IL PROBLEMA DELLA TOLLERANZA - Pagine di filosofia e storia

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moderna si caratterizza come problema teologico-politico ed è il prodotto, da un lato, dell'azione .... Oltre la tolleranza ciò che Spinoza discute è piuttosto.
IL PROBLEMA DELLA TOLLERANZA. NELL’EPOCA MODERNA* Regola generale. Rispettate inviolabilmente i diritti della coscienza in ogni situazione che non turbi in alcun modo la società. Gli errori di tipo speculativo sono indifferenti allo Stato. Tolérance, in Encyclopédie des arts et des metiers. «La libertà è il potere proprio dell'uomo di fare tutto ciò che non nuoce ai diritti altrui: essa ha per principio la natura; per regola la giustizia; per salvaguardia la legge; trova il proprio limite morale in questa massima: Non fare a un altro ciò che non vuoi sia fatto a te». (Dalla costituzione giacobina del 1793). L'affermazione giacobina del 1793, che non parla più di tolleranza, bensì di libertà religiosa, può essere presa come punto di partenza per una puntualizzazione concettuale della strategia su cui si basa in epoca moderna la vicenda della tolleranza, che si determina quasi sempre a partire da questioni di credo religioso, ma che viene poi a influire più in profondità nei processi di disciplinamento sociale che sottostanno alla costruzione dello Stato moderno. La tolleranza è stata usata dal pensiero moderno quale fondamento essenziale di una moderna compagine statuale, compiutamente laicizzata, per una accettabile convivenza civile. In tal senso è stata definita da Kamen, nel suo significato più ampio, come la concessione di libertà a coloro che dissentono in materia religiosa. La tolleranza in epoca moderna si caratterizza come problema teologico-politico ed è il prodotto, da un lato, dell'azione politica dello Stato assoluto allo scopo di spoliticizzare il conflitto di religione. Dall'altro, è l'esito del deismo che, teorizzando un nucleo di religione naturale riconoscibile dalla ragione umana individuale, opera la neutralizzazione -da un punto di vista teorico- del contenuto delle religioni storicoconfessionali, causa delle guerre civili di religione. Il problema della tolleranza non è esclusivamente una questione in tema al dominio teologico, basata sull'interpretazione dei testi sacri del cristianesimo, ma assume una connotazione politica poiché viene a toccare la relazione di obbedienza che intercorre fra principe e sudditi. Il concetto di tolleranza viene argomentato a partire dal riconoscimento dell'incapacità della ragione u-mana di distinguere la Verità, vale a dire fondato sul riconoscimento della possibilità per l'uomo di errare, di ingannarsi, nella scelta della giusta via per la salvezza. E' questo uno dei motivi dell'argomentazione di Bayle sulla tolleranza, che riprende in tal modo lo scetticismo intellettuale della tradizione libertina e tutta una linea di pensiero delineatasi a partire dall'elaborazione del concetto erasmiano di libero arbitrio. La tolleranza viene teorizzata anche come argomento di prudenza politica, come scelta per la neutralità religiosa, male necessario che il principe deve accettare per potere mantenere l'ordine politico e sociale all'interno del proprio territorio giurisdizionale. E' questa la posizione dei politiques francesi, ma è anche la teoria all'origine del concetto di neutralizzazione sovrana, l'opera posta in essere dal potere, che, di fronte all'instabilità sociale e politica che sconvolge l'Europa a partire dal XVI secolo, decide con un atto di autorità di considerare la religione come problema solo di ordine pubblico e non più collegato anche con la sfera più profonda della credenza dell'uomo. La neutralizzazione sovrana ha una sua prima realizzazione storica con la teorizzazione del principio del cuis regio, eius et religio sancito dalla Pace di Augusta del 1555 che, anche se attraverso un atto di intolleranza (la religione in cui credere è esclusivamente quella affermata dal principe ed essa i sudditi sono costretti a professare) sancisce tuttavia fra i sudditi all'interno del territorio dello Stato la fine delle differenze non solo religiose (e dunque di ogni forma di intolleranza), ma anche politiche. Il nesso che lega individui e sovrano a questo punto non si fonda più sulla religione, sul possesso di una Verità trascendente, ma solo su un rapporto di ordine pubblico, poiché della religione viene fatto un uso strumentale, necessario per stabilire una nuova forma di obbligazione politica, quella dello stato moderno, che garantisca la pace civile. In questo quadro la regola di Augusta -che di fatto politicizza la professione del credo religioso- è anche all'origine della privatizzazione della questione religiosa. Il dibattito sulla tolleranza incrocia le domande di libertà religiosa, nozione che concettualmente si oppone a quella di tolleranza. La libertà religiosa non è intesa quale concessione dall'alto, ma viene affermata innanzitutto come diritto soggettivo inalienabile proprio della sfera intima dell'uomo. La rivendicazione di una propria libertà di scelta sul dogma della fede ha ricadute di ordine politico dato che pone in crisi l'istituzione

