15 mar 2001 ... HTML per i principianti. A Cura di. ANTONIO FAVINO. La riproduzione, anche
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A Cura di ANTONIO FAVINO
La riproduzione, anche parziale, del presente manuale è vietata senza un’esplicita autorizzazione dell’autore ANTONIO FAVINO
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PRIMA DI TUTTO PARLIAMO DI INTERNET Fino a qualche anno fa pochissimi erano a conoscenza dell’esistenza di Internet. Infatti la rete era un fenomeno noto ad alcuni ricercatori universitari, e gli scambi di informazioni avvenivano quasi unicamente in lingua inglese. Al massimo, adoperando i collegamenti telefonici, qualche appassionato di computer si connetteva alle cosiddette BBS, che erano (e sono anche oggi), delle specie di “bacheche elettroniche” in grado di offrire agli utenti una serie di servizi telematici. In realtà Internet è una rete di computer a sua volta formata da altre reti di computer, ed è nata dall’esigenza del Dipartimento alla Difesa statunitense di poter adoperare un sistema di comunicazione in grado di garantire le trasmissioni anche in caso di conflitti atomici. Questa rete telematica era in grado di ricercare i percorsi di trasmissione in modo automatico, identificando tragitti alternativi ovunque vi fossero interruzioni nelle linee telefoniche. Una rete così efficiente serviva per mantenere le comunicazioni tra le strutture militari e i laboratori di ricerca delle università. L’idea, nata verso la fine degli anni ’60, era vincente e, purtroppo, la sua efficacia si è drammaticamente dimostrata, ad esempio, nel corso della guerra nel Kosovo: chiunque, collegandosi ad Internet, poteva assistere in diretta a tutto ciò che avveniva nella città di Belgrado, pur essendo questa isolata da qualsiasi altra forma di comunicazione. La rete militare originaria, che possiamo considerare progenitrice di Internet, aveva un nome un po’ curioso: Arpanet. Negli anni ‘80 Arpanet venne abbandonata per la creazione di una nuova rete ad esclusivo utilizzo militare, così il sistema restò a disposizione di ricercatori e universitari che, in breve tempo, si resero conto che poteva essere utilizzato anche per scopi diversi dalla semplice trasmissione di informazioni professionali. A facilitarne la diffusione contribuì anche il fatto che, in breve, quelle notizie che erano ad uso esclusivo degli specialisti vennero messe a disposizione di chiunque potesse collegarsi alla rete. Circa dieci anni fa venne poi sviluppato un linguaggio, l’HTML, in grado di introdurre contenuti multimediali nella documentazione destinata alla rete. La disponibilità di un codice in grado di arricchire i contenuti dei documenti è servita da impulso all’utilizzo generalizzato di Internet, contribuendo in modo definitivo alla sua diffusione. La creazione del linguaggio HTML ha permesso quindi la crescita del World Wide Web che, tradotto, significa più o meno smisurata ragnatela mondiale. Vista la lunghezza di questo nome, spesso si ricorre all’abbreviazione WWW. In alternativa, il World Wide Web
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può essere semplicemente chiamato Web, o anche W3. A questo punto dovrebbe essere abbastanza evidente come il Web sia solo una parte di Internet, anche se, di fatto, nell’idea di molti le due cose coincidono. Ma come funziona il Web? Finora abbiamo visto che si tratta di una rete a sua volta costituita da altre reti di elaboratori. Il suo pregio sta nella capacità di mettere in comunicazione computer molto diversi tra loro, situati in qualsiasi punto del pianeta, indipendentemente dal sistema costruttivo con cui sono stati progettati. Questo è un vantaggio non indifferente, perché permette il dialogo tra macchine che parlano linguaggi diversi. Inoltre, per mezzo di Internet, è possibile accedere a un numero praticamente illimitato di archivi e di informazioni. Vi è da sottolineare che il Web, essendo costituito da un insieme di reti, non appartiene a nessun ente o stato, di conseguenza non è possibile intervenire con censure o restrizioni per “governarne” i contenuti. Questo significa poter consultare le informazioni direttamente dagli enti universitari che le hanno raccolte, o conoscere le situazioni di popoli o realtà geografiche altrimenti non raggiungibili in altro modo. Per un alunno, e per i suoi professori, tale immensa opportunità comporta l’avere a disposizione notizie su qualsiasi argomento, raggiungibili in modo immediato e, tutto sommato, semplice; permettendo quindi di giungere all’informazione direttamente presso la fonte che l’ha generata. La struttura della rete Internet si basa sulla presenza di fornitori di accesso detti ISP (Internet Service Provider), comunemente chiamati Provider. Gli ISP, a loro volta, si collegano ai National Service Provider (NSP), i quali utilizzano linee molto potenti che rappresentano l’ossatura su cui si regge tutto il sistema di Internet. Per questo motivo essa è una rete di reti. Come si vede, quindi, per poter usare la Rete è necessario il collegamento ad un Provider (ISP). I provider possono essere di tipo commerciale o di tipo istituzionale. I primi offrono il proprio servizio su pagamento di un abbonamento oppure, come accade da un po’ di tempo, in forma “gratuita”. I secondi sono provider che offrono il proprio servizio soltanto a strutture “esclusive” come enti pubblici o Università. Molte scuole italiane dispongono di collegamenti con questo tipo di provider. I National Service Provider non forniscono, in genere, servizi per il singolo utente. Tra gli NSP italiani ce n’è uno, chiamato Gruppo Autonomo Reti di Ricerca (GARR), che fornisce il servizio alle Università e che ha il compito di gestire l’assegnazione dei nomi dei Siti Internet in Italia. Questi nomi, tecnicamente, sono definiti nomi di dominio. Attraverso il nome di dominio, che è un vero e proprio identificativo, si individua un determinato gruppo di computer collegati a Internet. I domini di livello maggiore, cioè i più grandi, sono quelli nazionali oppure, ma questo vale solo per gli Stati Uniti, i domini che specificano il tipo di sito (.com, .edu, .org ecc.). Per quanto riguarda l’Italia il nome di dominio è .it. In un nome di dominio tutte le parti poste alla sua sinistra, separate da un punto, identificano domini sempre più ristretti. In alcuni casi si arriva a identificare anche un singolo computer.
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Per potersi connettere a Internet ogni computer deve essere identificato da un numero chiamato host number IP. Ai nomi di dominio è sempre associato il corrispondente host number. Esistono particolari calcolatori che hanno il compito di comunicare l’host number associato ad un determinato indirizzo, in modo che sia possibile raggiungere fisicamente il relativo computer. Ricapitolando, quindi, Internet è basata su una struttura di collegamenti “dorsali” tra i vari Provider Nazionali (NSP), ai quali si collegano gli Internet Service Provider che, a loro volta, forniscono l’accesso ad ogni singolo utente. Ogni computer connesso alla rete è dotato di un proprio numero identificativo, detto host number IP. Appositi elaboratori hanno il compito di abbinare tale numero al relativo nome di dominio, in modo che sia possibile raggiungere fisicamente il computer che interessa. Una recentissima novità, annunciata nel mese di Novembre 2000, porta ad una vera rivoluzione nella gestione dei nomi di dominio. All’indirizzo http://www.netex.it (ma questa novità fa d’improvviso “invecchiare” tale sistema di indicazione degli indirizzi) è disponibile un software, gratuito, che permette di identificare un sito con una sola parola. Di conseguenza è possibile richiamare il sito di una scuola semplicemente definendolo “scuola”, oppure quello del Parlamento Italiano con il nome Parlamento e così via. È ancora troppo presto per conoscere la reale portata di questa innovazione, ma i presupposti positivi ci sono tutti. Chi vivrà vedrà… Torniamo a noi. I collegamenti a Internet possono avvenire su apposite linee “dedicate” se l’utente è di grosse dimensioni, come nel caso di un’Azienda; oppure su linee “commutate”, se si tratta di un utente che utilizza Internet in modo saltuario. Le linee “dedicate” sono particolari linee telefoniche di alta qualità utilizzate solamente per le connessioni tra computer; quelle “commutate” sono invece normali linee adoperate per la telefonia, occasionalmente “commutate” per il collegamento a Internet o per la trasmissione di fax. Attualmente, per permettere un collegamento a Internet, è indispensabile un particolare apparecchio chiamato modem. Il nome di questo dispositivo nasce dalla contrazione del termine MOdulatoreDEModulatore. La sua funzione è quella di trasformare i dati numerici provenienti dal computer in suoni modulati che possono essere trasmessi lungo le linee telefoniche. Tale operazione avviene nella fase di trasmissione. Nella fase di ricezione, al contrario, l’apparecchio interpreta i suoni che gli giungono dal computer remoto e li demodula trasformandoli nuovamente in dati numerici. Per evitare la perdita di dati esistono dei protocolli di trasferimento gestiti direttamente dal modem. La presenza di Internet e l’evoluzione tecnica nel campo delle trasmissioni hanno fatto nascere altri sistemi di collegamento, chiamati ISDN e ADSL. Attualmente la loro diffusione presso gli utenti non è particolarmente significativa, ma si può ipotizzare che, in un prossimo futuro, sia destinata ad espandersi in modo determinante.
