei luoghi mercatali oggetto della ricerca. A tal fine, le maschere di interfaccia utente, costituenti la struttura della banca dati, sono state divise secondo tre tipologie: - descrittive: atte a descrivere le caratteristiche dei mercati, quali vicende storiche, lettura critica, tematismi, tipologia, distribuzione merceologica, pianificazione futura, normativa, dedotte su base archivistica, fotografica, dimensionale; - quantitative, relative ai dati statistici presentati tramite grafici; - mappe territoriali georeferenziate, utili per osservare le relazioni spaziali con il contesto e il sistema mercatale urbano. Di particolare interesse per le potenzialità offerte alle amministrazioni comunali, risulta essere il “percorso dei tematismi”. In esso vengono proposte “aree tecniche”, che corrispondono agli elementi (arredo, impiantistica, piantumazione, percorsi) e alle problematiche (viabilità, rapporti mercato/spazio urbano) costituenti il sistema del mercato. Le voci relative ai tematismi sono restituiti mediante grafici, con dati di tipo quantitativo, e tramite maschere di interfaccia utente collegate ad un sistema GIS: la comparazione di queste due tipologie di rappresentazione di una medesima informazione consente all’amministrazione di poter, ad esempio, quantificare e 16 Tale censimento costituisce il “catalogo dei beni culturali architettonici”, adottato dai Comuni come “Allegato al Regola-

mento igienico edilizio comunale”

17 COPPO, Dino, Le ragioni di una ricerca, in COPPO, Dino, OSELLO, Anna (a cura di), Il disegno di luoghi e mercati a Torino,

Edizioni CELID, Torino 2006, p.20

18 I poli del progetto “Paesaggi Medievali”: il LIAAM di Siena, i laboratori del corso di laurea in “Conservazione, gestione e

comunicazione dei Beni Archeologici” con sede a Grosseto, il Parco Archeologico e Tecnologico di Poggio Imperiale a Poggibonsi

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localizzare facilmente gli interventi di manutenzione. La ricerca ha inoltre evidenziato, attraverso un complesso progetto di conoscenza, costituito da discipline quali il rilievo e la rappresentazione coadiuvate da modelli infografici e virtuali, la pecificità di ogni entità mercatale e, attraverso queste, di ogni elemento del sistema urbano. (D.A.) 3. Applicazioni del Sistema informativo Territoriale nella Regione Toscana Il Sistema informativo Territoriale (SIT) in ambiente urbano, consente la gestione di dati ambientali e territoriali mediante tecnologia G.I.S., costruendo un sistema facilemente condivisibile in riferimento all’area comunale. Esso costituisce, quindi, uno strumento capace di relazionare informazioni di tipo geografico a dati eterogenei, permettendo il monitoraggio e la comunicazione su spazio web dei servizi di competenza delle amministrazioni comunali, quali quelli tributari, catastali e di pianificazione territoriale. Le applicazioni sono molteplici e di differente complessità, dimostrando come il sistema GIS sia stato acquisito quale strumento indispensabile per confrontare informazioni ed esigenze differenti, riferite ad un’unica realtà territoriale. L’art. 4 della L.R. 5/1995 indica le finalità e gli obiettivi del SIT per la Regione Toscana, evidenziando “la sua funzione di supporto conoscitivo per la definizione degli atti di governo e per la verifica dei risultati”. Gli Enti Regionali, Provinciali e Comunali sono quindi tenuti a dotarsi di sistemi informativi territoriali, utilizzati per la gestione e condivisione dei dati territoriali e per la valutazione delle politiche di pianificazione ambientale. Un utile risultato ottenuto è rappresentato dalla condivisione su spazio Web degli strumenti urbanistici vigenti da parte di molti comuni toscani. Il Comune di Prato, ad esempio, ha strutturato la consultazione del suo PRG in tale ambito, mediante linguaggio ipertestuale e mappe tematiche, che diventano sistemi integrati di gestione per gli operatori comunali. All’interno delle carte tematiche, realizzate su Carta Tecnica Regionale, assumono particolare importanza le mappe inerenti i vincoli e salvaguardie esistenti nel territorio comunale, gli usi del suolo e le modalità d’intervento, i rilevamenti fotografici effettuati sul territorio comunale e i risultati delle indagini idrogeologiche (geoweb), messe in relazione con i regolamenti urbanistici e normativi.