gerarchica stabilita. Dal XIX secolo la riflessione si concentra sul diritto alla libertà religiosa e al riconoscimento del pluralismo sociale, concezioni che si ricollegano ad esigenze etiche e politiche (arginare l'onnipotenza dello Stato). La vicenda della tolleranza si intreccia con la moderna storia dell'affermazione dei diritti dell'uomo. Mentre la tolleranza è una grazia concessa dallo Stato che, in quanto giudice in ultima istanza la può sempre revocare, la libertà religiosa è un diritto invio-labile e ineliminabile dell'individuo, che limita sovranamente lo Stato. Dunque, la tolleranza moderna risulta essere interesse dello Stato. Risulta la tipica opera attraverso la quale lo Stato costruisce una società ordinata che può nascere solo dall'accettazione del pluralismo religioso, ma a patto di una netta separazione fra Chiese e Stato.

L'idea rivoluzionaria della tolleranza II problema della tolleranza diventa problema centrale nelle rivendicazioni dei Riformati, ai quali la tolleranza appare un mezzo per ottenere riconoscimento in quanto soggetti politici. All'interno di movimento riformatore è necessario distinguere diverse posizioni: da un lato, troviamo la rivendicazione teorica luterana del riconoscimento della spiritualità assoluta del soggetto e della sua assoluta libertà interiore che politicamente si declina però come assoluta obbedienza al principe. La realizzazione di questa posizione si ebbe con la Pace di Augusta del 1555 che sanciva il principio del cuis regio, eius et religio, ovvero il principio secondi cui non si può tollerare all'interno dello Stato più di una religione. Il portato intollerante che ineriva anche al luteranesimo si manifestò con inusitata violenza con la guerra dei contadini capeggiati da Thomas Muntzer. D'altro lato, c'è la posizione di Calvino che conduce alla visione di uno Stato teocratico nel quale i cittadini sono al tempo stesso i membri della Chiesa calvinista, guidata da una ristretta oligarchia di pastori. L'esperimento di Ginevra portò all'espressione praticopolitica di una delle forme più rigide di intolleranza all'interno del mondo protestante. Diventa evidente che il problema della tolleranza, così come emerge nei primi secoli della modernità, non tocca soltanto la lotta per l'affermazione delle sette e il riconoscimento della libertà di culto, ma giunge più in profondità a ridisegnare i rapporti fra politica e religione in un nuovo spazio politico, che è quello del nascente Stato moderno.

La via statuale alla tolleranza Nel XVI secolo l'idea di tolleranza in Francia si afferma come problema eminentemente politico. Si discute, infatti, di permission o di tolérance. La ricostruzione lessicale del concetto di tolleranza attraverso la lettura di documenti giuridici francesi del XVI secolo mostra che la richiesta delle sette ugonotte è una richiesta di permission, un termine giuridico con connotazione positiva, che indicava nella Francia del XVI secolo la concessione da parte del potere supremo della sanzione ufficiale di esistenza a un nuovo gruppo all'interno del sistema politico e giuridico. Il termine tolérance è usato da coloro che negano la tolleranza, ha cioè una connotazione fortemente negativa, poiché l'idea di tollerare i protestanti implica il sopportarli come si possono sopportare con pene e sofferenza la tirannide, la malattia, i bordelli di una città. La reazione al massacro del 24 agosto del 1572 (la notte di S. Bartolomeo) nel quale furono trucidati centinaia di ugonotti, provoca nella monarchia francese l'accoglimento della soluzione proposta dai politiques, realizzatasi concretamente con la promulgazione dell'Editto di Nantes (1598) che assicurava libertà di culto agli ugonotti in un centinaio di piazzeforti e la fine della discriminazione religiosa nella concessione di uffici pubblici. L'Editto di Nantes, anche se non arrivava alla formulazione del concetto di libertà religiosa, si proponeva almeno come un reale atto politico di tolleranza, un atto di pacificazione fra due opposti partiti politico-religiosi, una volta dimostrata l'insufficienza pratica dimostrata in Francia da ogni coazione armata ad estirpare l'eresia. L'affermarsi della questione della tolleranza attraverso il dibattito dei politiques segna non solo l'affievolirsi del dogmatismo in campo religioso, ma anche in ogni campo del sapere, dando inizio a quel processo di secolarizzazione del quale lo Stato è prodotto precipuo. I politiques insistono sulla necessità di uno Stato secolare, che non si fondi su una religione determinata, ma sia al di sopra delle parti. Le vicende storielle imboccano così quella strada che trasformerà il principio della tolleranza da espressione della natura partecipativa dell'unica vera religio in strumento della dissoluzione di ogni