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Come sappiamo, per utilizzare un collegamento a Internet, sono necessari un modem e un abbonamento presso il Provider. Oltre a questi elementi è però indispensabile anche un software in grado di “interpretare” il contenuto dei documenti ipertestuali archiviati nella struttura della Rete. Questo particolare software viene chiamato browser. In realtà questo software, oltre a funzionare da interprete del codice HTML, deve anche provvedere alla gestione dei cosiddetti protocolli di trasmissione, di cui parleremo nel prossimo capitolo. Inoltre, per rendere più competitivo il proprio prodotto, i principali produttori di software hanno arricchito i propri browsers di funzionalità e di elementi accessori per rendere più semplice la navigazione nella rete. L’utilizzo del Web, infatti, è solo uno dei modi di utilizzare Internet, in quanto con essa si possono compiere operazioni di altra natura come utilizzare la Posta Elettronica, inviare files, partecipare a gruppi di discussione, chiacchierare con gli amici o partecipare a videoconferenze. Non è tra gli scopi di questo manuale la descrizione di queste attività, ma è evidente che il browser, con il tempo, si è trasformato da semplice visualizzatore di pagine HTML in un sofisticato programma in grado di gestire lo svolgersi di attività tanto diverse. Negli ultimi anni sulla scena si sono avvicendati diversi browsers che hanno tra loro intrapreso una vera e propria guerra commerciale. Da questa rivalità, costata ai rispettivi produttori migliaia di miliardi, sono usciti vincenti Netscape Communicator e Internet Explorer di Microsoft. Entrambi sono gratuiti e, nella competizione, ad essi si è successivamente aggiunto il browser Opera che, sebbene sia a pagamento, ha il pregio di occupare nei Personal Computer una ridotta quantità di risorse hardware. Molto di più non si può dire su tale software, in quanto non giova certo alla sua diffusione il fatto che, per utilizzarlo, sia richiesto il pagamento di un importo pari a circa sessantamila lire. Descrivere l’uso di ogni browser richiederebbe una trattazione a parte, vi sono però alcune funzionalità, che possono interessare i “debuttanti” del codice HTML, le quali permettono di conoscere i “segreti” delle pagine che più ci colpiscono per il loro aspetto o per le soluzioni adottate. In genere i browser dispongono di una opzione che visualizza il codice HTML dei documenti. Vista la grande quantità di versioni esistenti è piuttosto difficile dare indicazioni precise; in linea di massima si può dire che in Internet Explorer l’opzione si trova nella voce del menu Visualizza alla scelta HTML. In alternativa un click con il tasto destro in un punto della pagina che interessa fa comparire il cosiddetto menu contestuale nel quale, in genere, sono previste diverse opzioni di grande utilità tra cui la visualizzazione del codice. In Netscape Communicator la situazione non è sostanzialmente diversa. Il codice HTML di un qualsiasi documento può, infatti, essere analizzato scegliendo Sorgente pagina dal menu Visualizza. Bisogna dire che, in Netscape Communicator, la visualizzazione del codice sorgente è molto più interessante, specie per chi desidera imparare le tecniche di linguaggio, in quanto i diversi tag sono mostrati con vari colori in modo tale da evidenziarne la funzione.
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Se, anziché visualizzare il codice sorgente, si vogliono salvare le immagini esistenti nei documenti, basta effettuare un click destro su di esse scegliendo dalla finestra del relativo menu la voce Salva immagine con nome…, o una voce simile. Queste indicazioni sono valide per entrambi i browsers. Si tenga presente che le operazioni descritte sono ammesse per ragioni di studio o di analisi delle tecniche utilizzate nei documenti, ma che l’utilizzo degli stessi per nuove pubblicazioni sarebbe una violazione dei diritti in mancanza di un'autorizzazione scritta dell’autore. È invece ammesso il link al documento originario, anche se alcuni autori preferiscono comunque che, anche in questo caso, sia rilasciato un assenso scritto.
QUELLE STRANE SIGLE: TCP/IP, HTTP, FTP Nel momento in cui si comincia ad usare un browser e ci si collega ad Internet, lo si voglia o no, ci si imbatte frequentemente in alcune sigle del tutto ignote, che sembra siano le parole magiche in grado di aprire tutte le porte di questo affascinante mondo. In realtà queste sigle le porte di Internet le aprono veramente, poiché contraddistinguono i cosiddetti “protocolli di trasferimento” dei dati. Questo è il motivo per cui spesso terminano con TP, cioè Transfer Protocol. Sarebbe del tutto fuori luogo entrare in dettagli tecnici che illustrano le differenze tra di essi, faremo quindi una brevissima carrellata generale che dia qualche indicazione sul significato delle diverse sigle e sulle applicazioni utilizzabili per ognuno di questi protocolli. Ovviamente, per prima cosa, parleremo del protocollo TCP/IP, che costituisce la base fondamentale di qualsiasi collegamento a Internet. La sua sigla significa Transmission Control Protocol/Internet Protocol. Come dice il nome, la caratteristica di questo metodo di trasferimento dei dati sta nel fatto che ogni file viene suddiviso in pacchetti secondo il protocollo IP, di cui si è già parlato nelle pagine precedenti. Ognuno di questi pacchetti contiene l’Host Number IP del destinatario, e un secondo identificativo: il Port Number. Quest’ultimo è un numero che indica quale programma, nel computer, deve ricevere i dati. In tal modo i pacchetti viaggiano nella rete in forma del tutto indipendente, attraverso strade completamente diverse, sulla base della ma ggior velocità e sicurezza che appositi computer, chiamati router, provvedono a gestire. Una volta giunto a destinazione il file viene “spacchettato” e ricomposto come era in origine. Il protocollo TCP/IP è indispensabile per potersi collegare a Internet, ed in genere è già installato nel computer insieme con il browser. Se così non fosse, in tutti i CD-ROM che i provider distribuiscono per i propri abbonamenti gratuiti è prevista l’installazione automatica di tale protocollo; quindi è sufficiente adoperare uno di tali CD-ROM per garantirsi la correttezza degli elementi installati. Qualche (piccolo) dettaglio in più è spiegato nel capitolo “QUELLO CHE CI SERVE PER UN COLLEGAMENTO A INTERNET ”.
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Il vantaggio del protocollo TCP/IP sta nel fatto che esso è del tutto indipendente dalla rete utilizzata, tanto che esso è stato inserito nei nuovi sistemi di telefonia mobile, chiamati GPRS, che possono così connettersi alla rete Internet inviando posta elettronica e files. L’architettura GPRS sarà disponibile già dai primi mesi del 2001. Nell’ambito dei protocolli di tipo TCP/IP esistono altri protocolli di comunicazione: HTTP, SMTP e FTP. Il primo Hyper-text Transfer Protocol, è quello su cui si basa tutta la struttura del Web ed è il protocollo di trasferimento dei dati adatto agli ipertesti. Vi è poi il protocollo SMTP (Simple Mail Transer Protocol) creato per la trasmissione della posta elettronica. Infine vi è il protocollo FTP per la trasmissione dei files, che merita qualche parola di illustrazione. Con la nascita delle BBS, prima ancora che la rete avesse il successo che tutti conosciamo, è nata l’esigenza di scambiare files tra un computer centrale e tutti gli utenti che ad esso si connettevano. In pratica tale elaboratore era visto come un’unità disco remota, nella quale fosse possibile creare nuovi files, analizzare il contenuto delle (cartelle), aprire gli archivi. Per poter effettuare tutte queste operazioni era necessario che il computer remoto fosse dotato di un programma FTP server che, colloquiando con il disco rigido, soddisfasse le richieste provenienti dagli altri computer funzionando da interfaccia. La sigla FTP sta per File Transfer Protocol. Oggi esistono diversi tipi di programmi per il trasferimento dei files utilizzando il protocollo FTP. I princ ipali browsers includono al loro interno un programma di interfaccia che si basa su tale protocollo. In genere questi applicativi possono essere distinti tra programmi a caratteri, estremamente snelli ma piuttosto “grezzi”, e programmi con interfaccia grafica, cioè simile a Windows o agli Apple Macintosh, che sono sicuramente più gradevoli e più semplici da usare. Un altro tipo di collegamento che può capitare di dover effettuare, anche se non è un vero e proprio protocollo, è quello ad un server Gopher. In realtà tale tipo di computer ha perso di importanza con l’avvento del Web, ciò non toglie che esso possa rivelarsi utile per ricerche di tipo bibliotecario, o nell’ambito accademico e scientifico. Gopher è, praticamente, una specie di indice che permette di raggiungere determinate informazioni organizzate in struttura gerarchica. Tale struttura è ad albero, per cui esistono alcuni nodi principali da cui si dipartono i rami che, a loro volta, possono contenere altri nodi con ulteriori ramificazioni. I nodi terminali sono un po’ come le foglie dell’albero: essi, infatti, non presentano più alcuna ramificazione. In Gopher tale struttura si basa su un sistema di menu e sottomenu. Selezionando una determinata voce si accede alle risorse ad essa connesse, che possono essere ulteriori sottomenu o files di qualunque genere: documenti, software, o prodotti multimediali. Utilizzando le risorse della rete le strutture ad albero di Gopher si intersecano tra loro in modo del tutto trasparente per il visitatore, che quindi può disporre di materiale che, fisicamente, è disponibile su server diversi. Esistono appositi software di gestione delle strutture ad albero
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utilizzate da Gopher, ma per utilizzi saltuari vanno benissimo i programmi inclusi all’interno dei browsers. Un indirizzo interessante, che può essere adoperato come base di partenza per una visita Gopher, è gopher://gopher.unipi.it.
