1 apr 2012 ... Guanto che vai... Cliente che trovi! Storia e tradizione dal 1964. Chiara
Gamberale seguici su. Un abbraccio attorno al fuoco di una storia. F o to.
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Anno IV n. 31/ 2012
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Foto di Nicoletta Valdisteno
Architettura: Il bello del mattone Giorgio Sermoneta: Guanto che vai... Cliente che trovi! Storia e tradizione dal 1964
Chiara Gamberale Un abbraccio attorno al fuoco di una storia
Sommario 6 10 14 16 19 20 22 24 28 32 36 38 40 42
Copertina Architettura Fisco Intervista Roma news Medicina estetica Intervista Gusto Arte Mostra Vino Style Arte Benessere
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Ponte Milvio Anno IV n. 31/2012 Autorizzazione del tribunale di Roma n.124/2008 del 2-3-2008 n. iscrizione al ROC 17682 del 27-11-08 Editore Immediately s.r.l. sede legale via C. F. di Cambiano 82, Roma uffici via Crescenzio 103, Roma
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“Pubblicare a soli vent’anni, poi, mi ha naturalmente stordito di gioia, ma i sogni realizzati, si sa, sono anche pericolosi… Se la tua passione diventa il tuo lavoro bisogna stare molto attenti a proteggere quella passione.”
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Il senso della vita per
Chiara Gamberale A colloquio con una scrittrice sensibile che ha scaldato i cuori dei lettori con i suoi intensi romanzi carichi di speranze d'amore. di Alessandra Stoppini
“I
libri sono un po' come le persone, sono loro che scelgono te”. In questa dichiarazione c'è tutta la volitiva personalità di una delle più talentuose giovani narratrici italiane del nostro tempo il cui viso luminoso e intelligente si accompagna a una volontà di ferro. Se è vero che la personalità di uno scrittore si esprime attraverso le sue opere letterarie, questo concetto è ancora di più valido per Chiara Gamberale il cui libro preferito è Piccole donne, perché in quelle pagine “c'è tutto”. Dall'esordio letterario avvenuto nel 1999 poco più che maggiorenne con il romanzo Una vita sottile, lucida e spietata cronaca autobiografica di un disagio adolescenziale, passando per La zona cieca, cioè “tutto quello che gli altri vedono capiscono e sanno di noi, ma di cui noi non ci rendiamo conto” fino a Le luci nelle case degli altri “scrutiamo le luci altrui come se sapendo il più possibile di chi ci circonda, ci volessimo mettere al riparo dal mistero: non solo dal mistero degli altri, ma anche da quella parte di mistero insito in noi”. Romanzi che descrivono con acutezza il nostro presente, le nostre inquietudini, la vita frenetica che conduciamo quotidianamente, ciò che vorremmo e non possiamo ottenere, l'eterno contrasto tra dura realtà e sogno. Le stesse situazioni che ritroviamo in un piccolo libro, l'ultima opera letteraria di Chiara, dal titolo breve ma significativo, pubblicato lo scorso gennaio, L'amore quando c'era. I protagonisti Amanda Grimaldi, professoressa di lettere presso una
scuola media con velleità di scrittrice e Tommaso Panella, avvocato, marito e padre felice, si ritrovano dopo più di dieci anni di lontananza, la vita e scelte forse sbagliate li hanno allontanati, ma l'amore è rimasto tenace e forte. “Vorrei che mi raccontassi tutti i bla bla che puoi”. Perché la vita ha un senso e perché non lo l'ha? Questa è la traccia del tema che la Prof. Grimaldi ha dato da svolgere ai suoi alunni. Questa è anche la domanda che Chiara Gamberale non solo scrittrice ma anche conduttrice radiofonica e televisiva gira ai suoi fedeli lettori. Una storia essenziale, profonda e intensa che ci costringe a riflettere su come possa essere difficile amare nel villaggio globale che ci rende sì vicini eppure mai così tanto soli. “Passava il tempo ma tu non mi passavi”. Chiara, si nasce con il sacro fuoco per la scrittura? Che cosa ha significato per te pubblicare un romanzo così giovane?
Per quanto mi riguarda è stata senz’altro la scrittura a scegliere me, non il contrario…Ero molto piccola, avrò avuto sì e no cinque anni, mio padre era un ingegnere, mia madre una ragioniera, non era una casa dove i libri avevano una particolare importanza… ma da subito ho sentito, istintivamente, di provare una specie di pace solo quando qualcuno mi raccontava una storia. Imparare a leggere da sola è stata per me una conquista fondamentale: scrivere, è venuto da sé, di conseguenza. “Clara e Riki” s’intitolava il mio primo tentativo di romanzo, in prima elementare e da lì non ho mai smesso di accompagnare la mia vita di ogni giorno con l’invenzione di storie che in parte mi aiutassero a capirla meglio, in parte mi dessero l’occasione di evadere dalla realtà. Pubblicare a soli vent’anni, poi, mi ha naturalmente stordito di gioia, ma i sogni realizzati, si sa, sono anche pericolosi… Se la tua passione diventa il tuo lavoro bisogna stare molto attenti a proteggere quella passione.
Chiara Gamberale è nata a Roma, dove vive. Laureata alla Facoltà di Lettere Moderne di Bologna con una tesi in Storia del cinema ha pubblicato poco più che maggiorenne Una vita sottile (Marsilio 1999), ispirato a una vicenda autobiografica, ottenendo la ribalta in campo letterario. Seguono Color lucciola (Marsilio 2001) Arrivano i pagliacci (Bompiani 2003), La zona cieca (Bompiani 2008) Premio Selezione Campiello e Una passione sinistra (Bompiani 2009), Le luci nelle case degli altri (Mondadori 2010) e L'amore quando c'era (Mondadori 2012). È ideatrice e conduttrice di programmi radiofonici e televisivi come Gap (Rai1), Quarto piano scala a destra (Rai3) e Trovati un bravo ragazzo (Radio 24). Dal 2010 è in onda su Radio 2 con Io, Chiara e l'Oscuro. Collabora con Vanity Fair, D - La Repubblica e Il Riformista.
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“E proprio soprattutto mentre cammino, c’è un momento in cui i pensieri si spezzano e arrivano le idee.”
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Da dove proviene l'ispirazione per una nuova trama? Ti è mai successo che qualcuno dopo aver letto un tuo libro si sia riconosciuto in uno dei personaggi o nella storia? Cammino molto, sempre, da nevrotica quale sono… E proprio soprattutto mentre cammino, c’è un momento in cui i pensieri si spezzano e arrivano le idee. Molti lettori mi scrivono, sì, e ogni volta per me è un regalo. Come molte persone che scrivono, mi sento spesso sola, profondamente… Ma se tante persone si sentono sole come te e ti si stringono vicino, attorno al fuoco di una storia, beh, ecco che un po’ di caldo dove fa sempre freddo arriva. Amanda e Tommaso: il loro diverso
modo di amare li rende complementari? In parte sì, è la loro forza, ma in parte maledizione; è stata anche la fonte della loro profonda incomunicabilità che ha avuto bisogno della distanza di sicurezza di dodici anni per sciogliersi… “Grandi storie unite all'agilità del testo breve”. È lo slogan della Mondadori nel lanciare la nuova collana Le Libellule, romanzi di qualità a prezzo contenuto. Che cosa hai provato quando hai saputo che “L'amore quando c'era” era stato scelto insieme ad altri tre piccoli volumi per inaugurare la collana? Sono stata onorata soprattutto per il fatto di essere in compagnia di Andrea Camilleri e di Raffaele La Capria, due maestri veri per me. Due persone eccezionali, oltre che due scrittori che stimo. Ferito a morte, il primo romanzo di La Capria, è da sempre uno dei miei libri preferiti. Chi sono le Piccole donne del Terzo Millennio? Tutte quelle che ancora credono che la propria vita interiore sia qualcosa su cui è giusto scommettere. Anche e soprattutto nella relazione con gli altri: siano le proprie “sorelle” o gli uomini. Hai definito Mr Darcy il fiero genti-
luomo di Orgoglio e Pregiudizio come “l'uomo colonna per donne piene di vento”. Desideri chiarirci il concetto? Mr Darcy c’è, fortissimamente c’è e per donne come Elisabeth, forti perché fragili, pronte a lanciarsi in una sfida tanto più quella sfida è impossibile, è difficile da accettare un uomo così al fianco. Ma è necessario. Com'è la nostra società vista attraverso i microfoni di Io, Chiara e l'Oscuro? Tra i tanti personaggi che hai intervistato, quale ti ha maggiormente colpito? È una società che non ha paura di farsi domande e non ha paura di affrontare quel dolore necessario da affrontare se ci si vuole guardare dentro per poi relazionarsi col fuori. Le “psicointerviste” che più mi sono rimaste nel Cuore, nella Testa e nel Corpo sono state quelle con Francesco Totti, tanto più digiuno di psicanalisi tanto più sincero nel rispondere e con Piera Degli Esposti, una donna eccezionale, rarissima. Toglici una curiosità: dopo aver terminato di scrivere il tuo ultimo romanzo, hai scoperto quale sia il senso della vita? Semmai l’ho perso di vista ancora di più… e sto già scrivendo il nuovo libro, sempre con l’ansia di cercarlo!
