7 ott 2013 ... Quando guardiamo la figura e la vita della Madre Speranza, ... In Madre
Speranza è stata la sua particolare esperienza dell'amore di Dio a ...
LA SANTITÀ DI MADRE SPERANZA: ESPERIENZA E TRASPARENZA DELL’AMORE MISERICORDIOSO DI DIO
“Siate santi come io Il Signore, Dio vostro, sono Santo”(Lv 19,2) «Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5, 48) “Siate misericordiosi com’è misericordioso il Padre vostro del cielo”(Lc 6,36) Il gioioso suono delle campane del Santuario di Collevalenza la mattina del 5 luglio 2013, quando abbiamo avuto la conferma che Papa Francesco aveva autorizzato la firma del Decreto per il riconoscimento del miracolo ottenuto per intercessione di Madre Speranza, esprimeva l’alleluia di tutta la famiglia dell’Amore misericordioso, e di tantissime persone a noi vicine, per questo riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa dell’esemplare santità della Madre. Ma mentre ringraziavamo il Signore per questo dono tanto atteso, fin da subito emergeva in noi la domanda interiore sul significato di tutto questo per la nostra vita e per la vita della Chiesa. Quando guardiamo la figura e la vita della Madre Speranza, ci rendiamo conto che, come ogni vero discepolo del Signore, non ha fatto altro che accogliere l’Amore che le si è rivelato, le ha toccato il cuore, le ha parlato e l’ha scelta per una missione. In Madre Speranza è stata la sua particolare esperienza dell’amore di Dio a rendere la sua vita luminosa e santa. Vorrei, qui, esporre brevemente alcune linee essenziali, nelle quali mi sembra di scorgere i tratti della sua santità. 1. UN DESIDERIO MOLTO FORTE (“EL GRAN DESEO DE SER SANTA”) NELLA GIOVINEZZA Tutte le cose grandi e belle non si improvvisano. Sono convinto che quando il Signore ha un disegno particolare, la prima cosa che fa è preparare le persone e gli eventi per realizzarlo. Allora assistiamo nella vita della Madre a tutta una serie di circostanze che l’hanno preparata a realizzare quel sogno che Dio aveva su di lei. Parte fondamentale di questa “attività previa” del buon Dio nella prima fase della vita di M. Speranza è stata la maturazione progressiva di un desiderio di cui lei parlerà, molti anni più tardi a Collevalenza: “il grande desiderio di essere santa”. Sentendo la chiamata del Signore, lasciò la sua famiglia all’età di 21 anni con il fermo proposito di farsi santa. A sua madre che la invitava a ritardare il suo ingresso nel convento di Villena, rispose: «Mamma, domani è la festa di S. Teresa ed io, che aspiro a diventare una grande santa, vorrei che mi aiutasse a seguire il Signore come ha fatto lei [...]. Così con il dolore di vedere la sofferenza di mia madre, ma con il grande desiderio di diventare santa, partii da casa [...] il giorno di S. Teresa»1. È interessante notare che la grande attrazione di Sta Teresa d’Avila su Maria Josefa era collegata al fatto che Teresa “non aveva paura di nulla”. Un tratto peculiare della santità della Madre appare già da ora: è un cammino di santità supportato da un temperamento
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Exhortación, 15.10.1965, Summ., pp. 894-895, n. 296. « ... salí de la casa paterna con la gran ilusión de llegar a ser santa, de parecerme un poco a S. Teresa... que no le asustaba nada... Yo quería ser como ella y así salí de casa este día, dejando a mi madre en el lecho del dolor sin esperanza de verla más. “Hija, por qué no esperas?” -me dijo- “Madre, mañana es S. Teresa y yo quisiera llegar a ser grande santa como ella, y que me ayude a seguir al Señor como ella lo siguió”. Y mi madre que era muy buena me dijo: “Hija, el Señor te bendiga y si yo muero pide por mí”» (Exhort. 15.10.'65) 1
estremamente deciso 2. La componente del desiderio non va mai messa in secondo piano, perché mi sembra che sia una parte irrinunciabile della maturità umana, dove la grazia compie poi la sua opera. Chi non desidera ardentemente, decisamente qualcosa, è probabile che non lo raggiunga mai. È vero che non siamo superuomini, ma in questi nostri tempi di pensiero debole, di emotivismo diffuso e relativismo generalizzato, penso che ci fa molto bene guardare alla giovane Maria Josefa, fermamente decisa a diventare santa. Questo desiderio di farsi santa era così importante per lei, che era disposta a subordinarvi tutto il resto, persino la sua permanenza nella vita religiosa. Significativa, in proposito, è stata l’esperienza tra le Figlie del Calvario, quando, emessa la prima professione, si rese conto delle difficoltà che esistenti in quella comunità formata da suore molto anziane e malate, dove anche la carità lasciava molto a desiderare. Nella convinzione che questo ambiente non l'avrebbe certo aiutata a raggiungere la santità, la Madre pensò di abbandonarlo, come ella stessa disse al Vescovo di Cartagena-Murcia: «Sono venuta a santificarmi, ma vedendo che qui non mi è possibile, non mi sembra opportuno fare i voti perpetui»3. Il Vescovo la incoraggiò e, con un linguaggio simbolico, la esortò a non pensarsi come una persona ma come una scopa, sempre disposta a tutto. Madre Speranza capì la lezione e da quel momento cominciò a chiedere al Signore: «Che Lui mi conceda un intenso amore, un forte e costante desiderio di santificarmi e che, come una scopa, accetti di essere gettata qui o là, che mi trattino in un modo o nell’altro, che al pari di una scopa possa servire solo a raccogliere la spazzatura»4. Quando, più tardi, Gesù le chiederà di prepararsi al grande progetto che ha su di lei le dirà: «Questa notte il buon Gesù mi ha chiesto – e quasi mi azzardo a dirle [Padre mio] che mi ha imposto l’obbligo – di aspirare a una maggiore perfezione, in modo che Lui mi possa chiedere ciò che tanto desidera. E per arrivare a questo, dice che debbo impiegare tutti i mezzi; e che il primo deve essere proprio quello di animarmi a fare per Lui grandi cose, costi quello che costi». 