MA COS’È QUESTO HTML? Giunti a questo punto potrebbe essere interessante capire come si è arrivati a creare un linguaggio adatto alla scrittura di ipertesti. Tutte le fonti fanno coincidere la nascita dell’HTML con l’anno 1991, quando il CERN di Ginevra diede l’avvio al Web istituendo una lista di caselle postali elettroniche (mailing list) chiamata www-talk. Perché questo si potesse realizzare, nel 1989 due ricercatori, Tim Berners-Lee e Robert Caillau, iniziarono a lavorare all’idea di un sistema di informazioni che potesse collegare tra loro i vari documenti presenti sui differenti sistemi di computer in dotazione al CERN. Dimenticavo, il CERN è il Centro Europeo per la Ricerca Nucleare e vi ve ngono effettuati studi energetici sulla fisica delle particelle. Cominciamo la storia fin dall’inizio: HTML è l’abbreviazione di Hyper Text Markup Language e significa, più o meno, linguaggio a marcatori per ipertesti. I marcatori, detti tags, sono costituiti da indicazioni nelle quali si descrive come debba essere trattato il testo tra essi racchiuso. Capisco, esposta in questo modo la faccenda dei tags sembra una faccenda complicata, in realtà avremo modo di parlarne più chiaramente in uno dei capitoli successivi, in modo che tutto risulti più semplice. Il codice HTML è una specifica applicazione che si basa su regole più generali, stabilite da SGML, cioè Standard Generalized Markup Language. Certamente tutte queste sigle possono producono soltanto confusione, quindi conviene fare un po’ di chiarezza. SGML è nato nel 1986 e NON è un linguaggio a marcatori, bensì un linguaggio per poter creare linguaggi a marcatori. Esso, infatti, ha avuto origine all’interno dell’industria editoriale per scambiare con facilità testi scritti con sistemi tipografici diversi. Quindi è un tipo di linguaggio che non ha nulla a che vedere con Internet. L’SGML, però, ha il non piccolo merito di avere stabilito determinate regole riconosciute a livello internazionale. Queste regole sono state fissate da un ente, chiamato ISO, che rappresenta l’Organizzazione Internazionale per gli Standard. In pratica SGML ha stabilito delle regole generali, valide per qualsiasi genere di documento: HTML invece, osservando questi criteri generali, ha elaborato le norme che valgono per i computer e per le pubblicazioni su Internet. Ecco spiegato il perché di tutte queste sigle. La faccenda mi sembra chiarita, quindi torniamo alla cronaca sulla nascita dei documenti ipertestuali. Anche se potrebbe apparire piuttosto curioso, ANTONIO FAVINO
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questa storia può essere fatta cominciare parecchi secoli fa. Secondo molte fonti, infatti, già nel Medioevo si utilizzavano riferimenti fra documenti diversi servendosi della numerazione sequenziale di ogni singola riga o dei versi. In questo modo era possibile rinviare il lettore ad uno specifico punto di un determinato documento, indipendentemente dalle sue dimensioni o dal formato delle sue pagine. Questo meccanismo è durato centinaia di anni, fino ai giorni nostri: pensiamo alle note a piè di pagina o alle bibliografie ragionate dei libri. Un ottimo esempio di questo genere di rimandi è costituito comunque dal Vangelo, in cui il riferimento ai versetti può essere certamente considerato come una forma sia pur rudimentale di ipertesto. È interessante sapere che gli inventori dell’HTML si sono basati su questo concetto per elaborare il loro linguaggio. Per poter parlare di ipertesti concepiti in abbinamento all’utilizzo dei computer dobbiamo invece giungere all’anno 1945. In quel periodo il consigliere scientifico del presidente americano Roosvelt pubblicò un proprio articolo nel quale descriveva l’idea di una macchina in grado di immagazzinare contemporaneamente informazioni di tipo testuale e di tipo grafico, cioè illustrazioni. Il nome di questa macchina rivoluzionaria era Memex, ed essa doveva possedere la capacità di collegare gruppi di dati ad altri blocchi di informazioni secondo le necessità degli utilizzatori. L’ideatore di questo sistema, il Dott. Vannevar Bush, era il direttore dell’ufficio americano per la ricerca scientifica e in quel periodo – non dimentichiamo che era in corso la Seconda Guerra Mondiale – coordinava gli studi sulle possibili applicazioni militari delle ricerche scientifiche. Secondo le idee di Bush, Memex doveva essere in grado di creare una specie di traccia informativa dei diversi collegamenti analizzati, in modo tale che i suoi utilizzatori potessero ripercorrerli anche in momenti successivi. Si dovette comunque aspettare fino agli anni ’60 perché Douglas Engelbart, un ricercatore di Stanford che contribuì anche all’invenzione del mouse, fosse in grado di creare il primo giornale ipermediale, composto da oltre centomila tra riferimenti incrociati, giornali e resoconti. Verso la metà di quel decennio Ted Nelson pubblicò un proprio articolo su Literary Machines, in cui comparvero per la prima volta due termini nuovi da lui coniati: ipertesto e ipermedia. In seguito l’autore, nel suo libro Dream Machines, ipotizzò la possibilità di includere negli ipermedia anche eventuali contributi filmati. In seguito, bastò attendere solo il 1967 perché fosse finalmente sviluppato il primo sistema computerizzato basato sull’utilizzo degli ipertesti. Direttore di tale progetto era il Dr. Andries van Dam, e la sua ricerca era promossa nientemeno che dall’IBM, il più grande colosso americano del settore informatico. Successivamente il sistema venne acquistato per il centro spaziale di Houston, che lo utilizzò nella gestione dell’intera documentazione relativa al famosissimo Progetto “Apollo”. Quel progetto spaziale, due anni dopo, avrebbe portato l’uomo sulla Luna.
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Passò ancora qualche anno, tanto che nel 1972 venne sviluppato un ambiente informativo in grado di essere utilizzato da sistemi computerizzati diversi. Questa nuova applicazione aveva un nome curiosissimo, ZOG… che non voleva significare assolutamente nulla! Il sistema era basato sui cosiddetti frames. In lingua inglese frame significa cornice, o telaio. Nell’ambito di ZOG i frames consistevano in “cornici” al cui interno comparivano in successione il titolo, la descrizione, la barra dei comandi standard e un gruppo di “selezioni” che indirizzavano ad altri frames. In seguito ZOG ebbe ulteriori perfezionamenti e modifiche, divenendo uno strumento molto evoluto, in grado di mostrare istantaneamente a tutti gli utenti collegati ogni aggiornamento dei dati. Esso restò comunque un software basato su testi, non essendo in grado di supportare le caratteristiche grafiche che oggi possiamo apprezzare con HTML. Trascorse ancora qualche tempo quando, nel 1978, Andrew Lippman guidò, in Massachussets, un gruppo di ricercatori per lo sviluppo della Aspen Movie Map. Il progetto prevedeva la riproduzione della planimetria di Aspen, una città del Colorado, per mezzo della quale si poteva effettuare un viaggio virtuale all’interno delle sue strade utilizzando un sistema estremamente sofisticato dall’interattività eccezionalmente spinta. Il visitatore virtuale poteva infatti esaminare il panorama spostandosi in tutte le direzioni, oppure effettuare una sorta di giro turistico osservando la città come se si trovasse in automobile; disponeva inoltre di una mappa in formato ridotto che visualizzava gli spostamenti e permetteva di trasferirsi in un determinato punto accedendovi direttamente. Inoltre, meraviglia finale, era possibile la visita virtuale di alcuni edifici. A buon diritto la Aspen Movie Map viene ancor oggi considerata il primo documento realmente ipermediale nella storia dei computer. Con essa si ebbe l’evidente dimostrazione di ciò che era possibile realizzare con le tecnologie disponibili all’epoca. Mentre i sistemi ipermediali proseguivano la loro evoluzione Theodor Holm Nelson, ovverosia il Ted Nelson che abbiamo conosciuto come inventore del termine ipertesto, coronò il sogno della sua vita proponendo un sistema ipertestuale chiamato Xanadu. Era l’anno 1981 e le basi gettate da tale intuizione sono state ampiamente riprese in quello che oggi conosciamo come World Wide Web. È possibile affermare che Xanadu, petr determinate prestazioni fosse anche superiore al Web dal momento che era in grado di conservare in modo permanente qualsiasi versione di ciascun documento, ricostruendola a partire dalla versione attuale del documento stesso. Tutto ciò era realizzabile perché, attraverso un procedimento che ha del geniale, il sistema teneva traccia di tutte le variazioni apportate ogni qual volta il documento era soggetto a modifiche. Un sistema veramente eccezionale, tanto da essere definito “il luogo magico della memoria letteraria” in cui nulla può essere più diment icato. Purtroppo Xanadu non ebbe seguito, e non fu mai sottoposto ai necessari aggiornamenti. Ted Nelson, dopo anni di delusioni, accettò solo nel 1994 di divenire professore presso la Keio University, per continuare in Giappone le ricerche su Xanadu. Nel frattempo venivano sviluppati software e documentazioni ipertestuali ANTONIO FAVINO
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che, in qualche modo, contribuivano a mantenere viva l’attenzione sull’argomento. In modo particolare, nel 1987, Bill Atkinson sviluppò un sistema di ipertesti per conto della Apple Computer. A tale sistema venne dato il nome di HyperCard. Al tempo Atkinson era già noto per aver sviluppato un programma, chiamato MacPaint, utilizzato sui computer Macintosh di produzione Apple. HyperCard, concepito per quegli stessi computer, permetteva la creazione di applicazioni ipertestuali di tipo grafico. Tra le sue caratteristiche vi era la possibilità di utilizzare immagini computerizzate, moduli, comandi testuali e, come prerogativa principale, vi era la possibilità di effettuare ricerche complete sugli elementi di testo. In pratica il prodotto era qualcosa di molto somigliante all’attuale HTML, ed era fornito tra le installazioni standard di tutti gli Apple Macintosh. In tal modo HyperCard divenne un programma con una buona diffusione; ciò ne fece l’applicazione in grado di contribuire alla massima popolarità dei documenti basati sul modello ipertestuale. I tempi erano ormai maturi per la nascita del linguaggio HTML…anche se in realtà gli studi di Tim Berners-Lee erano iniziati già nel 1980 per sviluppare un sistema in grado di memorizzare qualsiasi associazione casuale tra diversi frammenti di informazione. All’epoca, infatti, presso il CERN di Ginevra esistevano svariati modelli di computer, molte tecniche di memorizzazione e sistemi di richiamo delle informazioni estremamente diversi tra loro. Come se non bastasse alcuni di questi, come CERNET e FOCUS, erano stati direttamente sviluppati dai laboratori di ricerca del CERN. Questo si traduceva, in pratica, nella più completa impossibilità di dialogo tra le diverse macchine. In conseguenza di tale situazione Tim si sentiva veramente irritato poiché la sua agenda elettronica, la sua rubrica telefonica e i suoi documenti erano memorizzati in modo completamente diverso su macchine differenti, impedendogli di accedere contemporaneamente a tutti i propri dati. Una persona che non faccia uso costante del computer fatica molto a comprendere interamente questo disagio. Per dare al lettore un’idea di cosa ciò voglia significare farò un piccolo paragone. Una situazione come quella descritta può assomigliare, infatti, a quella di un’aula dotata di quattro lavagne molto piccole, sulle quali diversi insegnanti abbiano annotato i propri appunti del tutto casualmente, un po’ qua e un po’ là. Se uno studente dovesse ricopiarne il contenuto sarebbe costretto ad alzarsi, leggere una frase su una lavagna, ricopiarla, rialzarsi per cercare la successiva lavagna, ritornare a posto e così via. Non è difficile immaginare quale caos si originerebbe in quell’aula! In ogni caso, per superare questi disagi, Tim Berners-Lee sviluppò il suo primo programma che, ispirandosi a un libro del 1856, venne chiamato “Enquire-Within-Upon-Everything”. Data l’impossibilità di questo nome esso venne semplicemente chiamato “Enquire”. È molto curioso sapere che, in una intervista di qualche tempo fa, Tim ha dichiarato che, a quell’epoca, conosceva solo marginalmente le idee di Ted Nelson sul concetto di ipertesto. La realtà, molto più banale, è che egli desiderava risolvere un problema piuttosto fastidioso esistente in quel momento presso il CERN.
