Alessandro Baricco, “I Barbari”. Repubblica, (sabato 21.10.2006, pp. 18-19). “…
intendo che prendere una decisione equivale a scegliere una certa idea di se
stessi, una certa ... di un principio: la divisione del mondo fra civiltà e barbarie…
Alessandro Baricco, “I Barbari”. Repubblica, (sabato 21.10.2006, pp. 18-19) “… intendo che prendere una decisione equivale a scegliere una certa idea di se stessi, una certa definizione di che cosa fossero l’Impero e la Cina… Perché, l’incubo della civiltà non è essere conquistata dai barbari, ma essere contagiata: non riesce a pensare di poter perdere contro quegli straccioni, ma ha paura che combattendoci può uscirne modificata, corrotta. Ha paura di toccarli… Nessuna muraglia… servì mai ad alcunché. I barbari iniziavano a galoppare lungo il muro. Quando finiva, ci giravano intorno ed invadevano la Cina. E’ successo tante volte.…“. “La grande Muraglia… non era tanto una mossa militare, quanto mentale.. Sembra la fortificazione di un confine, ma in realtà è l’invenzione di un confine. E’ un’astrazione concettuale, fissata con tale fermezza ed irrevocabilità da diventare monumento fisico e immane… Così, quando Marco Polo andò laggiù e raccontò tutto quello che vide, della Muraglia non ne fece parola. Possibile? Non solo possibile, ma logico: Kublai Khan era un mongolo, l’impero che Marco Polo vide era quello dei barbari vincitori che erano scesi dal nord e si erano presi la Cina. Esisteva nella loro mente un’idea di confine? No. E, sparita dalla mente, la Grande Muraglia era poco più che qualche singolare fortificazione sperduta nel nord: per qualsiasi Marco Polo, era invisibile”. “La grande Muraglia non difendeva dai barbari, li inventava. Non proteggeva la civiltà, la definiva. Per questo noi la immaginiamo lì da sempre: perché è antichissima l’idea… così noi oggi, nella Grande Muraglia, possiamo leggere la più monumentale e bella enunciazione di un principio: la divisione del mondo fra civiltà e barbarie…Ma la verità è che non stiamo difendendo un confine, lo stiamo inventando. Ci serve quel muro, ma non per tenere lontano quello che ci fa paura: per dargli un nome… Al limite possiamo perdere, ma non perderci…”. “Non c’è confine, credetemi, non c’è civiltà da una parte e barbari dall’altra: c’è solo l’orlo della mutazione che avanza, e corre dentro di noi. Siamo mutanti, tutti… ognuno di noi sta dove stanno tutti, nell’unico luogo che c’è, dentro la corrente della mutazione, dove ciò che ci è noto lo chiamiamo civiltà, e quel che ancora non ha nome, barbarie. A differenza di altri, penso che sia un luogo magnifico”. “Cosa vogliamo che si mantenga intatto pur nell’incertezza di un viaggio oscuro? I legami che non vogliamo spezzare, le radici che non vogliamo perdere, le parole che vorremmo ancora sempre pronunciate, e le idee che non vogliamo smettere di pensare. E’ un lavoro raffinato, una cura. Nella grande corrente, mettere in salvo ciò che ci è caro. E’ un gesto difficile perché non significa, mai, metterlo in salvo dalla mutazione, ma, sempre, nella mutazione. Perché ciò che si salverà non sarà mai quel che abbiamo tenuto al riparo dai tempi, ma ciò che abbiamo lasciato mutare, perché ridiventasse se stesso in un tempo nuovo”.