Inni di guerra e canti patriottici del popolo italiano - La Botte e il ...

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una eterna alleanza con la. Germania ! Ma ecco che è stata l'Austria stessa a risvegliarci dal sogno ingannatore, a riaprire il vecchio conto che aveva con noi,  ...
Guerra

i

e.

Canti! patriottici del

X

n

Popolo ^

Italiano

cura di

RINf^LDO

CrtDDEO S'^

Edizione

aumentata

Presented to the

LIBRARY of the UNIVERSITY OF TORONTO from the estate of

GIORGIO BANDINI

'NNI DI

GUERRA

PROPRIETÀ' LETTERARIA

Stabilimento Tipografico della Società Editoriale Italiana

-

Milano

Inni di

Guerra e

Canti patriottici del Popolo Italiano Scelti e annotati

S'i'i

/ÌA'''

^

da Rinaldo Caddeo

d'Italia!

SII,

in

anni!

coraggio!

Rerchet.

Terza edizione

ccjrretta

ed aumentata

MILANO CASA EDITRICE RISORGIMENTO 1915

APRI

7 1995

PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE

Questo volumetto, che

si

la

più

autorevole stampa

proponeva,

guerra che

morale

preparazione

alla

l'Italia

sta

combattendo per

zionali e per la giustizia internazionale.

memoria

grande

della

suoi

diritti

na-

Richiamando

alla

i

degli Italiani gli inni guerreschi dei loro Padri,

facendo risuonare nuovamente nelle masse popolari dei canti

tornelli

ita-

chiamato aureo, ha veramente contribuito, come

liana ha

l'Autore forni

patriottici

quali

coi

fu

fatta

più rapidamente avevano intuito e affermata

la

ri-

Patria,

la

cosidetti interventisti, ossia a coloro

ai

i

che

necessità

imprescindibile della lotta contro l'Austria, un formidabile

mezzo e di

di

propaganda

in

quegli angosciosi mesi di aprile

maggio, quando parve possibile l'estrema

viltà

del

neutralismo austro-tedesco che avrebbe fatto per sempre dell'Italia

vassallo

un paese senza spregevole

e

onore

venale

Nelle piazze e nelle strade dove liberatrice

si

videro gruppi

di

e

senza

degli si

inneggiava

frontiere

dove di

i

nostri

iniziare

verso Fiume e

la

la

soldati

si

in

guerra

alla

mano;

un

centrali.

giovani e di vecchi

cedere cantando col libro del Caddeo

pazienza

potenza,

Imperi

pro-

e dalle

struggevano nell'im-

marcia verso Trieste e Trento,

Dalmazia, lettere vibranti

di

entusiasmo

— e di

VI



riconoscenza giungevano a noi, espressione sincera

grande anima

della

italiana,

riboccante di

idealità

e fe-

dele alle generose tradizioni del nostro passato.

Pubblicando,

dopo

soli

due mesi dalla prima,

conda edizione riveduta, corretta di

guerra

e

la

se-

aumentata, degli Inni

e

Canti patriottici del Popolo Italiano, noi for-

muliamo l'augurio che

fra

breve

i

nostri

vittoriosi

sol-

dati possano far risuonare nelle vie di Trieste e di Trento le

strofe

sando

di

animose vittoria

(ìiiigno,

al

in

canto delle

quali essi

stanno pas-

vittoria.

1915.

GLI EDITORI.

PREFAZIONE ALLA

Questo piccolo

il

giorno

in cui

la

gicventij nostra, sul

spiriti

un contributo

ardimentosi

si

momento dà

alla

avvicina rapidamente

avrà non più sem-

ci

ed è dedicato

attori,

quella che vigila con l'arma

a

mal tracciato confine ed

gravità del

essere

mentre

guerra mondiale

ma

spettatori

plici

EDIZIONE

vuol

libro

mobilitazione degli

PRUA

alla

piede

al

quella che conscia della

a

tutta se stessa all'opera di prepa-

razione morale della Nazione. Io credo sia

fermamente che

ineluttabile.

e realtà,

venire,

Tutto

la

spinge

guerra contro l'Austria alla

bisogno

di

:

sentimento

riunire alla Patria le terre che ane-

lano a ricongiungersi

ad essa e quello di assicurare

lavoro italiano una più vasta sfera tico,

guerra

tradizione del passato e le necessità dell'av-

la

il

ci

di

attività

al

sull'Adria-

nell'Asia Minore, sul vasto Mediterraneo.

Non siamo non

guerra,

rola dell'odio.

zione

di

noi

siamo

che abbiamo voluto e scatenato t^pi

generosità ignota agli

dal

seminato

la

pa-

la

Vi è nell'anima italiana una gentile tradi-

rore delle battaglie, pur tra niero,

abbiamo

che

cuore della

le

nostra

altri

popoli.

Pur

tra

il

fu-

sofferenze del giogo stra-

gente è

uscita

spesso

la

della parola del perdono, della solidarietà internazionale,



Dopo aver predicato

più squisita umanità.

contro



vili

la

guerra santa

Goffredo Mameli esprimeva dalla sua

lo straniero,

anima purissima questo voto

:

Dimenticate

popoli

ì

L'ire d'un dì che

Sarà

terra

la

Come una

agli

gran

muore, uomini

città

;

Libera, grande, unita,

Vivrà una nuova vita La stanca umanità.

A

siamo

quest'ideale

Italiani

;

per esso molti,

devoti anche

stati

dei

e

troppo,

generosi

più

dei

avevano financo creduto possibile un'intesa con una eterna alleanza con

Germania

la

stata l'Austria stessa a risvegliarci dal a riaprire in

di

di

noi, colpendoci

più caro e di più vitale noi avessimo.

La guerra cipio

l'Austria,

ecco che è

sogno ingannatore,

vecchio conto che aveva con

il

quanto

Ma

!

noi

nostri,

mettendo l'Austria contro

d'oggi,

contro

nazionalità,

la

prin-

il

indipendenza dei piccoli

popoli, contro lo spirito democratico animatore della vita italiana,

ci

sforza ad essere contro di

patrimonio ideale e materiale che

mento di

ci

hanno

ingrandirlo

principii

e

fecondarlo

di

della civiltà

Come hanno 1797

in

difesa del

in

lasciato in eredità con T'espresso incarico

poi

in

armonia

sublimi

coi

umana.

potuto dimenticare a Vienna che l'Au-

stria in guerra, l'Italia

Dal

gli

lei,

uomini del Risorgi-

i

non può che essere contro

suoi nemici furono

sue sventure furono

le

nostre fortune.

i

nostri

Non

amici,

:

è

necessità di

le

è rettorica,

non è nemmeno sentimentalismo malsano che ce considerare ancora nemica

lei?

di

tutte

la

le

fa

no-

stre aspirazioni ideali, di tutte le nostre tendenze di razza,

— di civiltà, di

commerci,

IX



espansione nel mondo.

di

che l'Austria ha aperto con noi dal trattato formio non è chiuso perchè l'Impero di

'59, la

per

saldarlo

si

nostra

tranquillità

la

Campo-

di

sempre

è rifiutato

sua

e

'49,

il

:

conto

Il

il

'66 sono operazioni di un affare che attende ancora

il

sua liquidazione

questione

finale.

Resta ancora da risolvere

nazionale del Trentino

la

questione militare

la

:

dell'Alto Adige che deve dare all'Italia la sicurezza del

confine nord;

la

mica insieme

del

del

Friuli

questione nazionale, militare ed econo-

possesso pieno ed

intiero

Fiume;

Orientale, dell'Istria con

marittima della Dalmazia che deve darci

una

rarci

sente

L'Italia

che

giunto,

che

il

momento

delle

!

La gran voce

coloro

ai

quali

assicu-

di

dell'Adriatico.

decisioni

forti

del passato che

verso l'avvenire possa risuonare di

modo

dominio

il

questione

è

del nostro assetto orientale è suonata!

l'ora

Ora o mai più

sempre

per

volta

Trieste,

di la

fondo

in

alla

ci

spinge

coscienza

Nazione guarda con speranzosa

la

tre-

pidazione.

Dopo

un'interruzione

di

alcuni decenni l'epopea nazio-

nale italiana sta per ricominciare

;

nemico è

il

da raggiungere sono ancora

ideali

lo stesso, gli

medesimi, confortati

i

da una più estesa comprensione dei bisogni materiali e sociali della

Nazione, ed

popolo non sono,

non

si

muta

in

i

sentimenti che animano

nostro

il

fondo, mutati. L'orizzonte di un paese

nel giro di pochi lustri

;

i

motivi ideali della

nostra grande Rivoluzione nazionale sussisteranno fino a

quando della ci

tutti

gli

Italiani

Madre comune,

non saranno

fintanto che

il

rientrati

aggiriamo non sarà compiuto. Sfrondiamo

guerra ed

i

nel

sene

ciclo storico nel quale gli

inni

di

canti patriottici del Risorgimento delle forme

.

\

--

che suonano arcaiche

-

-

orecchi

nostri

ai

come

freschi, vivaci, modernissimi,

e

troveremo

li

se fossero

pen

stati

sati oggi, interpreti fedeli dei nostri ideali politici.

popolo nostro ha incominciato a cantare nelle strade

11

e

case

nelle

inni

gli

e

canzoni

le

e

suoi

i

tempo in ,

musicisti

gli

Napoleone,

di

poi

Italia;

il

che

nazionali

stesso esprimeva dal suo seno fecondo o che

preparavano a

esso

suoi poeti

i

incominciare

rigeneratore del sentimento

dai

patrii,

ha continuato a segnare ogni rivolgimento,

ogni insurrezione, ogni battaglia, ogni vittoria, ogni mar

sua causa con canti e con

tirio della

1831

inni

di

Nel 1821 e nei

inni.

guerra corsero da un capo

penisola mettendo

nelle

delle azioni generose e

vene degli

magnanime.

delki

all'altro

l'impazienza

Italiani

1848, l'anno

11

me

laviglioso del nostro riscatto, fece fiorire le più beile crea

musa popolare

zioni della

ingaggiata

lotta

sione lenta

nosa

ma

in

inni di guerra,

gli

cantate

tutta

Italia,

tra

le

canzoni

l'entusiasmo della

accompagnarono l'ascen

sicura della Nazione verso

popolo ancora oggi

il

;

;

quell'anno,

nate

popolari

ripete,

le

nezza trionfale che non cade per volger

vetta lum.

la

nella

11

vide una nuova primavera di canti patriottici che

lungo fino a tutto il



era fatta

1860

:

poi, tranne

verso

altri

Ce tinuato

se non compiuta

la



e

I85li

prc

per brevi momenti

i

nuovi bisogni mate incanalaron,.

sfoghi le attività poetiche degli Italiani.

tuttavia qualche provincia, a

si

sua ispirazione... L'italiu

Paese diventato grande Potenza

del

liali

1

il

popolo parve aver perduto

giovi

loro

anni.

di

cantare

italianità vi è

scia perenne,

patriotticamente

dove

il

popolo ha cou

perchè

la

lotta

pe.

rimasta un martirio delle anime, jun'angc

una

lotta formidabile,

spesso disperata, nell





XI

quale veniva giuocato tutto per ledente,

Orientale, Trieste e terre,

rimaste

e

dopo l'infausto

»

razza

alla

tentò

si

:

una razza straniera

da millenni, terre

allo

italiane.

alla

scopo

solamente una difesa

come

i

Essi,

verso

lo

slavo invasore

si

canti degli irredenti

del

Risorgimento,

stesso ardore

alla

rina italiana

lottarono cantando

notato,

lingua

non

ai

ricordare

s/

e

E'

la

d'odio

prima volta che

vengono stampati accanto quali

dei

in

hanno

lo

una unità ideale che

hanno

compito

il

si

a quelli

stesso palpito,

lo

lirico

i

al

1915

l'esercito e

si

la

ri-

ma-

di stabilire eterna.

raccomanda ma

inni e

eroica giovinezza ed

trimonio

perchè nella

così riuniti, questi inni di guerra e di fede

;

dotti gli

del

nasconde potente e perseve-

Lavoro modestissimo, senza pretese e

caratteri della

i

loro canti nazionali

i

che vanno dal principio del secolo XIX

compongono

Italiani

gli

fu

rante l'amore alla Patria Italiana. i

cioè

stanzr.

na^

generosi,

attaccamento

ha

veramente una difesa

hanno un carattere speciale che va di

vi

irredenti

dagli

prodi del Risorgimento, ed

espressione

regioni

sostituzione

la

zionale contro una invasione che aveva

barbarie medioevale.

favella

alla

non

fatta

politica, fu

conob-

persecu

la

ma

rendere stranieri

di

Queste

'66,

razza italiana che

La difesa

Friuli

il

disgraziate

nelle

ir-

di quella subita

conobbero

dalla Venezia,

una violenta trasformazione etnica,

m

Provincie

e la Dalmazia.

sentimento nazionale non solo,

al

italiana

di

le

:

oppressione più feroce

di

Lombardia e

;.ione

Fiume

l'Istria,

austriache

«

bero una forma dalla

tutto

il

Trentino e l'Alto Adige, Gorizia e

il

ai

di sorta,

è

il

mio,

pochi che vogliono

canti concitativi della loro lontana ai

molti che

un

così prezioso patri-

e patriottico non conoscono che male ed

— minima

in

parte.

Ho compreso

tutte le poesie patriottiche

che

messe

in

nella

mia raccolta non

l'Italia

ha composto nella

ma

sua lunga ed aspra battaglia, state



XII

solo

che sono

quelle

musica o comunque cantate nei giorni

Da queste

della preparazione e nei giorni della battaglia.

strofe

appassionate,

questi

ritmi

italiana.

altro

Al canto

Davanti nostro

veementi,

ritornelli

da

questi

inni

guerra

di

terra

la

dei

miracolo della propria resurrezione gli stessi canti

terra dei vivi, se tutti

la

esser degni di

del

di il

ne compirà con

ora che è

questi

animatori balza l'eroica e generosa anima

morti ha compiuto

un

da

suoi

i

:

ora che è risorta, figli

sapranno

lei.

nostro spirito

al

Risorgimento

e

si

apre

la

dell'opera

visione magnifica

che

compiremo.

L'aspra voce del cannone riempie del suo macabro boato tutto l'orizzonte e copre di terrore

lontananza eccelsa

si

il

mondo,

ma

avvicina gradatamente a noi

divino dei nostri morti

;

le

loro voci

si

da una il

coro

innalzano chiare

dicono ha

e forti nel cielo e ciò che esse

ci

di rincorarci, di farci sicuri delle

nostre sorti, di additarci

la via sicura

Le profezie

al

potertza

da seguire. dei nostri martiri stanno per compiersi.

Dante non aspetta fino

la

piìi

solamente a Trento,

ma

ci

chiama

Brennero, sulle Alpi Giulie che cingono Trieste

e Fiume, sulle Dinariche che difendono Zara... Italiani, noi

siamo per vivere un meraviglioso momento.

Possiamo non viverlo invano per

le

fortune d'Italia!

Milano, Pasqua di Resurrezione, 1915.

RINALDO CADDEO.

«XX)(MMHXMMXMMMMXMMXM L'INNO DELL'ALBERO DELLA LIBERTA' Marsigliese, la Carmagnola, il fa ira, importati di Francia, l'inno dell'aurora del pensiero nazionale italiano. Gli inni francesi furono cantati intorno agli alberi della libertà, eretti negli anni 1796-99 nelle piazze cittadine, prima nella loro dizione originale, poi in curiose traduzioni e riduzioni. Il Qa ira itaKano, per esempio, suonava così

insieme con

E',

la

dagli eserciti repubblicani

;

Ah, ga Il

ga ira, ga ira. patriottismo risponderà. ira,

Senza temere né ferro né fuoco Gl'Italiani sempre vinceran. Ah, ga ira, ga ira, ga ira!

Non

patriotti sentirono il bisogno di un inno propr'o tardò molto che sorse dal seno del popolo Vlnno dell'Albero, cfie fece dimeninni francesi gli la sua musica era solenne, piena di una religiosa dolcezza. Giuseppe Mazzini lo ebbe carissimo e a Londra, nei lunghi anni d'esilio, amava canticchiarlo sovente, accompagnandosi con la chitarra. Un altro Inno dell'Albero, detto della Repubblica Partenopea, fu musicato dal Cimarosa su parole di Luigi Rossi diceva

e

i

così

ticare

;

:

;

ormai

desia, Italiani all'armi, all'armi Altra sorte ormai non resta Che di vincere, o morir.

Bella

Italia,

ti

:

Ecco apiirito

dei

Vlnno dell'Albero tempi e tradisce

Or

Libertà, che è tutto sua origine giacobina.

della la

informato

allo

ch'innalzato è l'albero

tiranni S'abbassino Dai suoi superbi scanni i

Scenda

la

;

nobiltà.

Un

dolce

S'accenda

in

amor

Formiam comuni Viva

la

di

patria

questi lidi;

libertà

!

i

gridi

' ;

— — 2

L'indegno aristocratico

Non Se

osi alzar la testa

l'alza, allor

Tragica

si

:

la festa

farà.

Un

amor

dolce

S'accenda

Formiam comuni Viva

la

libertà

Già reso uguale

Ma È

patria

di

questi

in

lidi

gridi

i

;

;

!

e libero

suddito alla legge,

il

popolo che regge

Sovrano

:

ei sol sarà-

Un

dolce

amor

di

S'accenda in questi

Formiam comuni Viva

la

libertà

patria lidi

gridi

i

;

;

!

Sul torbido Danubio

Penda

l'austriaca spada

Nell'Itala contrada

Mai

:



più lampeggerà.

Un

dolce

S'accenda

in

amor

Formiam comuni Viva

la

di

patria

questi lidi;

libertà

!

i

gridi

;

—3— "-PARTIRÒ' PARTIRÒ '...,, CANTO POPOLA RE E uno rimonta

dei

a più di

più

antichi

un secolo

canti

fa,

al

popolari

tempo

e

italiani

come

il

precedente

delle guerre napoleoniche,

quando

nostra gioventù, disusata al mestiere delle armi da una secolare tradizione di mollezza, di vigliaccheria e di servaggio, fu restituita dal Capitano corso alla virtù militare, rigeneratrice dei costumi e madre di libertà. Vi è in queste strofe un accento di sconforto e di amarezza caratteristico si sente il dolore del distacco dal paese adorato, dalla famiglia mai prima di allora abbandonata, distacco non confortato da la

:

un'idea superiore che potesse fare accettare di buon animo il sacrifizio, né dal miraggio di una patria grande, forte e libera. Militando con Napoleone, all'ombra della bandiera tricolore (verde, bianco, rosso) che il gran condottiero aveva già trovata adottata dai patriotti al suo ingresso in Milano nel 1796, i soldati italiani compirono prodigi di valore, entrarono due volte trionfalmente in Vienna, si coprirono di gloria in Spagna e Russia, acquistarono la coscienza del proprio valore. Partiti con rammarico per le guerre napoleoniche, tornati tristemente in patria dopo la caduta del gigante, furono veterani di Napoleone che conservarono gelosamente il culto della tricolore bandiera e la innalzarono nei movimenti del 1821 e del 1831 segnacolo di rigenerazione nazionale. E noto che gli ufficiali e soldati italiani di Napoleone appartennero a centinaia alla Carboneria e alle altre società segrete politiche e furono sempre tra più fedeli e ardenti seguaci delle idee di indipendenza e di libertà dell'Italia. Questa canzone fu popolarissima e venne ripetuta con lievi varianti anche nelle guerre del 1848, del 1849 e del 1859. i

i

i

Partirò, partirò, partir bisogna

Dove comanderà Chi prenderà

'1

nostro sovrano

;

Bologna, E chi anderà a Parigi e chi a Milano. la

strada

di

Ah, che partenza amara, Gigina cara, mi convien fare.

Vado

alla guerra,

spero

di tornare.

Se il nostro Imperator ce lo comanda, Ci batteremo e finirem la vita Al rullo de' tamburi, a sunn di banda ;

Farem

dal

Ah che

mondo

l'ultima partita.

partenza amara,

Gigia mia cara, Gigia mia bella Di

me

;

più non avrai forse novella.

— BELLA

4

ITALIA,

AM ATE SPONDE „

ODE

DI

VINCENZO MONTI

Quest'ode famosa del Monti (nato in Alfonsine di Romagna il febbraio 1754, morto in Milano il 13 ottobre 1828) in onore del generale Desaix fu scritta nel 1801, quando il poeta potè tornare in Italia dall'esilio di Parigi dopo la vittoria francese di Marengo. Si compone di 23 strofe, le prime delle quali divennero popolarissime nel periodo del Risorgimento, e furono cantate specialmente fra gli 19

esuli.

Bella

Pur

vi

amate

Italia,

sponde,

torno a riveder

!

Trema

in petto e si confonde L'alma oppressa dal piacer.

Tua

bellezza,

che

di

pianti

Fonte amara ognor ti fu, Di stranieri e crudi amanti T'avea posta in servitù.

Ma

bugiarda

La speranza Il

giardino

e

fìa

di

malsicura

de' re

natura

No, pei barbari non

è.