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Il bello del mattone
di Michaela Falciglia
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e recenti variazioni di quello che viene comunemente definito “Piano Casa” sono state pensate in funzione del mancato successo riscosso dalla originaria legge regionale che avrebbe dovuto esercitare un forte rilancio dell’edilizia. La norma invece si è scontrata con una serie di vincoli che hanno disincentivato i privati dall’intraprendere gli investimenti per l’ampliamento o la riqualificazione delle proprie abitazioni e, vista la scarsa applicazione della L.R. n.21/2009, si è reso necessario rimodulare la previsione originaria emanando la L.R. n. 10/2011 che ha incisivamente integrato e modificato la vecchia norma, dando vita ad un Nuovo Piano Casa regionale. Le attività edilizie promosse dalla legge in materia di ampliamenti, cambi di destinazione d’uso, demolizioni e ricostruzioni, possono appieno definirsi come attività di ri-
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qualificazione e miglioria del patrimonio esistente tramite una regolamentazione precisa e completa in termini estetici, urbanistici, di salvaguardia e sicurezza, nonché di miglioria in termini funzionali e prestazionali di vivibilità e risparmio energetico. Il Piano Casa, in questo senso, può non essere considerato una legge urbanistica bensì un'occasione che viene data ai cittadini, entro il 31.01.2015, per apportare modifiche migliorative ai propri beni immobili. La legge si applica a tutti gli edifici realizzati legittimamente , a quelli non ultimati ma che abbiano ricevuto il titolo abilitativo edilizio (o lo ottengano entro il 2015) ed a quelli situati in aree vincolate purché si acquisisca il nulla osta. Le possibilità di intervento sono: - recupero e riutilizzo di volumetrie e superfici edilizie sottoutilizzate o abbandonate; - ampliamento fino 20% del volume esistente, fino ad un massimo di 70 mq (25% - 500 mq se non residenzia-
le) di superficie per gli edifici residenziali uni-plurifamiliari. Le suddette percentuali sono incrementate di un ulteriore 10% ove si utilizzino tecnologie con potenza non inferiore ad 1 Kw di energia rinnovabile; - demolizione e ricostruzione di edifici residenziali e produttivi, con bonus volumetrico sino al 35% del volume preesistente, aumentabile al 60% per edifici plurifamiliari con superficie maggiore di 500 mq; - cambio di destinazione d’uso da non residenziale a residenziale. Negli ultimi tempi l'attenzione si è concentrata soprattutto sugli interventi di ampliamento degli edifici abitativi. In realtà, la possibilità di riqualificare il patrimonio edilizio italiano è legata soprattutto agli interventi di demolizione e ricostruzione. Un esempio di questa applicazione è l’intervento che lo Studio sta realizzando nel Comune di Formello. Il progetto riguarda un fabbricato esistente regolarizzato con Concessione Edilizia in sanatoria ed attual-
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mente in pessimo stato di conservazione. A causa della fatiscenza della struttura, l’intervento verrà eseguito tramite una demolizione e ricostruzione totale dell’edificio esistente per adempiere al meglio alla normativa antisismica e sfruttare integralmente il bonus di ampliamento: incremento del 25 % della cubatura più un ulteriore 10% per l’utilizzo di energia solare. L’aspetto globale del fabbricato verrà completamente trasformato, poiché oltre al diverso tipo di sistema murario verranno ampliati i portici esterni e le coperture saranno caratterizzate da un sistema di travi lignee a capriata e da un green roof. La residenza così concepita è sagomata in un unico corpo principale caratterizzata da aggetti leggeri costituiti da strutture in acciaio e vetro. La costruzione si raccorda al suolo con un elegante sistema di muri, realizzati con pietra cavata sul posto e con pergolati che servono a soggiornare all’aperto. I fronti sono in pietra e legno e presentano inserti in calcestruzzo battuto, con un'anima in cemento armato, a incorniciare le nuove aperture del piano terra. Il progetto, oltre a cogliere le necessità dei proprietari, tende a trasformare la costruzione come un elemento da vivere anche nel tempo libero: le ampie finestre scorrevoli, che chiudono gli ambienti, suggeriscono infatti l’idea di un unico spazio indoor/outdoor che prosegue senza interruzione verso i giardini esterni. Anche la vegetazione presente sulla copertura influisce positivamente sulla qualità abitativa, infatti
Sagoma esistente
Applicazione dell’ampliamento e variazione della sagoma
Sagoma di progetto
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oltre al vantaggio estetico-psicologico che si trae dal verde pensile sussistono vantaggi funzionali come ad esempio la riduzione dell’inquinamento sonoro, l’assorbimento dell’elettrosmog e la mitigazione del microclima. Si è prestata particolare attenzione all’orientamento delle sale e delle finestre rispetto all’andamento del sole, alla morfologia ed alle condizioni idrogeologiche del terreno, e persino alla componente vegetativa per poter raggiungere il calore natu-
rale. Lo scopo primario non è quello di creare una casa bella, ma una casa in cui sia bello vivere! Da un punto di vista distributivo, la residenza è articolata in due abitazioni distinte su doppio livello. L'ingresso è al piano terra, caratterizzato da un ambiente unico scandito dalla successione di travi in legno lamellare, in cui si affaccia la cucina, con servizio annesso, ed il soggiorno disposti intorno al blocco delle scale e del focolare. La zona notte, anch’essa allo stesso livello, è costituita
da due camere con cabina armadio, e due servizi igienici. Nel piano inferiore trovano collocazione gli ambienti tecnici e di servizio, oltre ai garage ed alla sala hobby con accesso diretto nel verde. Il salone è il fulcro del progetto e si identifica come punto di congiunzione fra lo spazio interno e quello esterno grazie alle ampie vetrate che si affacciano nelle aree porticate. La cucina è open space direttamente collegata all’ area living e contraddistinta dalla presenza di un importante camino. L’interior è fluido, casual, prevalentemente monocromatico e non richiede un’abbondanza di mobili ed accessori per risultare confortevole ed invitante.
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fisco
Alcune novità fiscali e conferme per il 2012 di Antonia Coppola Dottore Commercialista in Roma
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n questo periodo abbiamo assistito ad una copioso produzione normativa, peraltro quasi quotidiana, ed è francamente un pò difficile per il cittadino seguire tutte le novità e comprendere se queste abbiano o meno un impatto diretto sulla propria fiscalità, anche se i giornali, quotidiani o periodici che siano, sono molto attenti al … fisco che cambia. Proviamo quindi a meditare su alcune novità fiscali e su norme che, in passato reiterate di anno in anno, vanno adesso a regime.
IMU Nello scorso numero di pontemilvio è stata analizzata l’imposta municipale unica in vigore dal 2012. Molti sono i chiarimenti a tutt’oggi forniti ma restano ancora diverse problematiche applicative e necessità di chiarimenti. E’ stato confermato che l’imposta dovrà essere versata in due rate con modello F24 ma con indicazione separata della quota di IMU destinata al Comune e di quella destinata alla finanza statale. Il gettito derivante dall’abitazione principale, dalle relative pertinenze e dai fabbricati rurali è di esclusiva competenza del Comune, mentre quello originato dagli altri immobili spetta per la metà allo Stato. Come diretta conseguenza, le detrazioni e le eventuali riduzioni o agevolazioni decise dai Comuni potranno riguardare solo l’abitazione principale e le pertinenze, mentre la quota dello Stato non potrà essere inferiore allo 0,38% (il 50% dell’aliquota base pari allo 0,76%) dell’IMU dovuta sugli “altri” immobili. E’ stato anche stabilito che l’IMU sarà applicata anche agli istituti religiosi che pongono in essere attività commerciali, escludendo così “quelle scuole che svolgono attività secondo modalità non commerciali”, come ha riferito lo stesso Premier, e secondo modalità che dovranno identificare i dettagli su cui basare le esenzioni. Il
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Presidente Monti ha infatti rappresentato come le esenzioni saranno riconosciute a quelle scuole che svolgano un servizio di attività paritaria scolastica assimilabile a quella statale sotto il profilo dei programmi, dell'accoglienza di alunni disabili, che siano aperte a tutti i cittadini alle medesime condizioni, che applichino rette determinate su basi non lucrative. DETRAZIONE DL 36% SUI LAVORI DI RISTRUTTURAZIONE Dopo quasi tredici anni dalla sua prima introduzione, la detrazione del 36% sulle spese sostenute per gli interventi del patrimonio edilizio entra di diritto ed a regime nel nuovo articolo 16-bis del TUIR (finora la norma veniva reiterata di anno in anno talvolta anche con qualche variazione). Si ricorda che tale detrazione prevede la possibilità per coloro che detengono (ad esempio in locazione o in comodato) o possiedono (in proprietà, usufrutto, diritto di abitazione) un immobile di detrarre dall’Irpef in rate annuali costanti le spese sostenute per eseguire interventi di manutenzione ordinaria su parti condominiali comuni, di manutenzione straordinaria, di restauro o risanamento conservativo o per realizzare box pertinenziali. Sono agevolabili altresì le spese per adeguare gli impianti alle norme di legge, per conseguire risparmi energetici (in tal caso l’aliquota di detrazione fino al 31.12.2012 resta al 55%, per allinearsi al 36% a partire dal 1 gennaio 2013), per eliminare le barriere architettoniche, per prevenire atti illeciti da parte dei terzi o per bonificare gli edifici dall’amianto. L’importo massimo agevolabile è di 48.000 euro per unità immobiliare da ripartire in 10 quote costanti (sembra allo stato non confermata la possibilità - in vigore fino al 2011 e concessa a soggetti che avessero compiuto i 75 anni o gli 80 anni - di ripartire le spese rispettivamente in 5 o in 3 quote). Nell’ambito delle semplificazioni è
stato confermato come non sia più necessario inviare al Centro Operativo di Pescara la comunicazione preventiva prima dell’inizio dei lavori, ma restano confermati gli obblighi di pagamento esclusivamente tramite bonifico bancario o postale e l’applicazione della ritenuta del 4% (così ridotta rispetto all’originario 10%) a cura dell’intermediario attraverso il quale si dispone il bonifico in favore della ditta che esegue i lavori.
intervista
Giorgio Sermoneta Dal 1964 è un punto di riferimento del made in Italy. di Barbara Crimaudo un paio persino nella tomba di Tutankhamon. Guanto che vai, cliente che trovi: a ognuno il suo vizio, a ognuno il suo sfizio. Ai tempi delle invasioni barbariche erano pressappoco dei sacchetti legati ai polsi; nel IV secolo ci fu il primo boom; mentre a partire dal IX secolo anche le donne cominciarono a farne uso indossandoli il giorno del matrimonio. Nel Medioevo i guanti erano un simbolo per la nobiltà, la cavalleria, il clero; e proprio in questo periodo nasce l’espressione “lanciare il guanto di sfida”, una sfida raccolta oggi da Giorgio Sermoneta che, sulla scia dei grandi artigiani francesi dell’Ottocento creatori della professione, nel 1964 apre la sua prima boutique di guanti in piazza di Spagna. Dalle foto di repertorio del negozio in bianco e nero che ancora oggi conserva l’insegna dell’epoca, e fino alla contemporanea vetrina colorata e camaleontica che caratterizza una tra le più belle piazze di Roma, l’artigiano si racconta. Una storia che dal nulla viaggia in tutto il mondo.
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li uomini nascono tutti uguali, diceva Rousseau, ma poi crescono, vivono e lavorano in modo molto diverso. Non sappiamo quanto Giorgio Sermoneta sia illuminista, ma di sicuro la sua storia attraverso mezzo secolo di moda, fascino, lusso, invenzioni e mille altre variegate attività, ha preso per mano (è proprio il caso di dirlo, come vedremo tra un attimo…) il made in Italy e l’ha lanciato nel mondo.