Il Sistema Informativo delle Alberature gestite dall’Opera delle Mura di Lucca La città costituisce per la vegetazione un ambiente critico in cui vivere sia per le sue caratteristiche ambientali, sia per scelte di piano che nel tempo modificano i caratteri storici delle alberate. Attraverso la gestione programmata delle alberature, dei parchi e dei giardini in ambito urbano è possibile, oltre al controllo della potenziale pericolosità degli alberi, favorire il consolidamento dei caratteri urbanistici, architettonici e ambientali propri di una città, fornendo alle amministrazioni pubbliche uno strumento di pianificazione economicamente vantaggioso. Il “Sistema Informativo delle Alberature” (progetto di ricerca coordinato dal professor Fabio Salbitano, Università di Firenze) realizzato per la gestione del patrimonio arboreo appartenente all’area di competenza dell’Opera delle Mura di Lucca costituisce un esempio di percorso conoscitivo finalizzato alla valorizzazione di un sistema architettonico e paesaggistico complesso quale le Mura della città di Lucca. Tale indagine, promossa da M.A. Giusti in qualità di presidente dell’Opera delle Mura di Lucca, propone il Censimento dello Stato degli Alberi come strumento utile ad integrare l’inventario degli elementi arborei e relativa collocazione in ambito spaziale con informazioni sull’evoluzione storica e sullo stato fitosanitario, al fine di poter pianificare gli interventi di manutenzione, di prevedere il loro costo in relazione alla qualità e alla frequenza degli interventi, di programmare e realizzare piani d’uso degli spazi delle alberature secondo le

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aspettative della cittadinanza. Il percorso conoscitivo è stato svolto secondo fasi successive. In un primo momento è stata acquisita la documentazione storica (cartografia, rilievi sulla consistenza numerica, documenti fotografici) relativa alle alberature, per poter conoscere le scelte della gestione storica, e arrivare, grazie anche a sopralluoghi, alla definizione di un campione di mille alberi da sottoporre ad analisi. Gli elementi costituenti il campione descrivono la complessità flogistica, ecologica e colturale del patrimonio arboreo (rappresentatività); al fine di sperimentare la metodologia adottata, presentano la varietà di aspetti fitosanitari e gestionali del contesto delle mura (variabilità); per una corretta gestione delle zone a rischio dovuto alla presenza arborea, sono collocati nelle zone maggiormente frequentate (frequentazione). Successivamente è stata realizzata la georeferenziazione del campione prescelto mediante DGPS (Global Positioning System Differenziale) su base cartografica costituita dalla Carta Tecnica Comunale (realizzata nel 1984 tramite fotorestituzione in scala 1:1000 di un volo del 1974), mettendo in relazione ogni albero con il contesto generale. Contestualmente all’acquisizione delle posizioni è stata realizzata la schedatura per il censimento dello stato dell’albero. La scheda, realizzata per approssimazioni successive in seguito a verifiche operative, tende ad individuare le situazioni che necessitano di urgenti interventi in relazione alla pianificazione generale dell’area, attraverso l’analisi della copertura del suolo, dell’apparato radicale, del fusto, della chioma e dei relativi danni e patologie. I rilievi sono costantemente aggiornati, secondo un’attività continua di monitoraggio. Conseguentemente sono state formulate le proposte di intervento definite nel tempo: valutazione di stabilità, valutazione di stabilità urgente, abbattimento urgente, abbattimento consigliato, potatura. Le informazioni raccolte sono state quindi importate in un sistema informatico che ne consentisse la consultazione e l’aggiornamento, correlando i dati alfanumerici e i dati spaziali (Sistema Informativo delle Alberature). Gli attributi quantitativi e qualitativi dello stato degli elementi arborei sono stati informatizzati mediante DBMS (Data Base Management System), collocandoli in ambito spaziale mediante software GIS. Tale strumento ha permesso mediante la catalogazione e il monitoraggio (possibilità di continuo inserimento di informazioni rilevate), la realizzazione di piani programmatici di un patrimonio arboreo di notevoli dimensioni, caratterizzato da molteplici diversità specifiche.