:

—5— SORGI CHE TARDI ANCORA?,, I

INNO

GABRIELE ROSSETTI

DI

Gabriele Rossetti (nato a Vasto il 28 febbraio 1783, morto a Londra il 26 aprile 1854) fu il poeta della prima rivoluzione napoletana, quella del luglio 1820, che mosse la rivoluzione siciliana dello stesso anno e quella piemontese del 1821. Il Rossetti salutò la Costituzione promessa dal re Ferdinando 1 e sciolse poi un inno alla Costituzione giurata « splendido d'imagini antiche » come lo chiamò il Carducci, e che costò al Poeta 30 anni di esilio e la morte in terra straniera. E quello che incomincia cosi :

Sei pur

Che

bella

scintillali

E pur

dolce

cogli astri

sul

crine,

guai vivi zaffiri; quel flato che spiri.

Porporina foriera del di. Col sorriso del pago desio Tu ci annunzi dal balzo vicino

Che Il

Ma

d'Italia

giardino

nell'almo

per sempre

serraggio

finì.

Napoli, dopo congressi di Troppavia (ottobre 1820) e di Lubiana (gennaio 1821) divenne spergiuro e con l'aiuto delle soldatesche austriache mosse a soffocare la Costituzione. Fu allora che il Rossetti lanciò quest'inno di guerra, nell'illusione che le truppe cogenerali Pepe e Carascosa riuscissero a stituzionali comandate dai sconfìggere lo straniero e a tener lontano dal regno di Napoli il desposta fedifrago. il

tiranno

di

i

Che Tu dormi,

Sorgi

!

ancora ?

tardi

Italia? Ali no!

Di libertà l'aurora Sui colli tuoi Sorgi

;

e'

raffrena

spuntò.

corso

il

D'esercito invasor,

Che

porta

i

segni

Del gallico valor

al

dorso

!

Ah, su quel dorso indegno. Curvato a servitiì Imprima un qualche segno Pur l'itala virtij !

E

soffrirai che armati Rechin più ceppi a te

Que'

sudditi scettrati

Che

Come

ti

miravi

il

valor degli avi

al

pie?

Poni in oblio così ? O schiava de' tuoi schiavi, Fosti regina un di.

Snuda Tacciar da Ricingi l'elmo Sorgi

tra

:

Qui pende

forte,

il

crin,

al

vita e

morte

tuo destin

!

Aperta è già la strada Al nuovo tuo valor Se impugnerai la spada, :

Sarai regina ancor.

È giunto

il

D'uscir

tempo omai di

servitù,

E se sfuggir tei Non tornerà mai

fai

più.

ALL'ARMI! ALL'ARM I! DI

GIOVANNI BERCHET

Giovanni Berchet (nato a Milano il 23 dicembre 1783, morto a Torino il 23 dicembre 1852), esule e poeta, compose fuori d'Italia le sue poesie patriottiche più ardenti e più belle. Il Romito del Cenisio ed il Rimorso giunsero in patria come pericoloso contrabbando al quale la polizia austriaca diede una caccia spietata... quando già esso si era sparso dappertutto. 11 Berchet seguiva dall'esilio con la massima attenzione lo svolgersi e l'affermarsi dell'idea nazionale che processi e le condanne piemontesi ed austriache fomentavano, e quando, dopo la morte di Leone XII, negli Stati del Papa nacquero moti parziali contro il Governo, egli scrisse quest'inno guerresco, che fu cantato dai patriotti per un lungo periodo di tempo. i

Su,

figli

su, in armi!

d'Italia!

coraggio!

Il

suolo qui è nostro

Il

turpe mercato finisce pei re.

Un In

del nostro retaggio

;

popol diviso per sette destini. spezzato da sette confini, fonde in un solo, più servo non

è.

Venuto

è

sette

Si

Su,

Italia

su,

!

armi

in

Dei re congiurati

la

!

tresca

finì

il

tuo



!

il

tuo



!

!

Dall'Alpi allo Stretto fratelli slam tutti!

Su

i

limiti schiusi,

su

i

troni distrutti

Il

verde,

la

comuni tre nostri color speme tant'anni pasciuta

Il

rosso,

la

gioia d'averla

Il

bianco,

Piantiamo

Su,

i

!

la

Italia

!

su,

in

Dei re congiurati Gli orgogli minuti via

La gloria è de' Dall'Alpi

Deposte Confusi

allo

:

compiuta; fede fraterna d'amor. armi la

!

Venuto

tresca

finì

è

!

tutti all'oblio!

forti.

Stretto,



Su, forti, per Dio, da questo a quel mar'

gare d'un secol disfatto. un nome, legati a un sol patto. Sommessi a noi soli giuriam di restar. Su,

le

in

Italia

!

su.

in

Dei re congiurati

armi la

!

Venuto

tresca

finì

!

è

il

tuo



!

—8— Su,

novella

Italia

Mal abbia

!

su,

libera ed

una

!

chi a vasta, secura fortuna

L'angustia prepone d'anguste città!

d'un solo stendardo! Mal abbia il codardo, L'inetto che sogna parzial libertà Sien tutte Su,

fide

le

da tutte

tutti

!

!

Su,

Italia

!

su,

in

Dei re congiurati

armi la

!

Venuto

tresca

finì

Voi chiusi ne' borghi, voi sparsi alla Udite le trombe, sentite la squilla

Che

all'armi vi

Fratelli,

chiama

a' fratelli

Gridate

al

L'Italia

è

dal

è

tuo

il

!

vostro

villa,

Comun

correte in aiuto!

tedesco che guarda sparuto concorde; non serve a nessun. :

!



!

—9— UNITA E LIBERTA INNO DI GABRIELE ROSSETTI '48

Nel l'inno

del

e

'49

Rossetti

moltissimo

cantato

fu

composto

fin



con

e

grande

entusiasmo

1830. Fu carissimo a Garibaldi. diceva l'Eroe (ricordo di A. G. Bar-

dal

Ecco una bella e forte musica quantunque in parte ricavata da un'opera giocosa (musica del Rossini del Barbiere) ed è veramente dispiacevole che nessuno dei nostri giovanotti l'abbia cantata più nelle marce e negli accampamenti. Con quest'inno dei miei legionari di Roma mi avete ringiovanito di «

rili),

;

dodici

anni. »

Minaccioso l'arcangiol di guerra Già passeggia per l'itala terra Lo precede la bellica tromba Che dal sonno l'Italia svegliò L'App;nnino per lungo rimbomba :

:

E

dal Liri va l'eco sul Po.

Tutta

l'Italia

pare

Rimescolato mare E voce va tonando Per campi e per città Giuriam giuriam sul O morte o libertà :

:



I

brando



La Trinacria che all'ire s"è desta Mise grido di rauca tempesta Le tre punte del Delta fèr eco, Per tre valli quell'eco muggì Tonò l'Etna dal concavo speco, :

;

Latrò Scilla, Cariddi ruggì.



All'arme! all'arme!

Che va E l'eco

di



è

il

lido;

lido in

replicando

Di lido in lido va Giuriam giuriam sul brando :

— O

morte o

libertà

!



grido





IO

dall'Alpe che serra Lamagna, Sull'immensa lombarda campagna

Qua

Simil grido que' detti

ripete,

Simil eco quell'ire destò

O

:

sorgete sorgete!

fratelli,

Del riscatto già l'ora suonò! il centro ed ambo Brulicheran d'armati,

Se

lati

i

Chi affronterà pugnando unità?

L'italica

— Giuriam giuriam morte o

Ma

qual plauso

libertà

brando

sul



!

leva dal centro

si

Oh, qual plauso

!



!

resta là dentro

:

Come

tuono cui tuono rincalza O balen cui succede balen, Dai due lati nel centro rimbalza

E

dal centro sui lati rivien.

plauso che più cresce Questa canzon si mesce,

Al

petti

1

Di

infervorando

patria

carità

:

— Giuriam giuriam sul brando — O morte o libertà





!

Siam fratelli nel centro risuona, Siam fratelli nei lati rituona

— E

già

questi

Dai tre

— E

Iati

Siam i



godendo

fratelli,

ridir

fratelli,

:

fratelli,

confini per tutto sparir

Ardir, Il

;

s'abbraccian con quelli,

fratelli!

E'

sospirato punto

!



giunto

:

Di



quando nuovo ei tornerà? Giuriam giuriam sul brando

O

morte o

S'ei passa, ahi, chi sa

libertà

!







11

Questo fuoco che all'alme s'apprende

E

invade. 1« scuote, le accende,

le

Questo fuoco,

Che

sveli

vi

fratelli,

tempra non

terrestre di

è

Ah, discese dall'ara de' cieli La scintilla che incendio si

Da



!

quell'altar discese

Che infiamma E

;

a sante

imprese,

infervorando Tutti esclamar ci fa

Sette

cuori

i

:

— Giuriam

giuriam sul brando

O

libertà

morte o

Siri «i

coiman

!



mali

di

Pari

ai

sette peccati mortali

Pari

ai

capi

Cui d'Alcide

mietè.

clava

la

;

lernea

dell'idra

Tristi capi d'un 'idra pili rea.

Nuovo Alcide Quanti Tanti

la

lontano non patria ha

saran

gli

è

!

fidi

Alcidi

;

Deh, un giorno memorando Cangi una lunga età Giuriam giuriam sul brando O morte o libertà !





!



Ci divise perfìdia e sciagura, Ma congiunti ci volle natura Alma diva, cui l'Alpe corona Fra gli amplessi di duplice mar, Se una lingua sul labbro ti suona ;

Un

sol culto

Chi

ti

sacri l'aitar!

in sette

Tradì l'idea

E Il

— O

ti

di

partìo

Dio,

mostro abbominando fio ne pagherà Giuriam giuriam sul brando morte o libertà il

:

!



— Mascherata

De'

chercuta

malizia

divisa,

T'iia

tuoi



12

venduta; crudo governo

tradita,

figli

fé'

Quell'avara

malizia

crudel

Turpe

sbucata

d'inferno,

Che

si

furia

;

disse discesa dal ciel.

S'ella

mantenne

vita

in

Quell'idra imbaldanzita,

E l'una e Da questo

l'altra

in

bando



n'andrà Giuriam giuriam sul brando

O

morte o

suol

libertà

:

!



Cada cada l'antica potenza Ch'è de' mali feconda semenza; E la legge del Verbo di Dio, Ch'ella appanna di nebbia d'error, Radiante del lume natio Rimariti

la

mente

col cor.

Finché quel servo culto, Ch'all'uom, ch'a Dio fa insulto, Dal sozzo aitar nefando

A

terra

non cadrà

— Giuriam giuriam O

morte o

libertà

Divo fonte del culto

!

:

brando

sul



bello

piia

Che quell'empia converte in flagello, Tu che inspiri sì nobile impresa, Scudo e spada d'Italia Saldo scudo di giusta

tu,

sii

difesa.

Forte spada di patria virtù

!

Mira una madre oppressa, Ve' figli intorno ad essa Che fremono gridando Di sdegno e di pietà Giuriam giuriam sul brando O morte o libertà i



:

!







13

ALL'ARMI! GABRIELE ROSSETTI

DI

Il 1831, che vide Modena insorta, e lo Stato del Papa quasi interamente guadagnato alla causa della rivoluzione nazionale affermatasi il 26 febbraio a Bologna nell'assemblea dei deputati delle città libere d'Italia dalla quale usciva il decreto che statuiva la decadenza del potere temporale, inspirò la musa patriottica di Gabriele Rossetti. Il suo canto L'anno 1831 è uno dei piij belli che vanti la letteratura 'taliana del secolo XIX. Incomincia coi versi :

brandisci la lancia di guerra. Squassa in fronte quell'elmo piumato. Scendi in campo, ministro del fato! Oh, quai cose s'aspettan da te!

Su,

Non ebbe però blica,

e

guerra popolare. di

il

la diffusione dell'inno All'Armi! che qui si pubquale, distribuito clandestinamente, fu cantato come inno per tutto il 1831 e fu anche negli anni appresso molto

all'armi,

Fratelli,

La

patria

Con

all'armi

chiamò

fra voi

!

:

carmi

eccitanti

gli

Anch'io

ci

verrò.

Nutrito dalle brine

Del bellico sudor, si rinverde al crine

Mi

L'inaridito allòr.

Andiam, che Daci e Goti Farem caderci al pie !

No,

fra

Dubbio

Che

fia

Spartani e il

Iloti

trofeo non è.

quel reo drappello

Ch'or v'osa cimentar? Fia gregge che '1 macello Sen viene ad incontrar. Gelido

fia

qual ghiaccio

In faccia al nostro ardor

Che non ha Se non

gli

forza

il

;

braccio

vien dal cor.

,

— Pei

figli



14

della gloria

Nemici a servitù, La pugna e la vittoria Diversa mai non fu. Dei nostri brandi

È

lampo

al

L'Europa arriderà La via che mena

:

campo

al

via d'eternità.

E' bella ancor la morte Sul letto dell'onor :

E

Chi sa cader da

forte

È

;

pari al vincitor

s'ei

rimane oppresso

Campion

di

libertà,

Del vincitore istesso Più grande allor si fa.

Quel servo gregge indegno A che fra noi piombò? Sappiam con qual disegno I

boschi suoi lasciò.

Ah, che l'udir già parmi Tra l'Unno ed il Teuton, Commisto al suon dell'armi Delle catene il suon !

Trema,

servii coorte

Che

vendi

il

sangue

Le stesse tue T'allacceremo

ai

re

ritorte pie.

al

La mèsse che fiorita I campi ingombrerà. Del sangue tuo nutrita Più grata a noi sarà.

Trema

!

L'Italia intera

Alto giurar s'udì Di tirannia straniera



:

.Questo è l'estremo

dì.



15

FUORI

BARBARO!

IL

CANZONE POPOLARE

DI

GUERRA

AGOSTINO RUFFINI

DI

Di Jacopo, Giovanni e Agostino Ruttìni, Giuseppe Mazzini, scrisse ed « L'amicizia queste parole che io strinsi coi giovani Ruffini mi riconciliò alla era per essi e per la santa madre loro un amore vita e concesse sfogo alle ardenti passioni che ini fermentavano dentro. Parlando con essi di lettere, di risorgimento italiano, di questioni filosofico-religiose, di piccole associazioni che erano preludi alla grande da fondarsi per av«re di contrabbando libri e giornali vietati, l'anima rassicurava intravedeva possibile, comecché su piccola scala, l'asi 18.^0 quando scoppiò l'insurrezione francese) zione... Ci demmo (nel a fondere palle e a prepararci per un conflitto che salutavamo inevitabile e decisivo... ». E' di quel tempo la canzone popolare di guerra di Agostino Ruffini. allora studente di giurisprudenza nell'Università di :





;

Genova. La canzone ebbe diffusione limitata tra gli studenti non fu mai l'iubblicata e vide la luce soltanto nel 189.^, nell'ottimo libro del prof. Carlo Cagnacci sui fratelli Ruffini e Mazzini, ma la riproduciamo qui come un modello di poesia patriottica. ;

Ogni prode al suo manipolo. Ogni schioppo alla sua spalla, Su mostriamo ai duri austriaci Se alla prova il cor ci falla nostri carmi, Suonin guerra Sia di guerra ogni pensier

;

i

:

Italiani,

all'armi

Guerra eterna

all'armi. allo

stranier.

nostro sangue, Han succhiato Han beffata la sventura, Hanno fatta dell'Italia Una vasta sepoltura il

;

Su Su

alla razza maledetta, ai

feroci

Italiani,

alla

masnadier, vendetta,

Guerra eterna

allo

stranier.



16

ma siam

Siamo pochi,

Ma E'

— liberi

Signor propizia

il

devota

ali

La masnada

Come

i

bravi

;

'esterminio

degli

schiavi,

che Barbarossa Pianser morto i suoi scudier, ai



avanti

Italiani,

avanti,

Guerra eterna

allo

stranier.

Ora e sempre guerra ai barbari. Ora e sempre ovunque guerra Finché un sol di loro annebbia :

Il

seren

Sian

di

Sia di

di

nostra terra,

guerra i nostri canti, guerra ogni pensier,

Italiani,

Guerra eterna Al

Signor,

,

avanti avanti.

pe'

allo

nostri

stranier.

martiri.

Per la vita, per la morte, Far giurammo Italia libera Una, egual, potente e forte Or giuriam dell'armi al lampo Sciorre il voto oppur cader. Italiani, al campo al campo, :

Guerra eterna

allo

stranier.

Splenda Rosso, Verde e Candido Sulle schiere lo stendardo,

Orifiamma

dell'Italia...

Sovra lui figgete il guardo Del riscatto e della gloria

:

Ei vi guidi sul sentier... Italiani,

alla

vittoria...

Guerra eterna

allo stranier

!

17

FRATEL LI, S ORGET E! CORO

DI

GIUSEPPE GIUSTI

Le strafai di Modena (2t) maggio 1831) ordinate dal Duca Francesco IV, nelle quali perirono Ciro Menotti e Giuseppe Borelli, ebbero in tutta Italia una eco di terrore e di dolore. Il crudele tiranno di Modena divenne oggetto di universale esecrazione. Due anni dopo, si sparse la voce in Toscana che Francesco IV, giovandosi dell'assenza del granduca Leopoldo andato a Napoli a prender moglie, capitasse a Firenze in incognito. « Non era vero (scrisse Ferdinando Martini a pag. 10.3 di Simpatie), ma la voce sola bastò perchè, a detta della polizia medesima, buoni sudditi toscani si amareggiassero, riguardando quella comparsa clandestina di forieri eventi. Gli studenti non si amareggiarono soltanto, parlarono e sparlarono, scrissero col carbone S'.'i muri tutti gli improperi che il Duca si meritava; le stanze dell'Ussero echeggiarono di invettive, le strade di canti patriottici... ». Fu in quell'occasione, nel 1833, che Giuseppe Giusti (nato a Monsummano il 12 maggio 1809, morto a Firenze il 31 marzo 1850), allora studente a Pisa scrisse questo coro che a detta del suo condiscepolo Frassi, gli studenti cantarono poi «tutti insieme palpitando e fremendo» (Vita di G. Giusti, cap. 4"). Il coro fu pubblicato per la prima volta da Giosuè Carducci nell'edizione delle poesie del Giusti fatta dal Barbèra nel 18.=^9. i

Fratelli,

sorgete,

La patria vi chiama Snudate la larr.a

;

Del libero acciar.

Sussurran vendetta Menotti e Borelli Sorgete,

La

;

fratelli.

patria a salvar.

Dell'itala

tromba

Rintroni lo squillo, S'innalzi Si

Ai

tocchi

forti

un

vessillo,

l'aitar.

l'alloro,

Infamia agli imbelli Sorgete, fratelli,

La

patria

a

salvar.

:

18

VIVA DI

IL

R E!

GIOVANNI PRATI

Quiest'inno-marcia fu scritto dal Poeta trentino nel 1843 dietro ordine Carlo Alberto per una fanfara militare e cantato dai soldati piemontesi che lo ebbero caro per molto tempo. Giovanni Prati, nato a Dasindo il 27 gennaio 1815, morto a Roma ti 4 maggio 1884, ebbe anni di

di

invidiabile

empito

lirico

popolarità. Egli seppe esprimere con facile e brillante l'onda di sentimenti patriottici che animava i suoi contem-

poranei.

il Re Tra' suoi gagliardi, Benedetto, ei muove il pie

Viva

!

:

Vivan sempre Dell'Italia, e

Se

il

gli

stendardi

nostro Re!

i nemici avremo a fronte, Saran presti e braccio e cor,

E

ogni zolla del Piemonte

Stillerà del

sangue

lor.

Rotti e pesti elmetti e maglie,

Ma

inoffeso

il

forte acciar,

Tornerem dalle battaglie Nuovi tempi a cominciar. Fremeran d'allegri suoni Le borgate e le città,

E

di libere

Tutta

Italia

canzoni

echeggerà

!

siam d'un sol paese, Solo un sangue in noi traspar A ogni tromba piemontese

Tutti

Mandi un eco

e l'alpe e

il

mar.

il Re! Tra' suoi gagliardi. Benedetto, ei muove il pie

Viva

:

Vivan sempre

gli

Di Savoia, e

nostro Re.

il

stendardi

;



19

CHI PER LA PA TRIA MUOR VISSUTO É ASSAI „ sentimento patrio fu espresso dagli Italiani non solamente con canti ma anche coi cori, le romanze e le cabalette delle ed opere teatrali più diffuse. Tutti sanno qual significato abbia dato il popolo ad espressioni ed armonie del Nabucco e dei Lombardi di Verdi e con quale tenerezza commossa sia stato cantato Il

gli

inni

i

Va, o pensiero, sull'ali dorate... e

O

Signor che dal

tetto

natio...

Bandiera ed loro compagni Niccolò Ricciotti, Domenico Anacarsi Nardi, Francesco Berti, Domenico Lupatelli nel recarsi versi alla morte (avvenuta presso Cosenza il 25 luglio 1844) cantarono della Donna Caritea del Mercadante espressione di maraviglioso .'Stoicarnefici e valse ancor più ad accendere nel cismo che impressionò cuore degli Italiani gli ardori del sacrifizio per la grande e santa Patria nostra. prima volt» La Donna Caritea era stata rappresentata la nel 1828. Non Chi per la Patria munr era scritto, ma Chi per la gloria muor ; non Sotto tiranni, ma Per lunghi affanni. liberali avevano cambiato due versi che così divennero popolari. Il coro è del primo atto, cantato da «guastatori e soldati portoghesi». Anni dopo uno dei condannati di Belfiore, Angelo Scarsellini, cantava in attesa del carnefice, Fratelli

1

i

A\oro,

i

;

i

i

I

i

il

7

dicembre 1852, Tarla del Marin Faliero Il

palco è a noi trionfo

Ove ascendiam

Ma

:

ridenti

sangue dei valenti Perduto non sarà. il

Arreni seguaci a noi Più fortunati eroi; Ma s'anche avverso ed empio Il

fato lor sarà,

Avran da noi l'esempio

Come

a morir si va!

