5 feb 2010 ... riferimento diretto al sacerdote esorcista, che, peraltro, non è tenuto ad avere una
spiritualità ... 19) l'ultimo posto, quello del servo inutile2.
Convegno regionale degli esorcisti Bagheria, 5 febbraio 2010
La santità del presbitero esorcista 1. Lectio (At 20, 17-38) “17Da Mileto mandò a chiamare a Èfeso gli anziani della Chiesa. 18Quando essi giunsero presso di lui, disse loro: «Voi sapete come mi sono comportato con voi per tutto questo tempo, fin dal primo giorno in cui arrivai in Asia: 19ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e le prove che mi hanno procurato le insidie dei Giudei; 20non mi sono mai tirato indietro da ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi, in pubblico e nelle case, 21testimoniando a Giudei e Greci la conversione a Dio e la fede nel Signore nostro Gesù. 22Ed ecco, dunque, costretto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme, senza sapere ciò che là mi accadrà. 23So soltanto che lo Spirito Santo, di città in città, mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni. 24Non ritengo in nessun modo preziosa la mia vita, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di dare testimonianza al vangelo della grazia di Dio. 25E ora, ecco, io so che non vedrete più il mio volto, voi tutti tra i quali sono passato annunciando il Regno. 26Per questo attesto solennemente oggi, davanti a voi, che io sono innocente del sangue di tutti, 27perché non mi sono sottratto al dovere di annunciarvi tutta la volontà di Dio. 28Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti come custodi per essere pastori della Chiesa di Dio, che si è acquistata con il sangue del proprio Figlio. 29Io so che dopo la mia partenza verranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge; 30perfino in mezzo a voi sorgeranno alcuni a parlare di cose perverse, per attirare i discepoli dietro di sé. 31Per questo vigilate, ricordando che per tre anni, notte e giorno, io non ho cessato, tra le lacrime, di ammonire ciascuno di voi. 32E ora vi affido a Dio e alla parola della sua grazia, che ha la potenza di edificare e di concedere l'eredità fra tutti quelli che da lui sono santificati. 33Non ho desiderato né argento né oro né il vestito di nessuno. 34Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani. 35In tutte le maniere vi ho mostrato che i deboli si devono soccorrere lavorando così, ricordando le parole del Signore Gesù, che disse: ‘Si è più beati nel dare che nel ricevere!’». 36Dopo aver detto questo, si inginocchiò con tutti loro e pregò. 37Tutti scoppiarono in pianto e, gettandosi al collo di Paolo, lo baciavano, 38addolorati soprattutto perché aveva detto che non avrebbero più rivisto il suo volto. E lo accompagnarono fino alla nave.”
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2. Il richiamo della Parola Ho preferito affrontare il tema che mi è stato affidato, collocando al centro della mia riflessione e della vostra attenzione la Parola di Dio, preferendola a considerazioni e insegnamenti di carattere teologico-spirituale, magari presi a prestito qua e là e rielaborati in modo più o meno originale. E nella ricerca di un testo che potesse offrirci elementi forti di ascolto e di revisione di vita sono stato affascinato dal discorso di commiato che Paolo rivolse agli anziani della Chiesa di Efeso, convocati a Mileto. È una pagina nella quale Luca mostra tutta la sua abilità di scrittore; ma soprattutto è una confessione nella quale l’Apostolo svela pensieri e sentimenti profondi, facendoci conoscere i tratti più veri e profondi della sua coscienza e spiritualità ministeriale. Indirettamente egli, perciò, delinea il profilo genuino del discepolo, chiamato alla sequela nel ministero apostolico. È chiaro che quanto le parole di Paolo ci suggeriranno non hanno un riferimento diretto al sacerdote esorcista, che, peraltro, non è tenuto ad avere una spiritualità specifica; tuttavia, proprio per la specifica potestà affidata all’esorcista, chiamato a sottomettere il demonio al potere di Dio, la santità richiesta a tale ministro deve essere certamente superiore a quella di chi esercita un ministero diciamo così - normale. Infatti, come leggiamo in uno scritto di san Cipriano, “Grazie allo Spirito ci è concesso di minacciare e umiliare gli spiriti immondi che si sono nascosti negli uomini per vincerli e di costringerli a confessare; incalzarli con duri colpi, perché si ritirino, abbattere quelli che resistono, che