Progetto “Archeologia dei Paesaggi Medievali”. Il Data Base Management System Carta Archeologica In un ambito differente, quello archeologico, l’uso di Sistemi Informativi Territoriali ha costituito un innovativo sistema di archiviazione dei risultati della ricerca “Archeologia dei Paesaggi Medievali”, condotta dall’Area di Archeologia Medievale dell’Università di Siena. Oggetto di studio del progetto di ricerca sono le numerosissime permanenze di epoca medievale in ambito regionale toscano, costituite da nuclei urbani, villaggi, monasteri, esaminati nel loro contesto ambientale e territoriale. Le finalità perseguite tendono a favorire la conoscenza e la conservazione di questo patrimonio diffuso, mediante le metodologie analitiche dell’archeologia moderna, e la elaborazione e comunicazione dell’informazione, ad uso delle varie tipologie di utenti. In tale ambito di indagine, a partire dagli anni Ottanta, il Laboratorio di Informatica applicata all’Archeologia Medievale ha utilizzato lo strumento DBMS (Data Base Management System), per la gestione delle banche dati costituite dalle schede di conoscenza stratigrafica dei reperti e delle strutture. Nel 1999 l’uso di questo supporto informatico è stato esteso al sistema d’archivi comprendenti sia dati relativi a indagini di scavo archeologico urbano, sia risultati di indagini di laboratorio, quali analisi dei reperti e schedatura. La banca dati formatasi costituisce il Data

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Base Management System Carta Archeologica, realizzato da circa 500.000 record, provenienti da 14.000 siti archeologici censiti e distribuiti a livello nazionale (11.500 localizzati in Toscana), organizzati in archivi specifici (foto aree oblique, analisi archeometriche, ecc.). Dal 2006 i dati contenuti nel DBMS Carta Archeologica vengono georeferenziati e integrati con documentazione di tipo multimediale, per consentire la condivisione delle informazioni con amministrazioni locali e di tutela del patrimonio culturale. Idoneo ad essere utilizzato su reti geografiche e su spazio web, questo database viene condiviso da altri enti ad indirizzo archeologico18, che favoriscono la sua costante evoluzione, grazie all’implementazione di nuovi dati provenienti da altri progetti di ricerca. (D.A.) 4. L’Atlante storico-ambientale urbano informatizzato della città di Modena Il Progetto “Le città sostenibili. Storia, natura, ambiente”, condotto dall’Ufficio ricerche e documentazione sulla storia urbana, dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Modena, si propone come osservatorio delle trasformazioni urbane, correlando le vicende storiche al loro territorio naturale. Nell’ambito di tale progetto è stato realizzato l’”Atlante storico-ambientale urbano di Modena”, concepito come modello possibile di ricerca storico e ambientale urbana e di rappresentazione della fase conoscitiva, avvalendosi della rielaborazione di specifiche tematiche affrontate in ricerche e materiali esistenti e degli esiti di altre originali. La lettura della città e del suo ecosistema è stata svolta mediante l’osservazione delle sue principali componenti: il tessuto urbano, le strutture difensive, i canali, l’edilizia monumentale e ecclesiastica, i giardini, rilevando le relazioni fra contesti naturali e territoriali con le forme e le funzioni assunte dal sistema urbano attraverso l’analisi comparata di alcuni temi: - l’evoluzione dell’uso del suolo, con riferimento all’agricoltura e all’allevamento; - l’espansione delle aree urbanizzate residenziali e industriali, - la dinamica della popolazione nel rapporto tra insediamento urbano e campagna, - le componenti socio-economiche e ambientali, - l’economia e lo stile di vita modenese, - le infrastrutture moderne, - le forme antropiche costituenti gli interventi diretti sull’ecosistema, - la nuova configurazione dei rischi e degli impatti determinati dall’attività antropica. Il confronto fra la cartografia dei diversi periodi, appositamente ricostruita, indica le dimensioni e i caratteri principali dello sviluppo economico e sociale della città. L’analisi delle topografie militari19 fra primo Ottocento e metà Novecento (su supporto cartaceo trasposte su Carta Tecnica Regionale informatizzata) hanno permesso il confronto analitico delle trasformazioni dell’uso del suolo. Gli esiti della ricerca sono stati riversati in un sistema GIS che consente, grazie al suo modello di organizzazione e gestione delle informazioni, di relazionare e rendere disponibili numerose tipologie di dati attraverso carte tematiche. Tale cartografia, organizzata secondo diverse tematiche, quali:

19 Topografia del ducato di Modena del 1828 realizzata fra il 1821 e il 1828 dall’Ufficio Topografico del R. Ducale Corpo del

Genio Militare Estense (scala di 1:28.000). Tavolette IGM del 1881-93, prima topografia ufficiale dello stato italiano (scala 1:25.000) Tavolette IGM del 1933-35, riedizione delle precedenti, aggiornate con ricognizioni generali al 1933 e con riprese aerofotografiche. Carta della utilizzazione del suolo del 1978-1984, prodotta dal Servizio Cartografico della Regione Emilia-Romagna, introduce classificazioni come colture specializzate, zone industriali e aree interessate da attività estrattive.

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- Matrici geoambientali e sviluppo insediativi, - Archeologia e geomorfologia, - Trasformazioni storiche del paesaggio urbano dal Medioevo alla fine del Settecento, - Componenti storico-ambientali del territorio del Comune di Modena, permette di analizzare le trasformazioni ambientali, urbanistiche, sociali e demografiche della città e del territorio avvenute nell’insediamento urbano. L’Atlante si propone, quindi, quale modello per organizzare le informazioni relative alle trasformazioni dell’ambiente urbano, ponendo in relazione tra loro le cause naturali e l’evoluzione degli insediamenti antropici, lette attraverso le vicende storiche. (D.A.) 5. Atlante dei Centri Storici L’Atlante dei Centri storici è costruito unendo, a scala nazionale, le informazioni di carattere geografico, amministrativo e di tutela della base geografica nazionale ATLAS con quelle di carattere storico, statistico e strutturale risultanti dal Censimento dei centri Storici. Il progetto “Censimento Nazionale dei Centri Storici”20 aveva individuato, con una metodologia unica su tutto il territorio nazionale, circa 22.000 centri storici. Le verifiche bibliografiche e cartografiche, su cartografia IGM attuale e storica e, successivamente, sulle coperture nazionali delle aerofoto, possedute dell’Aerofototeca, hanno permesso la convalidazione di circa 22.000 toponimi. La banca dati contiene le schede di censimento suddivise territorialmente, intergrate da immagini digitali tratte dalle cartografie IGM attuali e storiche utilizzate nelle verifiche. Nel 2000 è stato avviato un progetto per la creazione del Sistema Informativo Generale del Catalogo, ora in avanzata realizzazione, che affronta in maniera sistematica la problematica relativa all’informazione geografica. Per quanto riguarda la georeferenziazione dei beni culturali, l’intento è quello di riorganizzare le strutture catalografiche sfruttando al meglio gli strumenti informatici, con lo scopo di contestualizzare il bene culturale e rendere esplicite tutte le possibili relazioni. Inoltre le soluzioni tecniche adottate permettono di ottimizzare la gestione delle relazioni tra gli elementi che costituiscono il data-base. I fenomeni con caratteristiche proprie, che si riferiscono a più beni e che possono essere descritti autonomamente, sono stati definiti entità21. Alle entità è assegnato un Codice Identificativo Univoco che è inserito anche nella scheda del bene e permette il collegamento bene-entità. Molte di queste entità possiedono una componente geografica e quindi richiedono gruppi di informazioni specifici per descriverla. L’informazione geografica, cioè l’insieme di dati che permette di mettere in relazione un bene o entità al territorio, può contenere diverse indicazioni e a ciascuna tipologia di bene o entità possono essere associate contemporaneamente diverse informazioni di carattere geografico. E’ stata quindi individuata l’informazione geografica propria di ogni tipo di bene e successivamente le modalità con cui esplicitare tali informazioni. La modalità primaria è la georeferenziazione: il bene o l’entità vengono definiti mediante coppie di coordinate che forniscono informazioni sulla loro forma e sulla loro localizzazione22.