Aspra del militar

Benché la Al lampo

vita,

dell'acciar

Gioia c'invita.



20



Chi per la Patria Vissuto è assai

muor

;

La

foglia dell'allor

Non langue

mai.

Piuttosto che languir

Sotto

i

tiranni

E' meglio Sul

fior

di

degli

morir anni.



21

INNO

DI PIO IX

MEUCCI

DI FILIPPO

XVI, il nuovo Papa Pio IX (cardinale Giovanni nato a Sinigaglia il 13 marzo 1792, morto a Roma il 7 febbraio 1878) parve realizzare il sogno giobertiano di un capo della cristianità riformatore e amico dell'Italia. L'amnistia ai condannati politici da lui concessa il Kì luglio 1846 destò un vero entusiasmo e in tutta la penisola poeti noti e non noti cantarono il PonicKce liberale e italofilo. Il poeta Sterbini gridava all'Italia

Morto Gregorio

Mastai

Ferretti,

:

Eri seduta

Madre

levati

:

di

eroi

tanti

:

Oggi t'innalza un cantico L'amor dei figli tuoi. E Gaetano Bonetti

:

unanimi Pregar tue genti, o Più; perdono,

Pace,

Tu rispondesti al fervido Universal desio, E già si vide splendere Tua prima legge, amor.

Un Diceva

musicato

inno

Gioacchino

da

Rossini

Su

letizia

fratelli,

tutta

l'Italia.

canti

si

magnanimo core di Che alla santa favilla

Al

Pio,

di Dio S'infiammò del più dolce pensier.

Un lucci,

per

corse

:

diventato

inno,

altro

diceva

popolarissimo,

presto

v.

del

maestro

Nata-

:

Come Agli

E

un'iri

di

sommo

gioia,

Ogni core

l'almo

Iddio

Te mostrò,

afflitti

Pio,

palpitò.

Fu, in tutta la penisola, un delirio patriottico, e il Papa divenne presto l'idolo nazionale. L'Austria non tardò a capire la causa dell'idolatria degli italiani per Pio IX ed a proibire inni e canzoni. Francesco dall'Ongaro, in uno dei suoi stornelli diventati famosi, spiegava

che

cos'era

Pio

IX

Pio

Un

per

Nono idolo

gli

italiani

:

è figlio del nostro cervello, del cuore, un sogno d'oro...

— Chi grida per Vuol dir

La

patria

Che per

:



Pio nono! » il perdono. i> perdon vogliono dire deve morire. si

le

«

Viva

ed

il

l'Italia

22 vie la

:

« Vii'a

patria ed

L'Inno di Pio IX fu scritto al principio del 1847 da Filippo Meucci, romano, e musicato dal maestro Magazzari. La musica « aveva un andamento solenne, quasi trionfale, e come certi sussulti di gioia... » (D'Ancona).

Del nuov'anno già l'alba primiera Quirino la stirpe ridesta, E l'invita alla santa bandiera Di

Che

il

Vicario di Cristo innalzò.

Esultate, fratelli, accorrete,

Nuova

gioia a noi tutti si appresta

All'eterno preghiere porgete

Per quel grande che pace donò.

Su rompete

le

vane dimore,

Tutti al trono accorrete di Pio

:

Di ciascuno egli regna nel cuore, Ei d'amore lo scettro impugnò.

Benedetto chi mai non dispera suprema di Dio; Benedetta la santa bandiera Nell'alta

Che

il

Vicario di Cristo innalzò.

;

23

— A PIO

IX CORO POPOLARE Dopo

gli inni di gioia nacquero gli inni di guerra, nei quali si palesemente della riscossa nazionale e della cacciata degli Auseguente coro popolare fu cantato la prima volta in Pisa sera del ItJ giugno 1847 e ripetuto comunemente in Toscana e nel

parlava striaci. la

Il

Lazio per tutto quell'anno

Su,

fratelli

Or ne

!

attribuito

fu

:

Uom

D'un

la

E'

E'

Guerrazzi,

parola

stringe in santissimo patto.

Essa è verbo che chiama Dell'Italia le cento città.

Il

al

che

parola

Leone

in

fa

d'Italia

al

riscatto

Campidoglio

ruggir-

di Pio la gran voce, che al sonno Nostra madre, l'Italia, ha strappato Di tre gemme il triregno ha fregiato, Tre colori di sua libertà. ;

E' II

O

che

parola

Leone

fa

d'Italia

in

Campidoglio

ruggir-

Profeta d'un'èra novella,

A un

tuo cenno slam venti milioni

Aspettiam

:

che doni Alla patria uguaglianza e unità. E' Il

Non più Tu ci

scintilla

la

parola che

Leone

schiavi

rendi

fa

d'Italia

al

la

in

Campidoglio

ruggir-

tedesco aborrito,

gloria

primiera

:

Sia la croce la nostra bandiera,

L'evangel nostra carta sarà. E' II

parola

Leone

che

fa

d'Italia

in

Campidoglio

ruggir-

ma

pare a torto.

— Viva



La santa crociata nuovo Alessandro, e rimira

Italia

Grida,

24

!

Cento popoli oppressi nell'ira, Come un uomo, levarsi con te. E' Il

Viva

parola che

Leone

Italia

D'una

!

O

patria

fa in

Campidoglio

ruggir-

d'Italia

di Dio ne guida all'acquisto

ministro

:

Poi rinnova l'esempio di Cristo

Che redense

e

non

volle esser Re.

E' parola che fa in Campidoglio

U Leone

d'Italia

ruggir.



25

INNO NAZIONALE LEOPOLDO CEMPINI (7)

DI

Fu popolarissimo, quest'inno, per molti anni. Nato, a quanto si crede, a Pisa tra la patriottica scolaresca di quell'illustre Ateneo, (lo Sforza ne fa autore il Bosi, il D'Ancona ritiene che venisse da Roma) ebbe il battesimo della popolarità a Firenze quando Leopoldo II firmò il motu-proprio che istituiva la Guardia Civica. Davanti alla residenza del Granduca vi fu una dimostrazione che innumerevoli testimonianze affermano grandiosa e indimenticabile. Il Bandi nei Mille ricorda che nel 1860 l'esaltante armonia di quest'inno trascinava all'attacco gli eroici volontari che lo cantavano alternandolo con gli altri inni più in voga

:

la

Bella Gigogin,

O

ì

Vlnno

Fratelli d' Italia e

di Garibaldi.

giovani ardenti D'italico

amore,

Serbate il valore Pel dì del pugnar.

Evviva l'Italia, Evviva Pio Nono Evviva l'unione

E

libertà

la

;

!

Per ora restiamo

Sommessi Vedranno

Che

vili

e prudenti le

non

Evviva

:

genti si^'n.

ecc

l'Italia,

Stringiamoci insieme,

Ci unisca un sol patto Del dì del riscatto L'aurora spuntò.

Evviva

Stringiamoci insieme

Siam In

tutti

giorni

ecc

l'Italia,

fratelli

;

;

più belli

Ci giova sperar.

Evviva

l'Italia,

ecc

— zeprence Leopoldo

li

Invitaci

Fra

all'armi

;

carmi Sapremo pugnar. bellici

Evviva

l'Italia,

Evviva Pio Nono Evviva l'unione

E

la

libertà

;

!

Già l'armi son pronte A un cenno di Pio Mandato da Dio L'Italia

salvar.

a

Evviva Se

l'Italia,

vile tedesco

il

Non Piij

Ferrara

lascia

Prepari

la

bara,

scampo non Evviva,

Il

cielo

Su

A

ecc

ha.

l'Italia,

ecc

sereno

terra ridente libera gente

Concesse Evviva,

il

Signor. l'Italia,

ecc

N 27

m

O ALLA GUA RDIA CIVICA FIRENZE

DI O

Signor che dal tetto natio » fu adattata dal popolo a queFirenze dopo la concessione della Guardia Civica, ritenuta una grande vittoria popolare e un gran progresso nella via della redenzione italiana. L'aria

st'inno,

«

nato

a

Cittadini,

la

patria

La difesa la

vi

affida

queste contrade

:

spade patria v'invita a pugnar.

Cittadini,

Se

di

cingete le

Siamo tutti d'un sangue redenti, Siam fratelli al cospetto d'Iddio. Lo proclama la voce di Pio :

Ci

Una

sia sacra la patria e l'aitar-

nera, tremenda procella

Sull'Italia

mugghiando minaccia

Maledetto chi asconde

la

:

faccia

Al nemico dell'Italo suol.

Non

è

spenta

Benché

tolti

l'antica

virtude

da poco

al

servaggio.

Vendicare sapremo l'oltraggio Di chi insulta a un represso valor.

Benché forti di mille codardi Del nemico sian fatte le schiere, Vinceranno le sante bandiere, Il gigante temuto cadrà.

E

del Cristo

Che Ci

A

ci

pugnando

tolse al

nel

comune

nome,

periglio,

fìa dato di volgere il ciglio quel sole che Bruto scaldò.

— Cittadini,

fia

28



sacra l'impresa,

Pende Europa sul vostro destino, Chi discende dal sangue latino Nacque, crebbe, guerriero morì. Cittadini,

Già

correte, correte,

chiama, v'invita alla gloria L'avvenire di certa vittoria. vi

La difesa

d'Italia e

l'onor.



29

O DI O SIRE! POESIA PATRIOTTICA SICILIANA [Rivolta liani,

per

a i

cessivamente

Ferdinando l'aveva

quali in

tutte

le

nel 1847 dai rivoluzionari poeta David Levi, e cantata insurrezioni di quel fierissimo popolo.

o

Odi,

A

Borbone

II

scritta

noi

Sire.

Da

trent'anni

miseri ed oppressi

Involare Gloria,

suoi tiranni

i

averi,

Dieci di

A

il

libertà.

son concessi

ti

noi rendi

il

:

prisco dritto,

insorgerà.

Sicilia

Siccome già su Ninive La voce del Signore, Voce d'un nume, il popolo Al Re così parlò. 1

di

segnati volsero

Fiero Il

Da campi Patrizi

I

e

dei

è

il

:

core

;

popolo s'alzò...

cittadi,

e pastori,

Brillaron

di

brandi,

pugnali

i

regi

gioja,

e

terribili

banditi

fieri.

e guerrieri

brandiron Tacciar... sfavillano

a

mille.

Non hanno che un suono le cento sue squille, Non han che un affetto gl'intrepidi cor... Chi gl'impeti affrena d'irato oceano? Chi l'onde infocate d'acceso vulcano? D'un popol che vuole chi doma il furor? Odi,

o Sire,

ecc.

sici-

suc-





30

INNO AL RE GIUSEPPE BERTOLDI

DI Piemonte

ebbe una vera efflorescenza di inni nazionali e di nel 1847 Carlo Alberto si mise sulle vie in breve tempo dovevano portarlo alla concessione dello Statuto ed alla guerra all'Austria. Fino a quell'anno la musa italiana, a dire il vero, aveva lanciato contro il Re di Sardegna le pili atroci invettive dopo di allora il tono cambiò e l'affetto, l'amIn

canti delle

si

quando

patriottici

riforme

quali

le

:

mirazione,

la

accompagnarono

pietà

fino

alla

tomba

oltre

e

lo

sven-

sconfìtto di Novara. Nel 1832 Carlo Alberto aveva ordinato maestro Gabetti una Marcia reale, senza parole, che accompagnò le truppe italiane in tutte le sue prove ed in tutti suoi trionfi; poi fece scrivere al poeta Giuseppe Bertoldi il seguente « Inno al Re », proprio nel tempo in cui aveva fatto proibire in tutti suoi stati la bandiera tricolore. L'inno fu cantato la prima volta a Genova il 3 no-

turato al

i

i

vembre

1847.

Con l'azzurra coccarda sul petto, Con italici palpiti in core,

Come

d'un padre

figli

veniamo

Carlalberto,

E gridiamo Viva

il

esultanti

Re! Viva

Figli tutti d'Italia noi

Forti e liberi

il

:

il

siamo,

mente

la

morte il servir regge clemente

ti

;

godiamo obbedir.

Dio

di

Re grande,

:

degno,

sei

c'inalzi all'antica virtù. si strinse con Pio gran patto fu scritto lassù.

Carlalberto

Se

;

tiranni aborriamo,

messaggio

Di compirlo, o

Il

Re!

il

tuo vasto disegno

il

Attendesti

Tu

tuo pie';

d'amore Re! Viva

braccio e

Più che morte i Aborriam più che Ma del Re che ci Noi Siam figli, e

A compire

il

diletto, al

sfidi la

Monta

Con

;

rabbia straniera,

in sella e solleva

il

azzurra coccarda e

tuo brando, bandiera

Sorgerem tutti quanti con te Voleremo alla pugna gridando Viva il Re Viva il Re Viva ;

:

!

!

il

Re

!



31

INNO A CARLO ALBERTO DI B.

MUZZONE

Quest" « Inno a Carlo Alberto », scritto da B. Muzzone e musidal maestro Bodoira, ehhe diffusione quando il Re di Sardegna si mise sulle vie delle riforme, con immenso giubilo delle sue popolazioni. Una raccolta delle varie poesie scritte nei regi stati in occasione delle riforme concesse da Carlo Alberto nel 1847 e nella quale si trovano inseriti ben ottantasei componimenti poetici dà una pallida immagine della gioia con la quale era stata accolta nel Regno di Sardegna la piena e sincera conversione di Carlo Alberto alle idee cato

liberali

e nazionali.

Viva Si

Italia!

Viva

Su

Dall'Alpi

risveglia Italia

Tebro

e dal

l'antico valore.

Un

!

novello splendore

quest'inclita terra brillò.

Emulando

la gloria

di

Pio

Carlo Alberto protese la destra Al suo popol diletto, e maestra Di sapienza sua voce s'alzò.

Viva Si

Italia!

Viva

Su

Dall'Alpi

risveglia Italia

Tebro

e dal

l'antico valore. !

Un

novello splendore

quest'inclita terra brillò.

Sorge un grido di gioia e s'alterna D'ogni parte un applauso sincero, Che d'amore è suggello foriero Di grandezza e di forti voler.

Già sicure

faccian d'intorno

si

Al gran trono Sabaudo

Or che

E' dischiuso un arringo

Viva Si

Italia!

Dall'Alpi

risveglia

Viva

genti

le

accolte le inchieste,

Italia

e

dal

al

i

lamenti,

pensier.

Tebro

l'antico valore. !

Un

Su quest'inclita

novello splendore terra brillò.

— Mormorando



32

affanna e



si

asconde

La discordia invilita e derisa Ve' l'Italia finora divisa

;

Confortarsi de' giorni avvenir!

Poiché

E E Viva Si

amplesso fraterno

in

stretta

Doma

de' tempi

l'ira

e

oltraggi,

gli

mente de'

s'afRda alla

saggi,

de' forti nel provvido ardir. Italia!

Dall'Alpi e dal Tebro

risveglia

Viva

Su

Italia

!

valore.

l'antico

Un

novello splendore

quest'inclita terra

brillò.

Sia di pace la nostra bandiera,

Sacro a tutti il comune Maledetto chi desti il

E

diritto.

conflitto,

sollevi de' morti l'aitar.

La giustizia fremente col brando Sperderà gli esecrati drappelli Guai se il nume combatte i ribelli Che oseranno il suo sdegno mutar. ;

Viva

Italia! Dall'Alpi

Si risveglia

Viva

Su

Italia

e dal

l'antico !

Un

Tebro

valore.

novello splendore

quest'inclita terra brillò.

Come fiamma

che scorre

E grandeggia

in

Si diffonde nel

Uno

foresta

in

incendio repente,

cor,

nella

mente

spirto di patria virtù.

Cittadini

!

La

gloria

degli

avi

E' retaggio affidato ai nepoti. Deh compite i lor fervidi voti, E l'Italia ritorni qual fu. !

Viva

Italia!

Dall'Alpi e dal TeDro

Si risveglia l'antico valore.

Viva

Su

Italia

!

Un

novello splendore

quest'inclita terra brillò.

33



DIO E POPO LO INNO DI GOFFREDO MAMELI Con quf'Sto canto G'^ffreuo Mameli, diciottenne, si annunzia\a nuovo poeta della patria. « La sera del 10 decenibre 184ti tutta Genova era fiamme di gioia; ma non la città sola, tutti gli Apennini, (7 dosso d'Italia, come Dante li chiama, risplendevano di fuochi; parea che gli antichi vulcani

fossero risvegliati; era l'avviso, era la minaccia d'Italia e ai tiranni. Il giovinetto Mameli guardava, guardava col petto anelante quella città accesa, quei monti accesi; e intese che cosa tutto ciò significasse dal passato indovinò l'avvenire, il prossimo avvenire nella commemorazione della battaglia popolare di Prè, e di Portoria, presentì le cinque giornate di Milano; e in imo di quei nu)menti che Platone avrebbe chiamato di « furore poetico » gitiò ai venti d'Italia il canto Dio e Popolo, il canto precursore del quarantotto e del quarantanove ». Così Giosuè Carducci. Disse, anche, A. G. Barrili di quest'inno: «Fu scritto per il I!) dicembre 1846, giorno della grande passeggiata votiva di tutto il popolo genovese al santuario di Oregina, celebrandosi il primo centenario della cacciata degli Austriaci da Genova e fu recitato dall'Autore il 9 dicembre, nel banchetto d'onore offerto dagli studenti genovesi aìV Albergo de la Ville, a Terenzio Mamiani il quale nel suo discorso a quei giovani, lodò grandemente il poeta. Parlò in quella occasione per tutti compagni Gerolamo Boccardo, il principe degli economisti italiani. Quanto all'inno Dio e Popolo, l'edizione del 1850, nel secondo verso del ritornello, reca il soldatesco « Dio si mette alla sua testa » forse sulla fede di qualche copia errata dell'inno. Nei manoscritti di Goffredo chiaramente e ripetutamente si legge « Dio comagli

si

stranieri

:

;

;

:

i

che ha sapore biblico, in tutto conforme agli studi che sulla andava facendo il Poeta. Anche la edizione Tortonese ha la più giusta lezione « Dio combatte » e dobbiamo lodarla di ciò ».

batte »

Bibbia

Come

narran sugli Apostoli, Forse in fiamma sulla testa Dio discese dell'Italia... Forse è ciò; ma anch'è una Nelle feste che fa il Popolo Egli accende monti e piani

festa.

;

Come

bocche Egli accende

di

le

vulcani. città.

Popolo si desta, il Dio combatte alla sua testa. La sua folgore gli dà. Poi, se

— Uno

A

scherzo ora

34

fa

il



popolo

;

festa ei si convita.

una

Ma

se è il popolo che è l'ospite, Guai a lui ch'ei non invita! Grande è sempre quel ch'egli opera Or saluta una memoria, Ma prepara una vittoria ;

E

dico in verità

vi

Che

se il Popolo si desta Dio combatte alla sua testa, La sua folgore gli dà.

Noi credete ? Ecco la storia AU'incirca son cent'anni Che scendevano su Genova, L'armi in spalla, gli Alemanni Quei che contano gli eserciti :

Disser

E

;

l'Austria è troppo forte; le porte.

:

aprirono

gli

Questa

vii

genia non sa

Che

se il Popolo si desta Dio combatte alla sua testa, La sua folgore gli dà.

Un

fanciullo gettò

Parve un

Che

le

Sassi

e

un

ciottolo

ciottolo

case vomitarono fiamme da ogni

Perchè quando sorge ceppi e re Sovra i

Come

i

;

incantato,

il

lato.

Popolo

distrutti.

vento sovra i Passeggiare Iddio lo fa. il

flutti

Quando

Popolo si desta il Dio combatte alla sua testa. La sua folgore gli dà.

Quei che contano Vi son oggi

gli

come

eserciti

allora

:

Se crediamo alle lor ciance Aprirem le porte ancora.

— Confidiamo I

satelliti

Non E vi

si

in

dei

35



Dio. nel

Popolo

.

forti

contano che morti.

dico in verità

Che

se il Popolo si desta Dio combatte alla sua testa La sua folgore gli dà.



36

GIOBERTI E GARIBALDI DI

GIUSEPPE BERTOLDI

E' questa poesia, forse, la prima che abbia corso l'Italia diftonil Cavaliere dei popoli. Fu stampata alla fine de! 1847 a Torino sotto un ritratto di Garibaldi edito dal Doven.

dendo l'amore per

E va

Gioberti

Dell'Italo

pensiero

Ad

vindice

erger sugli elvetici

un

Dirupi

vero

trono' al

;

E' Garibaldi un fulmine

Che

acque

l'americane

fa

stupir.

grand'alma prodigo

Della

non sua contrada Altro ei non chiede in premio Che un tetto ed una spada, Per

la

Molte battaglie e vittime,

E

degli ospiti

Il

giorno

Non

suoi la

affrettiam

glorioso

libertà.

precipiti :

Quel giorno è nella provvida

Mente

di Dio nascoso che la sua vindice Destra folgoreggiando accennerà.