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Pochissimo tempo dopo lo sviluppo del sistema “Enquire” Tim dovette recarsi altrove per sviluppare un sistema di reti e le relative procedure per le chiamate remote. Mentre egli era assente, il CERN rinnovò i suoi sistemi di connessione adottando il protocollo TCP/IP. In tal modo i laboratori di ricerca potevano collegarsi a Internet. Era il 1984, e nei cinque anni seguenti il sito del CERN si espanse al punto da divenire, in Europa, quello di maggiori dimensioni. Come abbiamo visto nei capitoli precedenti il protocollo TCP/IP permetteva il colloquio tra sistemi di computer differenti; inoltre, nel corso di quegli anni, la rete Arpanet veniva abbandonata dal sistema militare statunitense in favore delle università e dei ricercatori scientifici. Si era quindi nel più importante momento di trasformazione verso la diffusione di Internet. Proprio nel 1989 Tim Berners-Lee fece il suo ritorno all’interno del CERN. L’evoluzione che si stava attuando in quel momento era un ottimo terreno di sviluppo perché si diffondesse il concetto secondo cui le informazioni computerizzate dovevano essere quanto più possibile distribuite agli utilizzatori. Tim negli anni precedenti aveva sviluppato un’importante esperienza proprio nella programmazione su reti di computer diversi: ormai c’erano tutte le condizioni favorevoli ad un salto di qualità… Marzo 1989. Tim sottopone ai suoi superiori le proprie proposte segnalando tutte le manchevolezze del sistema esistente, illustrando per contro i vantaggi derivanti dall’adozione di un sistema ipertestuale. Egli mette in evidenza come, in tal modo, si potrebbero superare i problemi legati alle distanze geografiche per utilizzare al meglio i contributi degli studenti, degli insegnanti e dei molti scienziati che spesso collaboravano temporaneamente nelle ricerche di laboratorio. Un sistema ipertestuale avrebbe permesso una più immediata collaborazione nella stesura dei vari progetti, favorendo tempi più rapidi per la loro conclusione. Vorrei aggiungere una mia piccola considerazione: se la lettura di queste righe sfocerà in collaborazioni di gruppo tra più studenti, essi avranno occasione di verificare quanto veritiere fossero le parole di Tim Berners-Lee in quel lontano Marzo del 1989; e quali siano stati i vantaggi derivanti dall’adozione dell’HTML anche per la comunità scientifica. La proposta di Berners-Lee venne definita dall’autore “un semplice schema per connettere differenti sistemi automatizzati per la gestione di informazioni, già utilizzabili presso il CERN”. Secondo tale progetto, un ambiente distribuito su ipertesti poteva essere il sistema ottimale per fornire anche ad una singola interfaccia utente l’accesso a grandi categorie di informazioni elettroniche come resoconti, annotazioni, banche dati, documentazione computerizzata e sistemi di aiuto online. Il sì definitivo a tale proposta non si fece attendere, anche se all’autore venne imposto il raggiungimento di ben precisi obiettivi. Egli dovette quindi
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suddividere il progetto in due fasi. Nella prima il CERN avrebbe fatto uso dei programmi e degli elaboratori esistenti, in modo tale che ogni utente potesse utilizzare browsers molto semplici che garantissero il solo accesso alle informazioni, secondo criteri di carattere sperimentale. Successivamente, nella seconda fase, l’area di applicazione sarebbe stata estesa permettendo anche ai singoli utilizzatori l’aggiunta di nuovo materiale. Ovviamente Tim non poteva effettuare tutto da solo, pertanto richiese la presenza di cinque collaboratori, considerando che la durata di ogni fase non doveva superare i tre mesi. Come spesso succede in questi casi la prima risposta ottenuta fu un no secco: solo dopo diverse, insistenti richieste, nel 1990 gli venne concesso il supporto necessario per dare inizio ai lavori. Così, nell’Ottobre dello stesso anno, il progetto iniziale venne riformulato anche per merito dell’importante supporto assicurato da Robert Cailliau. Le basi del Worl Wide Web erano così gettate… In realtà è necessario evidenziare come il progetto del CERN non era quello di dare origine al WWW, bensì quello di creare un ambiente nel quale scienziati e ricercatori potessero maturare nuove idee sfruttando l’opportunità di scambiarsi scritti e opinioni in modo dinamico. Da questo punto di vista, si può affermare che la nascita del Web non sia stata che un “effetto collaterale” delle ricerche nell’ambito della fisica particellare. I ricercatori del CERN, tra cui Berners-Lee, rimasero comunque impressionati dal modo in cui il modello di ipertesto da loro elaborato fosse stato utilizzato e migliorato da una ditta, la NeXT Software, che iniziò lo sviluppo di un nuovo programma entro brevissimo tempo, a partire dal Novembre 1990. L’applicativo in questione era un browser che permetteva la modifica visuale dei documenti per il Web. Contemporaneamente iniziava anche la progettazione del primo computer in grado di avere funzioni di supporto al World Wide Web. In pratica tale computer sarebbe stato il primo server specifico per la Rete. Nel frattempo le ricerche sul software si erano avviate ed erano state estese ad altri tipi di piattaforme per computer. Il rilascio pubblico del codice HTML avvenne nel 1991. Berners-Lee e il suo gruppo di ricerca aprirono così definitivamente la strada al futuro sviluppo del Web a seguito dell’introduzione dei loro browsers e dei relativi server, del protocollo per le comunicazioni tra i vari computer, del linguaggio necessario per la composizione dei documenti e del sistema per l’identificazione dei siti (URL - Uniform Resource Locator). Nel momento in cui i concetti e protocolli relativi al WWW divennero di pubblico dominio, i programmatori e gli sviluppatori di software di tutto il mondo iniziarono ad introdurre modifiche e miglioramenti. Marc Andreesen, studente presso l’NCSA all’Università dell’Illinois, era uno di questi. L’NCSA è un dipartimento specializzato nel settore dei supercomputer. Nel Febbraio 1993 Andreesen e il suo gruppo rilasciarono la prima versione di un browser grafico per il Web chiamato “Mosaic for X”. Qualche mese dopo, in Agosto dello stesso anno, venne rilasciata la prima versione di Mosaic adatta
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sia al sistema Macintosh, sia ai sistemi Windows. Tale circostanza rappresentò un evento significativo per l’evoluzione del World Wide Web perché, per la prima volta, veniva diffuso un software dall’uso facile e intuitivo in grado di essere impiegato dai principali Sistemi Operativi dell’epoca. Dopo qualche tempo Andreesen lasciò l’NCSA per lavorare in California, non avendo più nessun interesse a proseguire lo sviluppo di Mosaic. Era il mese di Dicembre del 1993. In realtà, trascorso qualche mese, Marc e Eric Bina, uno dei suoi collaboratori su Mosaic, si associarono con Jim Clark per fond are la “Mosaic Communication Corp.”, oggi conosciuta come Netscape. Nel maggio 1994 praticamente tutti i componenti del gruppo che aveva sviluppato Mosaic erano entrati a far parte della società Netscape. Il resto è storia d’oggi. Tutto quanto fin qui raccontato è solo un breve resoconto degli avvenimenti che hanno originato gli ipertesti e il linguaggio HTML. Non c’è dubbio, comunque, che la creazione del Web in seguito delle ricerche di Tim Berners-Lee, seguita dal rilascio del browser Mosaic possono essere considerati come i due fattori più significativi nel determinare il successo e la odierna popolarità del Web. Prima di affrontare l’argomento specifico di questo elaborato, cioè la comp ilazione di pagine HTML, diamo un’occhiata a un piccolo programma di scrittura che sarà il nostro “strumento di lavoro” nella produzione di documenti ipertestuali.
UNO STRUMENTO PER SCRIVERE: “BLOCCO NOTE” Una delle principali ragioni per cui si è diffuso l’utilizzo dei Personal Computer, oltre che per la velocità delle operazioni aritmetiche, va ricercata nel fatto di avere a disposizione uno strumento agile per poter scrivere. Per questa ragione ogni elaboratore è in grado di realizzare archivi facilmente utilizzabili, che possono essere scambiati tra utenti diversi. Gli archivi che il P.C. produce, di qualsiasi tipo essi siano, sono chiamati files. Per poter creare un qualunque documento adoperando il computer dobbiamo, per prima cosa, imparare l’uso di uno strumento di scrittura. Il programma più adatto alla preparazione degli ipertesti è Block Notes, o Blocco Note che dir si voglia. È un’applicazione che fa parte dei cosiddetti editor di testo. Sicuramente più di qualcuno sarà disorientato da questo assurdo parolone inglese; in realtà si tratta banalmente di un programma che permette di produrre files composti con testi redatti dall’utente. In parole più semplici l’editor di testo è la versione moderna della macchina per scrivere, completa del foglio di carta inserito nel rullo. Il suo uso è di una semplicità incredibile: basta digitare dalla tastiera le informazioni che si desiderano registrare, nella forma e con l’aspetto che si ritengono più adatti, e in seguito salvarle sul proprio disco rigido. Anche se sul computer è installata la più vecchia delle versioni di Windows, l’applicazione di Blocco Note è esattamente la stessa, e
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funziona nel medesimo modo. Quindi un documento HTML può essere preparato anche con un computer molto datato.