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Alcuni dicono che… Un giorno Venere mentre correva tra i boschi dell’Olimpo cadde posando le mani su un cespuglio di rovi e si graffiò: le Grazie accorsero in aiuto della dea cucendole delle sottili bende attorno alle dita e così la guarigione avvenne più in fretta. Anche Omero nell’Odissea e Marco Terenzio Marrone nel De re rustica citano l’uso dei guanti in età antica per ripararsi dal freddo e fare lavori manuali. Per il popolo egizio, invece, i guanti erano un simbolo di prestigio con valenza simbolica e liturgica, e quindi non deve meravigliare che ne venne trovato
Una curiosità: ma lei quanti anni ha? La sua data di nascita sembra un mistero ben custodito... “È vero, tutti mi conoscono come Giorgio Sermoneta ma all’anagrafe sono Pacifico Sermoneta e quindi su internet le informazioni si mischiano. La storia è curiosa e parte dal fatto che nella tradizione ebraica il primo nipote maschio eredita sempre il nome del nonno, e quindi i miei genitori mi chiamarono Pacifico... Era tempo di guerra e avevo un mese di vita quando una mattina bussarono alla porta i nazisti armati di mitragliatori. Mia madre, donna bionda e con occhi azzurri, aprì mentre mi teneva in braccio, i soldati furono colpiti dai miei tratti ariani identici a quelli di mia mamma e chiesero il nome di questo bimbo così bello. Lei, spaventatissima, non riuscì a parlare, per fortuna intervenne mia zia che disse: “Giorgio, si chiama Giorgio”. Tranquillizzati, i tedeschi se ne andarono dicendo solo: “Complimenti, bellissimo bambino”. Da allora, per molti sono Giorgio. Pensi che ancora oggi quando spedisco inviti o auguri
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devo ricordarmi di firmare a seconda dei destinatari con l’uno o con l’altro nome”. Che storia… E poi da grande? Come è iniziata la passione per i guanti? “Io e mio fratello siamo cresciuti con valori solidi e i nostri genitori sono stati severi e amorevoli allo stesso tempo. Dopo la maturità classica, visto che ero piuttosto vivace, mio padre per farmi crescere mi mandò a fare il militare e lì il destino ha voluto che io diventassi uomo davvero in fretta perché proprio in quel periodo ho incontrato la donna che poco dopo sarebbe diventata mia moglie. Poi, sa, una strada uno la deve pur prendere... La mia famiglia è sempre stata nel commercio e così un giorno mio padre mi convocò per propormi di aprire un negozio che aveva trovato a piazza di Spagna. S’immagini il mio stupore, a 21 anni cosa potevo vendere? Per fortuna anche quella di mia moglie era una famiglia di commercianti di successo e così, con molto coraggio, ci venne in testa l’idea
di aprire una boutique di guanti artigianali. Così nel 1964, aiutato da mia moglie, mettemmo in piedi il negozio. All’inizio in piazza di Spagna mi sentivo come un oggetto estraneo tra mostri sacri, ero circondato da grandi firme, nomi tipo Anticoli, Perrone, Merola, Catello D’Auria, figuratevi… Ogni giorno vedevo passare la gente con buste e pacchi degli altri negozi e insomma l’inizio non è stato facile... Ma pian piano abbiamo cominciato ad avere la nostra clientela che, soddisfatta, ha pubblicizzato la qualità, l’individualità dei nostri guanti di ogni colore o materiale e adatti a ogni esigenza e occasione, soprattutto abbiamo iniziato a vendere accessori che rispecchiavano la personalità delle persone. Ricordo ancora i primi tempi, quando per prendere confidenza con il pubblico lavoravo nei negozi di famiglia, un po’ nella camiceria di Via Piave e un po’ in quello di calzature di Piazza Vittorio. Passavo da un posto all’altro senza stancarmi, era tutta un’avventurosa emozione”.
Dal 1964 a oggi com’è cambiata la clientela? “Dall’apertura, il mercato è stato rallentato dal ‘75 al ’77; erano gli anni in cui le donne indossavano molti anelli e per mostrarli non li coprivano mai con i guanti. Poi c’è stata la ripresa e ora la maggior parte della clientela è straniera: c’è la signora che cerca un oggetto di qualità da acquistare in anticipo per la stagione che verrà, o il vacanziere che vuole tornare a casa con un regalo made in Italy che non sia troppo ingombrante e trasmetta allo stesso tempo il lusso della creatività italiana”. Quanto tempo occorre per produrre un paio di guanti Sermoneta? E come sceglie i pellami? “Per la realizzazione di un paio di guanti occorrono 28 fasi di lavorazione, oltre all’abilità e alla precisione di almeno dieci artigiani che creano carta-modelli e poi tagliano e confezionano la pelle. Scegliamo i migliori pellami del mondo e andiamo a scovarli in ogni
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angolo del mondo; dallo Yemen ed Etiopia per il capretto; dal Nord e Sud America per il cervo, il peckary e il cinghiale; Africa per il coccodrillo; Australia per lo struzzo; Inghilterra per i merinos”. Ha aperto decine di boutique, Milano, Venezia, Firenze, Vienna, New York, Chicago, Londra, Mosca, Toronto, Boston, oltre ai 53 punti vendita in Giappone, ed oggi la sua è un’azienda leader e ricercata nel campo della pelletteria. Ma qual è il suo negozio “del cuore” e quali sono le prossime aperture? “Il primo amore non si scorda mai, quindi dico Roma. Milano però è “il negozio”, la vetrina del marchio Sermoneta nel mondo, e poi c’è New York. Al momento stiamo per aprire un nuovo negozio in Giappone, a Ginza, nel centro di Tokyo, mentre a Parigi abbiamo già individuato la location a Rue Saint Honorè. Siamo felici”. E poi? “Vede, la produzione è tutta made in Italy e il vero problema sta nel reperire gli artigiani. È difficile trovare nuove leve che vogliano intraprendere questo mestiere, i nostri laboratori sono tutti nella zona del napoletano dove la tradizione guantaia è stata importata nell’Ottocento dai francesi. Io sono come il fruttivendolo che gestisce il suo negozio e se una vetrina non è perfetta può star certa che io la sistemerò da solo. Ogni dettaglio è curato nei minimi
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particolari, in questo settore ci distingue la qualità e allora per filosofia aziendale la qualità non deve mai venire meno”. In tutti questi anni passati a gestire il business è riuscito a trovare un po’ di tempo per lei? “Mah, guardi… Ho fatto una scelta quando ho aperto il negozio, mi sono sposato, poi sono arrivati i miei splendidi figli, sono nonno di cinque nipoti e non ho potuto terminare gli studi universitari. Durante gli anni Ottanta mi sono fermato un momento, soprattutto volevo spiegare a mio figlio l’importanza di frequentare l’università. Così mi sono iscritto a un corso speciale ad Harvard, studiavo in Italia e con scadenze accademiche andavo poi in America, al college, per esporre le materie. Sono stato il primo del mio corso e la soddisfazione più grande è stata il giorno della laurea perché in prima fila c’era mio figlio”. Quante mani sono passate in boutique, immagino anche con richieste fantasiose… E quale personaggio vorrebbe vedere con le sue creazioni? “Ah, come si dice in questi casi ho visto di tutto, dal pasticciere della famiglia Kennedy, in vacanza, che acquistò guanti per tutta la famiglia presidenziale, a Henry Fonda, ad Audrey Hepburn e anche Esther Williams, (ancora ricordo che mi pagò con un travel cheque da 1000 dollari), e poi ambasciatori, ministri… Un
po’ di tempo fa sono stato a New York a trovare mio figlio e nella boutique in Madison Avenue ho incontrato la direttrice di Vanity Fair. Fuori dal negozio c’era una signora tutta intenta a fumare il suo sigaro. Beh, appena uscito mi ferma chiedendomi se potevo confezionarle dei guanti che suo papà indossava quando era piccola. Sono riuscito grazie alla descrizione a riprodurli e solo dopo ho scoperto di aver realizzato una creazione su misura per Annie Leibovitz, che ancora oggi mi ringrazia. Ora sarebbe un onore vedere Barbra Streisand indossare un paio dei nostri guanti, ma chissà se resterà un sogno, io sono un ottimista della vita”. Il 15 dicembre ha ricevuto la Lupa Capitolina per aver trasformato un accessorio in simbolo di eleganza e stile made in Italy, e per averlo portato in tutto il mondo. Cosa le è rimasto dentro d quel giorno? “Le confesso, è stato un momento di grande emozione vissuto intensamente e circondato dall’affetto della mia famiglia, il team vincente della mia vita. Allo stesso tempo, purtroppo, ho sentito la mancanza dei miei genitori, avrei voluto averli accanto per dargli la soddisfazione e l’emozione dell’uomo che sono diventato grazie a loro, all’educazione e all’affetto che mi hanno dato”.
…Giorgio, da lassù qualcuno la guarda.
Roma news
Progetto Karl Jenkins The Armed Man-A Mass for Peace L’anelito della pace Il 15 aprile 2012, alle ore 19:00, presso la Basilica di San Paolo Fuori Le Mura a Roma, Piazzale San Paolo, 1 si terrà il concerto dedicato alla musica e alle opere del compositore Karl Jenkins. La manifestazione, che ha ricevuto MEDAGLIA DI RAPPRESENTANZA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, è organizzato dall’Associazione Culturale ”Cantores Laetitiae” – Gruppo Vocale Cristallo con lo scopo di promuovere e far conoscere opere di autori contemporanei. Un’orchestra formata da 38 elementi, 160 coristi, 70 voci bianche, 7 direttori d’orchestra e con la partecipazione straordinaria del Mezzosoprano Chiara Chialli, accompagnerà il pubblico, attraverso la musica, nel cammino di ricerca spirituale compiuto dal compositore il cui fine è l’espressione dell’anelito cristiano di pace e unità fra i popoli.