Allor

E

noi sorgiam terribili

Dai campi e dagli spaldi

;

In ogni seno palpiti Il

cor di

Garibaldi

:

Beato l'uom che l'anima In

quel santo conflitto esalerà.

37

FRATELLI INNO

DI

ITALIA „ GOFFREDO MAMELI D'

« lo ero ancora fanciuilo, ma queste magiche parole, anche senza musica, mi m.eltevano brividi per tutte le ossa, ed anche oggi, ripetendole, mi si inumidiscono gli occhi. » Con queste parole Giosuè Carducci, che meglio di ogni altro ha inteso e reso in verso ed in proKa lo spirito eroico del nostro Risorgimento, ricorda l'inno di Goffredo Mamer, il più bello e grandioso di tutti gli inni patriottici italiani. Mameli (nato a Genova il 5 settembre 1827 dal marchese amIl miraglio Giorgio, cagliaritano) costituì nel 1848 la squadra dei volontari genovesi che accorsero a prestare aiuto all'insurrezione lombarda, poi corse alla difesa della Repubblica Rom.ana. Ferito il 3 giugno

!a

i

1849, nel combattimento di Villa Corsini, alla tibia sinistra, ebbe amputata una gamba e morì il tì luglio successivo. Fu un'anima anMazzini, che lo amava come un figlio, scrisse per la sua gelica. mone alcune pagine maravigliose di sentimento e di poesia. Garibaldi, che se Jo vide ferire al fianco, non poteva trattenere le lagrime tutte le vo'.te che gli si parlava di lui. Il celebre Inno venne scritto da Goffredo il giorno 10 settembre

1847 e musicato il 24 novembre a Torino dal maestro Michele Novaro (1822-188.S) il quale raccontò nel 187.S ad Anton Giulio Barrili (l'amoroso studioso e raccoglitore degli scritti del Mameli) il modo come compose la musica di quei versi infuocati. Si trovava una sera in casa di Lorenzo Valerio, dove conveniva una eletta schiera di patriotti che facevano musica e politica insieme, quando un amico giunto « To', te lo manda Gofda Genova gli porse un foglietto dicendogli fredo ». Il Novaro apre il foglio, legge, si commuove. Tutti gli si detti a voce alta, e la Mameli vengono versi del affollano intorno; stessa commozione si manifesta sul volto di tutti. « Io sentii, disse Novaro, dentro di me qualche cosa di straordinario, che non saprei il piansi, che ero agitalo e non potevo star fermo. definire... So che Mi posi al cembalo, coi versi di Goffredo sul leggio, e strimpellavo, assassinavo colle dita convulse quel povero strumento, mettendo giù frasi melodiche, l'una sull'altra, ma lungi le mille miglia dall'idea che potessero adattarsi a quelle parole... Mi alzai, scontento di me, presi congedo, corsi a casa. Là, senza pure levarmi il cappello, mi buttai pianoforte. A\i tornò alla memoria il motivo strimpellato in casa a! Valerio; lo scrissi su d'un foglio di carta, il primo che mi venne alle mani. Nella mia agitazione rovesciai la lucerna sul cembalo, e per conseguenza anche sul povero foglio; fu questo l'originale dell'Inno «Fratelli d'Italia». Cantato pubblicamente a Genova in una festa popolare, la polizia, conoscendo l'autore per un ardente mazziniano, lo :

i

proibì

e

non

Garibaldi

lo

tollerò

stimava

marzo 1848. il Mameli come

che dopo

l'inno

di

guerresco dopo la Marsigliese durante l'assedio di Roma e

e la

lo

più trascinante inno il preferiva all'inno del Mercantini; meravii-liosa, l'Eroe lo can^

ritirata



38



come del resto facevano tutti i suoi volontari. canto del magico inno che elettrizzò tante migliaia di guerrieri e 11 volò come superbo arcangelo sui campi di battaglia, viene ancora adesso considerato in Austria come reato politico, ciò che non impedisce agli italiani ancora irredenti di cantarlo, sfidando le i. r. prigioni. lava e zuffolava sempre,

Fratelli

Dell'elmo

Dov'è

la

Le porga

:

desta

;

Scipio

di

S'è cinta la

Che

Uniamoci, amiamoci L'unione e l'amore Rivelano ai popoli

d'Italia,

L'Italia s'è

Le vie del Signore. Giuriamo far libero

test-ri.

vittoria? la

schiava

chioma

suolo natio

Il ;

Roma

di

:

Uniti, per Dio,

Chi vincer

Iddio la creò.

Stringiamci a coorte

ci

può?

Stringiamci a coorte

!

!

I

Dall'Alpe a

Noi siamo da secoli

Sicilia,

Perchè non slam popolo, Perchè siam divisi.

Ovunque è Legnano Ogn'uom di Ferruccio Ha il core e la mano

Raccolgaci un'unica

I

Calpesti,

derisi.

Bandiera, una

;

speme

;

l'ora

bimbi

;

II

suonò.

Vespri suonò.

I

Stringiamci a coorte

Stringiamci a coorte

!

Siam pronti alla morte Italia chiamò

:

pronti alla morte

Italia

chiamò

Son giunchi che piegano Le spade vendute Già l'Aquila d'Austria Le penne ha perdute. Il sangue d'Italia E il sangue polacco Beve col Cosacco, ;

il

cor le bruciò.

Stringiamci a coorte

!

Siam pronti alla morte Italia chiamò !

!

Siam

!

Ma

d'Italia

chiaman Balilla suon d'ogni squilla

Si

;

Di fonderci insieme

Già

!

Siam pronti alla mortf Italia chiamò

Siam pronti alla morte Italia chiamò

!



30

INNO ALL'ITALIA Fu canijtn

a

Firen/e

12 settembre

il

1847 e per alcuni anni

Sorgi, depressa Italia,

Dalla iua muta tomba

Al suon

di

questa tromba

Ch'oggi squillar L'armi

fidate

l'udì.

popolo

al

Segnano un nuovo Ti

cingi

di.

ancor, o prospera

Regina delle genti De' taciti lamenti La lunga età finì. L'armi

;

popolo

fidate al

Segnano un nuovo

dì.

Disse a' suoi figli un principe Quest'armi a voi l'affido. E plaudente un grido



Di fondo

L'armi

ai

cor parti.

fidate al

popolo

Segnano un nuovo

dì.

Sacra falange, il patrio Suolo guardar v'è dato, Questo giardin beato

Che

il

Cielo a noi

L'armi

fidate al

largì.

popolo

Segnano un nuovo

dì.

Ma

se la terra italica L'estraneo insulti ardito

Muova il Che noi

vessillo avito fratelli

unì.

:

-

di

poi.

— L'armi

4U

fidate al



popolo

Segnano un nuovo

dì.

Sappia pugnare e vincere Il

cittadin guerriero,

Franga l'orgoglio altero Di chi sprezzarci ardì.

L'armi

fidate al

popob

Segnano un nuovo

dì.

41

SONO

ITALIANO!...

CANTO POPOLARE (Questo canto rimonta Goticite di una popolarità

ai

primi mesi del 1848 e nacque in ToSi'ana. oggi è molto noto in tutta

immensa ed ancor

l'ilatiia. Nella Venezia e nelle terre alle quali stiamo dando zione viene tuttora cantato con lo stesso spirito del 1848.

lihera-

la

Giovanottino daiia bruna chioma,

-

come si nom.a? sono nato, o forestier cortese. Nel paese più bel d'ogni paese S'io chieggo a te della nativa terra Rispondi >

;

Sono

in

piano.

Italiano.

Giovanottin dalla pupilla nera,

-

Dimmi, qual'è il color di tua bandiera? Se una rosa vermìglia e un gelsomino A una foglia d'ailór metti vicino,



tre colori avrai piij cari e belli

I

A

noi che in

ci conosciam fratelli che fremer fanno L'insanguinato imperator tiranno. Beato il dì che li vedrà Milano

tre

I

color avi

quei

;

ai

!

Sono

Italiano.

Giovanottin dalla dolce favella,

Dimmi dunque,



il

tuo re

come

si

appella?

una patria abbiamo e tutti un Dio Dal Tebro a tutti benedice Pio Dell'Arno là sulle rive leggiadre Sta Leopoldo, più che Duca, padre Tutti

;

;



42



Tardi Fernando si battè la guancia, E Alberto aguzza la terribil lancia ;

Biscia e

Leone cacceran

i

'estrano:

Sono -

Italiano

Giovanottin dall'elmo piumato, se' giovane tanto e sei soldato!

Tu

— E

Soldato no; son cittadino in armi,

soldo col sudor so procacciarmi. Se giovin sono e se profondo io fero il

Vedran

le

file

del ladron straniero.

Dunque ripeti, o forestier cortese. Quando ritornerai nel tuo paese. Che di bandiera, d'armi e di sovrano Sono

Italiano

43

IL "

PATER NOSTER

'

DEI MILANESI Dopo

la

morte

(settembre

italiano

e

diffuse

numerose

di

arcivescovo tedesco

dell'odiato

Gaysruck venne

a

1847) l'arcivescovo Romilli, bene accetto, perchè grande bontà, alla cittadinanza milanese. Furono allora

Milano

orazioni

patriottiche

nelle

quali

religione

patria

e

fondevano sotto l'egida del nome benedetto di Pio IX. Nacquero così un Catechismo nazionale, un Credo, due Pater Noster, le Litani^ dei Pellegrini Lombardi, ecc. Il primo Pater Noster in prosa diceva « Padre nostro che siete a Vienna Che il vostro nome sia per sempre dimenticato in Italia; Che il vostro regno si restringa al di là delle Alpi Che la vostra volontà non sia fatta sopra il cielo come sopra la terra d'Italia; Rendete a' noi quel pane quotidiano chi ci Come noi vi rendiamo la vostra carta monetata Non ci indurapiste si

:

;

;

;

;

voi e da tutti i vostri liberateci da cete nella disperazione; Ma sgherri ; Una volta per sempre e così sia. » Il secondo Pater Noster preparare gli servì anch'esso a è quello riprodotto qui appresso animi per fatti del marzo 1S48. A Trieste, tra l'aprile e il maggio :

i

dell'anno «

Vittorio

tuo,



quando sembrava che

corrente,

dovesse riuscire

neutralizzare

a

Emanuele nostro die

venga

il



regno tuo,



la

pressione della Germania seguente parafrasi la

circolò

l'Italia,

Roma

sei

a

sia

fatta



:

sia

santificato

volontà tua,

la



nome come a

il

Trento, cosi a Trieste. Amaci come siamo odiati, difendici perchè Non t'induca Hiìtoiv in siamo oppressi. Dacci il tuo pane unico. Così sia. il ntazinne, ma liberaci dall'Austria.





Padre nostro divin, che Pietà del nostro duol

Signor,





ci

nei

sei sì

scampa dall'ugne dello

Sia

sempre E tante Quante

il

nome

volte

l'augel

e

Cieli,

lungo e fiero

:

crudeli straniero.

tuo santificato, tante benedetto,

biforme

è

bestemmiato e maledetto.

Ah! venga il regno tuo, regno d'amore. Che a Pio fu dato d'imitar qui in terra. Che la virtude inalza ed all'errore fa

cruda guerra.

44 Sia fatto

il

voler tuo, se ancor ritarda

Quel giorno di vendetta e di riscatto, Che vegga Italia e la nazion lombarda strette ad un patto. In ciclo e in terra questo giorno è scritto, In cui la biscia,

ed

il

Di libertà, co'.rarmi,

leone a lato. sacro dritto

il

avran

Dacci oggi

Che Il

lo

il

nostro pane quotidiano,

straniar

strappa

ci

vaso è colmo per e

/

comprato-

la

fin

bocca

di

!

tua Milano,

orm.ai

trabocca.

che abbtam, Signor, perdona.

debiti

In quella guisa che paghiamo quelli

Dei

trattati

di

Vienna e

di

Verona, veri

Non

tranelli

cadere in tentazione, in noi tutti e core e E vincerem nel dì della tenzone sicuramente. ci lasciar

Ma

Ma

rinforza

scampaci dal

Deh!

inai e

salva l'infelice

Dall'Aulico

consiglio

dai

tedeschi

mente,

:

Lombardia e

da

Radeschi e

:

cosi sia



45



LA DONN A LOMBARDA STORNELLO DI

FRANCESCO DALL'ONGARO

proposito tradotto in pratica con invitta costanza dai milaiicsi Il non più fumare per portar grave danno alle finanze austriache diede vioalla polizia di compiere sulla cittadinanza atti di selvaggia lenza. Nel gennaio 1848 la sbirraglia ubbriaca fu scatenata per le vie di Milano; in Piazza Mercanti, sul Corso Francesco (ora Vittorio Emanuele) altrove donne, \ecchi, fanciulli vennero sciabolati barbarae mente, e sei morti e cinquantanove feriti furono il triste bilancio di fatti di Miquella giornata- di ferocia austriaca. Nell'Europa liberale lano destarono una enorme impressione; l'odio milanese per l'opprest'ore crebbe a mille doppi; e Francesco Dall'Ongaro (nato a Mar.';uc (Oderzo) nel 1808, morto il 9 gennaio 1873) scrisse uno stornello diventato popolare che fomentò negli oppressi il desiderio de!la liberazione, compiuta due mesi più tardi nel glorioso modo che tutti di

modo

i

sanr.o.

Toglietemi d'attorno i panni gai. Voglio vestirmi di bruno colore Vidi scorrere il sangue ed ascoltai Le grida di chi fere e di chi more. ;

Altri

Sui'

ornamenti non porterò mai che un nastro vermiglio sopra

Mi chiederan dove quel nastro è Ed io Nel sangue del fratello



tinto,

estinto.

Mi chiederan come si può lavare. Ed io Non lo potria fiume né mare



core.

il

:

Macchia d'onore per lavar non langue Se non si lava nel tedesco sangue.

-

46

LA BANDIÈRA TRICOLORE CANTO POPOLARE Dopo la cacciata dei tedeschi da Milano, ebbe molto voga la seguente canzonetta popolare, che fu più tardi ripetuta dal '59 al '66. Le due ultime strofe furono aggiunte dai soldati di Piemontesi che cantavano nelle loro marce, e furono subito imparate e cantate le dai monelli milanesi. La si canta ancora in tutta Italia, compresa Trieste, con leggere modificazioni.

Anderemo a Roma santa, Anderemo al Campidoglio, Pianteremo sulla soglia La bandiera dei tre color.

La bandiera dei tre colori E' sempre stata la piià bella, Noi vogliamo Noi vogliamo

E

i

sempre la

quella

libertà.

tedeschi coi suoi baffi

Son una massa di birbanti, Impicchiamo tutti quanti, pie. Calpestiamo sotto i

I

Gesuiti son

partiti

Son andati dal suo re La corona dell'Impero La vogliamo sotto ai pie. ;

I

Con

tedeschi son fuggiti

fumo dentro il sacco Metternich e quel macaco Si

il

dovranno

ritirar.

:



47



CANTO POPOLARE Le Cinque Giornate in

tutta

di

del Bertoldi settentrionale.

l'Italia

Manzoni pubblicava la scritta quando sembrava

uno dei

fu

Da

più

innumerevoli canti

a

popolari

che

e

si

diffuse

1848 Alessandro « Marzo lui ^821 » da passaggio del Ticino da parte

ricordare impareggiabile ode

imminente il piemontese guadagnato alla aggiungendovi l'ultima strofa

dell'esercito

nazionale,

BERTOLDI

di G.

Milano diedero origine

questo

patriottici;

MIL A NO

LI BERAZIONE DI

LA

nel

rivoluzione

costituzionale

e

:

Oh

giornate del nostro riscatto! dolente per sempre colui lunge, dal labbro d'altrui. Come un uomo straniero le udrà! Che ai suoi figli narrandole un giorno Dovrà dir sospirando: io non c'era; Che la santa viitrice bandiera Salutata quel dì non avrà! Oli

Che da

Le Cinque Giornate furono precedute e seguite anche da una vera poesie e di canti popolari in dialetto milanese che si trovano un interessante volume di Carlo Romussi.

fioritura di in

Di

Dio son tutti del mondo i regni, più degni Dio che a reggerli chiama Ma quando l'empio quei regni toglie Di

i

Egli alza

I

il

dito e

discioglie.

li

non ha

Il

regno a Dio

A

noi chi tolse la libertà?

tolto

centomila sgherri tedeschi L'insubria inondano, duce Radeschi Non scende in campo Iddio con l'asta: Dal cielo ei mostrasi, mostrasi e basta. Polvere sono dinanzi a Te, Dio grande e forte, popoli e re. :

Ecco

sul

sacro piano lombardo

Sventola

Ecco Coi

il

il

libero

tre colori

un Carlalberto.

Sui vostri altari

Prodi

comun stendardo

trionfo a render certo

Lombardi,

ei

giurerà.

la

libertà.

:

;



48

L'ITALIA RISORTA INNO

DI B. DE'

BANDI

Inno del 1848; parole di Bando de' Bandi, musica del maestro Mapopolarissimo a Milano e in Lombardia per tutto quell'anno.

bellini,

Via toglietemi dal capo delle spine

La corona

Che una Splenda

;

volta ancor sul crine il

serto del valor.

Son l'Italia e son Le catene io sento

risorta,

infrante,

Sorgerò come gigante Sopra il campo dell'onor. Fino all'ultimo Appennino il grido redentor

Voli

!

Fui signora delle genti, Poi fui schiava e piansi tanto,

Ma

quei secoli di pianto

Questo



Tutti in Tutti

È Il

fa.

arme

miei,

stretti

Benedetta

Che

scordar mi

a

la

in

figli

bandiera

pugnar

soldato

i

una schiera,

il

li

condurrà.

cittadino,

soldato eroe sarà

!





49

LA PATRIA DELL'ITALIANO POESIA POPOLARE

ANTONIO GAZZOLETTI

DI

Antonio Gazzoletti fu dopo Giovanni Prati il maggior poeta trenNato a Nago il 20 marzo 1813, fu imprigionato varie volte dagli austriaci, esulò a Torino e passò poi a Milano ed a Brescia. Morì magistrato a Milano il 21 agosto 1866. La Patria dell'Italiano fu popolarissima per oltre un ventennio, a incominciare dal 1848 nel qual anno fu scritta. In essa si esprime vigorosamente il concetto unitario italiano. La sua forma fu ispirata dalla celebre poesia dell'Arndt « Was ist der Deutschen Vaterland?» (Qual'è la patria dei Tedeschi?), considerala la «Marsigliese» germanica. tino.

Qual è Sotto

la patria dell'Italiano?

cielo napolitano,

bel

il

Nel suol, nell'aere, nel mare un Serbò natura di paradiso Pur non è l'eden napolitano La grande patria delTItaliano.

riso

:

Qual

è

la

dell'Italiano?

patria

mare freme un vulcano, E intorno a quello fremono genti Di

dal



Di libertade.

Pur non è La grande Qual è E' forse

Che Sul

il

gloria ardenti

forte

patria la

Qual il

è

:

suol siciliano

dell'Italiano.

dell'Italiano?

patria

brando prima,

No, non è La grande

Culla

di

sacro terren

il

mondo

Fors'è

il

la

romano croce poi

stese soggetto a noi ? il

sacro terren romano

patria la

dell'Italiano.

patria dell'Italiano?

leggiadro

dell'arti e

giardin

insieni

toscano,

gentile

Maestro agl'itali del bello stile? No, non è il gaio giardin toscano La grande patria dell'Italiano.



50



il lombardo suolo fecondo? Venezia unica al mondo?

Fors'è Fors'è Città

maturi ingegni,

fiorenti,

Glorie e sventure vantan quei regni Pur non Venezia, non è Milano

La grande Fors'è

;

patria dell'Italiano.

guerriero Piemonte armato?

il

Fors'è l'altero Genovesato?

De' Corsi

l'isola,

Dall'aspre

rupi,

No,

in brevi

La grande Qual

è

quella de' Sardi dai

sponde

patria la

cor gagliardi? tu cerchi

invano

dell'Italiano.

patria

dell'Italiano?

Dal regal Tevere all'Eridàno Tutto che il doppio mare comprende, E un solo accento sonar s'intende, E il mondo barbaro rifece umano, E' la gran patria dell'Italiano.

Dovunque prossimo santo invocasi

Il

Dove una musica Dove ogni sasso

è

Dall'umil rudero

al

Ivi

la patria

è

Pio,

di

spira ogni vento,

un monumento, Vaticano,

dell'Italiano.

Dovunque all'ombra In

Dio

a quel di

nome

fermo accordo

dei

fraterni

tre colori

cuori

Stanchi del vile lungo servire di vincere o di morire,

Giurar

E Ivi

al

è

O

vinto amica stender la

patria

bella

terra,

nobile terra.

Dallo straniero

che

Troppo

oltraggi

soffristi

mano,

la

dell'Italiano.

ti

fa

e

guerra,

danni

:

Sul capo oppresso dai lunghi affanni Rimetti il prisco ciniier sovrano,

O

grande patria

dell'Italiano.