Figura 1 Apertura del gruppo Accessori in Windows 95
Prima di tutto impariamo come attivare Blocco Note. Chi possiede Windows 95 deve premere il tasto sinistro del mouse sul pulsante ‘Avvio’, oppure ‘Start’ se sul computer è installato Windows 98. Questa azione,
Il gruppo Accessori di Windows 3.x
Figura 2 - Come si presenta il desktop di Windows 3.x
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comunemente detta click, fa aprire un menu che permette di scegliere l’applicazione che interessa. Chi, invece, ha un computer dotato di Windows 3.x dovrà compiere un’operazione un po’ più laboriosa. Dalla finestra di Program Manager deve scegliere una delle icone presenti facendo due click veloci su di essa. Le icone di Program Manager sono i simboli presenti al suo interno, come si può vedere in Fig. 2. Se le operazioni appena descritte mettessero in difficoltà qualcuno, ci si può sempre esercitare con la Guida in linea, che ha il pregio di illustrare l’uso di Windows in modo facile e divertente. In Windows 3.x la guida può essere richiamata dalla finestra di Program Manager con un click su ?. Se si è possessori di un computer che usa Windows 95/98, la Guida in linea è disponibile tra le scelte del menu Avvio (Start in Windows 98). Come dicevamo qualche riga più sopra, a noi interessa usare Blocco Note. Tutte le versioni di Windows sono fornite di un gruppo applicativo chiamato Accessori. Per accedere ad Accessori chi adopera Windows 95/98 dovrà effettuare un click di mouse sul pulsante ‘Avvio’ o ‘Start’, selezionare la voce Programmi e scegliere successivamente Accessori. A operazione ultimata l’aspetto del Desktop sarà quello visibile in Fig. 1. Un click sull’icona di Blocco Note attiverà il programma applicativo Coloro che, invece, adoperano Windows 3.x dovranno seguire una procedura leggermente diversa. In questo caso è sufficiente aprire con un doppio click il gruppo chiamato Accessori presente nella finestra di Program Manager. Effettuando velocemente un doppio click sull’icona di Block Notes farà aprire la finestra dell’applicazione.
Barra del titolo
Cursore e punto di inizio della digitazione
Menu a discesa, detto anche a tendina
Barra dei menu
Figura 3 La finestra di apertura di Bloc Notes
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Blocco Note dispone di alcune opzioni che ne rendono molto più facile l’utilizzo. Tra tutte la più comoda è, senza dubbio, ‘A capo automatico’ che si trova nella voce Modifica della barra dei menu. In questa applicazione esistono però anche altre utili scelte, oltre quella appena vista. Una di queste è Cerca, per mezzo della quale si può velocemente individuare una determinata parola, o una sequenza di vocaboli, all’interno del file di testo. Facendo click su questa voce di menu appaiono le due voci Trova e Trova successivo. Quest’ultima opzione può facilmente essere attivata anche premendo il tasto F3, come segnalato nella parte destra del menu a discesa. Il lavoro di battitura in Blocco Note è inoltre facilitato da una vantaggiosa caratteristica di Windows: gli Appunti. Nel menu Modifica, infatti, sono presenti le tre scelte: Taglia, Copia e Incolla. Con il loro utilizzo è facile manipolare il testo sul quale si lavora spostando o ripetendo qualsiasi parola o qualunque frase. In ogni applicazione di Windows sono presenti queste tre opzioni, e il modo di procedere nel loro uso è sempre lo stesso. Per questo motivo riterrei utile soffermarsi qualche momento nella loro descrizione. La prima cosa da fare è quella di Selezionare la parte di elaborato che deve essere manipolata. Per selezionare una porzione di testo si trascina il mouse sulla parte da evidenziare tenendo premuto il tasto sinistro durante tutta l’operazione. In questo modo Windows ‘conosce’ qual è il settore su cui si desidera agire. Il testo selezionato è semplice da riconoscere poiché è contrassegnato da una fascia nera nella quale i caratteri sono leggibili in colore bianco. Se si vuole ricopiare la parte evidenziata, va scelto Copia dal menu Modifica; se invece si desidera spostare il testo, bisognerà utilizzare l’opzione Taglia nello stesso menu. Con una di queste due azioni il testo evidenziato è registrato in quella particolare area della memoria di Windows chiamata Appunti, cui abbiamo accennato qualche riga più indietro. La fase successiva consiste nel collocare il cursore, che viene mostrato come una barretta intermittente, nel punto in cui si ha intenzione di posizionare il testo. Successivamente va scelta l’opzione Incolla. Questa è disponibile solamente se negli Appunti sono presenti informazioni registrate con un comando di Taglia o Copia. A prima vista tutto questo può apparire piuttosto complicato, ma sarà sufficiente qualche minuto d’esercizio per ‘prendere mano’ con il corretto modo di procedere. Si tenga presente che la porzione di testo contenuta negli Appunti può essere incollata anche molte volte di seguito: essa verrà sovrascritta solo da una successiva operazione di Taglia o di Copia. Tornando al menu Modifica, possiamo vedere che esso è corredato anche da altre scelte, oltre a quelle appena accennate. Una di queste è Elimina. Il nome stesso ci indica il suo utilizzo. Serve, infatti, per cancellare una lettera oppure un’intera parte evidenziata. La stessa funzione è assolta dal tasto Canc, che oltretutto presenta il vantaggio di essere indubbiamente più pratico e veloce.
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Se nel corso della digitazione si ha la necessità di immettere nei propri documenti la data e l’ora correnti esiste l’apposita opzione Data/ora. Nel menu Modifica troviamo inoltre Seleziona tutto, che ovviamente serve per selezionare l’intero documento, e infine Annulla. Quest’ultima preferenza permette di annullare l’operazione effettuata più di recente. La sua presenza ci permette di lavorare con un minimo di sicurezza: se si commettesse un errore, infatti, sarebbe comunque possibile correre ai ripari. L’importante è non farsi prendere dal panico e adoperare immediatamente l’opzione! Un discorso a parte merita il menu File. Il motivo è presto spiegato: utilizzandolo si possono effettuare tutte le operazioni per la manipolazione dei files; mi riferisco all’apertura di quelli esistenti, al salvataggio su disco di quelli nuovi, alla impostazione delle caratteristiche di stampa e alla stampa vera e propria. Il relativo menu a discesa presenta, nell’ordine, un elenco di scelte: Nuovo, Apri, Salva e Salva con nome . Il significato di queste funzioni non è difficile da intuire; ma qualche chiarimento in più certamente non guasta. La scelta Nuovo serve, ovviamente, per creare un nuovo file. In realtà, quando si apre l’applicazione, si presenta una finestra completamente vuota, vale a dire un nuovo file. Basta iniziare la digitazione per realizzare la creazione vera e propria; di conseguenza l’opzione va utilizzata per creare più files in un’unica sessione di lavoro. Se invece si desidera lavorare su un file già esistente, va scelto Apri. Questo fa comparire una seconda finestra, detta di dialogo, che permette di selezionare il file da aprire. L’applicazione Blocco Note è predisposta per cercare i files che hanno come estensione .TXT. Nella casella Tipo File è evidenziata l’estensione predefinita. Preme ndo il triangolino nero posto alla sua destra si possono effettuare scelte differenti; se invece si conosce già il nome del file da aprire è sufficiente
Figura 4 - Apertura di un file in Windows 3.x
digitarlo nella casella Nome File. Nel caso in cui i risultati della ricerca non ci soddisfino, un click con il mouse sulla casella Cerca in dà la possibilità di scegliere altre cartelle, ma anche unità floppy, CD o il Desktop. Anche in questo caso un esercizio di pochi minuti sarà sufficiente per prendere confidenza con le semplici operazioni descritte. Gli utenti di Windows 3.x
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troveranno qua lche lieve differenza rispetto alla descrizione appena fatta; in ogni caso l’illustrazione in Fig. 4 dovrebbe far sparire ogni dubbio. A parte le minime differenze nell’estetica, le scelte Nome file e Tipo file rimangono le stesse già viste per Windows 95/98, anche se il modo di operare è leggermente diverso. Si può infatti scegliere in modo indipendente la Directory e l’unità sulla quale essa si trova. Dal punto di vista della praticità, forse Windows 98 risulta di uso più immediato, ma sostanzialmente tutte le differenze si limitano a questo. Una volta aperto un file, o creatone uno nuovo, si arriva al punto in cui le variazioni prodotte devono essere archiviate sul disco. In questo caso si utilizzeranno le opzioni di salvataggio. Salva si adopera per registrare un file esistente che abbia subìto modifiche. Al contrario la scelta Salva con nome permette di salvare per la prima volta un file nuovo, oppure di effettuare la nuova copia di un file esistente. In questo secondo caso, il file dovrà avere un nome diverso se si trova nella stessa cartella del file di origine (in Windows 3.x le cartelle sono chiamate Directory); mentre il nome può restare uguale se il salvataggio avviene in cartelle diverse. Ci sono molte persone che si confondono nell’utilizzo di queste due opzioni, ed è abbastanza frequente che, volendo salvare una copia del file, qualcuno decida di scegliere Salva. Non è difficile immaginare la disperazione del poveretto al momento di cercare una copia che, in realtà, non è stata mai prodotta. A tutte queste informazioni devo però aggiungere una piccola osservazione. Come abbiamo visto Bloc Notes apre i files con estensione .TXT e, allo stesso modo, la aggiunge al momento di salvarli. Questo, però, ci crea qualche problema con i file codificati HTML, i quali devono avere estensione .HTM oppure .HTML. Di conseguenza, se state lavorando su uno di questi files, al momento di aprirlo potete digitare il suo nome nella casella Nome file, oppure potete scegliere la voce Tutti i files nella casella Tipo file. Arrivati a questo punto siamo in grado di creare e salvare un file. Può esserci però anche l’esigenza di stamparne il contenuto per una rilettura, o per la sua diffusione. Ancora una volta il menu File ci offre le scelte necessarie alla gestione della stampa. Stiamo parlando di Imposta Pagina e Stampa. La prima permette di regolare l’aspetto generale della pagina, dei margini e di eventuali indicazioni accessorie, mentre con la seconda si procede alla stampa effettiva del file. Per gli utenti di Windows 3.x esiste un’opzione supplementare, Imposta stampante, che permette di regolare le proprietà della stampante in base alle necessità di utilizzo. Tutto sommato Blocco Note non è difficile da usare, anzi, per qualcuno potrebbe anche essere divertente. Un po’ di esercizio ci permetterà di prendere confidenza con il programma prima di passare al prossimo capitolo, in cui faremo qualche accenno a un’entità piuttosto misteriosa: il DOS.
