Aspetti psicologici dell 'attivit del leggere - Comune di Brescia

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magici il conferimento del nome a cose e persone appare un atto .... Brizzi, E., Jack Frusciante è uscito dal gruppo, Milano, Baldini & Castoldi, 1995. Crichton, M .
Aspetti psicologici dell'attività del leggere di Gianni Sarubbi

Gran parte degli studi di psicologia della lettura sono rivolti ai meccanismi di riconoscimento dei caratteri scritti, delle modalità di decodificazione dei testi e ai disturbi di tali capacità, in primis alla dislessia (Crowder, 1998). Tuttavia

darei

per

scontate

queste

capacità

di

elaborazione

delle

informazioni nel lettore-adolescente di cui voglio occuparmi, per riflettere, invece, sulla funzione ed il significato della lettura di testi narrativi nello sviluppo psichico dell'adolescente, in primo luogo, ma per molti versi nel processo permanente di elaborazione di esperienze che percorre l'intero arco di vita, dall’infanzia sino all’età adulta. Per questa riflessione ci occorre qualche premessa su alcune funzioni psichiche. Nelle credenze di molti popoli, sia nei miti cosmogonici che nei rituali magici il conferimento del nome a cose e persone appare un atto fondamentale, connesso ad un grande potere; basti pensare al tema dei nomi nella cultura ebraica, alla Qhabbala, alla leggenda del golem. Colleghi junghiani potrebbero sviluppare ampiamente questi temi. A me preme mostrare come riti e credenze testimonino dell'importanza della capacità di dar nome alle cose nella vita psichica: dar nome a qualcosa è un primo passo verso il comprenderla e/o padroneggiarla. Nel saggio “Il perturbante” Freud illustra come contenuti psichici rimossi, cioè respinti dalla vita mentale cosciente, ritornino nella nostra vita come elementi inquietanti, perturbanti perché non familiari, ignoti, in qualche misura non nominati. (Freud, 1919).

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Anni dopo sarà Bion, uno dei massimi analisti postfreudiani, a descrivere come elemento fondamentale della crescita del bambino I'elaborazione di paure arcaiche, profonde, definibili come "terrore senza nome"; compito delle cure materne nel processo che rende sopportabili tali paure, è proprio il conferire nome, e in un certo senso forma, al terrore che non ha forma né nome (Bion, 1967). Appare questo il senso profondo di filastrocche infantili sull'uomo nero: nominare paure altrimenti indigeribili per I'apparato psichico del bambino. In tal senso è intuibile come I’ansia, assai diffusa nei genitori, che siano i racconti, nei bambini come negli adolescenti, a creare la paura, non sia fondata su dati di realtà: filastrocche, racconti e credenze infantili sono un tentativo di rendere tollerabili paure, e nell'adolescenza anche altri contenuti psichici, altrimenti troppo cariche di angoscia per essere rappresentate e quindi integrate nella vita psichica. Procedendo, comunque, per gradi, è possibile dire che l'operazione del dar nome a stati d'animo, sensazioni, emozioni, sia una delle prime forme di rappresentazione di esperienze interiori altrimenti troppo sgradevoli o troppo "forti" per essere sostenute dalla mente. Ho parlato di paure "indigeribili" proprio ritenendo molto efficace la metafora bioniana (Bion, 1962) che descrive la mente come una sorta di apparato digerente: se le esperienze non sono ben digerite, non sono passibili di accoglimento nella mente, ovvero non sono rappresentate, immaginate, sognate, narrate ed infine comprese, pensate, ma vengono o espulse o restano indigerite. Questo, peraltro, è un possibile modello clinico: i sintomi psicotici si configurano come proiezioni/espulsioni di contenuti psichici, i sintomi nevrotici e gli stati depressivi come una cattiva digestione di vissuti (per questo rimando a Ferro, 1996). In questo contesto concettuale è evidente come la narrazione si configuri come necessaria forma di rappresentazione della realtà emotiva nel cammino che va dalle prime forme di rappresentazione iconica al pensiero. In particolare nell'adolescenza I’esplodere di desideri e bisogni pulsionali a lungo rimossi implica un bisogno di rappresentazione narrativa di sé; se questo bisogno trova risposta nel bambino attraverso il mondo delle fiabe, l'adolescente