5 Ma siccome Gesù è un buon pedagogo, le farà anche capire progressivamente quali caratteristiche deve avere il desiderio della santità: «Questa notte il buon Gesù mi ha ripetuto di nuovo che debbo sforzarmi di più per distaccarmi del tutto dalle creature e unirmi di più a Lui. Io, Padre mio, non so capire dove sta questo mio attaccamento, per poterlo tagliare di netto; e così, chiedo a lei di aiutarmi. Mi ha detto anche che Egli desidera che io raddoppi l’impegno per avanzare nella santità, stando però attenta che questo desiderio non sia né precipitato né febbrile, né tanto meno presuntuoso, perché dice che gli sforzi violenti non sono duraturi e i presuntuosi sempre si scoraggiano ai primi insuccessi; e che io, nel corso della mia vita e nel lavoro che sono chiamata a svolgere, mi dovrò ritrovare con la forte impressione – qualche volta anche reale – di grandi insuccessi. Che vorrà dire il buon Gesù con questo, Padre mio?». 6 Ma questa pedagogia del desiderio, per chiamarla così, ci introduce in un’altra considerazione, o meglio in quella che definirei l’esperienza fondante della santità e della missione della Madre.
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La Madre esprimeva così questo desiderio anni più tardi: «La santità consiste nel vivere immerse in Dio e Lui in noi, prima desiderandolo poi raggiungendolo» Consejos prácticos, 1933, Summ., p. 808, n. 198. 3 Exhortación, 15.10.1965. 4 Ibid. 5 6
MADRE SPERANZA, Diario spirituale, 5 gennaio 1928, 18,7. MADRE SPERANZA, Diario spirituale, 26 febbraio 1928, 18,21-22. 2
2. UN’ESPERIENZA FONDANTE NELLA PIENEZZA DELLA VITA Sappiamo che i desideri, per quanto intensi, da soli non bastano. Nel caso della santità ancora meno, perché questa è anzitutto un dono di Dio, e segue un percorso di cui Lui ha assolutamente l’iniziativa. Ecco allora che il Signore comincia a rivelarsi e a rivelare il suo piano di amore e misericordia. La vita santa di Madre Speranza non si fonda su qualcosa che ha imparato teoricamente ma su un incontro, un’esperienza da cui è stata segnata, nella linea evangelica di quanto afferma l’apostolo Giovanni: “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita,… quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi” (1Gv 1, 1.3). Anche la vita santa di M. Speranza presenta, anzitutto, le caratteristiche di chi è stato profondamente toccato da un’esperienza intensissima e profonda. Non mi soffermo sulle varie tappe e vicissitudini attraverso le quali il buon Gesù, come lei ha imparato a chiamarlo, l’ha condotta nei primi anni di vita religiosa. Sottolineo, invece, la prima pagina del suo Diario, perché mi sembra costituisca l’esperienza fondante di tutto il suo cammino di santità e anche della missione che il Signore le affiderà. E’ il 5 novembre del 1927: “… Lui mi ha detto che io devo fare in modo che gli uomini lo conoscano, non come un Padre offeso per le ingratitudini dei suoi figli, ma come un Padre buono che cerca con tutti i mezzi il modo di confortare, aiutare e far felici i suoi figli, e che li segue e li cerca con amore instancabile come se non potesse essere felice senza di loro"7. Ha iniziato a scrivere questo Diario in obbedienza al suo Padre spirituale, e alle parole anteriori, come presa da uno stupore indicibile, aggiunge: “Quanto mi ha impressionato questo fatto, Padre mio!”8 Mi viene da pensare che questo sia uno dei momenti più importanti, se non il più importante, della vita di M. Speranza: ha trentaquattro anni, è dunque nella pienezza della vita, e il Signore la sta preparando a fondare una Famiglia religiosa che comprenderà due Congregazioni, il cui fine principale dovrà essere proprio quello di manifestare al mondo intero questo volto di Dio. Noi oggi siamo molto abituati a sentir parlare di Amore misericordioso. E’ un termine usuale nella teologia, nella spiritualità cristiana, nella catechetica, anche se sembra ancora assente, a livello ecclesiale, una vera e propria teologia della misericordia (ci ha provato il Card. Kasper). Mi sembra che Papa Francesco costituisca come il vertice di un cammino di presa di coscienza, da parte del Magistero della Chiesa, di quello che è il cuore del Vangelo: l’Amore misericordioso del Signore9. Giovanni Paolo II vi ha dedicato un’ enciclica, la “Dives in Misericordia”. Prima ancora, Giovanni XXIII, aveva aperto il Concilio Vaticano II con delle parole che suonavano più o meno così: fin’ora la Chiesa ha parlato prevalentemente il linguaggio della dottrina, è ora che usi piuttosto quello della misericordia. 7
Diario, 05.11.1927. Ib. 9 “E il messaggio di Gesù è questo: la misericordia. Per me, lo dico umilmente, è il messaggio più forte del Signore: la misericordia” (Papa Francesco, Omelia del 17 marzo 2013 a Sant’Anna). Il Papa lo ha ribadito poi nell’Angelus dello stesso giorno: “Eh!, fratelli e sorelle, il volto di Dio è quello di un padre misericordioso, che sempre ha pazienza. Avete pensato voi alla pazienza di Dio, la pazienza che lui ha con ciascuno di noi? Quella è la sua misericordia. Sempre ha pazienza, pazienza con noi, ci comprende, ci attende, non si stanca di perdonarci se sappiamo tornare a lui con il cuore contrito. “Grande è la misericordia del Signore”, dice il Salmo. In questi giorni, ho potuto leggere un libro di un Cardinale – il Cardinale Kasper, un teologo in gamba, un buon teologo – sulla misericordia. E mi ha fatto tanto bene, quel libro, ma non crediate che faccia pubblicità ai libri dei miei cardinali! Non è così! Ma mi ha fatto tanto bene, tanto bene … Il Cardinale Kasper diceva che sentire misericordia, questa parola cambia tutto. E’ il meglio che noi possiamo sentire: cambia il mondo. Un po’ di misericordia rende il mondo meno freddo e più giusto. Abbiamo bisogno di capire bene questa misericordia di Dio, questo Padre misericordioso che ha tanta pazienza … Ricordiamo il profeta Isaia, che afferma che anche se i nostri peccati fossero rossi scarlatti, l’amore di Dio li renderà bianchi come la neve. E’ bello, quello della misericordia!”. 3 8