51

CANTO

DI

GUERRA

DI LUIGI

Il

gagliardo canto

del

(-arrer

(nato a

morto in patria il 23 dicembre 1850), popolo quando Carlo Alberto dichiarò e ripetuto dal popolo per lunghi anni.

fu la

Venezia scritto

guerra

il 12 febbraio 1801, principalmente per il all'Austria nel 1848

Via da noi, Tedesco infido,

Non

più patti, non più accordi

Guerra,

guerra

Ogn 'altro

!

;

grido

E' d'infamia e servitù.

Su que' Il

furor

rei, si

sangue

di

fa

lordi,

virtù.

Ogni spada divien santa

Che

nei

barbari

si

pianta

;

indegno figlio Chi all'acciar non dà di piglio, E un nemico non atterra E'

d'Italia

:

Guerra,

guerra

!

Tentò indarno un crudo bando Ribadirci le catene

;

La catena volta in brando Ne sta in pugno, e morte dà. Non s'ottiene Guerra, guerra Senza sangue libertà. !

Alla legge inesorata

Fa risposta Fan risposta

la al

Crociata

;

truce editto

Fermo core, braccio invitto, Ed acciaro che non erra ;

Guerra,

guerra

!

CARRER

,

Non

attristi

ci



52

piià

lo

— sguardo

L'aborrito giallo e nero;

Sorga l'italo stendardo E sgomenti gli oppressor. Sorga, sorga, e splenda altero Il

vessillo

tricolor.

insegna nostra mostra ti

insegna,

Lieta

Sventolante a noi

cammino

Il

tu

;

addita,

ci

Noi daremo sangue e vita Per francar la patria terra Guerra, E'

la

guerra

Da

nostro scampo.

il

gloria

lei

Della spada Dasti in

il

noi

E' d'Italia

;

guerra!

avremo e regno fiero lampo

l'antico

;

ardir.

indegno

figlio

Chi non sa per

lei

morir.

Chi

tra l'Alpi e il Faro è nato L'armi impugni e sia lodato Varchi il mare, passi il monte. Più non levi al ciel la fronte ;

Chi un acciaro non Guerra,

guerra

afferra

umile paese Guerra echeggi, e morte al

Dal palagio Tutto,

Che

al

tutto

:

!

tetto il

bel

tant'anni ci

vile

calcò; '

Guerra suonino

Che

il

le

chiese

ribaldo profanò.

Vecchi

donne

infermi,

Dei belligeri

imbelli.

fratelli

Secondate il caldo affetto Guerra, guerra In ogni Che di vita un'aura serra, !

Guerra,

guerra

!

:

petto.

53

IN NO DI

GUERRA DEL DI

primo

1848-49

LUIGI MERCANTIMI

guerra del celebre autore dell'Inno di a Ripatransone il 20 settembre 1821, 1872) lo scrisse nel 1848, e con quell'inno sul labbro crociati romagnoli corsero in aiuto di Venezia combattente eroicamente contro gli Austriaci. Fu m.usicato dal maestro Giovanni Zampettini, di Sinigaglia. In una nota ai suoi canti il Mercantini dice presente inno di guerra a proposito del « Quando in Corfù io fui a visitare Daniele Manin, da una stanza vicina si udiva cantare « Tre colori, tre colori». «Ecco! mi disse Manin, commovendosi, ecco il canto col quale abbiamo combattuto insino all'ultima ora sulle nostre lagune ». Il motivo della bandiera nazionale ricorre molto di frequente nella poesia patriottica del Risorgimento (vedi pag. 40 e 52). Il tricolore divisi popoli della pefu il simbolo e il nodo della patria, che raccolse nisola in un sol fascio potente e disciplinato. Come scrisse uno dei più appassionati cultori degli studi storici sulla resurrezione italiana, « gio\ani che non possono ricordare di aver veduto nei tempi della dominazione straniera un cencio tricolore conservato fra le memore più care e segrete e mostrato fra un sospiro di rimpianto e una speranza, e non videro più tardi quei medesimi colori splendere liberi nella gloria del sole e sorgere quasi per incanto, dietro ai passi dei fuggenti austriaci, e rivestire le città d'un'iride festosa, non possono comprendere capelli grigi all'apil fremito segreto che provano quelli che hanno parire della nostra bandiera. » Dopo la caduta di Venezia nel 1849, il tricolore fu, come scrisse Carlo Cattaneo, « il solo segno che rappresenE' il Garibaldi

morto

a

:

degli

inni

Mercantini

il

Palermo

l'S

di

(nato

novembre

i

:

:

i

i

i

tasse al cospetto del

mondo

Patrioiti,

la

nazione. »

all'Alpi

Fu

l'Italia.

andiamo,

andiamo al Po Perderem, se più tardiamo Già il tedesco c'insultò. Patriotti,

Il

:

:

tambur, !a tromba suoni. Noi sui campi marcerem. Mille e più sieno

Noi

le

E

sol

verde,

La bandiera

E

i

cannoni.

micce accenderem.

sol verde,

bianca e rossa

s'innalzò.

bianca e rossa

La h:indÌTn s'innibò.

— Tre

colori,

54



tre colori,

cantando va a cantando tre colori

L'italian

;

i

11

fucile

imposterà.

Foco, foco, foco, foco

!

S'ha da vincere o morir. Foco, foco, foco, foco !

Ma

il

tedesco ha da morir.

E t,a

E

verde, bianca e rossa bandiera s'innalzò. sol verde, bianca e rossa

sol

La bandiera s'innalzò.



55

CANTO DEGLI INSORTI ARNALDO FUSINATO

DI

Ad Arnaldo Fiisinato (nato a Schio il 10 dicembre 1817, morto Roma il 28 dicembre 1888) deve molto la musa patriottica italiana. Fu soldato, combattè a Alontebello ed a Vicenza e partecipò alla difesa di Venezia !e sue strofe guerresche venivano ripetute dai soldati nelle a

:

marce. Singolare per veemenza e paragonabile ai dell'ungherese Petòfi è questo canto degli insorti universitario

selvaggi canti battaglione il

più

che

Padova fece suo.

di

Suonata è

la

squilla

già

:

Terribile echeggia per

Suonata è

la

squilla

Su presto corriamo Brandite

i

Fratelli,

Al cupo

fucili,

fratelli,

le

il

grido di guerra

su presto,

:

la

;

fratelli.

patria a salvar.

picche,

i

coltelli,

corriamo a pugnar.

rimbombo

Rispose

il

l'itala terra

dell'austro

ruggito del

cannone Leone

nostro

:

manto d'infamia, di ch'era coperto, CoU'ugna gagliarda sdegnoso squarciò, E sotto l'azzurro vessillo d'Alberto Ruggendo di gioia il volo spiegò. Il

Noi pure l'abbiamo

Non

la

nostra bandiera

come un giorno

pili



gialla,

nera



Sul candido lino del nostro stendardo

Ondeggia una verde ghirlanda d'allòr De' nostri tiranni nel sangue codarde E' tinta

la

:

zona del terzo color.

Evviva l'Italia! d'Alberto la spada Fra l'orde nemiche si schiude la strada. Evviva l'Italia! sui nostri moschetti il Vicario la mano levò... E' sacro lo sdegno che ci arde ne'

Di Cristo

Oh

!

troppo finora

si

petti

pianse e pregò.

!





56

Vendetta, vendetta! Già l'ora è sonata, Già piomba sugli empi la santa crociata Il

Si

colmo

è

calice

strinser

dell'ira

mano

la

le

:

italiana,

cento

città

:

Sentite sentite, squillò la campana...

Combatta

denti chi brandi

coi

non

Vulcani d'Italia, dai vortici ardenti Versate sugli empi le lave bollenti E quando quest'orde di nordici lupi Ai patrii covili vorranno tornar,

Corriam

fra le gole dei

Sul capo S'incalzin

di

E quando

!

nostri dirupi

fuggiaschi le roccie a crollar.

ai

Un nembo

ha.

fronte,

le

di

avvolga

li

fianco, di

alle

spalle,

pietre e di palle,

canne dei nostri

fucili

Sien fatte roventi dal lungo tuonar.

Nel gelido sangue versato dai vili Corriamo, corriamo quell'armi a tuffar.

E

là dove il core più batte nel petto Vibriamo la punta del nostro stiletto; E allora che infranta ci caschi dal pugno La lama già stanca dal troppo ferir, ))e' nostri tiranni sull'orrido grugno .i pomo dell'elsa torniamo a colpir. .

Vittoria,

vittoria

!

Dal giogo tiranno

Le nostre contrade redente saranno Già cadde spezzato l'infame bastone

;

Che Il Il



l'italo dorso percosse finor timido agnello s'è fatto leone. vinto vincente, l'oppresso oppressor. ;



57

CANTATA DI

DI

GUERRA

ARNALDO FUSINATO

Questa cantata patricttica del Fusinato che non è compresa nei volumi delle sue opere raccolte si trova nella bella Antologia di Raffaello Barbiera « I Poeti Italiani del secolo XIX ». Fu scritta nel 1848 a Venezia, fu musicata dal maestro veneziano Francesco Malipiero, ed accese ancor più gli animi nella lotta contro il nemico nazionale.

Donne L'ora

fatai

All'armi,

s'approssima

all'armi,

o

!

forti!

Noi v'afRdiam la libera Bandiera dei risorti Senza timor guardatela-.. I suoi color son tre. !

Ed Le

il

Leon dell'Adria

sta vegliando al Pie.

Fino

al

supremo

anelito

Dell'onor suo custodi,

Dove Ivi

il suo drappo sventoli accorrete o prodi :

Del tradimento il demone Più non le striscia al pie

;

Perchè il Leon dell'Adria Le sta vegliando al pie. All'armi,

all'armi, o forti! Noi v'affidiam la libera Bandiera dei risorti !

Uomini

E

con un grido concorde Stringiamo il vessillo che Italia noi,

di

fede,

diede. simile anch'esso all'Angiol di morte. Affiso alle porte del santo giardin. Sull'ultimo scoglio dell'Alpi giganti

Oh!

Custode

ci



si

pianti



del

nostro confin.



58



DOKKE Addi--.

Con

j^:^j.-::.,

.

col

voi sceaideremo sul

\'o3

del

pensiero

campo guerriero

:

Se deWl la mane rifugge dal brando. Staremo pregando appiè all'aitar.

UOMIKI

E

noi

col

tripudio dell'alme

Sui campi cruenti



'

fidend

corriamo a pugnar.

Tutti Corriamo, corriamo vergogna al codardo Che il volo non segue del patrio stendardo Un inno di gloria, im'onda di pianto AJ martire santo cbe pugna e che rouor Al forte che riede di sangue coperto :

:



Un

vergine serto



di

baci e

di

fior.



59

CANTO Dopo

campagna

l'infausta

Lombardia

di

GUERRA

DI

interrotta

dall'armistizio

PiemoDlesi ardevano dal desiderio di riprendere agosto 1848, lotta contro gli AuKtriaci. Il canto the segue ebbe molta voga nel la brc\c periodo che corse fra la fine della prima guerra nazionale e l'iui/io della seconda, cosi breve t terminata cosi tristemente a Novaia del

9

{2i

marzo

i

1849).

Italiani,

Fu

se gagliardo

già

il

Di

Hontida Presto

Lombardo

braccio del

Se all'estraneo il

all'armi

La contesa

;

spavento giuramento, fé'

di



non è Legnan

sciolta

;

Su, gridiamo un'altra volta -- Guerra al barbaro Aleman :

Siede ancora

E



nostro desco

al

Gavazzando,

!

ebbro

il

tedesco,

l'esercito s'ingrossa

D'un novello Barbarossa Presto all'armi

La contesa

di





non Legnan

è sciolta ;

Su, gridiamo un'altra volta

— Quando

Guerra l'insubre

al

:

Aleman

barbaro

I

campagna

Tutta sanguina e

si

lagna

;

Quando il veneto Leone A battaglia si compone.



Presto all'armi non è sciolta La contesa di Legnan ;

Su, gridiamo un'altra volta

Guerra

u)

barbaro

:

Aleman

'

— Quando Van

gli



60

Usseri e

le

spie

briachi per le vie,

E gareggiano codardi Scannatori

di vegliardi.

Presto all'armi

La contesa

di



non Legnan

è sciolta ;

Su, gridiamo un'altra volta



Guerra

al

:

Aleman

barbaro

Stende l'aquila gli artigli Sovra i campi, e sovra i figli Non sia tregua coli 'ingorda Se la polvere non morda.

!

;

Presto all'armi — non è sciolta La contesa di Legnan Su, gridiamo un'altra volta ;

— Ha

:

Guerra

al

barbaro Aleman

tuonato il Vaticano Dall'Allobrogo al Sicano Ti



risveglia

Dio

lo

itala

vuole,

Presto all'armi

La contesa

di

prole

Dio

:

:

lo



è sciolta ;

Su, gridiamo un'altra volta

-- Guerra

al

barbaro



vuole.

non Legnan

!

:

Aleman!

IL

RISORGIMENTO

DI

ALESSANDRO POERIO



Alessandro Poerio (1802 3 novembre 1848), soldato e poeta, fratello di Carlo, si distinse alla difesa di Venezia dove morì. Questo inno non fu veramente cantato, ma declamato dai valorosi combattenti. Il Poerio nella memorabile sortita di Mestre del 27 ottobre cadde ferito mortalmente mentre nel folto della mischia animava sioi commi i

litori

Non

col

canto.

fiori,

ien l'empie memorie

non carmi

Defili avi sull'ossa,

D'oltraggi fraterni,

Ma Ma Ma

D'inique vittorie, Per sempre velate.

il i

suono

serti sien l'opre,

tutta sia

Ma

scossa



Da guerra

Che

sia d'armi.

quelle ricopre

resti e s'eterni

Nel core

la terra



un orrore

Di cose esecrate

!

;

Sia guerra tremenda,

E, Italia,

Sia guerra che sconti

Correndo ad armarsi Con libera man. Nel forte abbracciarsi Tra lieti perigli

La rea servitù

!

Agli avi rimonti.

Ne' posteri scenda La nostra virtù

O

Divampi di vita La speme latente Percuota

Che

in

Beltate

gli

tuoi figli,

Fratelli saran.

!

Di scherno nutrita

i

sparsi fratelli,

O ;

strani.

questa languente

— sfrenate

popolo mio.

Amore Movete Decreto Fidenti

v'appelli ;

!

nell'alto di



Dio valenti.

Cacciaron le mani, D'un lungo soffrire,

Movete all'assalto. Son armi sacrate

Sforzante a vendetta,

Gli oppressi protegge

;

L'adulto furor.

De'

cieli

Sorgiamo Concordia

e la stretta

Ma

questa è sua legge,

dell'ire

Che

;

Sia l'italo amor.

il

Signor

;

sia libertade.

Conquista

al valor.

— Fu servo

il

62

— Ma

tiranno

Del nostro paese Al domo Alemanno

vano pensiero

Fia l'inclita impresa.

;

Le terre occupava Superbo il Francese.

Se d'altro straniero L'aita maligna Sul capo ci pesa

Respinto

Sien soli



»

dal vinto

Poi quelle sgombrava. Si

pugni,

si

muoja

;

De' prodi caduti L'estremo sospir

Con La

fede saluti

libera gioia

D3I patrio avvenir

O

!

Italia,

nessuno

Stranier

ti

fu pio

;

Errare dall'uno Nell'altro servaggio

T "incresca, Fiorente

per Dio

!

— possente

D'un solo linguaggio, Alfine in te stessa,

O



i

figliuoli

né alligna Qual seme fecondo Nel core incitato Verace voler, Se pria non v'è nato Sospetto profondo Dell'uomo stranier. D'Italia

patria vagante.

Eleggi tornar

;

Ti leva gigante,

T'accampa inaccessa Su' monti e sul mar

!

;



63

ADDIO,

M IA

BELLA, ADDIO

CANTO POPOLARE

!

CARLO BOSI

di

bella, addio? Chi non Italia V Addio, mia (^hi non ha cantato in eanta ancora, in città e in campagna, in Lombardia, in Toscana, in canzone, così fresca e d'America? Questa Sicilia, nelle nostre colonie vibrante, che par nata oggi, ha invece un'età veneranda poiché sorse nel 1848 ed ebbe il battesimo del fuoco nella battaglia di Curtatone. La scrisse il fiorentino Carlo Bosi, che la intitolò « Il volontario che parte per la guerra dell'Indipendenza », ma il popolo la chiamò 1' « Addio del volontario » e ne corresse il primo verso che nella lezione originale suonava: Io vengo a dirti addio. Il musicista ci è ignoto; ma cliiunque l'abbia composta, se pur non l'ha creata l'anima stessa del forse quel motivo così nitido, così popolo, ha fatto opera di bellezza snello, così battagliero, « doveva già esistere come aleggiante per l'aria e come susurrante nei cuori». La canzone ha due sole frasi così ritmicamente incisive, e tanto slancio e vigore, che appena echeggiano, un brivido corre per le ossa e tutte fremono le fibre del cuore. « E' in tempo ordinario e in tono maggiore, né oltrepassa l'ambito di sei sole note, sempre naturali al termine del primo periodo, lo squillo di alcime rapide note ribattute le accresce vigore ed energia. Così breve e la

:

:

così lodia

sempre uguale

circoscritta, ripetuta

dovesse riuscire

monotona,

di

ma non

parrebbe che la meessa, pur ripetenmutar delle parole, nuovi

strofa,

è

così

:

sembra rinnovarsi e acquistare, dal sempre più vigorosi e marziali, come sembra in taluni punti ingentilirsi alla rievocazione di amorosi e soavi ricordi. Oltre a ciò nella sua estrema semplicità è originale non ha punti di contatto con altri canti patriottici e popolari del tempo. Ed è inoltre schietta e sincera, dosi,

accenti

:

senza

senza appiccicature sì sente sgorgata liberamente e spontanearr.ente dall'anima popolare e venuta fuori, come suol dirsi, di prima intenzione ». (Arnaldo Bonaventura). Enrico Panzacchi disse dell' « Addio del volontario»: «E' veramente una cara e poetica cosa; un toccantissimo motivo che ho sentito lodare e quasi invidiare all'Italia nientemeno che da Riccardo Wagner». E Pietro Cori osservò giustamente « Le undici strofe di questa poesia hanno nociuto agli austriaci più di una battaglia perduta, e giovato all'Italia più di una battaglia guadagnata. Tanta è la potenza del ritmo e dell'armonia sull'animo gentile degli Italiani!» fronzoli

e

:

:

Addio, mia bella, addio, L'armata se ne va;

Se non partissi anch'io Sarebbe una viltà !

Non

pianger,

mio

tesoro.

Forse ritornerò;

Ma

se in battaglia io

In ciel

ti

rivedrò.

moro

64 La spada, le pistole, Lo schioppo l'ho con me

Saran tremende l'ire. Grande il morir sarà Si mora, è un bel morire Morir per libertà !

:

Allo spuntar del sole Io partirò da te.

Il



!

Tra quanti moriranno Forse ancor io morrò

sacco è preparato Sull'omero mi sta Son uomo, e son soldato, Viva la libertà ;

!

Non

Se più del tuo

è fraterna guerra

La guerra ch'io farò Dall'italiana

Tu non

;

Per

L'antica tirannia Io

l'Italia

vado

in

lui

non

Io

ancor

ti

non sospirar. lascio sola,

Ti resta un figlio ancor

;

Lombardia

Nel Nel

Incontro all'oppressor.

ti

figlio

dell'amor

la tromba, addio. L'armata se ne va ;

bacio

Viva

la

al

figlio

libertà

!

consola.

figlio

Squilla

Un

diletto

udrai parlar,

Perito di moschetto.

terra

L'estraneo caccerò.

Grava

;

Non ti pigliare affanno, Da vile non cadrò.

mio

!

;



65

INNO MILITARE GOFFREDO MAMELI

DI

Fu

composto

Tirteo dell'Indipendenza Italiana nell'agosto del a Giuseppe Verdi che lo musicò caro alla gioventù, è oggi l'inno irredentista per eccellenza. A Trieste e in tutte le terre italiane rimas'.e tiro al maggio 19K'i soggette all'Austria due ultimi versi del ritornello « F.nchè non sia l'Italia Una dall'Alpi al mar » vengono modificati in questo modo: « Finché a Trieste e a Trento Non splenda il Tricolor». dal

1848 e mandato da nell'ottobre. Sempre

Giuseppe Mazzini '

i





All'armi,

all'armi

Le insegne Fuoco, Sulle

!



gialle

Ondeggiano

e nere

:

per Dio, sui barbari. vendute schiere !

Già ferve la battaglia. Al Dio de' forti osanna Le baionette in canna,

;

E' l'ora del pugnar.

Non deporrem

la spada schiavo un Dell'itala contrada Finché non sia l'Italia

Finché

sia

angolo

:

Una Avanti

dall'Alpi al mar.



Viva Italia, Viva la gran risorta Se mille forti muoiono, Dite, che è ciò? Che importa Se a mille e mille cadono Trafìtti i suoi campioni ? !

:

Siam

E

ventisei milioni

tutti

lo

giurar.