gridano, che gemono, accrescendo la loro pena che perdura; colpirli con le sferze, bruciarli con il fuoco. […] Così lo Spirito, che abbiamo ricevuto, opera con piena potenza, nella condizione di vita nella quale iniziamo a essere”1. Il mio intervento, perciò, seguirà fedelmente il metodo della lectio, proponendo qua e là dei riferimenti al vostro ministero, tenendo anche presente il Rito degli esorcismi. E, a mo’ di introduzione alla lectio del libro degli Atti, richiamo quanto contenuto nelle Premesse generali al Rito degli esorcismi a proposito dei sacerdoti ai quali il vescovo concede “con speciale ed espressa licenza” la facoltà di fare esorcismi. Essi devono essere “di provata pietà, scienza, prudenza e integrità di vita, specificamente preparati a tale ufficio” (n. 13). Ci potrà essere guida e modello San Paolo in quello che, secondo gli esegeti, è il suo testamento spirituale. 3. Meditatio Paolo, nel suo terzo viaggio, sta per tornare a Gerusalemme e ha fretta di giungere alla meta perché vuole trovarsi nella Città santa per la festa della Pentecoste (v. 16). Per tale ragione evita di passare per Efeso, ma non resiste all’impulso del cuore e decide di incontrare comunque gli anziani, facendoli venire a Mileto. Con loro egli rilegge la sua vita per fare un bilancio non falsato da autogiustificazioni, con riguardo alla sua missione apostolica e al suo rapporto con le Chiese. Egli si richiama, anzitutto, a una coerenza di vita e di comportamento, dall’inizio del suo ministero fino a quel giorno. In particolare, Paolo afferma di avere orientato la sua vita come servizio al Signore, rivendicando per sé “con tutta CIPRIANO, Ad Donatum, 5, in AA.VV., Cipriano vescovo di Cartagine, Opuscoli/1, Città Nuova Editrice, Roma 2009, p. 27. 1
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umiltà” (v. 19) l’ultimo posto, quello del servo inutile2. Tale servizio non è stato esente da tribolazioni; è stato causa di lacrime e, nello stesso tempo, gli ha fatto sperimentare l’ostilità dei Giudei, che hanno ostacolato con ogni mezzo la predicazione del Vangelo ai pagani. Tutto questo, però, Paolo non lo considera quasi un immeritato accanimento da parte di Dio e degli uomini, quanto piuttosto il normale accompagnamento di un ministero caricato della croce, appannaggio quotidiano del discepolo3. La croce (lacrime, prove, insidie) non frena, né limita l’agire di Paolo, ma lo sostiene nella ricerca di quanto poteva ritenere utile all’evangelizzazione, tenuto in considerazione il contesto ambientale e personale nel quale la sua opera si sviluppava. Lo scopo dichiarato della sua vita, infatti, era quello di predicare e di istruire in privato e in pubblico, senza badare a inutili cautele. Egli si considerava ed era un testimone e non poteva lasciarsi sopraffare da timore e prudenza. A tutti, Giudei e Greci, doveva essere nota la sua conversione e la sua fede, in modo che ciascuno potesse trovare nella sua vita la conferma della sua predicazione (vv. 2021). Guardando avanti, l’Apostolo ha buone ragioni per attendersi giorni non di gaudio e ammette di muoversi verso scenari alquanto incerti. Di una certezza sola egli può disporre: i suoi passi sono guidati dallo Spirito, che non gli lascia libertà di scelta. Andrà a Gerusalemme, sicuro che lo attendono “catene e tribolazioni”, come lo stesso Spirito non manca di confermargli, passando di città in città (vv. 22-23). Con l’ardimento di chi è si è votato una volta per tutte a una causa, che è diventata ragione del suo vivere quotidiano, Paolo non si aggrappa alla vita, tentando di non farsela sfuggire di mano, ma con chiara consapevolezza e lucidità mette la sua esistenza nelle mani di Dio, interessato solo a finire la corsa, iniziata sulla via di Damasco, per dare compimento al servizio che da quel momento gli fu affidato: “dare testimonianza al vangelo della grazia di Dio” (v. 24). La revisione di vita è stata fatta in modo autentico ma con essenzialità, senza illusorie forzature e sotto la forza e la luce della verità. Adesso l’Apostolo può esprimere tutta la passione e lo zelo pastorale per la Chiesa di Efeso, attraverso alcune consegne che egli affida agli anziani, non senza aver toccato prime le corde di un affetto che non ha nulla di sentimentale e che manifesta la chiara percezione che quello era l’ultimo incontro su questa terra, per lui che affermava una paternità4 nei riguardi degli efesini, ai quali aveva annunciato il Regno (v. 25). La