Ma nel momento in cui M. Speranza iniziava il suo Diario, questo termine e la “devozione” che l’accompagnava, era un fatto abbastanza originale nella Chiesa, al punto da diventare sospetto. 10 Tornando alla prima pagina del Diario della Madre, una delle cose che sembrano emergere con molta chiarezza è la preoccupazione per la conoscenza del vero volto di Dio. Lì vengono esplicitati due modi di vedere Dio abbastanza contraddittori: - Dio “Padre offeso per le ingratitudini dei suoi figli”. - Dio “Padre buono che vuole la felicità dei suoi figli”. E’ fondamentale l’immagine e l’idea che ci facciamo di Dio, perché da quell’immagine o idea deriveranno, di conseguenza, il nostro stesso rapporto con Dio, il modo di concepire la preghiera, la vita morale, le vicende del mondo, e in particolare i rapporti con le altre persone, in una parola le dimensioni più profonde e anche quelle più semplici della nostra vita quotidiana. L’idea che noi abbiamo di qualcosa o di qualcuno, colora e influenza decisamente i nostri atteggiamenti e comportamenti concreti. Personalmente ogni volta mi convinco di più che noi proiettiamo su Dio tante maschere che sono solo nostre, e M. Speranza ha percepito che il Signore vuole che gli togliamo di dosso queste maschere, perché risplenda il suo vero volto. Quindi dall’esperienza di M. Speranza si deduce che a Dio preme molto che lo conosciamo come realmente è, cioè come Gesù ce lo ha presentato nel Vangelo. Diciamo che il Padre del cielo ci tiene alla sua “buona immagine”, non tanto nel senso un po narcisista a cui siamo abituati, perchè Lui non ha certo problemi di identità, bensì per noi, perchè possiamo conoscerlo come Lui è, e perché da questa conoscenza abbiamo vita e gioia piena. 3. SANTITÀ COME AMORE E UNIONE CON IL BUON GESÙ Tutto è partito, dunque, in Madre Speranza, da un incontro che le ha cambiato la vita, Dal testo citato e da tutta l’esperienza scritta e vissuta da Madre Speranza emerge una conseguenza fondamentale per il suo cammino di santità. Riprendo, per un attimo, quel “quanto mi ha impressionato questo fatto!”. Mi sembra indubbio che siamo di fronte al tocco particolare del cielo su una creatura, per certi fini che Dio ha su di lei. In effetti la pagina del Diario citata, inizia in questo modo: “Oggi, giorno 5 novembre del 1927. Mi sono distratta, cioè ho passato parte della notte fuori di me e molto unita al buon Gesù, e Lui mi ha detto che io devo fare in modo che gli uomini lo conoscano…” Quell’immagine di Dio Padre buono che deve trasmettere a tutti è un compito che le viene affidato in un incontro misterioso (i maestri e i teologi lo chiamano manifestazione mistica), nel quale lei, non solo comprende il messaggio che deve trasmettere, ma sperimenta profondamente che Dio è davvero così. Misteriosamente e ineffabilmente (“…distratta…fuori
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“Questo titolo dell’Amore misericordioso, nuovo nella Chiesa, fu dapprima conosciuto da un santo e intelligente sacerdote, il P. Arintero, un santo religioso che lavorò moltissimo per la diffusione di questa devozione. Io, pur essendo incapace di aiutarlo minimamente, quando ero religiosa dell’altra Congregazione, lavorai molto con lui in quest’opera10. Il Signore permise che la Chiesa, il Santo Uffizio, non approvasse quest’opera e il P. Arintero non poté proseguire il lavoro. Io tantissime volte ho pensato: perché il Signore permise che l’opera del P. Arintero venisse soppressa dalla Chiesa? Perché? Perché il Signore voleva che la devozione al suo Amore Misericordioso si estendesse nel mondo intero – notate bene, nel mondo intero – per mezzo di alcune religiose senza cultura. Dopo è venuta la cultura, son venuti gli studi, ma in quei momenti il Signore scelse come strumento della sua opera una povera religiosa poco intelligente e incapace di portare a termine una missione così grande e difficile com’è la fondazione di Religiose, e più tardi di Religiosi, che hanno come missione speciale ‘far conoscere alla gente di tutto il mondo l’Amore e la Misericordia del Signore con il povero bisognoso e peccatore’” (Exhortaciones 9 settembre 1965; cf anche Exhortaciones 06.08.1967). 4
di me”), si sente avvolta da questo Amore personalissimo (“molto unita al buon Gesù”), in un modo tale che le causa una profonda “impressione”. Questo tipo di grazie straordinarie si sono ripetute più volte nel corso della sua vita, in certi momenti con notevole frequenza. Alcuni anni più tardi, dopo aver già fondato le Ancelle dell’Amore misericordioso, scriveva di suo pugno un’esperienza che riecheggia molto da vicino i sentimenti della sposa del Cantico dei Cantici: “Mi sento ferita d’amore, il mio povero cuore non è capace di ricevere i tuoi dolci affetti, le tue soavi carezze e il fuoco del tuo amore mi brucia e mi sembra di non resistere e di fare spettacolo. Allenta un po’ (“afloja un poco”), Gesù mio, perché le figlie e le bambine non si rendano conto della mia ubriachezza” Al di là, comunque, di queste esperienze straordinarie, c’è una dimensione costante e profonda che percorre tutta la vita di M. Speranza come un tessuto connettivo che dà senso a tutto ciò che lei fa, sente, soffre, progetta: è quella che lei chiama “l’unione con il buon Gesù”. 3.1.