Non deporrem

la spada schiavo un Dell'itala contrada

Finché

sia

:

Finché non

Una

sia

l'Italia

dall'Alpi al mar.

angolo





66

Finché rimanga un braccio Dispieglierassi

altera,

Segno ai redenti popoli, La tricolor bandiera,

Che

nata fra

patiboli

i

discende guerresche tende

Terribile

Tra

le

Dei prodi che giurar Di non depor la spada Finché sia schiavo un Dell'itala

contrada

Finché non

Una Sarà

sia l'Italia

dall'Alpi al mar.



l'Italia

angolo

.

edifica

Sulla vagante arena

Chi tenta opporsi



Sui sogni lor

piena

la

misero

!

Dio verserà del Popolo. Curvate il capo, o genti, La speme dei redenti La nuova Roma appar.

Non deporrem

la spada schiavo un Dell'itala contrada Finché non sia l'Italia

Finché

sia

angolo

:

Una Noi

lo

dall'Alpi al mar.

giuriam pei martiri,

Uccisi dai tiranni, Pei

sacrosanti palpiti,

Compressi

E questo Sangue

in cor tant'anni,

suol che sanguina

dei

nostri eroi

A

Dio dinnanzi, e al popolo Ci sia solenne aitar.

Non deporrem

la spada schiavo un Dell'itala contrada Finché non sia l'Italia

Finché

sia

:

Una

dall'Alpi al mar.

angolo

67



L'ULTIMA ORA DI VENEZIA ARNALDO FUSINATO

DI

era già ricaduta sotto il giogo straniero dopo la eroica rivoluzione del 48-49, la quale aveva rivelato il miracolo d'un popolo, creduto imbelle, che sapeva battersi e morire per la propria redenzione, ed una sola città continuava a lottare, senza speranza di vittoria, in un sublime accanimento, per il nome e per l'onore d'Italia. La difesa di Venezia, come già quella di Roma nella quale si erano manifestati il senno politico di Mazzini e il valore

Tutta sfortunata

indomito città gli

di

l'Italia

ma

'

Garibaldi, colpi

di

dopo

San Marco,

Italiani.

il

Arnaldo Fusinato,



mondo alla

di

ammirazione, e

mesi

diciotto

vigilia

fame

di

della resa

la

caduta della

commosse

resistenza,

tutti

Venezia (24 agodalle armi nemi-

di

che e che compose nell'Isola del Lazzaretto Vecchio dove si trovava di guarnigione questa bellissima, toccantissima poesia, che corse la Penicuori e accendendo nuovi sola intenerendo le anime, facendo dolorare propositi di riscossa per tempi non lontani e migliori. sto

1849)



vinta

dalla

piti

dal

colera

i

E' fosco l'aere. Il cielo è muto,

Ed io sul tacito Veron seduto. In



morbo

Il

pan

Il

ci

infuria,

manca,

Sul ponte sventola Bandiera bianca !

solitaria

Malinconia Ti guardo e lagrimo, Venezia mia

No, no non splendere

Su

guai.

tanti

Sole d'Italia,

!

Fra i rotti nugoli Dell'occidente Il raggio perdesi Del sol morente,

E mesto Per

l'aria

bruna

Passa una gondola Della città Ehi,

Spenta fortuna gemito il

Si eterni

Della laguna.

sibila

L'ultimo gemiro Della laguna.

~

Non splender mai E sulla veneta

:

dalla

Qual novità?

gondola,



Venezia

Ora

!

è

L'ultiina

venuta

;

Ilustre martire,

Tu

sei

perduta...

Il

morbo

Il

pan

ti

infuria,

manca,

Sul ponte sventola

Bandiera bianca

!

;

68

Ma

non

Ed

ignivome

le

— ora infrangaci

Palle roventi,

Qui sulla



Finché è ancor libera. Questa mia cètra. A te, Venezia, L'ultimo canto, L'ultimo bacio, L'ultimo pianto

i

Su

fulmini

mille

stridenti,

t?

Troncare ai liberi Tuoi dì lo stame... Viva Venezia !

Muori

fame

di

1

!

Ramingo ed esule

Sulle tu3 pagin'2 ScolpÌ3ci, L'altrui

E E



la

grida

storia.

nequizie

sua

posteri

:

Tre volte infame Chi vuol Venszia Morta di fame !

Viva Venezia L'ira

il

risuscita

Virtude antica

Ma Ma

E'

;

il

morbo

infuria

il

pan

manca..

le

Sul ponte sventola

Bandiera bianca

!

Venezia,

Nel mio pensiero; Vivrai nel tempio Qui del mio cor?. Come l'immagine Del primo amore.

Ma Ma Ma

I

nemica

La sua

In suol straniero, Vivrai,

gloria,

ai

pietra.

vento

sibila,

l'onda è scura, tutta in la

natura

tenebre :

Le corde stridono, La voce manca... Sul ponte sventola Bandiera bianca !



69



LA CARABINA DEL BERSAGLIERE CANTO Come

DOMENICO CARBONE

DI

delusioni e gli insuccessi non avevano fatto disperare Mazzini e di Garibaldi, così il tradimento di Pio IX, la sconfitta di Novara, il trionfo finale dell'Austria e dei suoi tristi accoliti non valse a far perdere la speranza nel futuro ai patriotti del Piemonte. Oh tempra d'acciaio, oh fede invitta dei nostri padri! Domenico « Re Tentenna » il Carbone, colui che con una satira di grande linea aveva vivamente scosso, a detta del Predari, l'animo di Carlo Alpartigiani di una politica berto facendolo piegare più benigno verso canto tutto speranza, la « Carabina liberale e nazionale, scrisse un del Bersagliere », che ebbe gran parte nell'opera di resistenza morale e di preparazione iniziata dal Piemonte nel 1850. ossia la via di Trieste, nelle cui La via si calchi di Nabresina vicinanze sta il piccolo villaggio di Nabresina.

seguaci

le

i

di





i

:

Mia carabina



mia

fidanzata,

Di tutto punto, tu se' parata;

Dolce tripudio della mia mano. dell'occhio con cui ti spiano,

Amor

10 t'ho giurato la

fede mia

Sui vasti campi di Lombardia

Giorno

noxzc

di

si

;

ravvicina,

Mia carabina.



Mia carabina mettiti a festa Nozze di sangue l'Adige appresta Ti

sarà

;

dote l'aurea

Vinta nel fuoco della battaglia Altare, Letto,

E

un la

;

medaglia ;

preso d'assalto, pietra d'un arduo spalto; colle

tu d'ogni

arma

sarai regina.

Mia carabina.

Mia carabina



quando tu La destra gota lieve mi Quel tocco è il bacio 11

bersagliere

dalla

scatti, batti

;

che

sua dama

invoca

e

brama

;

Solo col lampo che tu saetti. Morte nel core dell'Austro metti. Ma, quando tuoni, porti ruina. Mia carabina.

— Mia carabina



70



s'appanna

talor

Il

terso acciaro della tua canna

E

la

Roma Ed

;

bocca sussurra e noma Venezia e Roma. e Venezia rispondo Che più ti resta ?

tua

io

Lupa,

:

;

:

La via

Leon li desta. calchi di Nabresina,

scuoti

ti

si

;

Mia carabina.



Mia carabina Spuntare

i

questi stranieri

nostri pennacchi neri

Dell'Alpi in vetta presto vedranno,

E

vanti in gola ricacceranno.

i

Fra le due schiatte pose natura Coteste rócche, coteste mura,

A

ripigliarle

Dio

destina,

ti

Mia carabina. Mia carabina



mai non dici Troppi nel campo sono nemici Chiedi sol quanti per opra mia tu

:

i

;

Mordon la terra nell'agonia. E se ti metto la daga in testa, Sembri una sposa vestita a festa, E meni orrenda carneficina.

'

Mia carabina. Mia carabina Il



nessun

ci

segua

bersagliere passa e dilegua

Corre

Lo

col

vento,

col

tigre

:

;

balza

credi a fronte, dietro t'incalza

Qua

si

sparpaglia,

là si

;

:

raduna,

Pare e dispare la penna bruna con te sempre, con te cammina, ;

Ma

Mia

carabina.



Mia carabina le Adriache prode, Ancor co' becchi l'aquila rode; Ond'è che a punta di baionetta Ti scrissi in calcio

morte o vendetta guardo tanto mi regga straniero fuggire io vegga

S'io cado,

Che

lo

:

!

il

;

E anco

sotterra siimi vicina.

Mia carabina.

71

IL



BARCHETTO

DEL' 49 ANTONIO PAVAN

DI

Antonio Pavan, morto commendatore e Conservatore delle Ipoteche riposo, era nel 1848 un giovane scrivano d'avvocato a Treviso. La ri\olu2Ìone uel 22 marzo lo improvvisò poeta. E poeta fu e popolarissimo a' suoi giorni. // barchello del '49 e lo Stornello si cantarono, nei sottovoce patriottici, su arie d'opere o di altre canzoni, particolarmente nelle famiglie degli emigrati veneti prima del '6tì. a

Di notte una barchetta vien dal mare.

A

prora ha una bandiera tricolore, ferma contro riva ad aspettare.

Si

Ad I

aspettar dei giovanetti

fiore

il

:

volontari della santa guerra,

Pronti a morir per l'italiana terra.

STORNELLO GARIBALDINO DI

Il

E

ANTONIO CAVAN

Fior d'amorino. conosce dal mattino, nasce l'onest'uom garibaldino

giorno

si

72



MAZZINI STORNELLO

DALL' ONGARO

DI F.

Immensa

diffusione ebbero questi stornelli che Francesco Dall'Onpopolare poeta, scrisse quando tutte le polizie d'Europa stavano fort.inaraalle calcagna del grande orditore di congiure. Mazzini, cadute le speranze italiane nel '49, aveva intensificato la mente per poco sua propaganda repubblicana e unitaria gettando vivissima apprensione nelle cancellerie le quali non riuscivano mai a sapere esattamente dove l'Apostolo si trovasse. Il Dall'Ongaro scrisse questi versi nel niai^gio del 1851, e volle identificare l'idea italiana con colui che primo la bandì e con maggior tenacia la diffuse. I mazziniani propagarono in tutta Italia e all'estero gli stornelli del poeta di Oderzo. garo,

il





Chi dice che Mazzini

Chi

lo

Chi

lo

Alemagna,

è in

Chi dice eh 'è tornato

pone a Ginevra e vuol sugli

Inghilterra,

in

chi in Ispagna,

chi sotterra.

altari e

Ditemi un po', gruUoni

cappa magna,

in

Quanti Mazzini c'è sopra

terra?

la

Se volete saper dov'è Mazzini

Domandatelo

all'Alpi

Mazzini è

ogni loco ove

in

Che giunga Mazzini è

Versare

il

in

ai

traditor

si

l'ora

ogni loco ove

sangue per

Appennini.

e agli

si

l'Italia

trema suprema. spera intera



73

O LA BELLA GIGOGIN

!

CANZONETTA POPOLARE MILANESE Dopo

1849 la Musa popolare, come scrisse Carlo Romussi, il quasi soffocata sotto il succedersi delle catastrofi. Tacque davanti alle forche del ti febbraio del '53; das'anti ai martiri che morivano bestemmiando l'imperatore e sognando l'Italia redenta che non avrebtacque davanti alla silenziosa opera di preparazione bero veduto mai ma quando sull'orizzonte buio apparve un barlume iniziata da Cavour di luce, nunzio di prossime battaglie, allora per le vie di Milano e delle altre città d'Italia tornò a risuonare la gaia canzone dei di della lotta. Il popolo non ha bisogno di spiegazioni, una tacita parola d'ordine dà il significato al canto; e una bizzarra poesia uscita viva ed ornata di note musicali dal cuore del popolo, parlava di una vaga aspetta zione, di una pazienza che ironicamente si consigliava agli oppressi, (bisogna ave pazienza), di un fatto lieto che si doveva fare sollecito per arrivare al premio sospirato ed erano note che ora si trascinavano con maliziosa lentezza, ora acceleravano il tempo come in una marcia trionfale attraverso un campo di battaglia... Era il canto della Bella Gigogin. Questa canzone, che doveva aver subito un successo inaudito, ebbe battesimo del pubblico l'ultimo giorno del 1858 nel Teatro Carcano il

giacque

;

;

:

di

Milano

(ora

restituito

alle

glorie

Banda Civica

dell'arte

e

della

storia)

in

un

direzione del maestro Ros sari. L'entusiasmo della folla che aveva inteso immediatamente il significato riposto della canzonetta ed era stata colpita dalla bellezza musicale che la informa, raggiunse il delirio; otto volte fu replicata la canzone; e poiché la banda, per una delle tante assurde disposizioni austriache, aveva l'obbligo di eseguire ogni tanto delle suonate davanti al palazzo del viceré, alle quattro del mattino del primo d'anno del '59 si recò a compiere il suo dovere davanti al- palazzo reale seguita da una folla enorme di qualche decina di migliaia di persone ritornello Dagliela avanti il le quali, con slancio frenetico, gridavano un passo. Il popolo ammoniva intanto il comandante delle forze austria che a Milano che stesse attento perché il nuovo anno gli avrebbe recato dei fastidi

concerto dato

dalla

sotto

la

:

Varda (jyulay che ven

E

primavera!...

la

non passò molto che giunse la liberazione e la Bella Gigogin fu cantata nella battaglia di Magenta, ed all'entrata delle truppe francosarde in Milano liberate le bande musicali la suonavano accompagnate dal coro immenso della cittadinanza che vedeva realizzate le sue sante infatti

stessa sera che la Bella la speranze. Coincidenza strana e curiosa Gigogin veniva alla luce in Milano, l'inno del Mercantini, chiamato in appresso l'Inno di Garibaldi, veniva eseguito per la prima volta a :

Genova.



74



La musica della Bella Gigogin fu scritta da Paolo Giorza (nato a Milano nel 1832), un singolarissimo tipo di musicista che dopo aver avuto un periodo di celebrità europea come compositore di balli e come direttore teatrale, morì in miseria nella piccola città nord-americara di Seattle nel maggio del 1914.

La ven, L'è

ven,

la

tutta,

la

ven

alla finestra,

tutta insipriada,

l'è tutta, l'è

l'è malada Per non, per non, per non mangiar polenta. Bisogna, bisogna, bisogna ave pazienza

La

dis,

la

Lassala,

O O A

la

dis,

lassala,

bella

la

quindici

la

che

dis

lassala

maridà.

Gigogin Trallalà larà la-lera Gigogin Trallalà larà lelà !

bella

!

!

!

anni facevo all'amore...

Dagliela avanti un passo. Delizia

A

del

mio core

!

sedici anni ho preso marito... Daghela avanti un passo, Delizia del mio core !

A

diciassette mi sono spartita... Daghela avanti un passo. Delizia del mio core !

O O

la

bella Gigogin

la bella

Gigogin

!

!

Trallalà

larà

Trallalà larà lelà

lalerà !

!



75

INNO DI GARIBALDI DI LUIGI

Se l'Inno

MERCANTINI

Mameli

è il più hello, l'Inno di Mercantini è il più guerra italiani. Le sue strofe destano fremili, il suo ritornello entusiasma. Scritto per volontari di Garibaldi, è diventato il vero inno nazionale del popolo italiano e là dove esso rimbomba si difendono le cause giuste e sante. Come disse Giovanni Pascoli, esso « se non proprio morti dai sepolcri, resuscita ciò che è sepolto nei nostri cuori, ciò che più non morrà ». La sera del 19 dicembre 1858 in Genova, nella casa del patriotta bergamasco Gabriele Camozzi, Giuseppe Garibaldi, Nino Bixio e qualche altro parlavano della prossima campagna di liberazione che doveva essere ingaggiata al cenno che si aspettava da Torino. D'un tratto entrò Luigi Mercantini, il poeta già noto e amato per un suo inno (vedi a pagina 5,ì) e per la bellissima e popolare poesia scritta in moric del Pisacane

popolare

di

degli

inni

di

i

i

:

Erari

al

trecento,

Garibaldi gli strinse la colloquio, che racconta)

— —

giovani e

erari

mano

e

forti...

disse (è Giglioli,

gli

che assistette

:

Voi mi dovreste scrivere un inno per miei volontari; teremo andando aila carica e lo ricanteremo tornando vincitori.



il

i

Mi proverò. Generale, rispose

E

Mercantini Camozzi, comporrà la musica. la

signora

(era

il

lo

can

poeta.

una

celebre

pianista),

soggiunse

Il 31 dicembre, mentre a Milano la folla, pazza di entusiasmo, cantava per la prima volta Dagliela avanti un passo, il Mercantini portò l'inno in casa del Camozzi. La musica non era della signora Mercantini ma del maestro Alessio Olivieri, capobanda della brigata « Savoia ». Fu trentini fratelli Pilade e Narciso Bronzetti, eseguita presenti Bixio, Migliavacca, Fiastri, (Chiassi, Gorini, tutti intrepidi soldati della Patria, borghesi. Parole e musica conquistarono l'eletto e nobili, popolani e Quattro mesi appresso, il 25 aprile 1859, l'inno fatidico uditorio. veniva cantato per la prima volta in pubblico dai volontari di Garibaldi. Esso tuttavia non ebbe una grande popolarità che più tardi, poiché nella campagna di Sicilia del 1860 era ancora poco conosciuto. Luigi Mercantini non scrisse mai nulla di meglio di quest'inno guerresco e l'OLvieri, l'autore della musica (nato a Genova il 15 febbraio 1830, morto di tisi a Cremona il 13 marzo 18(37) viene ricordato dai posteri soltanto per le note di cui rivestì le parole del Mercantini. Siano benedetti entrambi per il capolavoro che scosse tutta Italia i

Come

E

in

se in ogni sillaba

ogni canto ardesse una

scintilla.

— In

cento

origine città n

strofe



terminava col verso « Son ditte una sola conquista della Sicilia il Poeta vi aggiunse

l'Inno

dopo

:

!a

seguono.

che

« Va ceva fuori popolo corressero

Il

d'Italia

:

«



levano

si



Su Su Su

Veniamo

!

tutti

col ferro,

tutti

col

foco

Va' fuori Va' fuori

La

!

d'Italia nel cor!

h

su



d'Italia n"l cor!

ch'è ora.

d'Italia,

va'

va' fuori,

Di cento catene

Ma

ancor

terra

la

fuori



Legnano

di

o straniar.

carmi

dell'armi

avvinser

le

!

foco.

tutti col

d'Italia,

qua! 'era

!

nostre bandiere

terra dei fiori, dei suoni e dei

Ritorni

chiome,

alle

allori

Su, o giovani schiere

!

vento per tutto

al

correzione popolare.

la

morti,

i

nostri son tutti risorti

Le spade nel pugno, gli La fiamma ed il nome

Veniamo

sa

!

mano.

la

brandir.

ferri

i

Eastone tedesco l'Italia non doma, Non crescono al giogo le stirpi di Roma Più Italia non vuole stranieri e tiranni. Già troppi son gli anni che dura il servir. :



Va' fuori

Le case E'

I

d'Italia,

d'Italia

son

ecc.

fatte

per noi,

Danubio la casa dei tuoi campi ci guasti, tu il pane c'involi,

là sul

Tu

i

nostri

:

figliuoli

Son l'Alpi e Col carro

i



per noi

due mari

d'Italia

li

i

vogliam. confini,

fuoco rompiam gli Apennini Distrutto ogni segno di vecchia frontiera. di

:

La nostra bandiera Va' fuori

le

i

;

l'autore accettò

e

»

tombe,

le

m.artiri

I

le

magico ritornello nell'originale dell'autore digaribaldini ed il Va fuori ch'è l'ora »

ch'è ora

scopron

Si



7G



d'Italia,

per tutto innalziam.

ecc.





77

mute

le

Soltanto

?1

E

monti n'andrà lo straniero. l'Italia sarà. un pensiero

Sieri

tosto oltre

Se

tutta

Non Si

basta

pronte

lingue, sieri

nemico volgiamo i

ai

le

allo squillo,

Dei mille

la

muovon

Già

»•

che vien da Caprera, che l'Etna assaltò.



schiera

rossa vanguardia dei bravi d'Italia

le

ratto sull'orma

L'ardente

spaldi,

gli

^Garibaldi

grido d\:llarmi sarà

dietro alla

città.

ecc.

d'Italia,

E s'arma

Si

:

sola,

cento

Se ancora dell'Alpi tentasser

E

soglie

le

una

tutte



II

:

barbare spoglie, d'Italia

ladri

Le genti d'Italia son Son tutte una sola Va' fuori

braccia

faccia,



trionfo di

il

chiudano

le

la



destriero

Va' fuori

tende e

le

navi

:

del fido guerriero

Vittorio

spronò.

ecc.

d'Italia,

Per sempre è caduto degli empi l'orgoglio, Viva Italia A dir va il Re in Campidoglio La Senna e il Tamigi saluta ed onora L'antica signora che torna a regnar.







Contenta del regno Soltanto

ai

Dovunque Suoi

figli

fra l'isole

tiranni minaccia le

genti percuota

usciranno

Va' fuori

d'Italia,



e le

i

monti fronti

;

un tiranno

per terra e per mar.

ecc.