prima cosa che a Paolo preme chiarire è che a lui non può essere imputata la dannazione di alcuno in quanto egli non si è mai risparmiato rispetto al suo dovere di evangelizzare tutti, manifestando la volontà di salvezza di Dio estesa a tutti gli uomini. Pertanto, chi non è stato raggiunto dal messaggio salvifico deve incolpare solo se stesso (vv. 26-27). Quanto ai capi delle comunità, Paolo ne delinea efficacemente il compito: vigilare e custodire, non solo le altre membra del corpo di Cristo, che è la Chiesa, che egli ha fatto sua a prezzo del suo sangue, ma anche vigilare e custodire se stessi Cfr Lc 17,10. "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23). 4 “Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo” (1Cor 4,15). 2 3
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per non venir meno al proprio ufficio di pastori del gregge (v. 28). Nelle parole dell’Apostolo c’è la motivazione di questo richiamo, non eccessivo né esagerato: sono in agguato “lupi rapaci”5, anche tra i pastori, pronti a dilaniare il corpo di Cristo attraverso false dottrine che cercheranno di sviare i discepoli dalla via del bene. Paolo è molto afflitto da questa previsione, consapevole che la sua presenza, fino a quel momento, ha evitato quel rischio mortale. Nello stesso tempo, indica quale sono i rimedi efficaci: vigilanza e incessante ammonizione, con una perseveranza instancabile fino alle lacrime (vv. 29-31). In questo contesto di un futuro incerto della vita ecclesiale, l’Apostolo si rasserena solo affidando a Dio e alla “parola della sua grazia” la comunità di Efeso e i suoi anziani. È questa l’unica forza che riesce a edificare, nonostante la pesante opera demolitrice del diavolo, nemico dell’unità e della comunione (v. 32). Avviandosi verso la conclusione del suo appassionato discorso di commiato, Paolo torna a parlare di sé e del taglio operoso e disinteressato dato al suo ministero. Si è comportato da uomo libero, che non ha bramosie di alcun genere e che, perciò, è un uomo libero. Nella sua scelta di libertà e di povertà, egli ha voluto provvedere a sé e ai suoi con il lavoro delle sue mani, per non aver altro debito che l’amore del prossimo6 e per non apporre vincoli alla forza dirompente del Vangelo. Peraltro, questo stile di vita e questa scelta operosa sono il modo più idoneo e rispettoso di soccorrere i deboli e i poveri. La conclusione è affidata da Paolo a un detto di Gesù (“Si è più beati nel dare che nel ricevere!" - v. 35) che non è riportato nei quattro vangeli, ma che riecheggia il discorso della montagna, come bene evidenzia la nuova traduzione italiana. Gli ultimi versetti della pericope descrivono, con afflato e partecipazione, la conclusione di quel breve soggiorno a Mileto e descrivono il saluto commosso dato a Paolo dagli anziani della Chiesa di Efeso, reso ancora più struggente dalla consapevolezza che si trattava, quasi certamente, di un addio. La separazione costa ed è accompagnata da tanta sofferenza, ma anche da tanta tenerezza e da tanto calore affettuoso. In un evento ecclesiale come quello, tuttavia, non si dà prevalenza al sentimento, ma si cerca di capire il tutto nella preghiera. E proprio pregando ciascuno raccomanda gli altri a Dio, invocandone l’aiuto, in previsione delle prove alle quali tutti erano sicuri di andare incontro e che accettavano ciascuno con le modalità che, in quel momento, a Dio solo erano note. 4. Contemplatio Sono tanti gli spunti che ci offre il racconto del libro degli Atti e tutti possono essere ricondotti al tema della santità del presbitero, con le particolari intonazioni che si possono dare al peculiare ministero del presbitero esorcista, esposto più degli altri confratelli al confronto e alla scontro con il Maligno. Il primo elemento riguarda il rapporto con la propria Chiesa, elemento Il testo sembra riecheggiare il cap. 22 del libro del profeta Ezechiele nel quale i príncipi di Gerusalemme sono paragonati a un leone ruggente che divora la gente (v. 25) e i capi sono “come lupi che dilaniano la preda, versano il sangue, fanno perire la gente per turpi guadagni” (v. 27). Per noi è molto evocativo un testo neotestamentario che paragona il diavolo a un nemico, che come “leone ruggente va in giro cercando chi divorare” (1Pt 5,8). 6 “Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell'amore vicendevole; perché chi ama l'altro ha adempiuto la Legge” (Rm 13,8). 5