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PER POTER LAVORARE: PARLIAMO UN PO’ DEL DOS Che razza di diavoleria è questo DOS? Chi lo conosce? La domanda è più che legittima, perché oggi il DOS è una parte piuttosto nascosta delle diverse versioni di Windows. Dobbiamo parlarne perché alcune sue caratteristiche derivano direttamente da un Sistema Operativo chiamato UNIX. In Internet il sistema UNIX è molto utilizzato, quindi conoscere il DOS ci è utile al momento di gestire i documenti all’interno del nostro sito. Se qualcuno si fosse momentaneamente distratto, gli ricordo che un sito può essere contenuto anche sull’hard disk del nostro computer o, addirittura, in un dischetto! DOS è la sigla di Disk Operating System, e per lungo tempo ha rappresentato il più diffuso Sistema Operativo per Personal Computer. Il Sistema Operativo è un insieme di programmi che serve per far funzionare il computer stesso. Al DOS è possibile accedere per mezzo di una finestra all’interno di Windows 95/98, oppure dopo aver scelto l’opzione ‘Riavvia il sistema in modalità MS-DOS’ del tasto Avvio/Start. In entrambe le situazioni sullo schermo è visualizzato un simbolo come quello che segue: C:\> Si tratta del cosiddetto prompt del DOS, che viene adoperato per l’immissione dei relativi comandi. La sua presenza vuole più o meno significare: “Il Sistema Operativo è pronto...aspetto che Tu mi dia qualche ordine”. Questo ci permette di effettuare qualche piccola operazione di esplorazione sull’hard disk o, meglio ancora, su un dischetto da 3,5”. Per poter aprire una finestra DOS bisogna premere il tasto Avvio/Start, scegliere la voce Esegui e digitare nell’apposito spazio il comando Command. Se, per sicurezza, si vuole lavorare su un floppy disk basta digitare dopo il segno maggiore (>) del prompt: C:\>A: Premendo il tasto “invio” il prompt assumerà questo aspetto: A:\> Questo significa che il sistema ci ha “spostato” sull’unità A:, cioè il floppy disk. Queste poche indicazioni ci hanno permesso di fare una piccola ANTONIO FAVINO
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scoperta: la lettera che compare sulla sinistra del prompt indica l’unità sulla quale ci troviamo in un determinato momento. Per spostarsi da un’unità a un’altra basta digitarne la lettera identificativa seguita dai due punti, e premere il tasto invio. A questo punto bisogna fare una breve precisazione. Tutti, adoperando Windows, sanno cos’è una cartella e come va utilizzata. Per creare una nuova cartella è sufficiente fare un click con il tasto destro del mouse e scegliere l’opzione Nuova Cartella. Fin qui nulla di nuovo. Allo stesso modo dovremmo sapere che le cartelle sono dei “contenitori” all’interno dei quali depositiamo i nostri files. Non starò a descrivere come inserire un file all’interno di una cartella, farò però notare che tutti gli interventi da noi effettuati in Windows si basano su operazioni visive, facilmente verificabili. In DOS tutto ha un funzionamento diverso: le cartelle si chiamano directory e ogni azione può essere effettuata solo impartendo i comandi dalla apposita riga di comando. Quindi, se si desidera controllare il contenuto di una cartella, in Windows basta un doppio click su di essa, mentre in DOS bisogna digitare il comando: A:\>DIR *.* /s /p In questo modo si avrà un elenco che visualizza il contenuto del dischetto, dell’Hard Disk o, più in generale, dell’unità sulla quale ci troviamo. Se il dischetto è vuoto il Sistema Operativo mostrerà una schermata che ci comunica tale situazione. Per questo, adoperando Windows, creiamo sul floppy due cartelle che chiameremo IMAGES e DATI. Dalla finestra DOS riproponiamo il comando precedente, senza però indicare /s e /p. Questa volta ci verrà mostrata una schermata come questa: Il volume nell'unità A non ha etichetta Numero di serie del volume: 155A-1CD6 Directory di A:\ IMAGES DATI
0 file 2 dir
13/01/00 13/01/00
10.37 images 10.37 dati
0 byte 1.456.640 byte disponibili
Adesso, sempre adoperando Windows, possiamo copiare qualche file nel dischetto e all’interno delle cartelle. Sul vostro computer ci sarà sicuramente qualche file che si chiama LEGGIMI.TXT. Lo copiamo più volte inserendone uno in ogni cartella e uno direttamente nel dischetto. Digitando solamente DIR il display mostrato in precedenza modificherà i proprio contenuto aggiungendo il file LEGGIMI.TXT.
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Se però desideriamo “entrare“ in una directory per creare, copiare o cancellare dei file, con tutto ciò che abbiamo visto fino a questo punto non potremmo fare molta strada. Il comando che ci permette di effettuare questa operazione è CD, che significa Cambia Directory. Digitando, ad esempio, CD IMAGES il sistema ci porterà all’interno di questa directory. Facendo una prova ci accorgeremo di una particolarità: il prompt si modifica segnalandoci lo “spostamento”. Esso diventa quindi: A:\IMAGES> Da Windows creiamo, all’interno della cartella IMAGES, una cartella che chiameremo FOTO. Dalla finestra DOS eseguiamo il comando CD FOTO e il prompt cambierà ancora in: A:\IMAGES\FOTO> Eccoci dunque arrivati allo scopo di tutta questa lunga prefazione. Se ci si fa caso, la sequenza di indicazioni del prompt non è molto diversa da quella di certi indirizzi Internet, in cui i vari nomi sono separati da una barra rovesciata. Questo perché i documenti di un sito possono trovarsi all’interno di directory, ne più ne meno come è avvenuto nel nostro dischetto. Ora sarà più chiaro il motivo di questa chiacchierata. Resta da dire un’ultima cosa. Se si desidera “tornare“ alla directory IMAGES bisogna impostare il comando CD .. (notare i due puntini). Se invece si vuole “saltare” direttamente a DATI bisogna usare CD \DATI. Gli effetti dei due comandi sono visualizzati di seguito: A:\IMAGES\FOTO>CD .. A:\IMAGES>CD \DATI A:\DATI> Conviene tenere a mente queste informazioni: esse ci saranno utili quando, nel nostro sito, dovremo puntare a documenti o immagini posizionate in diverse directory.
COME È FATTO UN DOCUMENTO HTML? Costruire una pagina HTML è incredibilmente facile. L’industria della programmazione ha creato splendidi programmi che sono in grado di realizzare documenti molto belli e ricchi di effetti sicuramente affascinanti. C’è però un piccolo particolare, il loro costo supera le centinaia di migliaia di lire e non tutti sono disposti, o sono in grado, di spenderli. Per nostra fortuna,
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come abbiamo visto, ogni computer è dotato di Blocco Note, che non costa nulla e che ci permette di realizzare creazioni che non hanno niente da invidiare a quelle dei migliori siti. In realtà l’interesse che può suscitare una pubblicazione sul Web sta nella fantasia e nella creatività di chi l’ha realizzata, e tali merci non sono vendute con nessun programma. Entriamo comunque in qualche dettaglio più tecnico. Per comprendere come è articolato il linguaggio HTML immaginiamo che la struttura di ogni documento sia composta di tanti mattoncini. Ognuno di essi rappresenta un componente fondamentale del documento. Per questo motivo essi sono definiti elementi del documento. Tanto per fare un esempio tali elementi sono costituiti dalle indicazioni di intestazione, dalle tabelle, dai paragrafi, dalle liste di elenchi e da altri accessori di cui avremo occasione di parlare. Per poter identificare ogni singolo elemento l’HTML utilizza i cosiddetti tags. In lingua inglese il tag è un’etichetta. Nel nostro caso queste “etichette”, o “marcatori”, vengono inserite all’inizio e alla fine di un testo, e ci indicano in quale modo va “interpretato” quel testo. Il browser, di cui abbiamo già abbondantemente parlato, è il programma che riesce a “capire” il significato dei tags e a visualizzarne correttamente il documento. Facciamo un esempio che ci permetta di capire perché l’HTML utilizza queste etichette. Immaginiamo di trovarci in cima all’Himalaya con un quadernino e un cellulare. Ci troviamo in uno dei posti più belli del mondo, ma anche tra i più sperduti, e vogliamo comunicare le nostre impressioni ad alcuni amici, che le debbono scrivere nel Giornalino di Classe. Sul piccolo quaderno ci siamo scritti tutto, ma per farlo stampare ai nostri amici esattamente come l'abbiamo pensato, nella nostra telefonata dobbiamo specificare qual è il titolo, quali sono le parti da sottolineare, quali da scrivere in grassetto, quando saltare una o più righe e via via fornire tutte le istruzioni necessarie alla corretta preparazione del nostro servizio. Il linguaggio HTML serve proprio a questo: dare una veste editoriale ai documenti da pubblicare sul Web. Per evidenziare le diverse caratteristiche del documento si utilizzano i tags, che in apertura sono rappresentati da una “parentesi” ad angolo (). Il tag di chiusura è simile a quello di apertura, con la differenza che il suo nome è preceduto da una barra (/). Al suo interno possono essere presenti altre indicazioni che definiscono le caratteristiche del tag stesso. Tali caratteristiche si chiamano attributi. Nel linguaggio HTML, quindi, per definire di un tag si usa la forma che segue: parte del documento da marcare In questo caso le parentesi quadre servono solo per evidenziare una parte valida solo per alcuni tags. Al momento di preparare un documento, quindi, tali parentesi non vanno indicate. La codifica con il linguaggio HTML non prevede, per nostra fortuna, moltissime regole. Una di esse riguarda l’uso delle lettere maiuscole e
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minuscole. Nella norma, è indifferente che un tag sia inserito in forma maiuscola o minuscola, però in alcuni casi determinati ci sono piccole eccezioni. Come abbiamo già detto nel Cap. 3, l’HTML è stato disciplinato da un comitato di studiosi che ha fissato alcune norme anche sui caratteri da utilizzare. Per questo motivo i tag che definiscono alcune lettere particolari, come le vocali accentate, sono sensibili al fatto che, nella preparazione del documento, siano utilizzati caratteri maiuscoli o minuscoli. Questo proprio per distinguere se si desidera che quel carattere sia visualizzato maiuscolo o minuscolo. Naturalmente, quando ci sarà la necessità, verrà opportunamente segnalato quali tags sono sensibili alle maiuscole o minuscole. In questo volumetto parleremo del codice HTML che è stato approvato da un apposito comitato di studiosi. Per adeguarsi alle evoluzioni tecniche e alle esigenze del pubblico il codice HTML viene periodicamente aggiornato, e ogni revisione viene siglata con un numero. Nel nostro caso si parlerà del linguaggio HTML 3.2, anche se, per determinate particolarità, si farà cenno ad alcune caratteristiche del codice 4.0. A causa della continua evoluzione del linguaggio, inoltre, l’uso di determinati tags viene accantonato a favore di forme più evolute. In conseguenza di ciò alcuni tag vengono del tutto abbandonati, mentre l’utilizzo di altri viene dichiarato disapprovato. Quando un tag viene abbandonato esso non fa più parte delle specifiche HTML, e viene visualizzato dai browsers solamente per mantenere la compatibilità con i vecchi documenti. Nel caso in cui un tag venga classificato come disapprovato, invece, esso è tollerato ma non viene garantito il suo uso futuro. Poiché in questo elaborato tratteremo l’HTML 3.2, alcuni tags risulteranno corretti per tale versione, ma disapprovati per l’HTML 4.0. In tal caso verrà evidenziata la loro condizione di elemento disapprovato, ufficialmente definito come deprecated. Le regole fissate dal Comitato per l’HTML non sono però rispettate da tutti, perché alcuni aggiungono codici “personali”, riconosciuti magari da un determinato browser. A causa di ciò non tutti i tag vengono interpretati correttamente in tutti i casi. I browsers che non riconoscono un determinato tag solitamente lo ignorano. Per noi questo non dovrebbe essere un problema, proprio per il motivo che faremo riferimento alle regole “ufficiali”, ma è giusto essere informati anche di questa eventualità.