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necessita di nuove narrazioni, in grado di contenere i contenuti nuovi del suo mondo interno. (Lussana, 1998). Paure e desideri vanno dunque rappresentati. e narrati; alcune modalità rappresentative, necessarie,

possono essere date da nuove identificazioni,

anche desunte dai media: se per un bambino, per esempio, il padre può essere il simbolo della forza o della destrezza, per l'adolescente occorrono nuovi punti di riferimento, nuove sponde identificatorie. Tuttavia la presenza di nuove identificazioni non satura il bisogno di rappresentazione, ovvero di addomesticare, per dir così, le parti selvatiche, perturbanti che l'adolescente affronta per la prima volta (ma con cui dovrà convivere per tutta la vita). Occorre un capacità di rappresentarsi narrativamente, di raccontarsi attraverso delle storie. Oggi la migliore psicoanalisi italiana (Ferro, 1999; Vallino Macciò, 1998) descrive le interpretazioni nel lavoro clinico non più come ieratici conferimenti di verità, come rivelazioni dall'analista al paziente, ma come un comune lavoro articolato in co-narrazioni trasformative. Non intendo, naturalmente, approfondire qui i complessi temi tecnici implicati; mi interessa però sottolineare come il pensiero psicoanalitico mostri la funzione trasformativa, digestiva nel senso menzionato, dei contenuti emotivi operata dalle narrazioni. I libri, in tal senso, specie nell'adolescenza, cambiano la nostra vita, ci permettono di dar forma a sentimenti, a paure, a desideri altrimenti inesprimibili o esprimibili solo in parte. Dar forma e senso a contenuti psichici implica che tali contenuti siano preesistenti alla loro rappresentazione: impulsi libidici e spinte distruttive, angosce e desideri precedono immagini e narrazioni che conferiranno loro forma e significato. Tale precisazione può apparire superflua, ovvia e tuttavia si rende necessaria per il comparire sulla

stampa e in programmi tv di liste di

proscrizione

che

di

film

o

romanzi

danneggerebbero

influenzerebbero negativamente lo sviluppo.

i

giovani,

ne

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Tali argomentazioni si basano su un grossolano comportamentismo che finisce semplicemente col confermare le angosce parentali, spesso sollecitate dai tumulti adolescenziali dei figli. In particolare vengono denunciate violenza e sessualità che sarebbero presenti in modo eccessivo in libri, film, spettacoli televisivi ecc. Credo di poter rassicurare i genitori: una certa carica di aggressività, così come i contenuti sessuali sono naturalmente presenti nel mondo interno e nell'adolescente, hanno una connotazione particolarmente intensa, esplosiva come spesso sono esplosivi i suoi mutamenti somatici. La passione adolescenziale per narrazioni gotiche, horror, o per le crudezze splatter o pulp segnala la necessità di rappresentare adeguatamente gli aspetti pulsionali finora sopiti/rimossi, organizza in un senso compiuto l'eruzione istintuale che sta avvenendo nel giovane. “Jurassic Park”, il romanzo di M. Crichton da cui è stato tratto il celebre film di Spielberg, sembra fotografare in termini simbolici il passaggio dall'infanzia all'adolescenza: l’Io si trova a dover fronteggiare le pulsioni da lungo tempo rimosse (i mostri preistorici), non più contenibili secondo le modalità esperite durante la fase di latenza; il buon esito dell'operazione di re-integrazione di questi aspetti di sé, vissuti inizialmente come mostruosi, è il lieto fine nella storia dello sviluppo psichico. Del resto l'adolescente compie una delicata opera di distacco dalle figure parentali, ricostruzione di un'identità attraverso relazioni di gruppo e, dolorosamente, di abbandono dei legami di gruppo sviluppando una propria autonomia (Meltzer, 1985). Il racconto di questo dolore può essere descritto da modelli teorici (Meltzer, 1985,1992; Winnicott, 1971), ma può essere altrettanto efficacemente narrato: basti pensare al protagonista del romanzo di E. Brizzi, “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” che affronta le difficoltà connesse al recupero di sentimenti depressivi, contrapposti alle logiche sottilmente schizoparanoidi del gruppo adolescente, in qualche misura, in senso lato, "milltarizzate", in vista di un processo adulto di elaborazione di vissuti affettivi e sessuali. Ho citato due romanzi molto amati dal pubblico giovanile non per darne un'interpretazione