religio che pretenda di essere l'unica e la vera. Si assiste, in ultima analisi, allo spostamento da un'idea di tolleranza ecclesiastica, che riguarda i membri delle comunità religiose, a un'idea di tolleranza civile, che determina la sfera pubblica. La tolleranza è il mezzo per ottenere la pace civile e l'ordine politico: nella dottrina dei politìques la richiesta di tolleranza non è più avanzata in nome del rispetto religioso, ma diventa espediente politico contingente pensato da uomini politici, espediente che rivela che per Michel de l'Hopital e per Bodin è ancora possibile pensare, in un futuro che appare però sempre più lontano il ripristino dell'unità religiosa.

Hobbes Anche se Hobbes non può essere ritenuto in senso stretto uno degli autori della lotta per la tolleranza può a ragione essere preso in considerazione perché giudica imprescindibile risolvere in Europa il conflitto religioso per garantire stabilità all'ordine politico. Il sovrano hobbesiano costruisce l'ordine politico con una pratica di fatto intollerante, poiché con un atto di autorità della propria unica volontà decide l'unica religione che i suoi sudditi possono professare. Il Leviatano pone al cuore della propria azione politica la tolleranza intesa come la spoliticizzazione della questione religiosa attraverso l'attribuzione al sovrano dell'interpretazione delle Scritture da un lato e dall'altro la privatizzazione dei sentimenti del credente.

Montesquieu "Quando si è padroni di accogliere in uno Stato una nuova religione, o di non accoglierla, non bisogna stabilirvela, bisogna tollerarla" [XXV libro dello Spirito delle leggi]. Il pluralismo religioso, che inevitabilmente la tolleranza pone in essere, non è agli occhi di Montesquieu un elemento positivo in sé, ma una situazione che lo Stato è necessitato a sopportare se vuole mantenere l'ordine pubblico. "In un paese in cui si ha la sciagura di avere una religione che non è stata data da Dio, è sempre necessario che essa si accordi con la morale; perché la religione, anche falsa, è la migliore garanzia che gli uomini possano avere della probità umana. Se Hobbes affida al sovrano anche il potere di determinare il culto pubblico, Montesquieu, pur ritenendo auspicabile l'unità religiosa all'interno dello Stato, afferma la tolleranza, concessione del sovrano al pluralismo religioso, un male minore quando si manifestino conflitti religiosi in seguito alla presenza di diverse forme di culto all'interno dell'ordine politico. Montesquieu si inserisce nella linea del moderno pensiero politico liberale.

Bayle In Bayle si afferma la valenza politica del concetto di tolleranza a partire da un presupposto religioso, la libera scelta del singolo determinata dal diritto naturale che sancisce la libertà di coscienza. Bayle coniuga nel proprio pensiero due istanze caratteristiche del razionalismo moderno: il valore dell'autonomia individuale e la necessità della pace sociale. Secondo Bayle "ogni disordine deriva non dalla tolleranza, ma dalla non-tolleranza. Dunque la tolleranza risparmierebbe al mondo tutto questo male; lo spirito persecutore invece glielo procura.

Spinoza Nel Tmctatus teologico-politico (1670) Spinosa sostiene la necessità del controllo dell'autorità politica sulle manifestazioni pubbliche della religione, ridotta in tal modo a strumento di unione nell'obbedienza al potere politico dei membri della comunità civile. Spinoza si serve del termine nel senso etimologico di "sopportazione paziente". Oltre la tolleranza ciò che Spinoza discute è piuttosto il problema del rapporto fra verità e religione che lo porta a definire il concetto di "vera religione". Si tratta di una conoscenza razionale, emendata delle determinazioni empiriche, di una verità che, di fatto, è filosofica: "L'uomo che ha emendato il proprio intelletto e partecipa della conoscenza vera, ha oltrepassato l'orizzonte e il limite della tolleranza".

Locke "I papisti non devono godere del beneficio della tolleranza, perché, dove hanno il potere, si ritengono obbligati a negare la tolleranza degli altri fino a che sono tenuti a una cieca obbedienza a un

papa infallibile, che ha le chiavi della loro coscienza attaccate alla cintura [...] io penso che essi non debbano godere del beneficio della tolleranza [...] la repressione dei papisti accresce il numero dei nostri amici, li rafforza e lega più saldamente tutto il partito protestante a nostra assistenza e difesa". (Saggio sulla tolleranza). I cattolici non sono affidabili nel rispetto del patto -fondativo del governo- tra società civile e sovrano, dal momento che essi sono contesi tra due sovrani, il pontefice e il magistrato lockiano.