Segreteria organizzativa e ufficio stampa: InventaEventi
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medicina estetica
La “microliposcultura” nel trattamento delle adiposità localizzate Dott. Giorgio Persichetti Master di II° livello in Medicina Estetica Università degli Studi di Roma “ Tor Vergata”
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a liposcultura, meglio conosciuta col termine liposuzione, e’ una tecnica chirurgica, studiata e perfezionata dal dott. Giorgio Fischer, che consente di ridurre il grasso in eccesso, attraverso una suzione dello stesso, per riarmonizzare la silhouette del
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corpo. Tale metodica è effettuata utilizzando un aspiratore chirurgico corredato di cannule che hanno un diametro esterno che va da un minimo di 4-5-6 mm fino ad un massimo di 1 cm. La liposcultura richiede da parte dell'operatore un'attenta analisi della zona da trattare per stabilire il giusto quantitativo di grasso da rimuo-
vere e questo rappresenta la reale difficoltà di tale metodica che solo l'esperienza professionale rende apparentemente semplice. E' una tecnica che può risultare traumatica, non priva di rischi e complicanze quali embolie, sieromi ,ematomi e necrosi. In alcuni casi dopo l'intervento si è verificato di osservare dei veri e pro-
medicina estetica
pri inestetismi della silhouette provocati da un inappropriato utilizzo delle cannule, che determinano dei veri e propri tunnel ed anche da una disordinata rimozione del tessuto adiposo in eccesso. Nel 1985 il Prof. dott. Pierre Fournier, modificò e migliorò la tecnica, sostituendo l'aspiratore con la siringa; tale utilizzo consentì di ridurre al minimo il traumatismo tissutale e le complicanze, come sieromi ed ematomi. Altro punto di forza innovativo e’ rappresentato dall' anestesia locale cosiddetta tumescente, tecnica formulata dal dott. Klain che oltre a favorire la riduzione delle complicanze sopramenzionate, consente di abbattere i rischi delle complicanze gravi quali embolia e necrosi. In letteratura non vengono menzionati casi di embolia da quando viene effettuata la liposcultura con siringa in anestesia locale tumescente. Il grasso che viene prelevato con la siringa, può essere reimpiantato sullo stesso paziente, per correggere o per aumentare il volume nella zona in cui il tessuto adiposo risulti carente. Tutto ciò ( la tecnica è conosciuta come lipofilling) può avvenire perché il tessuto adiposo aspirato non viene danneggiato mentre il grasso prelevato con l’aspiratore chirurgico, può essere solo “gettato via” proprio per i traumatismi subiti. In questa tecnica la siringa utilizzata e’ da 60cc e ad essa possono essere innestate cannule di dimensioni più piccole rispetto a quelle utilizzate solitamente nella liposuzione tradizionale. Esse hanno un diametro esterno massimo di 5 mm e una lunghezza pari a 23 cm e sono conosciute col nome di cannule tulipe e siringhe toomey. La potenza di aspirazione di una siringa e’di una atmosfera quando e' vuota, ma diminuisce drasticamente nel momento in cui si riempie, mentre i movimenti della cannula effettuati in ambiente acquoso, per via dell’anestesia locale tumescente che prevede l’infiltrazione di molto liquido, in alcuni casi pari al triplo del volume adiposo calcolato, arrivano sul tessuto stesso depotenziati. Questa tecnica fu ideata dal Prof. dott. Fournier proprio per dare una svolta nel trattamento delle adiposita’ localizzate che non doveva solo essere finalizzato a rimuovere il grasso in eccesso, ma a rimodellare veramente la silhouette corporea. Infatti, utilizzando una siringa come aspiratore e cannule di piccole dimensioni, il tutto sempre in aneste-
sia locale tumescente, permette, oltre a ridurre significativamente il trauma tissutale, il sanguinamento e le complicanze descritte nella liposuzione tradizionale, che l’operatore disponga di una maneggevolezza ben diversa rispetto a quella che offre una cannula innestata sul tubo di un aspiratore chirurgico, che aspi-
rando in continuo può creare traumatismi non ponderabili. La siringa, non essendo in aspirazione continua, offre al chirurgo l'opportunità di fermarsi per evitare il danno, mentre pensa a perfezionare il suo operato, nello stesso modo in cui fa uno scultore con la sua opera anzi, con la sua creatura!!!!!!
intervista
La microliposcultura contro gli inestetismi Intervista al Dott. Persichetti
P
erche’ la maggior parte dei chirurghi non utilizza la tecnica con siringa in anestesia locale tumescente ? La difficoltà maggiore è rappresentata dalla "tumescenza" creata dall'infiltrazione dell'anestesia locale, di conseguenza l’adiposita’ localizzata viene letteralmente gonfiata, sovvertendo i riferimenti e quindi l’operatore, se non ha acquisito una buona manualità, presenta una reale difficoltà ad approcciarsi a tale metodica. Proprio per tale motivo molti chirurghi preferiscono operare in anestesia generale senza infiltrazione locale, altri si con infiltrazione locale, ma non tumescente, proprio per evitare di alterare la zona da trattare. Un'ulteriore difficoltà è rappresentata dall'aspirazione “a mano” effettuata con la siringa che risulta soprattutto per l'operatore più faticosa e lunga.
Che differenza c’e’ tra la liposuzione tradizionale e la microliposcultura? La priorità assoluta è rappresentata dall'utilizzo della siringa in sostituzione all'aspiratore, l'intervento si effettua sempre in anestesia locale tumescente, ma con tale tecnica, la siringa normalmente utilizzata da 60 cc, viene sostituita con un “set” di siringhe da 20 cc max a 2,5-5 cc min, mentre le cannule diventano “microcannule”, cono luer-lock di 1,6-2- 3 mm di diam est. e 7-10 cm di lunghezza. Cosa comporta l’utilizzo di piccole siringhe e microcannule, non e’ sempre una liposuzione? Si, certo, l’obiettivo e’ sempre quello di rimuovere il tessuto adiposo in eccesso, ma l’utilizzo di piccole siringhe e di microcannule consente una ma-
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neggevolezza maggiore ed assoluta e permette inoltre di limitare sensibilmente il trauma tissutale. Per questo la possiamo definire liposcultura, per la concreta possibilita’ di ridurre l’adiposita’ localizzata "scolpendo" e riarmonizzando la silhouette corporea. E’ necessario effettuare l’intervento in clinica ? L’intervento essendo mini invasivo puo’essere effettuato anche in regime ambulatoriale, come avviene per qualsiasi metodica non chirurgica, a differenza della liposuzione tradizionale, che deve essere necessariamente effettuata in strutture idonee che possano prevedere anche la dgenza. Come avviene l’intervento? In prima istanza si analizza attentamente la figura della paziente, si individuano le zone da trattare e deciso come procedere, si mappano le aree che saranno sottoposte alla suzione con una matita dermografica, che risulta essere indelebile, indicando, con la mappatura stessa, il quantitativo di grasso da aspirare, quindi si infiltra con la soluzione anestetica utilizzando piccoli aghi e successivamente si inserisce la microcannula nell’adiposità attraverso un piccolo foro effettuato con un ago 14G. A questo punto si eseguono dei movimenti a ventaglio di va’ e vieni riducendo il tessuto adiposo in eccesso e rimodellando così la zona trattata. E’ un intervento che risulta essere doloroso ? No, l’intervento, nella maggior parte dei casi, non e’doloroso, soprattutto dal momento in cui si esegue una buona anestesia locale tumescente. Nella mia esperienza ho potuto constatare che la paziente puo’ essere trattata con tranquillita’ con fastidi piu’ o meno sovrapponibili a meto-
diche non chirurgiche come la cavitazione o l’emulsiolipolisi e paradossalmente con fastidi inferiori alla carbossiterapia. Certo molto dipende dalla soglia di dolorabilità della paziente!!! Ci possono essere complicanze? La liposcultura con siringa sec. Fournier e quindi la microliposcultura sono interventi che presentano una soglia di rischio molto bassa, basti pensare che in letteratura non si registrano casi di complicanze gravi come l’embolia, mentre le complicanze come sieromi ed ematomi sono ridotti praticamente al minimo. Le infezioni? Nella mia esperienza, ormai più che ventennale, non si sono mai presentate e questo è dovuto soprattutto dall'operare nelle condizioni di massima sterilità, proprio per evitare e prevenire determinati rischi. Mentre nei casi in cui si è verificata la necrosi e la ptosi del tessuto operato, la causa e’imputabile, principalmente, a due motivi : A) intervento di liposuzione con aspiratore che può, raramente, deteminare un trauma tissutale importante; B) una non idonea valutazione da parte dell'operatore nella fase di scollamento. Ci sono pazienti che dopo l'intervento hanno presentato dei difetti di superficie e degli avvallamenti che rientrano il più delle volte tra le cause elencate al punto A e B. Nella compilazione del consenso informato per motivi medico-legali è quindi opportuno descrivere dettagliatamente tutte le possibili complicanze, anche quelle non ponderabili se la tecnica venisse effettuata in maniera idonea. E’ vero che il grasso asportato puo’ riformarsi? No, non e’vero, il tessuto adiposo rimosso non tende a riformarsi e quindi i risultati di riduzione e riarmonizzazione della silhouette corporea, salvo rari casi, sono definitivi. Quali aree anatomiche si possono trattare con la microliposcultura? L’intervento e’ dedicato al trattamento di tutte le aree anatomiche che presentano delle adiposità loca-
lizzate come: interno ginocchio, caviglia, regione trocanterica (culottes de cheval), fianchi, interno coscia, addome, doppio mento, dorso. Mentre le aree anatomiche che risultano essere più estese come l’addome, sia superiore che inferiore, che vengono trattate in un' unica seduta, necessitano dell'utilizzo della siringa da 60 cc, le cannule da 4 mm x 23 cm di lunghezza e l'intervento deve essere effettuato rigorosamente in sedazione e in sala operatoria. Quanti giorni di immobilita’ sono necessari dopo l’intervento? In realtà nessuno, la paziente puo’ tornare a casa autonomamente e svolgere normalmente le sue attività quotidiane e lavorative. L’unica accortezza e’ quella di portare un bendaggio in tensoplast, effettuato dall'operatore, che verrà rimosso dopo 5 o 6 giorni. Tolto il bendaggio, la
paziente indossera’ delle calze 18 mmHg, specifiche per il post-intervento di microliposcultura (ginocchio, interno coscia, culottes de cheval, caviglie e fianchi), per circa sei settimane. E’ opportuno seguire delle indicazioni particolari? Si, e’ opportuno assumere un antibiotico ad ampio spettro, Vit C e seguire un regime alimentare ricco di frutta e di verdura. E’possibile fare attivita’ fisica dopo l’intervento? Sarà possibile riprendere a svolgere attività fisica-sportiva, trascorso un mese dall'intervento. L’intervento necessita di più sedute? No, e’sufficiente una seduta, ma esiste l'eventualità di dover effettuare dei piccoli ritocchi, non prima che siano trascorsi sei mesi dall'intervento.