Le indicazioni all’inizio del documento Con questa indicazione si è conclusa la premessa, forse un po’ noiosa, ma necessaria. Ora passiamo a vedere come è fatto un documento HTML. In esso devono comparire obbligatoriamente determinati tags, allo scopo di rispettare le specifiche del Comitato SGML, di cui abbiamo parlato nel Capitolo 3.
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Possiamo immaginare un qualsiasi documento HTML come una specie di serpente, dotato di una sua testa e di un lungo corpo. Nella lingua inglese testa si dice HEAD, e corpo BODY. Immaginiamo poi che, come il serpente cobra, sulla testa ci sia un segno. Nel nostro caso tale segno è HTML. Con questo esempio abbiamo introdotto tre tag indispensabili per il codice HTML; quindi il più semplice dei documenti sarà composto così: Il mio documento
Imparo l’HTML
Non avrei mai pensato che scrivere sul Web fosse così facile!!!
…e i risultati si vedono subito!
Come si vede la logica è molto semplice: si comincia con il tag , che apre e chiude tutto il documento; segue poi la testa, con tag , all’interno del quale si colloca il tag . Non è difficile intuire che il suo significato è titolo, cioè la parte che compare nell’intestazione del browser e che “presenta” l’argomento della pagina. È quindi molto importante che questo sia breve, ma che illustri chiaramente i contenuti del documento che si sta leggendo. Purtroppo non tutti applicano questa regola, ed è un vero peccato anche per il visitatore del sito! Qualcuno noterà che, nell’esempio, il tag è scritto in maiuscolo: si tratta di un’abitudine dei programmatori HTML per rendere più evidente la presenza di certi tag. Continuando nella lettura troviamo il tag di chiusura della testa () e il tag . Da questo punto in poi inizia la parte centrale del documento, quella in cui si inseriscono il testo, le immagini, i collegamenti ad altri siti e tutti quegli elementi che servono a dare alle pagine l’aspetto e le caratteristiche che più vi piacciono. Tutto quello ciò che è contenuto tra i tag di inizio e di fine viene visualizzato all’interno della finestra del browser. Il tag
serve per la creazione di “titoli” secondari. Avremo occasione di analizzarlo successivamente. Poniamo, invece, l’attenzione sul tag
. Esso è molto importante perché definisce l’inizio e la fine di un paragrafo. Per un insegnante di Italiano il paragrafo è quel gruppo di frasi, tra loro collegate, con le quali sono suddivisi i capitoli. In informatica il paragrafo è un qualcosa di diverso, perché può essere costituito anche da una singola frase, o da una sola parola: ogni volta che scrivendo sul computer viene premuto il tasto invio, si genera un paragrafo. Il tag
, quindi, comunica al browser di comportarsi come se si fosse premuto il tasto invio, e aggiunge ANTONIO FAVINO
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automaticamente precedente.
uno
spazio
bianco
per
distanziarsi
dall’elemento
Il tag
deve contenere obbligatoriamente dei caratteri di testo. Nel caso si volessero inserire delle righe vuote, oppure si desideri spezzare una certa frase, si può usare il tag
. Quest’ultimo non ha bisogno di chiusura, di conseguenza è del tutto errato aggiungere . Da ciò si capisce che, quando si prepara un documento in codice HTML, non vengono in nessun modo considerati gli spazi e le righe bianche inserite dall’editor di testo, che quindi possono essere utilizzate per facilitare la leggibilità del codice di base. In realtà un documento come quello presentato è perfettamente regolare dal punto di vista del codice adoperato, ma richiede una dichiarazione, obbligatoria, che “annuncia” ai browser quale versione del linguaggio HTML è stata adoperata. Questa dichiarazione va inserita in testa al documento, prima di qualsiasi altro tag. Essa è: Il mio documento È importante che tale dichiarazione sia riportata esattamente, senza aggiunte o modifiche, in quanto deve rispettare le regole più generali fissate da SGML. Tecnicamente tale enunciato viene chiamato DTD, il cui significato è Definizione del Tipo di Documento. C’è da dire che il tag composto dal segno < seguito dal punto esclamativo (!) che incontriamo nella dichiarazione può essere facilmente confuso con il tag di commento. I commenti, invece, hanno una natura ben diversa, perché sono annotazioni aggiunte dall’autore del documento. Esse servono per individuare determinate parti del codice, oppure per inserire note o spiegazioni. Il tag di commento, ovviamente, non deve seguire alcuna regola di codifica e non prevede di essere chiuso con il segno /, ma con il segno -->. Qui di seguito è mostrato qualche esempio su come deve essere redatto un commento. Negli esempi successivi vengono presentate alcune forme di annotazione:
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Testo da non variare…
Anche se non si tratta di indicazioni obbligatorie, è bene inserire i due seguenti tag, utili per dichiarare il linguaggio utilizzato e il genere di caratteri in uso.
Gestire il testo nel proprio documento: gli stili logici Non è difficile immaginare che la parte “che fa più colpo” in chi legge una qualsiasi pagina Web è quella compresa tra i due tags . Per questo motivo esiste tutta una serie di istruzioni che ci permette di regolare l’aspetto del testo, in modo che abbia determinate caratteristiche. Attribuire ad uno scritto specifiche proprietà come il tipo di carattere, la sua dimensione, il grassetto o il corsivo viene tecnicamente definito formattazione. Anche l’HTML permette di applicare determinate formattazioni al testo. In questa parte del capitolo impareremo ad utilizzare i tags che ne consentono la formattazione. Se voi aprite un qualsiasi libro, o anche un giornale, vi accorgerete che alcuni titoli adoperano caratteri grandi piuttosto evidenti, mentre altri utilizzano caratteri un po’ più piccoli, di dimensioni comunque più grandi di quelle utilizzate per il testo normale. In molti libri scolastici, specie di storia, o di geografia o di matematica, noterete che c’è un titolo grande ad ogni capitolo, e ci sono poi diversi sottotitoli, scritti magari con caratteri abbastanza evidenti ma di dimensioni inferiori. Anche l’HTML prevede la possibilità di utilizzare questi criteri, adoperando sei diversi livelli di enfatizzazione. I relativi tag sono facili da ricordare perché si chiamano H1, e via di seguito fino a H6. Il testo racchiuso nel tag sarà rappresentato con caratteri molto grandi, in grassetto. Prima e dopo saranno lasciate alcune righe bianche per dare ma ggior risalto al testo. Il tag , invece, è quello enfatizzato in modo meno evidente. È sconsigliabile saltare tra livelli differenti. Non è quindi troppo sensato iniziare con un tag , per poi passare al tag , questo perché non tutti i browser mostrano le enfatizzazioni esattamente allo stesso modo. Conviene quindi adoperare questi tag in modo decrescente, anche perché, a partire dal tag , le dimensioni del carattere sono inferiori a quelle del
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testo normale, pur mantenendo un’evidenziazione in grassetto. Di seguito è mostrato un testo con le diverse enfatizzazioni:
Testo evidenziato con il tag H1 Testo evidenziato con il tag H2 Testo evidenziato con il tag H3 Testo evidenziato con il tag H4 Testo evidenziato con il tag H5 Testo evidenziato con il tag H6
Una volta definito il titolo, e gli eventuali sottotitoli, si può passare alla stesura dei contenuti scritti del documento. Abbiamo visto che ciò è possibile utilizzando il tag
, eventualmente associato al tag
che permette di inserire righe vuote o interruzioni di riga. Inoltre, per regolare l’allineamento delle righe all’interno della pagina, si può utilizzare il tag ALIGN. Esso può assumere quattro parametri: LEFT; RIGHT; CENTER e JUSTIFY. Sono vocaboli inglesi, ma il loro significato si può intuire con facilità. I primi due significano sinistra e destra. Questo significa che le righe del paragrafo saranno allineate sul lato sinistro o destro dello schermo, mentre sul lato opposto non saranno allineate. Il valore CENTER pone la riga al centro, mentre JUSTIFY allinea il testo in modo tale che i margini destro e sinistro siano sempre allineati. Se non si indica l’attributo ALIGN le righe saranno automaticamente allineate a sinistra. Con l’aggiunta di questi elementi si procede nella redazione del documento, inserendo tutte le informazioni che si desiderano includere nella pubblicazione. Mentre stiamo lavorando sulla nostra “opera” non dobbiamo però dimenticare un particolare. La lettura di qualsiasi opera scritta su carta è piuttosto facile anche se si hanno a disposizione alcune pagine composte dal solo testo. Chi legge un documento a computer, invece, tende a stancarsi con una certa facilità, poiché la lettura a video è piuttosto faticosa e poco attraente. Per questo motivo le informazioni codificate in HTML devono essere abbastanza immediate, interessanti e piuttosto “agili”. Immaginate di leggere questo stesso testo sul monitor di un computer. Già fate fatica ora, immaginiamo cosa succederebbe se questo foglio fosse costituito da uno schermo dal fondo bianco abbagliante!