UNITA ALLA CROCE DEL SIGNORE: PASSIONE DI AMORE
Dagli scritti di Madre Speranza, e da molte testimonianze di chi l’ha conosciuta, emerge con molta forza un altro aspetto fondamentale della sua santità, dove l’unione con il buon Gesù raggiunge le vette più sublimi. Non solo ha sperimentato, come una sposa innamorata del suo Sposo, la dolcezza dell’amore di Dio, che tanta impressione ha lasciato in lei, ma ha potuto partecipare anche alle sofferenze di Gesù. Anzi sottolinea, a più riprese, che ogniqualvolta il Signore stava per chiederle qualcosa di molto importante la preparava unendola in modo misterioso alla sua Passione. Anche questa esperienza appare fin dalle prime pagine del Diario: “Questa notte, Padre mio, ho sentito come non mai, i dolori e le angustie della Passione del buon Gesù… che orrore e tormento ha sentito il mio cuore davanti a questo quadro! Non so se sarà un’illusione, ma ho l’impressione di amare il buon Gesù più di prima. Ci sono dei momenti, Padre mio, in cui mi sembra di sentire nell’anima un movimento interno che la trasporta verso di Lui, distaccandola dalle cose che non sono Lui, infondendo in me una sete bruciante di soffrire con Lui, e attendo con ansia il momento in cui mi chieda l’opera che vuole che io faccia, aiutata da Lui. Quale sarà quest’opera?”11 Le testimonianze in proposito sono tantissime. E uno dei suoi commenti più profondi al Vangelo è quello molto dettagliato sulla Passione del Signore. Attraverso questa esperienza che ha segnato incisivamente tutta la vita di Madre Speranza (pensiamo alle tante volte in cui lei baciava il Crocifisso, ci sono anche le foto) abbiamo un messaggio chiaro: non è possibile seguire Gesù senza abbracciare la sua croce. 3.1.1. La croce come scuola di amore e di sapienza per compiere la volontà di Dio L’abbracciare la croce, come dice Madre Speranza, ha nei piani di Dio un significato unitivo e pedagogico. “La scienza dell’amore si apprende nel dolore” ha detto e scritto tante volte la Madre. Nella pagina del Diario, già citata, leggiamo anche: “Questa notte il buon Gesù mi ha invitata a sentire un poco i dolori e le angustie della sua Passione, dicendomi che in essa avevo molto da imparare per unirmi più intensamente a Lui e così abbracciare gioiosamente il suo volere divino”12. 11 12
Diario, 05.04.1928. Diario, 05.04.1928. 5
Siamo nella linea di S. Paolo e dei più alti maestri di spirito13 che vedono nella croce di Cristo la manifestazione massima della sapienza e della potenza di Dio: “Anch'io, o fratelli, quando sono venuto tra voi, non mi sono presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso” (1Cor 2, 1-2). Mi sembrano degne di rilievo varie espressioni dell’anteriore testo del Diario: Gesù “invita”, non obbliga a condividere le sue sofferenze; nella croce c’è “molto da imparare” per un’unione più intima con Lui e per abbracciare gioiosamente la volontà di Dio. Indubbiamente l’esperienza viva dell’Amore crocifisso l’ha introdotta in quella “sapienza secondo lo Spirito” nella quale anche M. Speranza ha imparato: - a conoscere meglio se stessa; - a conoscere meglio il Signore e le sue vie; - ad amare in verità, secondo il cuore misericordioso di Dio. Lei considera “apice della sua vocazione il poter dire, con umiltà e verità, parafrasando S. Paolo, di non gloriarsi in altro se non nella croce di Gesù Cristo suo Signore e suo Dio”14. E’ ancora una pagina del suo Diario a svelarci il desiderio profondo di “amare e soffrire”, unito alla lotta interiore ed esteriore per portare avanti la volontà di Dio: “Mi dici, Gesù mio, che desideri che io accetti, per tuo amore, il nuovo calice che mi preparano o mi prepari. Con la tua grazia sono disposta a soffrire con gioia tutto ciò che mi vorrai mandare, o permettere che mi facciano: non desidero, Gesù mio, altro che servirti, farti piacere ed essere tutta tua e testimoniare con le opere che sono tua Ancella. Dammi, Gesù mio, molto amore e chiedimi tutto quello che vuoi e aiutami, Dio mio, a spezzare la mia superbia, che tanto mi ostacola, cercando di farmi retrocedere di fronte alla lotta… Io, Gesù mio, non desidero altro che amarti e soffrire… Sai già, Gesù mio, che molte volte la mia natura si è ribellata nel vedere