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fondante e fondamentale della propria identità e della propria missione. Un presbitero che non viva nel presbiterio il vincolo di comunione con il vescovo, con i confratelli e con i fedeli è un presbitero solo, fragile e incline all’aridità spirituale e, dunque, a rischio quanto alla fecondità ed efficacia della propria azione pastorale. Diciamoci anche con schiettezza che questo vincolo, sacramentale e teologale, non può essere sostituito da alcun altro rapporto e legame di appartenenza o di riferimento. Non mi riferisco, ovviamente, all’incorporazione in un istituto di vita consacrata, quanto piuttosto all’adesione a movimenti o gruppi nei quali, sovente, si sente dire che qualcuno ha ritrovato la ragion d’essere del proprio presbiterato. Questa annotazione non significa che queste nuove realtà non abbiano diritto di cittadinanza, o che sia trascurabile l’apporto che possono dare alla vita di quanti vi si sentono attratti, ma che devono essere considerati nella giusta dimensione, senza caricarli di senso improprio. Strettamente collegato con questo primo dato è quello che si riferisce al modo di essere del presbitero all’interno della comunità. Paolo si considera parte integrante della Chiesa di Efeso e vive un rapporto di sincera condivisione con gli anziani; non ha la pretesa di essere al di sopra e di guardare gli altri con autosufficienza. Con loro egli rilegge la sua vita, sotto la luce della verità, senza avere alcuna remora quasi a confessarsi pubblicamente davanti a loro e sottoponendo al loro giudizio la sua vita e il suo ministero. Non avendo mai avuto nulla da nascondere, non ha da temere alcunché. Indubbiamente ci vuole un bel coraggio a mettersi di fronte agli altri senza alcun atteggiamento di autotutela; questo è possibile se lo stile di vita è stato sempre trasparente, senza sotterfugi, senza furbizie, senza calcoli. Al momento della verità, infatti, (e questo momento arriva, prima o poi) non sarà possibile mettere in atto espedienti idonei a coprire le miserabilità messe in opera per dare libero sfogo alla propria pochezza di spirito. Paolo nella sua vita e nel suo ministero ha sempre volato alto e, nell’atto di congedarsi dai suoi, può rivendicare, come abbiamo visto, una evidente coerenza di vita e di comportamento. Il presbitero non può guardare altri esempi, se non questo, orientando anch’egli la propria vita secondo il modello del servo inutile, che può vantarsi di essere tale non per falsa modestia, ma perché ha fatto fino in fondo e senza risparmio tutto quanto gli era richiesto. Diciamocelo francamente: non è, poi, così spontaneo proclamarsi servi inutili, sia perché è difficile convincersene, sia perché, dopo aver fatto tutto e con dei buoni risultati sotto mano, non viene proprio voglia di dire: non servo a nulla! Ritengo che, nella lotta quotidiana, più o meno dura, che sostenete con il diavolo questo sia un tratto molto importante da mettere in grande evidenza: guai se un esorcista pensa che sia lui il protagonista del buon esito del suo ministero, nelle situazioni più semplici e risolvibili e in quelle più dure e resistenti alla liberazione. Un tale atteggiamento sarebbe quanto di più pernicioso si possa pensare perché è l’anticamera della sconfitta, in quanto – lo sapete bene – solo la potenza di Dio può sottomettere l’invadenza di Satana. Un esorcista che si illuda di poter disporre del diavolo a suo piacimento, ne diventerà prestissimo vittima egli stesso, oltre a non essere di alcun giovamento a chi ne attende l’umile ministero. Quando ci affacciamo al ministero, all’inizio della nostra vita presbiterale, di solito siamo avvolti da un’atmosfera di entusiasmo e dalla percezione che ci attendono opere grandi; somigliamo un po’ ai settantadue discepoli, che, tornando
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pieni di gioia dalla loro prima missione, euforici dicevano: "Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome". E Gesù, smorzando la loro esaltazione, li invitava a considerare le cose con la giusta misura: "Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli"(Lc 10,17-20). Accanto all’esigenza inderogabile di non perdere il senso delle proporzioni, è altrettanto importante mettere in conto nel ministero le tribolazioni, le sconfitte, la croce, tenendo presente che la parola di Gesù: "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23) vale per tutti, anche per i presbiteri. Sapete bene, infatti, quale croce sia