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Ecco quindi una importante regola da ricordare: l’informazione deve essere immediata: meglio dare poche notizie essenziali da approfondire in una pagina successiva piuttosto che sommergere il lettore di una grande massa di informazioni in un unico elaborato. Per fare questo possiamo concepire un ipertesto come un documento che funziona a strati successivi: dapprima vi è lo strato superficiale che fornisce le informazioni essenziali. Si può poi concepire un secondo strato di approfondimento e, infine, uno strato analitico che può essere presente o meno a seconda del tema trattato. Non bisogna dimenticare, infatti, che il vero protagonista del documento ipertestuale è il visitatore, non l’autore. Tenendo in considerazione questo aspetto, ci si renderà conto che il testo redatto con il solo tag
è piuttosto povero dal lato esteriore: si presenta come una ininterrotta sequenza di parole che riempiono tutto il video, interva llate al massimo da qualche linea vuota di separazione. Per aiutarci, gli ideatori del linguaggio HTML ci hanno fornito ulteriori tags utili alla formattazione del testo. In alcuni elaborati, specie di tipo divulgativo, può presentarsi la necessità di riportare frasi o citazioni tratte da scritti di autori specifici. In questi casi si riveleranno molto utili i tags
e . Il primo cambia i margini in modo tale da creare un blocco di testo separato dalla parte rimanente, utilizzando anche il carattere corsivo. Il secondo dei due tag, invece, si limita solamente alla conversione del carattere in formato corsivo, in quanto va generalmente adoperato per riportare titoli di libri, film, documenti ecc. Allo stesso modo si comportano i tags e . Rispetto alla rassomiglianza esistente tra i diversi tags, viene spontaneo domandarsi che senso abbia disporre di più marcatori che, alla fine, producono lo stesso effetto. In realtà, tornando all’esempio fatto all’inizio di questo capitolo, se consideriamo che i tags hanno la funzione descrivere “la stampa del nostro giornalino” essi saranno diversi sebbene, visivamente, siano rappresentati con il medesimo aspetto. Questo concetto, molto applicato nell’informatica in generale e specificatamente nel linguaggio HTML, ci permette di considerare l’aspetto logico del nostro documento. Lavorando con questo genere di approccio non abbiamo la necessità di sapere quale carattere è utilizzato, o quale sia la sua dimensione, perché possiamo concentrarci soltanto sui suoi aspetti “logici”. In altre parole ci è sufficiente sapere che il titolo creato con H1 è più evidente di quello che utilizza il tag H3, senza doverci curare di ulteriori aspetti. In questo modo, quindi, la presenza di tag diversi, sebbene con le medesime caratteristiche estetiche, ci permette di capire la funzione logica di una certa parte di frase rispetto ad un’altra. Un altro vantaggio di questo modo di operare sta nel fatto che siamo solo relativamente vincolati dal browser adoperato da chi legge, perché sarà compito del software gestire il testo secondo i medesimi criteri logici. Un ultimo punto. Gli ipertesti sono gestiti e censiti da una miriade di grossi computer, chiamati server, alcuni dei quali sono robotizzati. Tra questi ANTONIO FAVINO
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potenti elaboratori vi sono i cosiddetti motori di ricerca che hanno la funzione di elencare i documenti con un determinato contenuto, oppure sintetizzatori vocali, in grado di riprodurre in forma vocale un documento scritto; una suddivisione logica del testo permette di utilizzare al meglio le capacità di questi elaboratori. Ecco spiegato il motivo per cui si dispone di un quantitativo di tag che, solo apparentemente, assolvono al medesimo scopo ed è per questo che essi vengono chiamati Stili Logici. Mi rendo conto che due o tre di queste “tirate” invoglierebbero chiunque a gettare nei campi questo volumetto, ma non sarebbe corretto trascurare questi aspetti, che hanno molta importanza per la visibilità del vostro lavoro. Maggiore visibilità vuol dire anche più probabilità di lettura da una grande massa di persone, anche straniere. Qualche attimo di pausa per “digerire” il malloppo e poi passiamo a una breve descrizione dei tags di formattazione. Si potrebbe cominciare proprio da , che è l’abbreviazione del termine inglese emphasis, il quale significa evidenza o risalto. Va quindi utilizzato per dare rilevanza ad una frase particolarmente significativa. Al contrario, il tag serve per una definizione. In genere è utile per evidenziare una singola parola o un termine di cui si sta fornendo la descrizione. Se questo testo fosse scritto in HTML, il tag verrebbe utilizzato proprio nel vocabolo tag. Purtroppo vi è da segnalare che il browser Netscape non riconosce tale marcatore, di conseguenza esso non viene visualizzato con aspetto diverso dal testo restante. Vi sono poi ulteriori marcatori di questo tipo: , , , e altri adatti a funzioni specifiche. Tutti questi utilizzano un tipo di carattere a dimensione fissa. Sarebbe eccessivo descrivere la differenza tra i caratteri fissi e quelli proporzionali. Per semplicità dirò che i caratteri a dimensione fissa sono simili a quelli della macchina da scrivere. Il tag formatta il testo a dimensione fissa e viene adoperato per descrivere codici di linguaggio per computer. È interessante sottolineare come, in questo caso, si voglia desiderare che il browser visualizzi il testo così come è digitato, compresi eventuali spazi o righe vuote. Per ottenere questo risultato bisogna adoperare un particolare tag, chiamato . Quindi, se si desiderasse mostrare una porzione di programma, ma anche di un’espressione aritmetica, la relativa scrittura sarebbe:
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{PARAM name="bgcolor1" value="330033"} {PARAM name="bgcolor2" value="cc99ff"} {PARAM name="bgcolor3" value="000000"} {PARAM name="bgcolor4" value="9933cc"} {PARAM name="sound" value="chord.au"} {PARAM name=”movetype1” value=”horizontal”} {PARAM name="movetype2" value="vertical"} {PARAM name="movetype3" value="horizontal"}
Il successivo tag va invece adoperato quando, ad esempio, si descrivono operazioni al computer che richiedono un’immissione di dati da parte dell’utente. Ecco come potrebbe quindi essere il codice HTML di un paragrafo in cui si utilizza : Per avviare il computer dotato di software salva schermo protetto da password digitare vostra_password per riavviarlo. In questo caso vostra_password corrisponde a quella prescelta in fase di definizione del sistema
Questa pagina, visualizzata con un qualsiasi browser, avrà il seguente aspetto:
Per avviare il computer dotato di software salva schermo protetto da password digitare vostra_password per riavviarlo. In questo caso vostra_password corrisponde a quella prescelta in fase di definizione del sistema. Per rendere più evidente la parte compresa nel tag è stato utilizzato un carattere particolare. Il suo nome è Verdana. Esso è definito all’interno del tag . Più avanti avremo modo di imparare l’uso di tale tag. Possiamo concludere questa carrellata sui tag di definizione degli Stili Logici parlando di e . Il primo di essi serve per definire caratteri letterali presenti in frasi generiche sul tipo di “rimuovere il floppy disk prima di avviare il computer”; oppure “prima dello spegnimento accertarsi di aver completato le operazioni di scrittura” che alcuni programmi possono visualizzare come avviso informativo. Il tag si adopera invece per enfatizzare una determinata frase adoperando il carattere grassetto. Considerando che in questo capitolo c’erano non poche informazioni, direi che un breve riepilogo può chiarire qualche idea. ANTONIO FAVINO
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Abbiamo visto che, nel linguaggio HTML, alcuni tipi di formattazione adoperano gli Stili Logici. Essi sono molto utili per la loro flessibilità perché sono indipendenti dal tipo di carattere utilizzato, rendendo quindi più semplice il compito dell’autore. Alcuni di essi si assomigliano esteticamente, ma definiscono diversamente l’informazione contenuta in modo che browser e motori di ricerca ne interpretino la natura. I tag degli Stili Logici sono: : In genere si utilizza nella citazione di titoli di film, libri, documenti ecc. Fa uso del carattere corsivo. : tag per enfatizzare una frase in corsivo. : Definisce un nuovo termine adoperando il carattere corsivo. Non è supportato da Netscape. : Servendosi di caratteri a dimensione fissa va impiegato per riportare codici di programma. : Il tag si adopera per definire immissioni da tastiera, visualizzate con caratteri a dimensione fissa. : Da impiegare per sequenze generiche di caratteri letterali. Usa caratteri a dimensione fissa. : Usato per enfatizzare in grassetto. Oltre a questi, esistono altri tags non appartenenti agli Stili Logici, ma ugualmente utili nella formattazione dei paragrafi. Prima di tutto vi sono i tags da