CANTO

DI

SOLDATI SUL CAMPO DI

TEOBALDO CICCONI

soldati piemontesi nei bivacchi durante la guerra del Lo cantavano soldati d'Italia nel 1915, 1S59. E lo cantano con eguale entusiasmo durante l'ultima, pili grande e più gloriosa guerra del nostro Risorgimento! i

i

Fischiano Batte

venti,

i

nera.

notte è

la

pioggia sulla bandiera

la

:

Finché nel cielo rinasca il giorno, Giriam, fratelli, giriamo intorno. Silenzio Chi passa là ? Passa la ronda. Viva la ronda Viva l'Italia, la libertà

Zitto

!

!

:

!

Siam

delle guardie dai tre colori. Verde, la speme de' nostri cori. Bianco, la fede stretta fra noi, Rosso, le piaghe de' nostri eroi.

Chi passa là? Passa la ronda. Viva la ronda Viva l'Italia, la libertà! Zitto! Silenzio!

congiunte bocche dei cento Scoppia la voce del giuramento Braccio di ferro, cor di leone,

:

Dalle

Ciascun difenda

la

;

sua ragione.

Chi passa là? Passa la ronda. Viva la ronda Viva l'Italia, la libertà Zitto! Silenzio!

!

:



79



LA ROSA DI

NOVAR A

I>I

FRANCESCO COPPI

Francesco (;oppi,

poeta molto giovane, è l'aiitort di questa dolce musica, che è comune ad altri stornelli toscani, ha note malinconiche. Il ritornello è « tutto empito, e bene esprime la f,2gliardia delle rinnovate speranze ». Nata nella primavera del 1859 i;i Toscana, suonò sulle labbra dei volontari toscani e restò nel popolo. e

triste

poesia,

cui

la

Fior della bara.

Spunta

la

rosa della primavera

Al piede delle croci di Novara.

O

O E

— —

rosa d'aprile

D'Italia

colori

i

amore tu

dei

fiori,

con

porti

te.

primavera,

campi

le croci dei

Dicono

O

Apriti e spera.

:

rosa d'aprile

D'Italia

Verde

Novara

di

a quella rosa

i

amore

-



colori



dei

tu porti

fiori,

con

te.

è lo stelo,

Come

speranza che un vessillo solo Sventolerà per questo nostro cielo.

O

stelo di rosa

— amore dei — pure

Dei nostri colori

Bianco è

Come

la

il

sei

fiori

un de'

tre.

bottone,

fede che l'onde tirrene

Dovran baciare una sola nazione. Bottone

di

rosa

Dei nostri colori

-



amore sei

dei fiori

pure un de'

tre.





80

E' rosso il flore. l'amore che dall'Alpi

Come

Ci Siam giurati

O

ai

fiore di rosa

— amor —

Dei nostri colori

E

mare

al

giorni del dolore.

sei

dei fiori

pure un de'

sulla sera

Ai piedi delle croci di Novara Sbocciò la rosa della primavera.

E

le croci dei

campi

O

rosa d'aprile

D'Italia

i

Novara

di

Dissero a quella rosa

colori

:

Apriti

e spera.

— am.ore — rivivon

dei fiori

con

te.

tre.

81

CANTO MARZIALE DEI SOLDATI GIUSEPPE PIERI

DI Come

avverte il Cori, questo fu il piii popolare degli inni patriot1859. Fu scritto dal Pieri, un fecondo poeta, ora dimenticato, musicato dal maestro Rodolfo Mattiozzi e dedicato al generale Ulloa, comandante delle truppe toscane. In alcune regioni d'Italia lo si canta ancora. tici

sorti

nel

All'anni!

All'armi, Soldati,

all'armi, all'armi!

Son pronti

battaglioni,

i

cannoni La morte a fulminar. I

brandi ed

i

Del suon di tromba Tutta rimbomba L'itala terra...

Viva

guerra

la

All'armi,

Regni ne' nostri

La

fede,

!

All'armi! petti

speranza.

la

Andiam siccome

a danza,

Giulivi a battagliar.

Del suon Tutta

di

tromba

rimbomba

L'itala terra...

Viva

la

guerra

All'armi,

!

All'armi!

Sia fulmine racciaro Sull'oste che

D'una

ci

aspetta

feral vendetta

L'ora per noi suonò

!

Del suon di tromba Tutta rimbomba L'itala terra...

Viva

la

guerra

!

:





82

All'armi!

All'armi.

Al tricolor vessillo Dell'almo re guerriero Uniti in un pensiero

L'Eterno

guidò.

ci

Del suon

di

tromba

rimbomba

Tutta

L'itala terra...

Viva

la

guerra

All'armi,

!

All'armi!

Sui campi della gloria

Come leoni andremo, Col sangue compreremo La santa

libertà.

Del suon di tromba Tutta rimbomba L'itala terra...

Viva

la

guerra

!

All'armi, All'armi!

Questa invidiata Italia Troppo già fu tapina. Noi la vogliam regina, Regina alfin sarà. Del suon Tutta

di

tromba

rimbomba

L'itala terra...

Viva

la

guerra

!

All'armi, All'armi!

Corriam, voliam, coraggio Sciabola in pugno ed asta

Siamo Vita

guerrieri, e basta

il

pugnar

Del suon Tutta

di



ci

tromba

rimbomba

L'itala terra...

Viva

la

!

guerra

!

!

;

:

83

CACCIATORI DELL E ALPI

I

MERCANTINI

DI LUIGI

Fu

LOmunissinia

tra

Garibaldini

i

durante

Volontario ho abbandonato La mia casa ed il mio amor Or che son di qua passato Son dell'Alpi cacciator.

la

campagna

:

La mia madre poveretta Al confin mi accompagnò

Ma E

di là

E un

mi

salutò...

bel j^iovine gagliardo

mio cammin

Incontrai nel Io

gli



:

restò soletta,

di là



chiesi:

Sei

:



Lombardo?

No, rispose, Cadorin...

Uno, due,



Modenesi

oh quanti

quattro,

tre,

Dite amici, ove

va?

si

!

-

quanti

tutti

Per combatter siamo qua.

— Viva — Siam — Viva

Italia!

di

E

Parma.

Italia

!

Oh

voi chi siete?

—E

noi sapete,

Siam toscana gioventù.

— Veh E



costui che arriva in fretta

d'armati ha un fiero stuol

:

Olà, amico, dinne, aspetta.

Tu



voi laggiù?

chi sei ?



Son romagnol.





del

"59.

— E

Che

quell'altro più lontano si

ratto

muove

— Messaggiero Vengo

a dir

Cacciatori,

Già

84

la

belva

che morto è spunta si

la



il

il

re.

giorno,

il

mostrò

Cacciatori squilla

Già

pie?

il

siciliano

:

corno,

caccia incominciò.



85



STORNELLI POPOLARI DEL

1859

1S59, come già il 1848, elettrizzò l'Italia. Le vittorie di Lomle rivoluzioni dell'Italia centrale, il magnifico esempio dato dal Re, dal suo grande iflinistro, da Garibaldi alla testa dei suoi volontari, dai governi insurrezionali che resero nulli i patti disastrosi della pace di Villafranca, erano tali avvenimenti da destare le muse patriottiche e popolari Si ebbe in quell'anno e nell'anno seguente, non meno grandioso nella storia del nostro riscatto, una vera efflorescenza di inni e Il

bardia,

alcuni dei quali bellissimi, come quelli de! '48. Il v=^9 fu l'esaltazione del nuovo valore militare italiano impersonato nella balda figura del bersagliere crealo dal Lamarmora. Nel '59 e nel '66 i trentini

di canti,

cantavano

:

E voi altri bersaglieri Che gavè la gamba bona Vegnarè su da Verona A portar la libertà! Gli stornelli che seguono sono nati in Toscana damente nelle Marche, nelle Romagne ed in altre il granduca Leopoldo di Toscana. // Babbo

e si sono diffusi rapiregioni.

:

Addio, Fiorilla

!

La tromba del guerrier sento che squilla, E chiama gritaiiani alla battaglia: Pronta ho la spada e da- due parti taglia Il sacco ho preparato ed il fucile Vado alla guerra, e chi non viene è un vile. Addio, Fiorilla, vado in Lombardia A liberar men vo la patria mia. ;

;

Sono

O

italiano, ed alla guerra vo, morirò pugnando, o vincitor sarò.

Fiorin d'allòro!

Perchè mi neghi un bacio, o mio tesoro? Sai che alla guerra vado in Lombardia, Non ti vedrò piij forse, anima mia Dunque perchè mi nega il tuo bel core L'ultimo segno d'un fedele amore? ;

Sono

O

italiano, ed alla guerra vo, morirò pugnando, o vincitor sarò.



86



Fior di mughetto Viva l'Italia, che ho scolpita in petto, Evviva la bandiera tricolore. La bandiera che ai barbari è terrore. All'armi! Della tromba odo lo squillo, Viva l'Italia e il tricolor vessillo

!

:

Voliamo Sventoli

Sono

O

alla vittoria; all'Alpi in vetta la

bandiera benedetta.

ed alla guerra vo, morirò pugnando, o vincitor sarò. italiano,

Fior di mortella Sull'elmo del guerrier brilla una stella E' la stella che a mezzo la battaglia

!

;

Collo splendor l'occhio al tedesco abbaglia E' la stella che illumina il sentiero. Della vittoria all'italian guerriero.

Sono

O

italiano, ed alla guerra vo, morirò pugnando, o vincitor sarò.



Dimmelo, bella. Dove tu l'hai l'amor?

— L'amore Fra



fucili

l'ho in

Piemonte

e cannon.

Dimmelo, bella. Dove tu l'hai l'amor?

— L'amore l'ho Bandiera

in

tricolor.

Piemonte



Giovane son. Voglio morir così Garibaldi in Mantova O vincere, o morir. :

Con

Giovane son, Voglio morir così Vo' andar con Garibaldi :

O

vincere, o morir.

;



87



Giovane son, Voglio morir così

Vogliam

O

:

l'Italia libera;

vincere, o morir.

Mamma, non

piangere,

Alla guerra vo'

ir

:

Nell'Italia son nato,

Per

vo' morir.

l'Italia

Lascialo andar,

Che

volontario va,

Contro

i

Tedeschi

a battersi

L'Italia a liberar.

Lascialo andar

Che

volontario va,

E' va con Garibaldi L'Italia a liberar.

Lascialo andar

Che

volontario egli è

;

E' andato nel Piemonte

A

fare

bersaglier.

il

Lascialo andar

Che

volontario va

Lascia

la

mamma

La dama

;

a piangere

a sospirar-

Lascialo andar

Che E

volontario egli

è,

nel Palazzo Pitti

Non

ci

rimette

pie.

il

Lascialo ire Lascialo

ir

lassiì

:

Codini, andate a letto Il Babbo un torna più

!

L'albero è secco,

La foglia è andata giù, Codini andate a letto Il

Babbo un torna

più

!

GARIBALDI FRANCESCO DALL' ONGARO

DI

Francesco Dall'Ongaro musica di questa canzone sociale?

»

compose

ne

cantata

«

in

le

Italia

parole; ma -chi fece la da persone di ogni casato

(Gori).

Qual'è il guerriero famoso al pari Di qua d'Atlante, di là dai mari,

Che E il

per

brandì l'acciaro

l'Italia

nostro

nome

fé'

sacro e caro

Fin fra' selvaggi nudi e spavaldi?



E' Garibaldi!

Al primo grido de' nostri sdegni Varcò d'un volo d'Alcide i segni Udì un concerto d'allegri carmi,

Ma

inette ancora le destre all'armi,

Gridò

O

:

:

«Sorgete fidenti e baldi» ?



E' Garibaldi

!

lombardi campi. faville e lampi dell'elmo gravò la chioma,

cari al sole,

Per Per

lui lui

Risorse

mandaste cinra

!

sacra

la

Di nuovi Bruti,

di

Roma

nuovi Arnaldi

— Cedemmo

al fato

Covò due Su, su,

Che La

;

ma

lustri la

fratelli,

!

E' Garibaldi

!

in cor ristretta gran vendetta.

più non s'attenda

dal Cenisio l'aiuto scenda!

libertade vuole

altri

araldi



:

E' Garibaldi!



89



al suo nome l'antica schiera Rubicone passò primiera Sursero inermi Varese e Como Contro seimila s'avanza un uomo,

Desta Il

:

:

E

rovescia dai vinti spaldi...

gli



Da Montebello

Non

fino a

v'è che un

E' Garibaldi

!

Magenta

nome che

li

spaventa.

Dov'ei non pugna s'alza gigante,

Tremendo spettro col suo sembiante Che mette un gelo ne' cor più saldi.



L'un Sire e Scossi

al

l'altro si

E' Garibaldi

guata in faccia

periglio chi

li

!

:

minaccia,

Offrono tregua, giurano pace

:

Tremano entrambi che l'uomo audace Di nuovo incendio l'Europa scaldi... E' Garibaldi



Non

v'è con l'Austria pace né tregua!

Infìno

O

al

mare

re Vittorio,

Grida

a

l'oste s'insegua.

chiama

i

tuoi Sardi,

Toscani, grida a Lombardi

— Spezzate Fra

!

i

vili

patti ribaldi



:

!

E' Garibaldi

gioghi dell'Appennino i sacri Splende all'Italia miglior destino Qui dove è antica la libertade,

!

:

A nuova

vita tempriani le spade, Novella fiamma l'alme riscaldi!... E' Garibaldi



Vedran, se alcuno pur ci dileggia, Che non slam tutti canora greggia Vedranno al soffio che da lui spira Aiutarsi in tromba l'imbelle lira,

Ed

i

!

!

Raffaeli! fatti Rinaldi...



E' Garibaldi

!



90

Di miglior vespro deste alle squille Sorgon le fiere Calabre ville :

Ardono

Non Non

d'un foco solo è vulcano che scuota il suolo, è valanga che d'alto sfaldi... tutti

:



E' Garibaldi

!



Nutrita a lungo, nell'ore estreme

De' rei signori cadrà la speme! Le occulte insidie la luce ha dome. Non v'è che un uomo, non v'è che un nome

Che

la

gran piaga d'Italia



saldi...

E' Garibaldi

!





91



LA GARIBA L DINA DI

FRANCESCO DALL'ONGARO

Quest'inno fu cantato dai Garibaldini dal "60

Il

dado è

Suona

tratto

squillo

vuol col sangue, che

Segnar

terra

in

guerra.

di

sorta dall'Alpi al Faro,

L'Italia è

E

Di terra

!

l'allegro

poi.

in

più caro.

l'è

traccia de' suoi confini.

la

Al nostro posto, Garibaldini

1

Avanti

!

Urrà

L'Italia va

Fuori stranieri, fuori

Una camicia Basta

A

al

darci

di

sangue

di

qua

un'arma che non

si

;

schianti

infranti.

assassini

ferro freddo. Garibaldini

!

!

Avanti

!

Urrà

L'Italia va

!

!

Fuori stranieri, fuori di qua

Non In

dietro

campo

i

muri, non entro aperto,

!

intrisa

valore per sua divisa

Basta un anello de' ceppi Ogni arma è buona cogli

A

!

!

fossi

ai

diavoli rossi

!

:

!

Chi vuol cannoni, vada e li prenda, Come torrente che d'alto scenda,

Come valanga de' gioghi alpini, A ferro freddo, Garibaldini !

Avanti

!

Urrà

L'Italia va

!

I

Fuori stranieri, fuori

di

qua

!

— Pochi,

ma

buoni.

92

L'Italia

— affronta

Le avverse squadre, ma non

Come Che

i

della Grecia

mutar

sorte,

la

Marciam compatti, feriam

A

le conta.

trecento devoti a morte, vicini,

ferro freddo, Garibaldini

!

Avanti

!

Urrà

L'Italia va

!

!

Fuori stranieri, fuori

qua

!

Fuori stranieri, fuori di qua

!

di

Poveri e ricchi, dotti ed ignari Dinanzi al foco tutti slam pari. Pari nel giorno del gran conflitto.

Saremo pari dinanzi al dritto Siamo soldati, ma cittadini.

A

ferro freddo. Garibaldini

:

!

Avanti

!

Urrà

L'Italia va

!

!

Oggi guerrieri, doman colòni, Senza medaglie, senza galloni.

Giurammo

a Italia la nostra fede

La libertade

ci fìa

:

mercede.

Come gli antichi padri latini. A ferro freddo. Garibaldini !

-A.

vanti

!

Urrà

L'Italia va

!

!

Fuori stranieri, fuori

di

qua!

93

CAMICIA ROSSA E' la canzone più popolare nata nel 1860. La scrisse un certo Traversa, segretario comunale, e la musicò il maestro Luigi Pantaleoni. Si componeva dapprincipio di sole nove strofe; dopo il doloroso fatto di Aspromonte il poeta scrisse altre dieci strofe intitolandole « La mia camicia rossa » il popolo le cantò e le canta insieme con le precedenti come se si trattasse di una medesima canzone. Nel '60 sorsero anche la popolare canzonetta ;

:

non

Bella

Vado la

Violetta,

ecc.,

alla

piangere se mi vedrai partir. guerra per vincere o morir;

ecc.

Quando la tromba suonava airarmi. Con Garibaldi corsi a arruolarmi ;

La man mi strinse con forte scossa, E mi die questa camicia rossa.

E

dall'istante che t'indossai Le braccia d'oro ti ricamai...

Quando

a

Milazzo passai sergente,

Camicia rossa, camicia ardentePorti l'impronta di

mia

ferita,

Sei tutta lacera, tutta scucita

Per questo appunto mi Camicia rossa, camicia

Tu

sei

rara.

l'emblema dell'ardimento tuo colore mette spavento

sei

Il

;

più cara

:

:

Fra poco uniti andremo a Roma, Camicia rossa, camicia indoma.

compagna

del mio valore. contemplo mi batte il core Par che tu intenda la mia favella, Camicia rossa, camicia bella.

Fida

S'io

ti

;

— Là

94



sul Volturno, di te vestito,

Quando

sul

campo

caddi ferito,

Eri la stessa che allor vestìa,

Camicia rossa, camicia mia.

Con

te sul petto farò la

Ai prepotenti

di

guerra

questa terra,

Mentre l'Italia d'eroi si vanta. Camicia rossa, camicia amata

Quando

!

all'appello di Garibaldi,

A un di que' mille suoi prodi e Daremo insieme fuoco alla mina,

baldi

Camicia rossa garibaldina. Se dei tedeschi nei fieri scontri Vien che la morte da prode incontri, Chi sa qual sorte sarà serbata. Camicia rossa, camicia amata !

Ora

tu posi

Che

come una mesta

il giorno della sua festa coU'alma trista, commossa Ti guardo e lacrimo, camicia rossa

Ed

attende

;

io

!

Nei lidi siculi la prima volta, Giovine altero, io t'ebbi accolta; E nel nomarti la sposa mia, Seguimmo insieme la stessa via.

Oh

allor non eri, quale tu siei. L'umile veste dei giorni miei!... !

Eri

O

l'insegna disprezzata

Eri di tanta

della

riscossa,

camicia rossa

gloria

!

beata.

Che da due mondi fosti E l'Anglo e l'Unghero

scesero in

Del tuo divino folgore

al

desiata,

lampo.

campo

— Fino Di

le

Né Fu

imbelli

te si

95



fanciulle

ornarsi

piacquero, e innamorarsi,

da quei cori giammai rimossa tua immagin, camicia rossa.

la

E come un voto di casta fede, Che amor d'Italia solo concede, Nella parete d'ogni umil tetto Pendesti all'ara d'un santo affetto.

Tradita, fosti più grande

Luce ha più



e Pisa

bella con te divisa...

Oh quella guerra che t'hanno mossa T'ha sublimato, camicia rossa. !

Nella tua fiera melanconia,

Tu mi rammenti Venezia mia Nella tua

vinta

vita,

Sembri ripetere

Oh!

vieni,

Impari

Roma

il

vieni

dO

:

col

morte, o

!

Roma

sei vile

!

Poi nella fossa

Scendiamo insieme, camicia rossa

!

Camicia rossa, camìcia indoma. Sembri ripetere ((O morte, o Roma Sì. ripetiamo con voce forte, Con Garibaldi !

!>i



96

LA CADUTA DEL RE BOMBA La musa popolare salutò la caduta del Re Bomba (Gaeta, dove si era rifugiato Francesco II di Napoli, cadde il 13 febbraio 1861) con questi versi d'intonazione satirico-umoristica. Un amico abruzzese mi assicura di averli sentiti canticchiare fino a qualche anno fa dai contadini dei dintorni di Pescara.

per memoria

Italiani,

Vi vuo' dir tremenda

istoria

:

Garibaldi, a suon di tromba,

Giunse

casa del

in

Re Bomba.

Alla vista dei nizzardi Bersaglieri di Garibaldi,

Alla rea disperazione,

Che

assaliva

L'orizzonte Il

Ed

si

il

Re Borbone,

oscurò,

Re Bomba

tracollò.

Francescone Fece fare un gran cassone in

fretta

Tutto pieno

moneta

di

Per fuggir dentro Gaeta.

Dunque Che

scordati

del

trono,

a regnar

non

sei piii

buono

Va' a mangiare i maccheroni Co' tuoi figli lazzaroni.

Va' all'inferno, al purgatorio, Va' a cercare il tuo papà; Gli dirai che

gran Vittorio

il

Ci ha donata

San

Gennaro Son caduti

e

la libertà.

gran Pio nono

il

dal suo trono.