psicoanalitica,

ma,

all'inverso,

per

mostrare

come

le

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narrazioni possano essere dense di significati utili, eventualmente, per l'analista e certamente per l'adolescente, che riesce a dar forma, nell'attività del leggere, a "protoemozioni",

ad

affetti

non

ancora

elaborati,

spesso

privi

di

rappresentazioni verbali adeguate. Credo di avere illustrato a sufficienza il mio parere sulla funzione della lettura nell'economia psichica dell'adolescente. Affronto solo un altro punto, quello della differenza tra la lettura e la fruizione di film o di spettacoli televisivi. La critica letteraria di stampo strutturalista ha da tempo evidenziato le analogie tra testo letterario e testo filmico e non è mio compito addentrarmi in tali questioni. Tuttavia, ferma restando l'esigenza di una formazione che integri strumenti tradizionali e audiovisivi, libri e computer e via discorrendo, la lettura mantiene una specificità che intendo sottolineare: se cinema e tv offrono rappresentazioni iconiche già pronte, narrazioni già compiute sul piano dell’integrazione tra immagini e significati, la lettura implica un'autonoma attività immaginativa del lettore. Il testo letterario, felicemente incompiuto, impone una feconda fatica: quella di integrare la narrazione con propri ologrammi affettivi, di utilizzare proprie immagini, risultato di proprie afferenze sensoriali, nella sequenza narrativa proposta dall'autore. L’ordine del testo dà forma a, per dir così, a materiali, a "mobili di scena e costumi" del lettore e in tal senso la lettura si configura come atto privato come il sognare. Leggere e sognare danno forma al nostro mondo interno e, pur condivisibili con ulteriore racconto rivolto ad altri, mantengono un aspetto specificamente personale, l'aspetto che Masud Khan definiva, con felice espressione, tesori nascosti del Sé. (M. Khan, 1988).

Bibliografia citata Bion, W. R., Learning from experience, London, Hanemann, 1962 (trad. it. Apprendere dall'esperienza, Roma, Armando, 1972)

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Bion, W. R., Second thoughts, London, Hanemann, 1967 (trad. it. Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico, Roma, Armando, 1970). Brizzi, E., Jack Frusciante è uscito dal gruppo, Milano, Baldini & Castoldi, 1995 Crichton, M., Jurassic Park, Milano, Garzanti, 1990 Crowder, R. G., The Psychology of Reading. An Introduction, New York, New York University Press, 1992 (trad. it. Psicologia della lettura, Bologna, Il Mulino, 1998) Ferro, A., Nella stanza dell'analisi, Milano, Raffaello Cortina, 1996 Ferro, A., La psicoanalisi come letteratura e terapia, Milano, Raffaello Cortina, 1996 Freud, S., Opere, voI. 9, pp.79-115, Torino, Boringhieri, 1977 Kahn, M., Lo spazio privato del Sé, Torino, Bollati Boringhieri, 1988 Lussana, P., L 'adolescente, l'artista. Una visione binoculare dell'adolescenza, Roma, BorIa, 1998 Meltzer, D., Claustrum, London, The Roland Harris Education Trust, 1992 (trad. it. Claustrum, Milano, R. Cortina, 1993) Meltzer, D., L 'adolescenza", in Quaderni di psicoterapia infantile, voI. 4, Roma, BorIa, 1985 Vallino Macciò, D., Raccontami una storia, Roma, BorIa, 1998 Winnicott, D. W., Playing and Reality, London, Tavistock Publications, 1971 (trad. it. Gioco e realtà, Roma, Armando, 1974)

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