Aspetti storici letterari e psicologici evocati dalle Isole - Fratelli-della ...

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Nel comune pensiero l' isola è un luogo abitato o meno in cui la natura ha o non ... Alla fine del '700 “I viaggi di Gulliver” di J. Swift, “L'isola misteriosa” ( 1874) di ...
A S P E T T I S T O R I C I L E T T E R A R I e P S I C O L O G I C I E V O C A T I D A L L E I S O L E

Nel comune pensiero l’ isola è un luogo abitato o meno in cui la natura ha o non ha consentito la residenzialità, la vita o l’incubo della morte. Dai classici greci, latini, arabi fino ai moderni, da Creta alle Antille, dal Minotauro al “vudu”. Luogo di fuga o di prigionia essa rappresenta un luogo di meraviglia per poi rivelarsi sede di sofferenza: isola come “prototipo della civiltà re-inventata”: motivo di successo dal “Robinson Crusoe” in poi. Riscrivendo per l’ennesima volta il Robinson in “Foe” (1986) il sudafricano J.M. Coetzee suggerisce che all’ autore Defoe la storia sia stata consegnata a Londra, da una donna, Susan Barton, naufraga anche lei sull’isola. Anche in W. Shakespeare, anello di congiunzione col moderno , ne “La tempesta” l’isola è “piena di voci … molta importanza hanno le varie lingue…” L’isola è fatata ma consentirà anche la scoperta di un nuovo mondo dove perdersi per conquistare una nuova identità. Le isole nel Romanticismo sono luoghi incantati perché desolati e allucinati, specchi della desolazione dell’anima. Per C.Darwin le Galapagos in “Il viaggio del Beagle” (1839) e per H. Melville “The Encantadas” (1834) si distinguono per l’assoluta assenza di stagioni o di pioggie, terre di nessuno, rifugio di balenieri, bucanieri e fuori legge, lande fuori dalla storia e dal tempo. Pure G. Simenon vi ambienta un romanzo “Quelli della sete” (1938) sfruttandole per una sorta di divertimento “turistico”. Anche per K. Vormegut in “Galapagos” (1985) l’isola riconduce all’ossessione contemporanea del dissolversi di ogni forma di linguaggio: un gruppo di superstiti trasporta un computer, ormai inservibile, che dovrebbe tradurre tutte le lingue ma non ne genera più nessuna. D.H. Lawrence in “L’uomo che amava le isole” pone l’incanto della desolazione. R.L. Stevenson in “L’isola del tesoro” (1883) ci risparmia il tema dell’educazione morale e l’isola diventa il simbolo della perdita dell’innocenza, non solo luogo dell’avventura ma luogo di orrore e di morte. Nel 1954 W. Golding scrive il proseguimento dell’isola dei bambini con “Il signore delle mosche”: è l’isola del male, di regressione alla bestialità. Alla fine del ‘700 “I viaggi di Gulliver” di J. Swift, “L’isola misteriosa” ( 1874) di J. Verne , “L’isola del dr. Moreau” (1896) di H.G. Welles mostrano come la percezione della scienza si realizza nelle condizioni disumane di vita nell’isola. Come parlano le isole? J.J. Rousseau ipotizzava nel “Discorso sull’origine dell’ineguaglianza” (1754) che le lingue fossero nate nelle isole con le prime navigazioni e i tentativi di comunicare. Isole dell’Aldilà: misterioso, arcano, perturbante in cui è necessario acquisire lingue insolite. Isole più moderne, Aldiqua, Altrove, in cui il tesoro viene svelato solo con la decifrazione di un codice segreto, criptato, geroglifico, mappale o tatuaggio ( Filmografia: Pirati dei Caraibi; Lara Croft…). Per il soggetto della navigazione è indispensabile conoscere le lingue. L’isola di Robinson è nonlinguaggio, fin all’arrivo di Venerdì a cui è insegnata la lingua della sottomissione, del colonialismo. H. Melville in “Typee”, mostra come il riferimento del tatuaggio come lingua rituale sia spaventevole perché connesso al timore di perdere l’identità, cioè i propri segni. Oggi i giovani, non solo adolescenti, usano il tatoo confidando nell’opposto.

Nel 1909 in “L’isola degli inganni” M.P. Shiel fa comparire una sacra stele di basalto con ideogrammi indecifrabili (2001 Odissea nello spazio ?). Per finire l’isola in cui non si cresce, l’isola di Peter Pan, “L’isola che non c’è” o c’é , come diceva Licia,la moglie del compianto S. Albeggiani, autore de “Le isole lontane” (1990, pp.413,ill). “Sì, esistono… sono dentro di noi…” Non c’è più l’isola fuori della storia. Attraverso la visione interna si può attuare il processo poetico della “ri-nominazione” e così sarebbe possibile riscoprire la voce delle isole. E’ possibile pensare che essa potrebbe avere due linguaggi: - quello degli ”alberi” (legno-libro o genealogico, storie famigliar…) ; - e il vocabolario individuale, il dialetto come sfida alla lingua dell’impero, in quanto sembrerebbe esserci non solo uno sforzo di espressione ma anche uno sforzo di memoria contrario alla rimozione. Bibliografia: S. Perosa: L’isola la donna il ritratto… Ed. Bollati-Boringhieri, 1996, pp. 123. J. Rogan: L’isola perduta. Ed. tre60, pp. 447. H.M. P 28 Lgt. in Tavola di Castel Lova, l’altra Tavola di Chioggia

16.5.’012