Gli ambulatori di medicina estetica (Master Univer- sitario di II livello Università degli Studi di Roma Tor Vergata) si svolgono il sabato dalle 8.00 alle 14.00 circa presso la clinica Sanatrix (via di Trasone, 61 tel 06 86321981). www.esteticamedicina.net
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Il professore e il suo gioiello l’azienda agricola irpina Quintodecimo di Ursula Prügger AIS Sommelier Masterclass www.ulimengo.it
È
un freddo sabato di gennaio, ancora senza la neve che sarebbe arrivata dopo qualche settimana, quando partiamo da Roma per andare a trovare Laura Di Marzio e Luigi Moio nella loro splendida tenuta a Mirabella Eclano, terra d’Irpinia nel cuore del Taurasi Docg (Denominazione di Origine controllata e garantita) al confine col Sannio. A Quintodecimo ci si arriva facilmente, pochi chilometri dopo l’uscita di Benevento dell’autostrada A16 in direzione Taurasi e Mirabella Eclano. Ci accoglie Laura e subito dopo arriva il professore. Luigi Moio è uno dei più importanti esponenti della viticoltura campana, italiana e internazionale. In Campania ha cambiato il mondo del vino e raccolto risultati notevoli. Ancora oggi collabora come consulente in aziende importanti come la Cantina del Taburno, le Cantine Antonio Caggiano, Furore di Marisa Cuomo, le Terre del Principe e l’azienda Moio del padre Michele dove tutto cominciò. Quintodecimo è il nuovo progetto di vita di Luigi Moio e Laura Di Marzio, “è il mio sogno, uno sfizio, rappresenta la libertà totale di fare quello che mi passa per la testa. Impagabile!” racconta con entusiasmo. Consideriamo un privilegio conosce-
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Foto messe a disposizione dall’Azienda Quintodecimo
re da vicino Luigi Moio e poter approfondire il tema della viticoltura di qualità in Campania, la storia della sua vita, della sua vigna e dei suoi vini.
settore dell’industria agraria nel comparto lattiero caseario. La tesi del suo dottorato aveva per argomento gli odori e gli aromi degli alimenti.
L’inizio Moio nasce a Mondragone nel 1960 in una famiglia di viticoltori da quattro generazioni. L’azienda del padre fu fondata nel 1880, casa e azienda erano tutt’uno. Già all’età di otto anni Luigi viene coinvolto insieme ai fratelli in cantina. Non potrà mai dimenticare il fantastico profumo sprigionato dal vino rosso durante il trasferimento da una botte all’altra. Alle volte, però, ha anche sofferto quando gli amici stavano al mare e lui non poter raggiungerli. Quegli anni rappresentano per lui la prima grande scuola. La voglia di studiare lo porta alla Scuola Enologica di Avellino. A tredici anni va via, a scuola e poi all’università. Scappa dall’azienda del padre. “Il mio gioco preferito era studiare” … fare di tutto nella vita tranne quello che faceva il padre; il papà, invece, sognava un figlio enologo. Luigi dopo la Scuola Enologica sceglie la storica Facoltà di Agraria di Portici dove si laurea in Scienza Agrarie. Si appassiona alla ricerca scientifica, segue un dottorato in biochimica e prosegue con la carriera universitaria. Le sue ricerche si concentrano lontano dal vino nel
L’esperienza francese e il ritorno in Italia Per completare il suo dottorato di ricerca in chimica e tecnologia del latte e dei derivati lattiero-caseari si trasferisce nel 1990 a Digione, in Borgogna. Al Centre de recherches sur les Arômes dell’Institut National de La Recherche Agronomique si chiude in un laboratorio dalla mattina alla sera per un anno. Senza mettere mai piede sulla Côte d’Or, a due passi da Digione e meta di pellegrinaggio degli appassionati del vino di tutto il mondo. Però alla fine al vino si riavvicina proprio in Borgogna, lentamente, coinvolto dai colleghi ricercatori francesi. Così l’esperienza a Digione diventa fondamentale per il suo futuro. E’ proprio il concetto del vino francese dal punto di vista della produzione, del marketing, l’importanza che i francesi danno alla storia del loro vino, le loro appellations, la gerarchia di qualità e la particolare attenzione alla vigna, alla materia prima che convince ed affascina Luigi Moio. Tutto così diverso da quello che aveva visto in Italia e che aveva lasciato dietro le spalle. Lì in Francia esisteva proprio quello che aveva sognato!
Pur non volendo abbandonare il mondo della ricerca in Francia, dopo cinque anni torna in Italia e comincia ad occuparsi di viticoltura e di enologia in Campania facendo delle ricerche sulla chimica dei profumi del vino e dopo poco lavora come professore ordinario di Enologia all’Università di Napoli. I suoi studi sulle potenzialità di alcuni vitigni tradizionali del Meridione hanno contribuito in modo decisivo alla loro riscoperta e valorizzazione. Tanti gli amici che cominciano a chiedergli consulenze. Moio ormai sente il bisogno di mettere in pratica le sue conoscenze scientifiche. “Mi piaceva mettere le mani sull’uva e vinificare”. Così nel 1994 inizia con Feudi di San Gregorio e sceglie delle aziende che secondo lui non sono in concorrenza tra di loro. Oggi Moio è considerato uno dei maggiori esperti italiani del settore. Alcuni esempi dei vini cult “creati” da lui sono il Taurasi Macchia dei Goti di Antonio Caggiano, il Fiorduva di Marisa Cuomo in Costa d’Amalfi, il Pietraincatenata di Luigi Maffini, il Bue Apis delle Cantine del Taburno, il Casavecchia e il Pallagrello delle Terre del Principe, l’Aglianico delle Cantine del Notaio in Vulture . Per Moio però“ è la carriera accademica la cosa più importante e bella della vita, insieme ai figli.” Si sente soprattutto un ricercatore “sempre curioso”.
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Quintodecimo E’ il 2001 quando Luigi Moio sente di nuovo il bisogno di cambiare e insieme alla moglie Laura si trasferisce da Napoli in campagna - a Mirabella Eclano in Irpinia - per dar vita alla
l’area. Così i tre vitigni bianchi storici, il Greco, il Fiano e la Falanghina si trovano in altri vigneti più lontani. Il professore è particolarmente legato alla Falangina, anche se il suo sogno è quello di produrre solo Taurasi. Gli
loro azienda. Che cosa significa Quintodecimo? Si tratta dell’antico nome di Mirabella Eclano, sede dell’azienda. Ai primi del VIII sec.d.C. l’area ospitava il casale Quintum Decimum, l’ultima sopravvivenza dell’antico Municipium Aeclanum. “Quintodecimo nasce qui, perchè qui c’è quello di cui avevo bisogno, così immaginavo un giorno la mia azienda”. Il professore non voleva essere proprietario dell’azienda e così lo sono i suoi figli. A lui basta la libertà di poter fare quello che vuole, senza nessun condizionamento. Il suo obbiettivo è “fare grandi vini, estremamente longevi”. Per Moio un grande vino è “ il frutto di tutto”, di tante piccole cose con la consapevolezza che ci vuole tempo per fare un grande vino. Il grande vino deve invecchiare lentamente. “La forza di un vino è la sua riconoscibilità e l’espressione del luogo di origine”, aggiunge ancora. Prima vengono piantati a circa cinquecento metri di quota la vigna con i filari di Aglianico e poi in seguito viene costruita in cima alla collina la cantina, pensata già trent’anni fa, e la casa-azienda. A Moio non serve l’architetto: “sono tutte bizzarrie mie.” Sceglie lì l’Aglianico, adatto al suolo e come espressione del territorio, il Taurasi. Le tre denominazioni di origine controllata della zona, Fiano di Avellino, Greco di Tufo e Taurasi non sono sovrapponibili nel-
ettari vitati con Aglianico sono circa sette, con l’obiettivo di arrivare a dieci e produrre solo vino rosso. “E’ ancora difficile portare avanti un’azienda campana solo con un vino rosso”, riflette. Oggi i suoi vini sono cinque: Terra d’Eclano Irpinia Aglianico Doc, Vigna Quintodecimo Taurasi Docg e i tre bianchi l’Exultet Fiano di Avellino Docg dal vigneto a Lapio, Via del Campo Falanghina Campania IGT, omaggio a Fabrizio De André, e il Gallo d’Arles Greco di Tufo Docg, ispirato dalla tonalità di giallo del pittore impressionista Vincent van Gogh.
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Oggi le bottiglie prodotte sono 12.000, anche se si potrebbe arrivare a 70.000. “Per fare vini grandi si deve far soffrire la pianta”, è convinto Moio, ch e colloca gran parte dei suoi vini in una fascia medio-alta del mercato dove vorrebbe arrivare tra qualche anno con circa 36.000 bottiglie. “I monaci facevano il vino ma non dovevano fare soldi” scherza, essendo comunque convinto che “i soldi sono una conseguenza di cose fatte bene.” E a Quintodecimo le cose si fanno benissimo. I vigneti sono “super biologici”, in un microepedoclima unico, tra cipressi, tigli, piante aromatiche, uccelli ed insetti, mai concimati, mai diserbati, pochi trattamenti all’anno. L’azienda partecipa al Progetto Europeo della Ricerca per la sostenibilità e ogni pianta è monitorata con sonde termiche fino a 2 metri sottoterra. “200 giorni di lavoro in vigna e 20-30 giorni in cantina”, spiega il professore, rinomato per il lavoro maniacale in vigna e per il rigore e le tecniche innovative in cantina. Quando scendiamo in cantina ci svela la sua filosofia della “vera cantina”, dove si abita e che deve stare sotto la casa”. Le tre ore insieme a Luigi Moio passano velocemente ascoltando i suoi racconti e degustando i suoi vini. Tra questi abbiamo l’onore di una assaggiare in eccezionale anteprima il Taurasi Riserva Vigna Quintodecimo 2007, il modello del suo vino che uscirà sul mercato nel prossimo aprile 2012. Salutiamo il professore con la speranza di avere presto l’occasione di incontrarlo nuovamente, magari per un’altra lezione sul vino … secondo lui “un misto di poesia e scienza”.
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Dopo il MAXXI ecco il “MICRO” All'interno della Torretta Valadier, simbolo del XX Municipio, è stato inaugurato uno spazio dedicato alla creatività artistica dei più piccoli. Il MICRO “gestito dall'Ufficio Cultura del XX Municipio” prosegue la vocazione culturale della Torretta di Ponte Milvio, antica porta d'ingresso all'urbe, conosciuta e amata non solo dagli abitanti del quartiere ma da tutti i romani. “All'interno della struttura si potranno svolgere corsi di fotografia e di pittura e ceramica per bambini e adulti. Saranno anche esposte mostre di pittura, dove l'immaginario dei più piccoli e la fantasia più elaborata degli adolescenti e degli studenti prossimi al diploma sarà messa alla prova. Tutti avranno modo di cimentarsi su soggetti a tema, spontanei ed estemporanei: disegno, pittura, acquarello, incisione e ceramica. Non mancheranno forme moderne d'arte applicata come ad esempio il designer o il glamour dei modelli di sartoria, rivelando vocazioni di stilisti in erba. L'ingresso al MICRO sarà gratuito così come il suo utilizzo. Gli alunni delle scuole potranno inviare
di A.S.