20 La metodologia utilizzata è basata sul confronto tra i toponimi delle località abitate del primo censimento post unitario del

1881 con quello del 1981, integrato da quello del 1921 per le aree annesse dopo la prima guerra mondiale, e con quello del 1936 21 Tali entità possono essere costituite da beni (es. foto aerea, carta storica) o altro (es. scavo archeologico). Altre entità possono essere: il Vincolo, la Mostra, il Disegno, la Fotografia, ecc.

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6. Il Gis applicato al portale dei beni culturali Il Servizio Tecnico alla Cultura della Regione Marche 23 ha prodotto un patrimonio catalografico importante24, secondo le norme e gli standard dell’Istituto Centrale del Catalogo e della Documentazione (ICCD). Tale patrimonio catalografico è in continuo incremento a seguito di campagne di catalogazione sul territorio dal Servizio Tecnico alla Cultura. Le schede, sottoposte a controlli per la verifica dei criteri di validazione scientifica, vengono pubblicate con regolarità sul portale “www.cultura.marche.it”, dove è possibile una loro consultazione (in modo diverso a seconda del diritto di accesso). Le tipologie di schede sono suddivise in due categorie principali: quelle relative ai beni mobili e quelle relative ai beni immobili 26. Recentemente il Servizio Tecnico alla Cultura ha provveduto ad una prima fase di georeferenziazione occupandosi delle schede relative ai beni immobili, utilizzando come base cartografica la nuova CTR della Regione Marche alla scala 1:10.000. Il risultato è stato pubblicato a mezzo di un motore di ricerca che crea un sistema integrato di consultazione GIS e alfanumerico. Nel portale dei Beni Culturali della Regione Marche sono state quindi aumentate le funzionalità già presenti, consentendo una fruizione dei dati di livello sofisticato ma di utilizzo semplice; in particolare si accede a - Cartografia di riferimento: che è possibile richiamare contestualmente alla consultazione della scheda catalografica di un bene immobile - Cartografia tematica: che viene prodotta evidenziando tutti i beni con caratteristiche che rispondono a criteri di ricerca impostati - Interrogazione geografica: è possibile navigare sul territorio fino ad individuare l’area di interesse, dove è possibile procedere all’interrogazione di un bene ed avere in corrispondenza la scheda catalografica. Attualmente è possibile consultare sul web la georeferenziazione di un primo gruppo di schede di beni architettonici e sul sito Intranet della Regione è pubblicata la georeferenziazione di tutte le schede dei siti archeologici che costituiscono la Carta Archeologica Marchigiana. (S.D.) 7. Catalogo informatizzato dei beni storici, artistici, archeologici, architettonici e naturalistici della Provincia di Napoli L’integrazione del dato amministrativo con il dato territoriale costituisce un Sistema Informativo Territoriale che diviene il punto di partenza per le decisioni tecniche ed amministrative sull’assetto del territorio. Il SIT della Provincia di Napoli ha sviluppato una soluzione che permette di consultare immagini (ortofoto, immagini satellitari, cartografia raster) particolarmente grandi, via Internet o Intranet, e di lavorare on line in maniera interattiva senza necessità di trasferire fisicamente il dato in locale. Con determinazione n. 5681 del 8/7/2003 è stata disposta la costituzione di un gruppo di lavoro per l’implementazione dell’archivio Informatizzato dei Beni Storici, Artistici, Architettonici, Archeologici e Naturalistici denominato Museo Diffuso. Il Museo Diffuso è un archivio informatizzato comprendente 1414 beni siti in tutto il territorio provinciale, le pagine web sono il prodotto finale di questo progetto e consentono la lettura 22 23 24 25