riversato contro di me l’odio implacabile, e l’invidia che cercava di farmi scomparire, e le lingue che distruggevano la mia reputazione e persone altolocate che mi perseguitano. Tutto ciò mi ha spaventato, e ora mi dici che debbo soffrire ancora di più. Io so dirti solamente ciò che sempre ti ho detto: Signore, sono la tua serva, ordina e disponi di me come vuoi e fai ciò che ti piace, e non guardare la mia debolezza ma il fatto che, fin dal primo momento, il mio cuore ha accettato tutto, il mio spirito l’ha desiderato e lo desidera perché io, Gesù mio, da molto tempo non vivo se non per Te e con il desiderio che Tu dimori sempre in me”15. 3.1.2. Amore – sacrificio Il binomio amore–sacrificio è inseparabile nella vita e nell’insegnamento di M. Speranza. A mio avviso è una delle caratteristiche più evidenti e significative del suo cammino spirituale e della luminosa testimonianza della sua santità. E tale esperienza non appare tanto come una decisione ascetico–morale, ma come una dimensione della vita che ha appreso alla scuola dell’Amore crocifisso. Cristo in croce è, infatti, l’espressione più sublime dell’amore di Dio per l’uomo, amore fedele fino all’estremo, amore appassionato, tenero, vicino, amore che perdona fino al limite ultimo, amore che porta il peso di tutti noi e spezza, in questo modo, il cerchio infernale del male. 13
S. Giovanni della Croce scrive: “Oh se l’anima riuscisse a capire che non si può giungere nel folto delle ricchezze e della sapienza di Dio, se non entrando dove più numerose sono le sofferenze di ogni genere, riponendoci la sua consolazione e il suo desiderio! Chi desidera veramente la sapienza divina, in primo luogo brama di entrare veramente nello spessore della croce”. 14 MARTIN ARMANDO fam, Principali atteggiamenti etico – spirituali nei quaderni manoscritti di M. Speranza, Roma 1988, p. 183. 15 Diario, 27.07.1941. 6
“Gesù soffre e si consegna al dolore per farci capire che la prova dell’amore è il sacrificio. Nessuno, dunque, più di Gesù può chiamarsi Maestro di amore, perché nessuno si è sacrificato come Lui. Questo, figli miei, è l’amore. L’amore si comunica, si dona e questo è ciò che Gesù ha fatto con noi. Ora impariamo a ricambiarlo con l’amore, tenendo presente che amare Gesù significa donarsi a Lui, sacrificarsi per Lui e amare il prossimo e sacrificarsi per il prossimo. Dobbiamo chiedere incessantemente a Gesù che ci faccia conoscere l’amore perfetto e l’amore sacrificato del suo cuore insieme con la carità”16 Questo è l’amore che M. Speranza propone alla nostra contemplazione nell’immagine eloquentissima del Crocifisso dell’Amore misericordioso, che si venera nel Santuario di Collevalenza. A Gesù in croce lei dice: “Dici, Gesù mio, che l’amore se non soffre e non si sacrifica non è amore. Che insegnamento! Ora capisco perché il tuo amore è così forte ed è un fuoco che brucia e consuma: hai sofferto tanto!” Emerge a questo punto un particolare aspetto dell’unione al buon Gesù nell’amore e nel sacrificio: è la coscienza serena e ferma della perseveranza in quello che lei chiama “l’arduo cammino” della santità. 3.2.
“COSTI QUEL CHE COSTI”17
L’anelito di santità, e la consapevolezza del prezzo da pagarne, era talmente radicato in lei che affiora continuamente nei suoi scritti. Basta sfogliare il suo «diario» per incontrare frasi come questa: «Gesù mio, ho un grande desiderio di santificarmi, “costi quel che costi”, solo per la tua gloria [...]. mi accorgo che il cammino verso la santità sta diventando molto arduo per me e che, per progredire in esso, sono necessari sforzi grandi ed energici. Questo mi scoraggia tanto, tanto, in particolare quando dimentico che Tu mi precedi e mi aiuti, allora facilmente mi scoraggio e gemo senza rendermi conto che le tribolazioni e le sofferenze che mi schiacciano sono una vera prova del tuo amore e del tuo desiderio di purificarmi. Gesù mio, con il tuo aiuto oggi ti prometto ancora di camminare lungo questa strada aspra e difficile, guardando sempre avanti, e senza tornare indietro, mossa dal solo desiderio di raggiungere il grado di santità che Tu mi chiedi»18. Nella misura in cui avanzava nel cammino della perfezione, la Serva di Dio sentiva nel suo cuore con nuova e maggiore