Il deismo In opposizione alle religioni storico-confessionali Toland in Christianity not Misterious (1696) rifiutava della Scrittura tutto ciò che non si accorda con la ragione e con il principio dell'uniformità della natura. Conseguentemente affermava quale unico vero credo quello nella religione naturale, una religione priva di dogmi e che si fondava sul riconoscimento dell'esistenza di un Essere supremo, assolutamente razionale, creatore del mondo terreno, ispiratore negli uomini di una ragione e di una morale comuni, perché naturali e quindi giuste; un Essere che però non interviene mai direttamente nelle vicende storiche degli uomini. Il Dio dei deisti deve molto al Dio-geometra, ordinatore dell'universo di cui parla Newton nei Principia matematica nonché al Grande Architetto ordinatore del mondo della Massoneria. Si tratta di una concezione intellettualistica, frutto del movimento di liberi pensatori che ritengono i miracoli e i misteri religiosi i veri nemici della fede religiosa perché ne offuscherebbero il contenuto reale. Che invece dovrebbe essere compreso con gli strumenti propri della ragione umana. In realtà l'attacco dei freethinkers mirava a negare la missione sovrannaturale delle chiese storiche, la divinità delle Scritture, il magistero carismatico del clero. Quindi fu un attacco politico volto a scardinare l'autorità temporale e politica dell'episcopato, a sostituire l'ethos laico dei nuovi ceti borghesi alle sopravvivenze dell'antico assetto gerarchico della società. Anche il deismo si inserisce in quel processo di laicizzazione e di secolarizzazione che pone tra i propri scopi quello di interpretare il comportamento etico all'interno del reale matematico svelato dalla scienza moderna.

Voltaire La tolleranza diventa il cuore della discussione politica settecentesca e dell'azione riformatrice dei sovrani europei : riforme che andavano in direzione della tolleranza religiosa furono quelle emanate da Federico II e Caterina II, e in particolare Giuseppe II. In definitiva, la tolleranza risulta parte di quel processo di uniformazione su cui si costruisce l'immagine europea dello Stato: l'affermazione della tolleranza vale per tutti coloro che fanno parte dello spazio politico dello Stato e che perciò sono uguali in quanto sono sottoposti alla medesima legge, la legge del sovrano, e ad essa obbediscono. E-merge a questo punto con evidenza quella che è la difficoltà intrinseca all'uguaglianza formale garantita dallo Stato: l'incapacità per una dottrina che si vuole universale, e cioè applicabile e valida per tutti, di riconoscere le differenze. Sarà questo il lascito che la lotta moderna per la tolleranza consegna alla riflessione contemporanea. Voltaire fonda teoreticamente la tolleranza sul riconoscimento della fallibilità della conoscenza umana e dell'impossibilità di attingere la Verità e ne teorizza la necessità sulla base di riflessioni di carattere politico come mezzo per evitare il sovvertimento cruento dell'ordine pubblico. Il Dio di Voltaire si trasforma in un concetto strumentale che rivela la propria funzione formale, morale e politica. "La massima anticamera che è meglio obbedire a Dio che agli uomini: ora vige la massima opposta, ossia che è obbedire a Dio seguire le leggi dello Stato". La presenza della religione come collante dell'unione sociale è ritenuta necessaria da Voltaire fin tanto che il popolo non sarà tutto illuminato dai raggi della ragione, avvenimento che determinerà una convIvenza razionale coscientemente e liberamente voluta. Se il XX secolo, nonostante l'emanazione di molteplici carte dei diritti (da quella di San Francisco alla Convenzione di Roma, dall'Atto di Helsinki, alla Carta Africana, alla Carta dell'Unione europea) si è chiuso riportando in auge le questioni di tolleranza, si impone allora una nuova sfida al pensiero del XXI secolo: andare oltre la tolleranza. Se il vivere quotidiano di una società, in cui sono sempre più presenti disparità sociali ed economiche, richiede per una pacifica convivenza civile anche il riconoscimento di una soglia di tolleranza nei comportamenti di tutti, ciò che si pone come nuovo problema alla riflessione teorico-politica è la

questione non della tolleranza, ma della giustizia sociale e della libertà culturale, della soggettività politica e delle forme del lavoro, ovvero la questione della democrazia e dell'uguaglianza in un mondo non più omogeneo, ma molteplice. * Scheda tratta da Maria Laura Lanzillo, Tolleranza, Il Mulino, Bologna 2001.