“L
a sala è veramente micro ma chissà... potrebbe essere in grado di accogliere le opere pittoriche di un futuro Claude Monet, il padre dell'impressionismo o di una Georgia O'Keeffe in erba!". È la fiera dichiarazione della Prof.ssa Sonia Costantini, Presidente della Commissione Pari Opportunità e Consigliere del XX Municipio, durante l'inaugurazione del MICRO “spazio espositivo di circa 20 metri quadri esclusivamente pensato per i giovanissimi” nel quale è stata presentata la mostra di disegni dei piccoli artisti della Capitale. All'inaugurazione avvenuta lo scorso 25 febbraio con il patrocinio di Zètema e dell'Assessorato alla Cultura di Roma Capitale, erano presenti, oltre a Sonia Costantini, l'Assessore alla Cultura Marco Peri-
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na, l’Assessore ai lavori pubblici Stefano Erbaggi, lo storico e critico dell'arte Claudio Strinati, il Sen. Cesare Cursi, la madrina del Micro Romana Sironi, Licia Colò, Milena Miconi, Maria Rita Parsi e alcune scolaresche straniere. Il locale situato al primo piano della torretta di Ponte Milvio, restaurato dall'architetto romano Valadier, vissuto a cavallo tra la fine del Settecento e la prima metà dell'Ottocento, raccoglie le grandi speranze artistiche dei bambini tra i 4 e i 16 anni. “L'idea di chiamare la sala espositiva MICRO, che sarà subito resa disponibile per i piccoli artisti delle scuole del XX Municipio e Roma Capitale, nasce non solo perché gli utenti da oggi in poi saranno i piccoli e gli adolescenti ma soprattutto dal fatto che di là del ponte si trova il MAXXI, il Polo Museale di arte contemporanea di via Guido Reni. Possiamo considerare il MICRO quindi come complementare del cugino MAXXI. Almeno questa è la nostra ambizione”.
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Nella foto: Marco Perina, Assessore Cultura e Sport e Vice-Presidente del XX Municipio, e Sonia Costantini Presidente della Commissione Pari Opportunità. una loro proposta espositiva e l'Ufficio Cultura del XX Municipio stabilirà un programma delle mostre e delle attività per dare a tutti il modo di mettersi in mostra”. È importante rilevare che la mozione pro MICRO è stata approvata dal Consiglio del XX Municipio lo scorso 19 dicembre dopo un lungo iter. “Ho presentato il progetto in Consiglio i primi di agosto del 2011 ma con mio grande disappunto non aveva incontrato i favori della maggioranza, che ha deciso di destinare il locale alla Polizia Municipale. Ai primi di ottobre è giunto il no grazie dal XX Gruppo, perché il locale non era stato ritenuto idoneo. Ho deciso quindi di riprovarci grazie anche ai tanti consensi pro MICRO raccolti nelle scuole tra gli studenti e i loro genitori. Infine con il sostegno di Marco Perina e Stefano Erbaggi, il progetto è stato approvato anche col voto favorevole dell'opposizione”. Abbiamo raccolto la dichiarazione
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Il senatore Cesare Cursi e Sonia Costantini consigliere del municipio XX di Roma capitale sono lieti di invitare la S.V. alla premiazione e alla mostra "i colori della Pasqua" 1 aprile 2012 ore 1130 presso il" Micro" Torretta Valadier (ponte Milvio) . Seguirà spettacolo delle meraviglie Andrea Farnetani comedy juggler. info: 347 9573 701
dell'Assessore alla Cultura Marco Perina: “Finora gli spazi espositivi della Torretta erano dedicati a mostre artistiche di diversi generi riservate solo agli adulti. Ora, con il Micro, aggiungiamo uno specifico spazio espositivo dedicato ai giovanissimi. Abbiamo recuperato e valorizzato un locale chiuso da anni in completo disfacimento, un piccolo spazio che è in una posizione assolutamente di pregio. Il primo spazio gratuito a Roma riservato esclusivamente ai piccoli artisti non solo degli Istituti scolastici ma anche delle tante scuole artistiche presenti nel territorio del XX Municipio. Il Micro sarà quindi aperto, nei limiti dello spazio, a qualsiasi tipo di attività culturale,
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tutti potranno avere il loro momento di gloria espositivo. L'unica condizione è l'età, ovviamente! C'è posto anche per il singolo bravissimo, futuro pittore di genio… l' infanzia correlata con il territorio e con l'arte. I locali interni della Torretta Valadier sono prossimi a lavori di restyling, ho richiesto, e ottenuto, un finanziamento specifico dal Campidoglio sia per i locali superiori sia per lo spazio riservato al Micro che si trova a livello strada sotto l'arco della celebre Torretta. Abbiamo anche in progetto di organizzare degli incontri di lettura didattica per l'infanzia che racconteranno i miti classici greci e romani e, comunque, siamo disponibili a valutare proposte, idee e iniziative,
che servano da sviluppo e da stimolo. Il calendario delle Micro attività, con tutte le iniziative e appuntamenti, sarà pubblicato sul sito del XX Municipio”. A Ponte Milvio, a due passi dal Ponte Mollo alle porte di Roma nei luoghi nei quali nel Seicento il pittore Nicolas Pouissin amava accogliere gli artisti provenienti da tutta Europa, nel terzo Millennio giovani talenti avranno modo di dimostrare la loro abilità e potenzialità di artisti alle prime armi. Il MICRO nel suo piccolo rappresenta un grande investimento sul futuro della nostra gioventù.
mostra
La stagione dell’Ottocento All'interno del Vittoriano ha riaperto con un nuovo percorso il Museo Centrale del Risorgimento. di Alessandra Stoppini
“H
o creduto di dover dare preferenza alla pietra che si estrae dalle cave di Botticino Mattina presso Rezzato. Trattandosi di calcare a massi assai compatto di forte resistenza, di tinta bellissima che si presta a qualsiasi più rifinita lavoratura che può aversi in massi di eccezionale misura”. È la frase pronunciata il 6 ottobre 1889 da Giuseppe Sacconi architetto progettista del Complesso del Vittoriano che accoglie i visitatori nel rinnovato Museo Centrale del Risorgimento ospitato all'interno del monumento dedicato a Vittorio Emanuele II che ha compiuto un secolo di vita il 4 giugno del 2011. Nell'ambito delle celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia il 1 giugno 2011 Giuliano Amato, Presidente del Comitato dei Garanti per le celebrazioni dei 150 anni
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dell’Unità d’Italia e Romano Ugolini, Presidente dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, hanno inaugurato il nuovo allestimento del Museo Centrale del Risorgimento di Roma. Il Museo è stato riaperto il giorno successivo all'inaugurazione con un nuovo percorso di visita che, attraverso dipinti, sculture, disegni, documenti, oggetti, fotografie, cimeli, armi, divise e bandiere, raccoglie in una veste rinnovata le testimonianze che si riferiscono al processo di unificazione dell’Italia dalla fine del XVIII secolo al termine del primo conflitto mondiale ritenuto come il naturale completamento dell’unità nazionale. “I 100 anni dell'Altare della Patria, una storia scritta nel marmo di Botticino” è il Vittoriano, un secolo dopo la sua creazione con i suoi 17.500 metri quadrati, 81 metri d'altezza per 120 di larghezza e al centro la statua equestre di Vittorio Emanuele II scolpita da Enrico Chiaridia. La genesi del Complesso ebbe inizio nel 1878 alla morte del Re Ga-
lantuomo primo sovrano dell'Italia unificata. Una legge ordinò l'esecuzione di un edificio che avrebbe dovuto riunire “tutte quelle bellezze che il grande soggetto deve ispirare” e “del Re Vittorio Emanuele dirà le gesta in una sintesi gloriosa”. Il Monumento inaugurato nel 1911 costò al suo progettista Sacconi vent'anni di lavoro dal 1885 fino al 1905, anno della sua prematura morte. Nel ventre del Vittoriano avrebbe dovuto collocarsi anche il Museo Centrale del Risorgimento, la cui prima idea nacque alla fine del XIX secolo con il proposito di illustrare i momenti e i protagonisti degli eventi storici che portarono all’Unità d’Italia. Furono pertanto raccolte una serie di testimonianze delle guerre d’indipendenza, comprendendo nel novero delle lotte per la libertà anche la Prima Guerra Mondiale considerata come il momento in cui si raggiunse il completamento dei confini naturali della penisola. Dal 4 novembre 1921 al centro della scalinata del Complesso Monumentale del Vitto-
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Veduta dell’abside della chiesa di San Pancrazio nel giugno del 1849 Metà XIX secolo Olio su tela Roma, Museo Centrale del Risorgimento
riano riposa la tomba del Milite Ignoto che contiene i resti di un militare sconosciuto morto nelle trincee della Grande Guerra, simbolo eterno di tutti i caduti in battaglia mai identificati. La grande statua della Dea Roma veglia la tomba. Per rinnovare il Museo Centrale del Risorgimento è servito un anno di lavoro comprendente la prima fase di studio e gli ultimi due mesi per la realizzazione pratica. Sono stati spesi circa 400 mila euro di finanziamenti mentre il progetto scientifico è di Marco Pizzo, Vicedirettore del Museo Centrale del Risorgimento di Roma. L’organizzazione generale e la realizzazione sono a cura di Comunicare Organizzando. Un percorso museale pensato soprattutto per le scuole e per gli appassionati di storia risorgimentale, dotato di 650 opere delle quali molte inedite con nuove didascalie e pannelli in italiano e in inglese che illustrano singoli personaggi, eventi, temi partendo dai simboli e figure tra i quali Rivoluzione e Restaurazione, Il Congres-
so di Vienna, I Moti del 1820/21, Camillo Benso Conte di Cavour, Giuseppe Garibaldi e i Mille, la Repubblica Romana, le Guerre d'Indipendenza, il 1870 fino ad arrivare alla Prima Guerra Mondiale. Un appassionante tour articolato in 14 sezioni secondo una precisa scansione temporale arricchita di nuovi video e schermi sui quali scorrono immagini in digitale di materiale da sfogliare come l'album fotografico dei Mille di Garibaldi (l'originale è esposto nelle teche) realizzato da Alessandro Pavia con i singoli ritratti dei partecipanti alla Spedizione del 1860 appartenuto a Giuseppe Garibaldi. “Possiamo tranquillamente definire l'album, il primo monumento dell'Unita' d'Italia, è anche un oggetto d'arte applicata, con i suoi decori in bronzo e con le foto acquerellate contenute all'interno” ha spiegato Marco Pizzo. Le altre opere restaurate in occasione della riapertura del Museo sono: drappo con epigrafe-rebus in onore di Pio IX per l’amnistia del 1848, serie delle tavole originali con le annotazioni della censura che furono pubblicate sul giornale satirico Don Pirlone nel 1848-1849, una serie di disegni realizzati da Alessandro Castelli del 1849 durante l’assedio della Repubblica Romana, una serie di disegni realizzati dai detenuti politici nelle carceri pontificie (1867-1868) e una
L. Stracciari Conquista di Quota 85 [3 Battaglione Bersaglieri Ciclisti] Olio su tavola Roma, Museo Centrale del Risorgimento
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serie di bozzetti dipinti nel 19171918 da Anselmo Bucci sul fronte della Prima Guerra Mondiale. Le novità della rassegna sono i pannelli di fronte ai quali scaricando gratuitamente un'applicazione per smartphone si potranno vedere filmati con attori che impersonano i
protagonisti della storia del Risorgimento, oltre ad avere più informazioni sui tesori contenuti nel Museo. Si possono vedere rari filmati realizzati in collaborazione con Cinecittà Luce e Centro Sperimentale di Cinematografia. Si tratta di preziosi filmati d'epoca quali Presa di Roma
Anselmo Ballester Bozzetto vincitore del concorso del 1921 per il manifesto celebrativo della traslazione della salma del Milite Ignoto 1921 Roma, Museo Centrale del Risorgimento
Museo Centrale del Risorgimento Complesso del Vittoriano Via di San Pietro in Carcere 00186 Roma 066793598 Orario: tutti i giorni ore 9.30 - 18.30. Ultimo ingresso ore 18.00. Primo lunedì del mese chiuso. Ingresso gratuito.