insistenza la chiamata del Signore a raggiungere la meta. Cosciente del suo limite, dei suoi timori, nelle prove e difficoltà vedeva l'invito di Gesù a purificare la sua anima per renderla sempre più docile alla sua volontà e per rinvigorirla, così da poter affrontare il cammino che l'aspettava19. Quando questa strada si faceva sempre più ripida, tornava con decisione a rispondere agli inviti di Gesù, pur cosciente della sua grande debolezza ed invocando l’ aiuto del Signore. «Mi vergogno di ripeterti ancora che desidero compiere la tua volontà, costi quel che costi; Gesù mio, desidero raggiungere il grado di santità che Tu mi chiedi. [...] Tu sai bene, Gesù mio, che per me il cammino verso la santità è molto arduo e che richiede sforzi energici e costanti, sai che io mi sento debole, molto debole e che, se tu non mi sostieni e non mi aiuti a percorrerlo, io non ci riuscirò. Molte volte, infatti, ho iniziato, spinta dal grande desiderio di arrivare alla meta, e poi sono tornata sempre 16 17 18 19
La Perfección de la vida religiosa, n. 48. Cf “Positio super virtutibus”, pp 341-343 Diario, 22.11.1941, Summ., p. 737, n. 40. Cf. Ibid. 7
indietro [...] Oggi, Gesù mio, vengo da Te per dirti che sono ormai decisa, sempre confidando nel tuo aiuto, a sciogliere quegli impedimenti che frenano la mia spinta verso la vetta della perfezione, per donarmi completamente a Te»20. Chi è preso da un desiderio di raggiungere un bene di inestimabile valore, sul quale ha fondato tutta la sua vita, facendone lo scopo primario, cerca in ogni modo, con la parola e con l'esempio, di spronare anche altre persone al raggiungimento di questo stesso bene. Ci sono tante testimonianze di come anche la Madre, mossa dal suo anelito di santità, esortava ed invitava continuamente i suoi figli ad avere presente questo grande ideale, fin dall'inizio del cammino nella vita religiosa. Madre Pace Larrión, che visse molti anni vicino a Madre Speranza, afferma che lei «ripeteva tantissime volte: "Figlia, fatti santa!"»21. Ma, la stessa teste, sebbene allora non le comprese, ricorda le parole che la Madre le rivolse al suo arrivo a Roma insieme ad altre postulanti ed aspiranti, nel 1948: «La Madre ci accolse visibilmente commossa; ci abbracciò tutte forte, forte [...] Quando fu il mio turno, mi disse: "E tu, piccola, perché sei venuta?". Le risposi subito: "Perché desidero conoscerla e per diventare missionaria con Lei.". Mi rispose: "No, figlia, tu sei venuta solo per santificarti; tutte siete venute per santificarvi"».22 Anche Padre Elio Bastiani, che seguì la Madre già dagli inizi della fondazione dei Figli dell'Amore Misericordioso, ricorda: «Era una esortazione frequente, sulla sua bocca e nei suoi scritti, quella di invitare tutti a farsi santi. Ho sentito con le mie orecchie spessissimo questo ritornello: "Specie i primi dovete essere santi!"»23. Ennio Fierro, uno dei primi religiosi FAM, aggiunge che tutto quanto la Madre diceva o faceva era finalizzato al raggiungimento della sua santificazione personale e di quanti l'avvicinavano. «Ai suoi figli e alle sue figlie, persino ai bambini, agli sposi e a chiunque si avvicinava a lei, la Madre non faceva che ripetere: "'Santificatevi', figli miei". Quando io presentai alla Madre i miei nipoti di Trento, novelli sposi ai primi giorni del viaggio di nozze, la Madre fece loro questo unico augurio: "Santificatevi, figli miei; io pregherò perché vi santifichiate"»24. Nella sua semplicità e spontaneità, appare significativa la testimonianza della Sig.ra Agnese Riscino, una delle prime bambine accolte da Madre Speranza nel collegio di Villa Certosa, aperto a Roma nel 1936. Questa bambina proveniva da una famiglia numerosa, che versava in precarie condizioni economiche e che la Madre aiutò sia materialmente che moralmente. Sentiamo come ella ricorda un episodio vissuto quando, bambina, le viveva accanto: «Una volta, avevo detto alla Madre che volevo farmi santa, e lei mi aveva risposto: "Ti costerà molto!". Al che, io risposi: "Mi farò dare i soldi da mamma, un po' alla volta, e li metto nel salvadanaio". L'idea di farmi santa non era soltanto mia, ma era il clima che si viveva in casa, così da farci venire, a tutte, questo desiderio»25.