San Gennaro non risponde, Re Bomba si confonde Il L'Antonelli

dice:

Siam caduti

ohimè!

tutti

e tre.

;

97



LA RONDINELLA D'ASPROMONTE Nel 1840 il patriotta livornese Enrico Mayer scrisse, nella prigione di Castel Sant'Angelo dove era stato rinchiuso dal governo del papa, lina breve gentile poesia intitolata La Rondinella. Nel 1862, dopo d'Aspromonte, un ignoto esumò la vecchia poesia e, con la tragedia lievi modificazioni di nomi alla seconda strofa e di concetti alla settima, la rivestì o la fece rivestire di note musicali. Così foggiata La Rondinella d'Aspromonte acquistò una grande voga tra il popolo.

O

che libere l'ali fuggendo, or tornando vèr Deh se pur senti pietà de' miei mali. Vai dove andare è niegato al mio pie.

Rondinella,

Spieghi

or

me,

!

Tu

Aspromonte al Cimino, Cimino all'Amiata passar;

volar da

dèi

E

dal

Poi dell'Etruria nel dolce giardino

d'Arno posar.

margini

Sui freschi

Là dove franta più mormora l'onda, Giunta di Flora il bel seno a lam.bir, Mesto e romito vedrai sulla sponda L'abbandonato mio tetto apparir. Stanza

Oh

pace...

di

se

!

farvi

tuo

il

nido

Tu pur volessi al ritorno d'aprii, Non mai la sorte un asilo più fido Darti

E

volare t'arresti

di



ti

E

di

:

Che

Ma

gentil.

desìo.

il

riposa in l'etrusco terren

mio mia madre

Quello è

Dille

rondinella

potrìa,

Son

il

io

cielo, ti

:

mio suolo

natio,

posa sul sen.

color

di

il

messaggera Roma o morir;

giuro fean d'aver poi

la

Pur troppo Inni di Guerra.

sorte il

si

rese a noi fera.

giuro ha dovuto

fallir.

7

~

98



L'empio ministro, che serve al tiranno E della Senna il volere segnò, Provocando con l'armi a noi danno, Di sangue il suol d'Aspromonte bagnò. Sì;

ma

dall'italo

sangue ogni

stilla

Che fu versato, un torrente Quando a riscossa, imitando L'itala

E

tromba l'appello

detto questo, se al

darà Balilla,

farà.

primo barlume

vedrò alla prigione venir, Raccoglierò sulle molli tue piume L'aure d'Etruria e i materni sospir. Io

ti





99

VOLONTARIO

IL

INNO DEL 1866 un espressivo inno del magfi'o "'''•• ^ldU^ in Abruzzo, (autore il Rosinganni) ditfusosi nel resto d'Italia, e poi dimenticato. Ce lo ha mandato con gran cortesia la gentile signora Mariannina Riccardi Vicini, che lo ha trascritto dal Panaro, gazzetta di Modena, del 9 giugno E'

prof.

1806.

Son volontario Partii

Da

I

gridando

:

la

mia

viva

terra

guerra

la

;

E con un bacio quando partia M'ha benedetto la madre mia. Dal Cielo Iddio veglia su me.

Roma

Viva Venezia,

Son volontario Di guerra

al

ed

il

Re.

Ratto qual lampo

I

grido volo nel campo.

Volo nel campo



su

gli

spaldi

Sempre per vincere con Garibaldi. Dal Cielo Iddio veglia su me.

Roma

Viva Venezia,

Ardente ho l'anima,

Con

il

Garibaldi sfido

il

Re.

braccio ho forte. la

morte.

Sul mio vessillo scritto ha

Col volontario

ed

la

gloria

:

sta la vittoria.

Dal Cielo Iddio veglia su me. Viva Venezia, Roma ed il Re.

Finché l'Austriaco fuori non vada Depor non voglio questa mia spada Finché Venezia salva non sia

Non

torno a stringere

la

;

madre mia.

Dal Cielo Iddio veglia su me. Viva Venezia, Roma ed il Re.

— Son

volontario

Sento

il

!

100 Sento

cannone che

— la

Corro per vincere con

Con

l'armi in

pugno

tromba rimbomba. !

già



Garibaldi su gli spaldi.

Dal Cielo Iddio veglia su me, Viva Venezia, Roma ed il Re.

i

101

CANZONE



GUERRA DEL

1866 ANGELO BROFFERIO

DI

Castelnuovo Cakea

il 6 dicembre 1802, morpoeta genialissimo, giornalista, storico, oratore di foga e di talento. Le sue poesie dialettali ebbero una voga immensa nei natio Piemonte. Questa canzone di guerra del '66 (il poeta mori poco dopo averla scritta) fu diffusa in tutta Italia nella

to

Angelo Brofferio (nato il 25 maggio IStKi)

a

scrittore

fu

e

musica concitata del maestro Enea Brizzi.

Delle spade

fiero

il

lampo

Troni e popoli svegliò, al campo, al campo madre che chiamò.

Italiani,

È

la

Su corriamo Fra

il

battaglioni

rimbombo

L'elmo Viva

in

in

Dall'Eridano

testa,

Re

il

al

Dal sicàno

!

dei cannoni, in

man

dall'Alpi al

Tacciar!

mar!

Ticino,

tòsco suol,

al

Sorgi, o popolo latino.

Sorgi e vinci

:

Iddio lo vuol

Su corriamo Delle pugne fra

la

!

in battaglioni, ecc.

gioia

Ci precede col valor Il Baiardo di Savoia, Di Palestre il vincitor.

Su corriamo

in battaglioni, ecc.

Dagli spalti vigilati

Grideranci



Chi va là? slam soldati, Portiam guerra e libertà.



:

Dell'Italia

Su corriamo





in battaglioni,

ecc





102

Nostre son quest'alme sponde. Nostri L'aria,

i

floridi il

sentier

cielo,

i

:

campi e l'onde

Ti respingono, o stranier.

Su corriamo

Gente ausonia,

in battaglioni, ecc.

a nobil fato

L'astro tuo

fallir

Re

l'ha

Vittorio

Che giammai non Su corriamo Della gloria nel

non può, giurato,

spergiurò.

in battaglioni, ecc.

cammino

Sovra il prode italo stuol Splenderà di San Martino, Splenderà di nuovo il Sol.

Su corriamo

in battaglioni, ecc.

i

-

lOò

DI GUERRA IPPOLITO PEDERZOLLI

CANTO

IL

DI

e

Ippolito Pederzolli, bella figura di patriotta e pocia trentino, scrisse Ronchetti Montevjti, professore al (Conservatorio di Milano,

Stefano

musicò

il

canto seguente nel

Bello

IStJti.

luce

di

eolica,

Sole d'Italia, splendi Coli 'armonia

!

folgore

del

Ira di Dio discendi Vendicator dei secoli !

Balza,

guerrier,

o

sul

campo

lampo, La maledetta Gerico Fra poco crollerà. Della tua spada

Sopra

cavai

il

Ora uno Sotto Sia

il

d'Arminio è assiso

spettro

:

tallon degl'itali

quello

anciso.

spettro

Eridano

L'insanguinato

Del suo valor Dagli spezzati

Sorgan

al

favelli,

placati

avelli

martiri

i

Delle trascorse età.

Itali

all'armi

!

In

luride

Catene risospinta, Langue l'adriaca amazzone Nel suo squallor discinta. Fisso lo sguardo al Brennero, Tacciar del forte, tenzon di morte Baldo d'orgoglio indomito

Stretto

Alla

Vola d'Ausonia

il

fior.





104

echeggiano L'ora è suonata Percossi e monti e valli, :

Fra l'infuocata polvere Nitriscono i cavalli :

Rugge

lo

Dall'Alpi

Fremon I

sdegno a

italico

Spartivento,

Trieste

Trento,

e

drappi all'aura ondeggiano.

Esulta

Guerra

il

tricolor.

Di guerra orribile Risuoni ovunque il grido !

Fissi

nel Sol

!

com 'aquila,

Vòlti all'adriaco lido,

Colla virtù di Spartaco

Di Bruto collo sdegno,

Diamo ad Europa un pegno Che l'italo sa vincere. Percuotere o morir

!



105

L'ADDIO DEL GARIBALDINO canzone 11 coscritto di ne fece l'Addio del Gainnamorata. Ad ogni strofa venne aggiunta la risposta dell'innamorata. La musica è facile e melodica e vecchi garibaldini non l'hanno dimenticata. Nel

1866

il

P. P. Parzanese, ribaldino alla sua

popolo

s'impadronì

della

composta anni addietro,

e

i

Angiolino Spunta

E

sole

il

collina,

alla

tamburo già suono Deh, non piangere, o Beppina,

A

il

;

di

fin

guerra tornerò.

Beppina Tu mi di' che ti son cara; Ancor questo crederò; Ma la tua partenza amara Notte e

piangerò.

dì io

Angiolino Pria ch'io fossi innamorato

Una

Iddio

patria

Per

la

Mano

mi

die

:

son soldato, e cor consacro a te. patria



Beppina

Non

vorrei che in lontananza

me

Ti scordassi anco di Io

ti

:

giuro con costanza

Di pensare sempre a

te.

Angiolino

Dammi un Che

riccio di capelli.

mi poserà,

sul cor

E ne' campi Notte e

di

e ne' castelli

me

con

verrà.



Beppina Io son pronta;

Con amore

Ma

la

te

i

li

miei capelli

dò;

tua partenza

Notte e



la

amara

piangerò.



106



Angiolino



A

un nastro cilestrino

te

Sia memoria del mio amor Te lo annoda al corpettino Dove sai che batte il cor.





Beppina lo l'accetto con piacere

E

ti

Tu



;

*

giuro fedeltà; ritorna

vincitore,

E Beppina

tua sarà.



Angiolino in mare o in Ti avrò sempre nel pensier Tuo se muoio nella guerra, Addio,

Tuo

Con

cara

A

:

se torno cavalier. in

la stella

Mi Mi

terra

;

mezzo

al

petto

fia

dolce

fia

dolce nell'aspetto

ritornar.

vederti scolorar.



Beppina

— No,

non

darti in preda al duolo,

Che

coraggio io mi farò: Vai contento, o mio tesoro, Che a te sempre penserò.

Angiolino

Non

temer, non sarà mai Ch'io ti manchi di mia fé;

Ma

piuttosto ascolterai

Che

morii pensando a

Garibaldi

già

te.

mi chiama

E m'invita alla battaglia, Con un colpo di mitraglia Ci

fa

tutti

incoraggiar.

Dunque, addio, cara Beppina, Che il tamburo mi chiamò. Deh non piangere, carina !

A

fin

;

di

guerra tornerò.





107

A VENEZIA INNO DELL'ESERCITO NAZIONALE

GIOVANNI BIFFI

DI

Il 29 maggio 1866 nel Teatro alla Scala di Milano fu dato uno spettacolo di gala ai «contingenti» richiacome si chiamavano allora mati che stavano per partire per la guerra che doveva darci la Venezia, ed in esso fu cantato, con l'accompagnamento della Guardia Nazionale, l'Inno dell' Esercito nazionale, scritto da Giovanni Bi.ti e musicato dal maestro Rovere. Il Biffi fu un giornalista singolarmente battagliero,





i

ai suoi tempi. La sua figura quadro Una visita al campo, che rino, sede del Municipio di Milano.

notissimo

fu ritratta dal pittore

nel

si

trova

visibile

nel

— — — — Risorgi, esulta — martire cara, Alla Fanfara — del Bersaglier. All'armi all'armi — invano scampo — distese campo; L'austriaco sue bandiere, A cento spiegansi — odiate schiere A mille irrompono — Contro stranie — barbare — o Granatier. Spiana Al cozzo ardito — de' nostri Piegan fiaccate — l'austre sbandati, Pel vinto campo — fuga — duci e Volgono tromba!... Su: della carica — suoni Sovr'essi piomba — Cavalle gger. Dalle agguerrite — temute rocche, Ora suonanti — per mille bocche, Pender fur viste — vittime Sian quelle ròcche — percosse, infrante. carnefici — abbiano tomba bomba — o Cannonier. Scaglia

Viva San Marco lungo -il bel lido Desti Venezia l'antico grido. L'onda del Mincio dell'Adria l'onda Guerra risuoni guerra risponda !

:

a

I

sire

il

le

le

;

file



fucile

il

forti

coorti,

rotti,

in

soldati.

la

sante....

Ivi

i

;

la

De

Alhertis,

Palazzo Ma-

— Ancor sull'ultimo Sventola

il

giallo

Tolto per sempre

108



— baluardo — nero stendardo. lor

-

L'infausto segno -

disperso sia di

tirannia....

— su quello spalto — o Bersaglier. — suoni squillo Or — caro tricolore Della più fulgida — gloria recinto, Dovunque splende — dovunque ha Della laguna — libero varco Entra San Marco — o Re Guerriero. Viva l'Italia! Vola all'assalto di

vittoria

lo

:

vessillo,

Il

vinto.

è

in

il

:_

109

INNO DELL'ESERCITO ITALIANO

AROMA Qualche tempo prima che quest'inno, concetti generosi. fu

diffuso

di

Le armi impugna, Intuona

Non

truppe

le

autore

ignoto.

marciassero su

versi

sono zoppicanti

terra,

itala

allegra l'inno

più timore

italiane I

guerra!

di

Scuotiam

!

la

soma

Roma.

Dell'esecrato prete di

Al Re sabaudo giuriam la Viva Vittorio d'Italia re!

Le armi impugna, stirpe italiana, Vendica prodi morti a Mentana i

Via d'oltremente E' Roma nostra All'armi,

noi

di

italiani.

all'armi! Voliamo al

campo!

Ai mercenari nessuno scampo

Ogni Al

A

italiano

grido

pugni

unanime

da di

:

!

forte

«Roma

o morte

quella perfida razza di cani,

Che ben

A

si

nomano

Antiboiani,

ferro freddo passiamo

Gridando unanimi (


di

Legnano

dello



14:

INDICE Pag.

Prefazioni. L'Inno dell'Albero della libertà « Partirò, partirò... », canto popolare «Bella Italia, amate sponde...» di Vincenzo Monti «Sorgi! Che tardi ancora?» di Gabriele Rossetti All'Armi! .All'Armi! di Giovanni Berchet Unità e Libertà, Inno di Gabriele Rossetti .All'Armi! di Gabriele Rossetti Fuori il Barbaro! canzone popolare di guerra di A^rstino Raffini Fratelli, Sorgete! coro di Giuseppe Giusti Viva il Re! di (jiovanni Prati « Chi per la Patria muor vissuto è assai » Inno di Pio IX di Filippo Meucci A Pio IX, coro popolare Inno Nazionale di Leopoldo Cempini Inno alla Guardia Civica di Firenze Odi o Sire poesia patriottica siciliana Inno al Re di Giuseppe Bertoldi Innc a Carlo Alberto di B. Muzzone Dio e Popolo, Inno di Goffredo Mameli

....

!

Gioberti e « Fratelli

Inno

Sono Il

«

Giuseppe Bertoldi Inno di Goffredo Mameli

Garibaldi d'Italia »

di

Pater

Noster

1

3 4 5 7

9 13 1,S

17

18 19 21

23 25 27 29 30 31

33 Mi 37 .^9

all'Italia

Italiano!...,

V

canto »

dei

popolare Milanesi

41

... ...

La Donna Lombarda, stornello di Francesco Uall'Oufiaro La Bandiera Tricolore, canto popolare La Liberazione di Milano, canto popolare di G. Bertoldi L'Italia Risorta, Inno di B. De' Bandi (L. Cemptni) La Patria dell'Italiano, poesia popolare di Antonio Gazzoletti Canto di Guerra di Luigi Carrer Inno di Guerra del 1849-49 di Luigi Mercantini Canto degli Insorti di Arnaldo Fusinato Cantata di Guerra di Arnaldo Fusinato Canto di Guerra Il Risorgimento di Alessandro Poerio Addio, mia bella, addio! canto popolare di Carlo Bost Inno Militare di Goffredo iMameli L'ultima ora di Venezia di Arnaldo Fusinato La carabina del bersagliere, canto di Domenico Carbone

.... .

.

.... ...

43 45 46 47 48

49 Sf Oii •^'

57 59 61

63 65 67 69



142

— Pag.

barchette del "49 di Antonio Pavan Stornello garibaldino di Antonio Pavan Mazzini, stornello di F. Dall'Ongaro la bella Gigogin canzonetta popolare milanese Inno di Garibaldi di Luigi Mercantini Canto di soldati sul campo di Teobaldo Cicconi

71 71

II

12 73 75 78 79

!

La Rosa di Novara Canto Marziale dei 1

Francesco Coppi

soldati

di

Giuseppe

81

Pieri

Alpi di Luigi Mercantini Popolari del 1859

cacciatori

Stornelli

di

83 85 88

delle

Garibaldi di Francesco Dall'Ongaro La Garibaldina di Francesco Dall'Ongaro

91

Camicia Rossa

La caduta del Re Bomba La Rondinella d'Aspromonte n Volontario, Inno del 1866 Canzone di Guerra del 1866

93 96 97

99 di

Angelo Brofferio

canto di guerra di Ippolito Pederzolli L'addio del garibaldino A Venezia, Inno dell'esercito nazionale di Inno dell'esercito italiano a Roma

101

11

Giovanni

Biffi

.

.

di Oberdan «Col capestro d'Oberdan»

L'Inno Inno Inno

all'Italia,

Inni

Istriani

Ili

parole e musica di Quirico Filopanti

Giusto «Lasse pur...» canzonetta popolare triestina Marameo! canzonetta goriziana Inno di Trento di Antonio Stefenelli

El

si,

di

S.

canzonetta popolare zaratina

103 105 107 109

^

»La Lega Nazionale, Inno popolare delle Terre Irredente Il nuovo Inno delle Lega, parole di Riccardo Pitten Trento e Trieste, inno-marcia di Umberto Debiasi Santi ricordi, canzone popolare triestina Sangue latino, canzonetta popolare triestina Trieste all'Italia, canzone triestina Il canto dell'ultimo riscatto di Giovanni Berta.:chi

.

.

.

.... ....

112 113 113 115 117 119 120 123 125 127 129 131

133 135 137

Casa

Risorgimento

Editrice

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mezzi migliori per esercitarsi è

leggere e leggere se

vuol

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leggere opere dilettevoli,

riuscire

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modo che

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rapidamente, senza bisogno

tica.

E nessuna antologia può sostituire opere organiche,

tezza

im'interessante

della

Biblioteca

messi

opera



lui

Molière

1^'

del



De Maistre duzione,



Amour médecin

vocabolario

voc.

del

.^

3

in

la

Cité

«ii

O.



d'Aoste Lucat

V

-

tedesco.

.

A.

Note

e

W.

Ci.



Commedia

vocab. del dott.

4'i

»

0.40

»

0.40

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«

2.

e

in

un

e

fnur l.an-

....

Testo

atto.

Gherius lingua.

tela

INDICE

L.

intro-

- Note

journey.

tlieir

- Come s'impara una

DOTTOR Gherius

Note

con



KOTZEBL'E

Note

atti.

atti.

Marietie or Tìie Miller's Cousin The Note e vocab. del prof. E. Moreni

giiages.

piena

Commedia

prof.

DlCKE.NS -- Tlie PickuicI: (Uub voeab. del prof. H. Moreni

Kraigie

in

.

Gherius

Dott.

Le Lépreux de

note e

ragione d'essere

la

volumetti elegantissimi,

Commedia

vocabolario del Dott. Gherius •

di

let-

la

comple-

un prezzo incredibilmente mite.

Molière -- Le médecin malgré e

Ecco

letteraria.

e

gramma-

di

una certa

in

;

possa scor-

si

questo scopo

a

presentino

leggere,

vocaboli

i

vocabolario ne

di

composta

Poliglotta,

\endita a

in

che

Bsogna

imparare

a

:

'TZ

™,J':;:i: lettura.

la

rerie

tura di

Milano

-

--

Lcgat(j

in



La Scienza e Dulcamara 2. La lingua materna -4. e le lingue straniere 3. Col Professore o senza? metodi vecchi. — 5. I metodi nuovi ti. La dimora in paese straniero e il metodo Berlitz 7. Un metodo naturale S. Lo scopo dello studio



:

1.



9.

Il

Come dobbiamo 12. Come si sa

I





metodo induttivo



nello

imparare vocaboli - 1,^. una lingua

Prof. Venanzio Todesco ma grammatica della

i

-



studio 11.

La

V'oluntas

lettura -14.

Grammatica catalana. lingua

catalana

lingue

delle

pubblicata

E' in

la

dei

li).

testi

-

Conclusioni.

pr:

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redenzione]

alla

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Milano

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E' la sola e compieta scritt e gloriosa città che si riunisce definitivament alla Patria Italiana. Dettata in stile semplice e chiaro, accessibil alle persone anche di media cultura, questa Storia narra le vi cende ora tristi ora liets di Trieste, dalle lontane origini romane al giorno della liberazione, quando il rombo del cannone dal Cars e dall'Adriatico le ha portato la voce della Patria redentrice. Ogr Italiano che ha approvato la grande guerra dell'Italia dovrebh leggere la Storia dì Triesttf di J. Cavalli per conoscere meglio valore ideale e materiale dell'insigne città nostra. Elegante vo lume con copertina a colori 2. L.

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Trentino, nel

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