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1870 (1905) restaurato per l’occasione dall’Istituto Luce primo film proiettato a Roma e La lunga calza verde film d’animazione realizzato nel 1962 dallo sceneggiatore Cesare Zavattini. “I colori della Giovine Italia sono il bianco, il rosso e il verde. La bandiera della Giovine Italia porta su quei colori scritte da un lato le parole libertà, uguaglianza e umanità, dall'altro unità e indipendenza”. Sono le parole di Giuseppe Mazzini provenienti dal Programma per gli affiliati della Giovine Italia incise in un grande pannello nella prima sala del Museo che occupa uno spazio di circa 2000 metri quadrati. Quante lotte, quanto dolore e quante speranze dietro ogni singola parola... Eterogeneo e curioso è il vasto materiale presente lungo il percorso, materiale selezionato su più di un milione di pezzi conservati nel Museo: un paio di jeans confezionati a Genova indossati da Giuseppe Garibaldi durante il celebre sbarco a Marsala, lo stivale in cuoio e pelliccia sempre di Garibaldi attraversato da un foro di una pallottola. Ecco la coperta che fu usata in Aspromonte per coprire l’eroe dei Due Mondi appena ferito su cui si legge la scritta in inglese the blanket of Gen. Garibaldi in which, when wounded at Aspromonte, he was carried off the field. Il panciotto del patriota Angelo Brunetti, detto Ciceruacchio caro ai romani, il ritratto di un giovane Goffredo Mameli, morto a soli 22 anni, autore delle parole dell’Inno d’Italia e tutte le opere complete di Silvio Pellico. Speciali sezioni monografiche con cimeli rari riguardano i grandi protagonisti della stagione risorgimentale: Mazzini, Cavour “Il primo bene di un popolo è la sua dignità”, Pio IX e Vittorio Emanuele II. Uniformi d’epoca, medaglie, album fotografici e oggettistica varia, tra cui pistole, coltelli, pipe e bandiere ecc... Nell'ultima sala dedicata alla Prima Guerra Mondiale oltre alle gavette, alle maschere antigas, alla serie delle medaglie d'oro, spicca dentro una teca un'uniforme delle crocerossine, uniforme storica che ha sfilato lo scorso 2 giugno, Festa della Repubblica Italiana, durante la parata militare di fronte al Presidente Giorgio Napolitano, alle più alte autorità dello Stato e ai numerosi ospiti stranieri presenti. Un percorso di memorie e ricordi dell'Ottocento che rievoca quando l'Italia si destò, un Museo che racconta tanti episodi valorosi che fanno parte della storia della nostra nazione, quindi di tutti noi.
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L’Irpinia ed i suoi vini
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e più importanti zone di produzione vitivinicola campane sono l’Irpinia ed il Sannio. E’ lì che si trovano varietà tradizionali insieme ad una moltitudine di tipologie di terreni che consentono ai vari vitigni di esprimersi con tante caratteristiche diverse. L’Irpinia, regione storica nella provincia di Avellino confinante a nord con il Sannio, a ovest con l’Agro Nolano e l’Agro nocerino-sarnese, ad est con il Vulture e la Daunia ed a sud con la provincia di Salerno, è caratterizzata dalle eruzioni del Vesuvio. In questa zona montuosa al centro orientale della Campania senza sbocco sul mare, prevale un clima rigido d’inverno e piuttosto mite d’estate con forti escursioni termiche, una condizione molto favorevole per la viticoltura. I vigneti si trovano ad un’altitudine sul livello del mare compresa tra i 300 metri circa ed i 650 metri.
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Principali vitigni e vini irpini I tre grandi vitigni dell’Irpinia sono l’Aglianico, il Fiano ed il Greco di Tufo. In effetti, i vini campani sono quasi tutti a base di uve tradizionali; oggi a denominazione di origine ve ne sono una ventina, di cui tre vini a Denominazione di Origine Controllata e Garantita (Docg) della provincia di Avellino: il Taurasi – nel 1993 la prima Docg del sud - il Fiano di Avellino ed il Greco di Tufo – tutti e due arrivati nel 2003, dal 2011 ne arriva anche uno dalla provincia di Benevento: l'Aglianico del Taburno. Il Taurasi E’ dal vitigno Aglianico, nell’antichità la vitis ellenica, che si ottiene il Taurasi. Il nome Taurasi deriva dalla città omonima, l’antica Taurasia. Questo vitigno viene considerato il principe tra i vitigni del Sud per la sua capacità di dare vini molto longevi. Particolarmente diffuso in Campania ed in Basilicata, rispettivamente conosciuto come Aglianico
del Taburno e Taurasi nella prima regione e come Aglianico del Vulture nella seconda. La zona di elezione dell’Aglianico resta l’Irpinia, in provincia di Avellino dove si produce, appunto, il Taurasi, il vino rosso più importante della Campania. Nel Sannio, provincia di Benevento, invece dallo stesso vitigno nasce il vino rosso Aglianico del Taburno. L'Aglianico è anche l'uva principale nella produzione dei vini dell'area Doc di Falerno del Massico, in provincia di Caserta. In Irpinia si producono circa 1 milione e mezzo di bottiglie di Taurasi su circa 300 ettari. Le caratteristiche tipiche del vino sono: colore rosso rubino carico, profumi floreali, fruttati, in particolare la prugna matura con una grande struttura, tannini imponenti e una buona acidità. Il Fiano di Avellino Si tratta forse del bianco più prestigioso del Sud, vista anche la propen-
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sione all’invecchiamento. Si ottiene dal vitigno omonimo, caratterizzato da acini piccoli, dorati e dolcissimi. La zona di produzione comprende circa 30 comuni nel cuore della provincia di Avellino. Gli oltre 400 ettari ed i 3 milioni di bottiglie circa nel 2010 confermano il successo. Le caratteristiche tipiche del vino sono: colore giallo paglierino più o meno intenso, una complessità olfattiva con sentori di frutta secca e floreali; elegante in bocca, nel finale una leggera nota di mandorla. Il Greco di Tufo Di origine molto antica, si presume sia stato introdotto in Italia dai coloni greci nel VII sec. a.C.. Le vigne sono concentrate in otto comuni della provincia di Avellino con terreni gessosi di Tufo. Su circa 700 ettari si producono poco più di 5 milioni di bottiglie: si tratta del vino Docg più importante del’Irpinia e della regione Campania nel suo complesso.
Le caratteristiche tipiche del vino sono: colore che va dal giallo paglierino al giallo dorato, profumi caratteristici come la pesa e la mandorla amara, ma non molto intensi, mineralità e freschezza, bella persistenza, piacevole e facile nell’abbinamento. Excursus Falanghina Non fa parte dei vitigni dell’Irpinia ed è probabilmente il vitigno a bacca bianca più diffuso nel Sud .Il nome pare derivi da "phalangae", il palo di legno intorno al quale cresceva la vite, sistema ancora presente in alcune aree. Si contano due varietà di Falangina: quella originaria dei Campi Flegrei e quella presente nel Beneventano. Vitigni differenti a livello genetico ma prevalenti nella base di molti vini bianchi Doc della Campania. Le caratteristiche tipiche del vino, con le uve vinificate in purezza, sono: colore giallo paglierino, profumo intenso, fruttato floreale, di buona struttura e acidità. Spesso usato anche per uvaggi.