Determinata dall’aggancio delle coordinate ad un certo sistema di riferimento Struttura preposta alla gestione del Catalogo dei Beni Culturali Regione La catalografica ammonta a circa 100.000 schede suddivise nelle varie tipologie “RA” Reperti Archeologici, “OA” Oggetti Artistici 26 “A” Beni Architettonici, “SI” Siti Archeologici

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delle informazioni relative a tutti i beni culturali inseriti nell’archivio. Il Museo Diffuso è dunque un progetto GIS-WEB per favorire la conoscenza del ricco patrimonio artistico, storico, architettonico, archeologico e naturalistico della Provincia di Napoli: una mappa interattiva dei beni culturali e naturalistici della Provincia di Napoli consultabile attraverso le pagine del SIT che consente di trovare in un unico luogo virtuale informazioni, immagini, disegni e descrizioni relative a tutti i beni culturali, ambientali ed archeologici. Ad ogni bene, identificato da una componente geografica e da una componente alfanumerica, sono associati immagini e disegni che ne rendono più agevole la lettura. Tale lettura è principalmente finalizzata a tecnici delle Amministrazioni e al cittadino. (S.D.) 8. Progetto di valorizzazione dei beni culturali e ambientali della Valle dell’Ofanto, ITC-CNR Politecnico Di Bari-MIUR Le problematiche legate alla valorizzazione dei beni culturali trovano nelle tecnologie GIS e nelle applicazioni WEB un valido strumento per avviare processi ed interventi di conservazione e manutenzione, ma soprattutto per coinvolgere il maggior numero di utenti interessati alla loro fruizione. Un utilizzo del bene basato sulla conoscenza può innescare dinamiche di rivitalizzazione in termini di identità, ma anche in senso economico della singola risorsa e del territorio nel suo complesso. Le conoscenze sui beni territoriali e la loro condivisione sono fondamentali per l’organizzazione di un archivio del patrimonio territoriale. La formazione, la registrazione, la condivisione e l’aggiornamento della conoscenza sui beni devono essere fasi diverse di un processo continuo. Al fine di ottenere la più ampia partecipazione pubblica è necessario che il sistema sia consultabile in rete con procedure semplici ed intuitive. Il Sistema Informativo Territoriale Integrato (S.I.T.I.) OFANTO rappresenta una possibile soluzione in quanto consente di estrarre dati da archivi alfanumerici e cartografici, elaborarli e rappresentarli sia in forma testuale sia su base cartografica georeferenziata. L’accesso al sito del progetto avviene tramite un comune browser senza installare software aggiuntivo scegliendo tra due interfacce dedicate al cittadino e all’utente esperto. E’ poi possibile scegliere tra l’esplorazione virtuale del territorio e l’interrogazione del database. Questo progetto offre nuove opportunità di perseguire obiettivi di tutela e conservazione del patrimonio culturale e ambientale, in quanto rende disponibili in rete informazioni su siti e territorio basate su dati in possesso di diverse amministrazioni. Questa impostazione contribuisce a dare unitarietà ad un insieme di conoscenze altrimenti frammentario e lacunoso perché detenuto e utilizzato con modalità diverse a causa delle diverse finalità istituzionali degli enti coinvolti. (S.D.)

Bibliografia di riferimento

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AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI

Area 01 – Scienze matematiche e informatiche Area 02 – Scienze fisiche Area 03 – Scienze chimiche Area 04 – Scienze della terra Area 05 – Scienze biologiche Area 06 – Scienze mediche Area 07 – Scienze agrarie e veterinarie Area 08 – Ingegneria civile e Architettura Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche Area 12 – Scienze giuridiche Area 13 – Scienze economiche e statistiche Area 14 – Scienze politiche e sociali

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