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Diario, 3.8.1942, Summ., p. 744, n. 62. Summ., teste 22, p. 303, 77-97. Sarebbe lungo citare i numerosissimi testimoni che riportano la stessa espressione o simili. Non c'è stato un figlio o una figlia che non abbia sottolineato questo aspetto. 22 Summ., teste 22, p. 300, 3. 23 Summ., teste 3, p. 28, 78. 24 Summ., teste 51, p. 537-538, 77-81. 25 Summ., teste 42, p. 451, 3. 21
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4. SANTITÀ COME ATTIVITÀ IMPRESSIONANTE FONDATA SULLA VOLONTÀ DEL BUON GESÙ Concreta e dinamica Quando sentiamo parlare di esperienze mistiche straordinarie può sorgere in noi una preoccupazione: determinate altezze da “settimo cielo” non solo sono fuori della nostra portata, ma gettano anche un’ombra di sospetto su chi le vive, perché ci sembra che non sta con i piedi per terra e lascia ad altri le incombenze al di sotto del settimo cielo. Sorprendentemente una delle caratteristiche della santità di Madre Speranza è un realismo esistenziale estremamente concreto: sta in cucina a pulire le verdure e preparare i pasti; organizza lavori ed attività con una mentalità diremmo oggi imprenditoriale; viaggia moltissimo, finchè la salute glielo permette, per seguire tutte le sue comunità, incontrare Vescovi, sacerdoti, laici; con una visione straordinariamente lucida e lungimirante progetta costruzioni complesse e ne segue i lavori, eseguiti spesso con ritmi mozzafiato. Chi è vissuto accanto a lei ha lasciato testimonianze scritte e orali di tutto ciò. Una delle cose che più colpiscono, nella sua vita, è proprio la compresenza di una profonda dimensione contemplativa, secondo la quale è convinta di non poter fare un passo senza l’aiuto del Signore, e di un’attività impressionante, molteplice, creativa. Ancora una volta, il suo Diario testimonia il segreto di questa compresenza: “Ho passato questa notte distratta, o meglio in unione con il buon Gesù. Lui mi ha invitato a fare tutte le mie opere in unione con Lui, dato che Lui abita in me per santificare, non solo me, ma anche tutte le mie opere e per riempire di Sé tutte le mie facoltà. Lui vuole essere la luce del mio spirito, l’amore e il fuoco del mio cuore, la forza e virtù di tutte le mie potenze, affinché in Lui possa conoscere, amare e compiere la volontà di suo Padre, sia per lavorare a gloria sua, sia per soffrire e patire ogni genere di tribolazioni e angustie per la sua gloria, in modo che le mie opere possano diventare una continua preghiera, un’elevazione della mia anima verso il mio Dio”26 Questa sintesi vitale tra azione e contemplazione, tipica di ogni vera maturità cristiana, si rifletteva nello stile caratteristico della sua preghiera. Quando, come lei diceva, si “distraeva” o “usciva da se stessa” (questo è il significato letterale di “estasi”), i testimoni oculari e auricolari (tra i quali il sottoscritto) la sentivamo parlare con il Signore di tutto: dei problemi delle comunità, delle situazioni di qualche figlio o figlia, delle galline che non facevano le uova (“… e io che cosa do da mangiare ai figli, Signore?”), dei lavori, dei debiti da pagare (“… lo so, Gesù mio, che a Te non viene il mal di testa, perché non devi fare i conti, ma io…), dell’intenso desiderio di unità tra le due Congregazioni… e la conclusione di quell’intenso dialogo era, quasi sempre, un accorato: “no te vayas, Jesús!” (= non te ne andare, Gesù!) Attenti, figli miei! In quanto testimone convinta della necessaria unione di noi tralci con Cristo-vite per poter portare frutto duraturo e della verità delle sue parole “senza di me non potete far nulla” (Gv 15, 4-5), M. Speranza ha cercato sempre di mettere in guardia contro il rischio dell’attivismo ingenuo e presuntuoso che finisce per svuotare di senso soprannaturale il nostro agire, dando luogo a un’azione che è solo nostra, si muove su parametri di efficienza umana, di facciata, e finisce per esaurire le nostre energie fisiche, psichiche e spirituali, con grave rischio nostro e delle persone che il Signore ci ha affidato. In questa linea va il grave richiamo che indirizza in particolare ai FAM sacerdoti nello svolgimento del loro apostolato: “Tengano ben presente che i loro sforzi saranno vani se ne affidano l'esito alla scienza, al carattere, alle doti di governo, ecc..., poiché facilmente cadranno nella superbia e, con questa, nell'errore di credere che si toglie alle opere di carità e di zelo il tempo 26
Diario, 17.03.1952. 9
impiegato nella preghiera. Questo equivarrebbe a pensare che le loro proprie opere sono molto più necessarie delle grazie del nostro Dio, ottenute sempre nella preghiera. State molto attenti, figli miei, a calcolare bene il tempo per non lasciare mai la meditazione e gli atti di comunità, se non volete un giorno arrivare a dire pieni di amarezza: Dio mio, la mia abnegazione mi ha rovinato! La mia natura mi ha portato a trovare soddisfazione nel darmi tutto intero a fare il bene agli altri, tralasciando l'orazione, e mi sono compiaciuto dell'apparente buon risultato della mia attività, che mi ha giocato nel mio lavoro interiore; così mi sono gettato nel precipizio e il mio apostolato non è stato secondo il desiderio di Dio: la mia fede si è affievolita, le mie energie sono venute meno, si sono moltiplicate le mie cadute a discapito della carità e a danno delle anime che mi circondano”27. Evidentemente era guidata dalla convinzione che la persona umana, debole per natura, deve porre un abbandono fiducioso solo in Dio, attraverso la vita di preghiera, purificazione del cuore e unione costante con il Signore, anche nei dettagli della vita quotidiana. “… la purezza di cuore è la prima condizione per vedere il nostro Dio chiaramente nell’altra vita e unirci a Lui in questa; ma la purezza di cuore suppone l’espiazione delle mancanze passate attraverso la penitenza e la lotta energica e costante contro le cattive inclinazioni che ci trascinano verso il peccato. A questo scopo abbiamo molto bisogno di preghiera, esercizi di pietà… ed esercizio della carità senza limiti. L’anima, purificata dai suoi peccati, alleggerita e confortata, docile alle ispirazioni dello Spirito Santo, non desidera altro che l’unione intima con il suo Dio, e così lo cerca anche in mezzo alle