il combattimento, a volte estenuante, contro le potenze del male e quale perseveranza non si esiga in taluni casi prima di venirne a capo felicemente con la grazia di Dio. Occorre la sapienza dall’alto per imparare a leggere la propria vita e gli eventi che ci circondano alla luce della croce, senza rimanerne scandalizzati o schiacciati sotto il tormento dello scandalo, o sotto l’affanno dell’incredulità. Sono di grande utilità spirituale le parole, dure come pietre, di Paolo: “noi […] annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Cor 1,23-25). Se la croce è una certezza nella vita del discepolo, la vita che sta davanti a ognuno è segnata da imprevedibilità ed esitazione, sensazioni che possono turbare notevolmente l’esistenza. Per vincere tali stati d’animo occorre ancorarsi a punti d’appoggio forti e sicuri e Paolo ci si mostra ancora maestro di vita perché è sorretto dalla convinzione incrollabile che la nostra vita è guidata dallo Spirito ed è interamente nelle mani di Dio. Sentiamo il Maestro: “Dico a voi, amici miei: non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo e dopo questo non possono fare più nulla. Vi mostrerò invece di chi dovete aver paura: temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geènna. Sì, ve lo dico, temete costui. Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate paura: valete più di molti passeri!” (Lc 12,4-7). Non mi sembra una forzatura applicare questo tratto alla lotta contro il demonio, che può generare paura in qualche circostanza. Non si può avere paura, se si combatte non da soli ma con la potenza dello Spirito del Risorto. Segnare la propria vita con la potenza-debolezza della croce significa scegliere la strada della libertà, abbandonando per sempre il giogo della schiavitù. Infatti, “Cristo ci ha liberati per la libertà!” (Gal 5, 1), per camminare secondo lo Spirito e i frutti dello Spirito sono: “amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22). Questa libertà, tuttavia, non è un concetto astratto, ma è libertà del cuore, espressa e significata dal celibato e dall’obbedienza, ed è libertà dalle cose, significata dalla povertà e dal distacco dai beni materiali. Guai se il nostro ministero diventa una prestazione d’opera che pretende una retribuzione; mai potrà conoscere e gustare la “libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8,21).
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Ci sono ancora due passaggi delle parole di Paolo che riportano il discorso sulla comunità e precisamente sulla relazione che con essa deve avere il presbitero. Il primo riguarda gli atteggiamenti che devono caratterizzare il ministero della presidenza. Per Paolo il pastore è chiamato a vigilare sulla comunità e a custodirla, senza porsi al di fuori o al di sopra della stessa. Si tratta di una connotazione profetica del ministero, non nel senso della profezia intesa come annuncio, ma piuttosto di quella particolare connotazione di attenzione e cura verso coloro che sono affidati alla sua responsabilità pastorale, alla luce dell’insegnamento dei profeti, di Ezechiele in particolare, ma non solo7. Vigilare e custodire per voi significa soprattutto tenere gli occhi ben aperti per non vedere diavoli dappertutto, ma nello stesso tempo per non liquidare a cuor leggero ogni avvisaglia o segnalazione. Occorre, in altri termini, operare un sapiente discernimento per non lasciarsi abbindolare dall’astuzia del Maligno, che gode certamente nello sviare chi lo deve combattere e vincere. Una volta, poi, rasserenata o liberata la persona che è stata provata da Satana, occorre mantenerla sotto discreta custodia perché non abbia a incappare nuovamente sotto il suo dominio, ricordando la parola del Signore: “Quando lo spirito impuro esce dall'uomo, si aggira per luoghi deserti cercando sollievo e, non trovandone, dice: «Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito». Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende altri sette spiriti peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora. E l'ultima condizione di quell'uomo diventa peggiore della prima" (Lc 11,24-26)8. Ma nelle parole di Paolo c’è anche l’invito forte e imperativo affinché gli anziani vigilino sulla propria vita, sulla propria persona e sul proprio ministero, perché chi non sa custodire se stesso con una assidua vigilanza, difficilmente saprà custodire coloro che gli sono affidati. L’ultima considerazione riguarda le sicurezze, che una comunità deve acquisire, insieme al suo pastore; la protezione in forza della quale può sentirsi serena e tranquilla. Paolo offrì solidità e forza agli anziani e alla comunità di Efeso affidandoli “a Dio e alla parola della sua grazia” (At 20,32), rileggendo in prospettiva ecclesiologica la parola del Salmo 62: “Solo in Dio riposa l'anima mia: da lui la mia salvezza. […] da lui la mia speranza” (vv. 2.6). Commentando questo passo degli Atti, Enzo Bianchi osserva: “[…] qui Paolo affida i ministri alla Parola. Prima che la Parola sia loro affidata, sono essi stessi affidati alla Parola, prima di essere portatori della Parola, essi stessi sono portati dalla Parola di Dio! […] Essere affidati alla Parola non è un augurio, ma un impegno di assiduità con la Parola, un’assiduità fatta di ascolto della Parola nella lettura delle Scritture che la “Al termine di quei sette giorni mi fu rivolta questa parola del Signore: «Figlio dell'uomo, ti ho posto come sentinella per la casa d'Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia. Se io dico al malvagio: ‘Tu morirai!’, e tu non lo avverti e non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta perversa e viva, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te. Ma se tu avverti il malvagio ed egli non si converte dalla sua malvagità e dalla sua perversa condotta, egli morirà per la sua iniquità, ma tu ti sarai salvato. Così, se il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette il male, io porrò un inciampo davanti a lui ed egli morirà. Se tu non l'avrai avvertito, morirà per il suo peccato e le opere giuste da lui compiute non saranno più ricordate, ma della morte di lui domanderò conto a te. Se tu invece avrai avvertito il giusto di non peccare ed egli non peccherà, egli vivrà, perché è stato avvertito e tu ti sarai salvato»" (Ez 3,16-21). Cfr anche Ez 33,7-9; Ab 2,1; Zc 9,8; Is 21,6-10. 8 Cfr anche Mt 12,43-45. 7
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contengono, fatta di meditazione e di esperienza quotidiana vissuta, fatta di preghiera che permette al predicatore di assumere e far proprio il pensiero di Cristo”9. Questo affidamento trova il suo naturale compimento e perfezionamento nella preghiera per coloro ai quali è rivolta la cura pastorale del presbitero, soprattutto se egli è persuaso che “Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori. Se il Signore non vigila sulla città, invano veglia la sentinella” (Salmo 127, 1). 5. Conclusione Lo schema della lectio prevede anche l’actio, che mi sembra opportuno scaturisca dalla riflessione personale di ciascuno, sulla base della verifica esperienziale e spirituale dello specifico ministero svolto, o in fase di svolgimento. Come conclusione di questa riflessione desidero leggervi, da un’altra opera di san Cipriano, un passaggio incisivo ed evocativo: “Se tu volessi vederli e ascoltarli, quando li esorcizziamo, quando li tormentiamo con sferze spirituali e li cacciamo via dai corpi dei posseduti con le torture delle parole, quando urlando e gemendo sperimentano mediante una voce umana le sferzate e i colpi inflitti dall’autorità divina e confessano che giungerà presto il giudizio futuro! […] Vedrai che pregano noi, quelli che tu preghi, che temono noi, quelli che tu adori: vedrai che sono in mano nostra incatenati e che tremano come nostri prigionieri quelli che tu ammiri e veneri come tuoi padroni”10. Se queste sono le forze in campo, si comprende la necessità di prepararsi adeguatamente alla lotta con la preghiera che il Rito degli esorcismi suggerisce: “Signore Gesù Cristo, Verbo di Dio Padre e Signore dell’universo, tu hai dato agli Apostoli il potere di scacciare i demoni nel tuo nome e di vincere ogni assalto del nemico; Dio santo, fra tutte le meraviglie che hai operato hai dato anche il comando di mettere in fuga i demoni; Dio forte, che nella tua potenza invincibile hai abbattuto Satana come folgore dal cielo: con timore e tremore ti supplico di infondere in me la tua forza perché, saldo nella fede, possa combattere lo spirito maligno [che tormenta questa tua creatura], tu che verrai a giudicare i vivi e i morti e il mondo con il fuoco. Amen.” Domenico Mogavero Vescovo di Mazara del Vallo 9 E. BIANCHI, 10
Ai presbiteri, Edizioni Qiqajon 2004, pp. 27-29. CIPRIANO, Ad Demetrianum, 15, in AA.VV., Cipriano vescovo di Cartagine, Opuscoli/2, Città Nuova Editrice, Roma 2009, p. 219.
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