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Il cassetto: breve storia dell'arredo contenitore di tanti segreti e sogni.... di Paolo Brasioli*
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origine del cassetto viene da lontano e continua ad oggi in modo stimolante soprattutto per i designers impegnati nell'inventare nuove espressività e forme che possano esaltare questo ogget- to che invece ha delle regole rigide e sostanzialmente è rimasto sempre uguale a se stesso. Un cassetto infatti non puo ̀ che avere una certa forma proprio per non venir meno alla sua funzionali- tà che è quella di racchiudere qualche cosa. Ed ecco che in francese si chiamano tiroir e in inglese drawer termini che suggeriscono proprio il gesto del tirare (anche e soprattutto nel senso di estrar- re una cosa da un'altra). Significativa anche la risponzenza in italiano di "tiretto" che è il sinonimo maggiormente popolare di cassetto. Ma invece è proprio la parola italiana cassetto a richiamare una origine più suggestiva e ancor più antica dei corrispondenti stranieri. In origine il cassetto infatti era una piccola cassa, generalmente in legno, a volte rivestita in pelle o metallo, con coperchio, che veniva depositata, insieme
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ad altre, all'interno di un contenitore chiamato stipo. Questi oggetti erano utilizzati gia dagli antichi egizi e dalle immagini pompeiane si vedono degli stipi, finemente decorati, con le ante aperte. Furono poi i maestri falegnami fiorentini rinascimentali a codificare tipologicamnente questi oramai complessi arredi nei quali una importante parte era destinata proprio ai cassetti posizionati superiormente ad una parte chiusa ad ante. Questi cassetti però ancora non scorrevano su guide ma venivano appoggiati ed inseriti negli scomparti dello stipo. Per accedere al contenuto bisognava estrarre totalmente la piccola cassetta e aprirla. La produzione nel cinquecento fu evoluta e affinata tanto che "stipettaio" divenne sinonimo di ebani- sta e anche importanti artisti si cimentarono nel creare stipi sempre più importanti nelle dimensio- ni, e impreziositi con l'utilizzo di legni pregiati e pietre dure. Nei secoli a seguire molta attenzione fu posta nella funzionalità e, agli inizi del settecento, il cassetto viene moltiplicato in serie e appaio- no i "settimanali" eleganti e agili mobiletti dotati di una serie (proprio sette) di cassetti scorrevoli dove venivano riposte ordinatamen-
te la biancheria, i fazzoletti, i gioielli e chissà quante lettere d'amore... Questi arredi divennero immancabili complementi nei boudoir delle signore delle emer- genti borghesie. Via via le linee divennero piu ̀ slanciate e razionali incontrando stili come il bieder- meier e l'art nouveau e vennero realizzati con essenze lignee omogenee e dalle superfici raffinate. Parallelamente con il crescere del volume del lavoro di concetto e la conseguente necessità di archiviare e conservare carte e documenti sono nate le grandi e severe cassettiere che imperavano negli uffici e studi professionali. Ma è nel design più recente, grazie alle evolute ferramenta che permettono movimenti rototraslanti e i nuovi intriganti e funzionali materiali a disposizione, che i cassetti sono stati reiterpretati, a volte anche spiritosamente, e sono stati inseriti stilisticamente nelle superfici continue di altri mobili contenitori con la razionale assenza di maniglie evidenti o proposti in forme raffinate ed ergonomiche prendondendo sorprendente autonomia. Ed ecco dunque che ancora oggi, come millenni fa, i segreti e i sogni trovano sicuro e affidabile rifugio nel cassetto!
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*Architetto con studio a Roma contatti:
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Antonio Gambella di F.F
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n metro e ottanta di altezza, capelli “cacio e pepe” stile Richard Gere, fisico aitante e la tipica, frizzante simpatia della gente del meridione. Dall’identikit si potrebbe pensare ad uno “sciupafemmine”o ad un belloccio da soap opera. E invece no, dietro a queste caratteristiche fisiche e caratteriali c’è un personaggio complesso, variegato e sorprendente. Antonio Gambella di professione fa il fisioterapista, ma dentro di lui c’è un artista esplosivo con un’attrazione quasi carnale per tele, colori e pennelli. “dipingere è per me una necessità, è dare concretezza a sensazioni, sentimenti, emozioni che viaggiano veloci tra cuore e mente”, racconta Antonio con quella sincerità oggi sempre più rara e che fa piacere ascoltare. Sembrano lontani i tempi della gioventù passata in quel di Piedimonte Matese, là dove la strada deve fare i conti con montagne ostiche da superare. Eppure quei tempi
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spensierati sono sempre presenti in lui: “il desiderio di dipingere è sempre stato con me fin dall’adolescenza, turbando in un certo modo la mia anima e trasformandola in un vortice di emozioni in continua evoluzione. In un paese piccolo, distante dalle grandi arterie stradali, bisogna imparare anche a convivere con la solitudine senza rimanerne schiacciati, ma anzi utilizzandola per conoscere meglio noi stessi attraverso valvole di sfogo come può essere l’arte”. In pochi anni Antonio ha già al suo attivo quasi 100 tele, ognuna con una sua storia raccontata attraverso colori, geometrie, incursioni di materiali e spazi di intensità diverse: “non sono io a scegliere i colori, ma sono loro a scegliere me. I colori aggrediscono la tela, cercano di conquistarne gli spazi talvolta violentandola ed in altri momenti accarezzandola. Nelle mie prime tele era il nero a dominare, perché il nero ha l’arroganza giusta per conquistare il vuoto, per sconvolgere la purezza del bianco e permettere agli altri colori di avere una dignità altrimenti sof-
focata”. Insomma un pittore con un anima strutturata, dove le emozioni non rimangono rinchiuse in rimpianti o volano via troppo in fretta per lasciare ricordi: “ogni mio quadro è un’emozione diversa, un’emozione che voglio prenda vita, possa essere vista e toccata, possa rimanere a raccontare la mia storia interiore”. Ma come in ogni storia che si rispetti c’è anche il terzo incomodo:”non è un incomodo, ma anzi è un supporto fondamentale per aiutare le emozioni a manifestarsi. Sto parlando della musica che oltre ad essere fonte di ispirazione fa parte, insieme alla pittura, degli elementi fondamentali della mia vita”. La sua casa di Roma assomiglia ad una galleria d’arte ed entrando è impossibile non rimanere coinvolti dalle tante tele appese alle pareti. Flash di colri scioccanti, geometrie profonde, macchie e linee che si incrociano in una battaglia senza esclusione di colpi fra entropia e perfezione. Quasi gira la testa nel tentativo di dare un ordine visivo ad una storia raccontata in un modo così particolare. Sembrano quadri di-
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pinti da persone diverse, ma guardando con più attenzione si percepisce la fratellanza che li lega: “una parte di me è presente in ogni quadro. In ogni singolo colore, in ogni bianco volutamente lasciato respirare, c’è un preciso attimo della mia vita”. Sogni nel cassetto? “vorrei poter raccontare la mia storia artistica a più persone possibile. Vorrei giudizi sulle mie opere sia da esperti, per sapere se tecnicamente merito spazio nel difficile mondo della pittura, sia da persone semplici, per capire se davvero sono in grado di trasmettere emozioni”. Ma Antonio non è solo un pittore dalle mille vite, è anche un uomo capace di regalare serenità e sorrisi. Il ruolo dello sciupafemmine però un po’ ti si addice. Quale è la ricetta per fare colpo su una donna: “mi piace creare l’atmosfera giusta con le persone giuste. Quadri così particolari, musica adatta all’occasione, luci di candele, essenze profumate e pesce fresco cucinato a puntino: credo che con questi ingredienti sia più facile che una serata abbia successo”. Provare per credere.
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benessere
Pilates e fisioterapia di Claudia Rossoni Pilates trainer Certified Pilates Teacher Via Unione Sovietica, 16 – Roma www.studiopilatesroma.it Tel. 06 3204572
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pero di essere diventata oramai un buon riferimento per capire, approfondire e avere novità nel campo dello Star Bene. E’ importante non fermarsi mai, ma approfondire, confrontarsi con altri istruttori, interagire e crescere. Acquisire professionalità nell'eseguire ed applicare una tecnica non solo è fondamentale ma è un atto dovuto degli operatori del benessere, unitamente con la continua verifica delle esigenze dei “nostri” alunni-pazienti. Non parlo di mode, dunque. Nella mia esperienza e nella pratica di tutti i giorni ho potuto constatare come le problematiche e le patologie siano cambiate negli anni. Di sicuro la posizione prolungata al PC e la staticità crescente nelle modalità di lavoro e di spostamento casa-lavoro, stanno cominciando a dare i loro effetti. Ed a tal proposito mi sembra opportuno parlare di Pilates e Fisioterapia, non fisioterapia tradizionale ma quella parte della fisioterapia denominata Moderna. L'evoluzione nella fisioterapia si deve all’ingresso di tecniche di nuova concezione o allo sviluppo di altre pre-esistenti, nonché dal confronto continuo tra le diverse modalità per individuare quali siano le più appropriate nelle diverse situazioni. Esiste ormai una “comunità scientifica mondiale” che attraverso la letteratura medico-scientifica di settore si scambia dati, esperienze e quesiti che portano ad una evoluzione e miglioramento della disciplina.“Contaminazione” e scambio di strumenti...
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Il Taping Neuromuscolare ad esempio : avete presente quei cerottini elastici che vedete addosso agli atleti? Cito testualmente : il “Taping Neuromuscolare” é una tecnica basata sui processi di guarigione naturale del corpo. I muscoli non sono solo legati ai movimenti del corpo, ma anche al controllo della circolazione dei liquidi venosi e linfatici, della temperatura corporea; pertanto, il funzionamento non appropriato dei muscoli induce differenti tipologie di sintomi. Questa tecnica si basa, dunque, su un concetto terapeutico che agevola liberi movimenti al fine di permettere al sistema muscolare di aiutare il corpo ad “auto-guarirsi” biomeccanicamente. Il Fisioterapista si deve avvalere sempre più di strumenti - anche elettronici - affiancati all’attività motoria... Altro esempio è la Human Tecar, che ha consentito di unire manualità a tecnologia. Il terapeuta di Human Tecar® non è un semplice utilizzatore di qualche strano “marchingegno”, ma è dotato della tecnologia tra le più avanzate nel campo delle biotecnologie. Ha ricevuto la formazione adeguata per governare correttamente le reazioni prodotte dallo strumento e per impostare protocolli ed itinerari terapeutici personalizzati che, di volta in volta, sono aggiornati in funzione dell’evoluzione del quadro patologico. L'ordigno in questione ha questo tipo di caratteristiche: è uno strumento elettronico che emette un segnale radio a bassa frequenza. Tale segnale, trasmesso al corpo per contatto attraverso due speciali applicatori, uno ad alta e l’altro a bassa impedenza, è in grado di stimolare il
tessuto biologico promuovendo la riattivazione del sistema emolinfatico in aree corporee geometricamente ben definite. Il meccanismo di funzionamento si basa sul principio fisico del condensatore secondo il quale vengono realizzati all’interno dei tessuti flussi di cariche elettriche naturali (elettroliti) che provocano una forte accelerazione del metabolismo cellulare richiamando in questo modo ossigeno e sostanze nutritive. Da qui deriva la stimolazione al livello del sistema circolatorio e l’accelerazione dei processi di autoriparazione. Ultimo ma non “ultimo” esempio… .. il Pilates. Visto come tecnica di riabilitazione utilizza la base degli esercizi della tecnica classica, ripensati in chiave biomeccanica e riadattatati con numerose varianti a seconda della casistica. Questo connubio consentirà di far comprendere come la fisioterapia rappresenti non solo un intervento eccezionale ma un percorso articolato verso il benessere di tutto l’organismo, per migliorare la qualità della vita dei pazienti, per dare sollievo immediato agli stessi sin dalla prima seduta, per abbreviare la terapia dimezzando addirittura i tempi di recupero intervenendo immediatamente in seguito a traumi. Utilizzare delle sedute miste di Human Tecar e Pilates assieme al Taping Neuromuscolare consente di eseguire prestazioni mirate e precise che agevolano una ripresa veloce. E questo è solo un esempio di ciò che la sperimentazione e lo studio sta studiando di recente senza smettere mai di innovarsi. Occorre tenersi al passo!!!
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