occupazioni che più l’assorbono, si stringe a Lui e gode della sua presenza, e la sua preghiera è uno sguardo affettuoso e prolungato, sempre fisso nel suo Dio e nella gloria del suo Dio”28. L’amore che si alimenta di sacrificio è attivo Questa contemplazione, lungi dall’essere un fatto intimistico e alienante (= spiritualismo), è la vera fonte di ogni attività, progetto, sentimento. E’ stata questa la sorgente del gran dinamismo che ha caratterizzato la vita di M. Speranza. Nel portare avanti fondazioni, iniziative e opere varie per venire incontro ai più bisognosi, nel fondare una Congregazione per i sacerdoti, intuendo profeticamente i loro bisogni, dice di essersi sentita nelle mani di Dio come un “fazzoletto per asciugare le lacrime, “la portinaia di coloro che soffrono”. Due anni prima di fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore misericordioso e di dar vita alla grande opera del Santuario di Collevalenza, annota nel suo Diario quella che sente come una chiara voce dall’alto: "... anni più tardi, tu, aiutata da Me, con più angustie, fatiche, disgusti e sacrifici, organizzerai l’ultimo e magnifico laboratorio che servirà di grande aiuto materiale e morale per le figlie e le giovani che avranno la fortuna di potervi essere ammesse. Vicino a questo laboratorio ci sarà la più grande e magnifica organizzazione di un Santuario dedicato al mio Amore Misericordioso, casa para malati, pellegrini, casa per il clero, il noviziato delle mie Ancelle, il seminario dei miei Figli dell’Amore Misericordioso;... vivranno tutti e tutte aiutandosi mutuamente, esse con il lavoro materiale ed essi sempre con il lavoro spirituale, spargendo all’intorno il soave odore del buon esempio, attirando entrambi verso di me tutti quelli che visiteranno questo unico Santuario del mio Amore Misericordioso. Ma tu devi aver molto presente che Io sempre mi sono avvalso delle cose più nulle e inutili per fare quelle più grandi e magnifiche, che a Balaam ho parlato attraverso un asino potendo averlo fatto per mezzo di un angelo, e che per conseguire un buon raccolto di frumento bisogna gettare a terra la semente, coprirla di terra, tormentarla con 27 28
Cost, parte I, c 5. Circulares, n. 88, pp. 179-180. 10
acqua, sole, freddo, neve con il fine che imputridisca e scompaia, e così fruttifichi e produca gran abbondanza di grano. E tuttavia questo non è ancora sufficiente perché questo frutto possa servite di sostentamento all’uomo: per questo il frumento dev’essere triturato e poi macinato e convertito in polvere, dev’essere passato per il setaccio per separare da questa polvere ciò che è spesso e duro , cioè la crusca, e poi dev’essere impastato con l’acqua e ben cotto affinché possa servire di gran sostentamento o principale alimento para il sostegno dell’uomo. Allo stesso modo tu devi passare attraverso tutta questa elaborazione per poter arrivare ad essere ciò che Io desidero, che consiste nel servirmi di te come sostegno o sostentamento di molte anime, e che i figli e le figlie prendano da te questa sostanza dell’elaborazione e così possano darmi molta gloria in questo Santuario, con il soave odore del sacrificio, la preghiera, l’abnegazione e il continuo esercizio della mia carità e amore verso il più bisognoso”29. Il riferimento evangelico è chiaro: “In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna”. ( Gv 12, 24-25) Se l’esperienza mistica dell’unione con la Passione del Signore è stata, per Madre Speranza, un dono di grazia straordinaria, la risposta di amore generoso e donazione a tutti, è stata un’esperienza ordinaria e quotidiana. Le tante testimonianze di chi è vissuto vicino a lei lo confermano in modo inequivocabile. Soprattutto in questa “quotidianità” è stata una testimone fedele dell’amore che si dona fino al sacrificio. 5. SANTITÀ COME MISERICORDIA PIÙ GRANDE VERSO IL PIÙ MISERO L’esperienza che M. Speranza ha fatto, in prima persona della paternità di Dio, l’ha resa necessariamente una testimone privilegiata della vicinanza concreta di Colui che lei definisce “un Padre buono e una tenera madre” nei confronti di tutti i suoi figli, in particolare di coloro che spesso vengono considerati gli ultimi e come tali subiscono rifiuto, mancanza di amore, allontanamento ed emarginazione di vario tipo. Lei sente e percepisce con estrema chiarezza questo modo unico di amare che Dio ha nei nostri confronti: “Quanto più una persona è debole, povera e miserabile, tanto più Gesù prova tenerezza (“simpatía”) per lei; la sua misericordia, cioè, è più grande; la sua bontà è straordinaria; lo vedo attendere o chiamare alla porta di un’anima colpevole e tiepida”30. M. Speranza è testimone che nel cuore di Dio si produce un movimento opposto a quello che avviene spesso in noi quando, con una sensibilità ben diversa da quella del Padre, veniamo bloccati nella capacità di amare dai limiti e dalla “miseria” degli altri, mentre veniamo attratti solo dallo loro amabilità o da qualche nostro interesse. Per questo siamo portati, con estrema facilità, a fare “differenze” tra le persone, misurando bene il vantaggio o lo svantaggio che ci può venire dal rapporto con loro. Come ama invece il Signore? “Il Signore ama tutti con la stessa intensità; se fa qualche differenza è solo quella di amare di più coloro che, pur pieni di difetti, si sforzano e lottano per essere come Lui li desidera”31 E ancora:
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Diario, 14.05.1949. Perfección, 11. 31 Diario, 19.02.1928; cf Ib. 11.03.1952. 30
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“Gesù è per tutti un Padre buono che ci ama con un amore infinito, che non fa distinzioni. L’uomo più perverso, il più miserabile e persino il più disgraziato è amato da Gesù con tenerezza immensa. Gesù è per lui un Padre e una tenera madre”32. Sottolineo questa particolare attribuzione a Gesù del nome di Padre e tenera madre. Questa che sembra una “confusione” teologica, mi sembra invece una profonda intuizione del cuore che vede Dio come un tutt’uno nel suo essere ed agire, Padre, Figlio e Spirito Santo. In fondo Gesù stesso ha detto a Filippo: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre… Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?” (Gv 14, 9-10). Gesù è la rivelazione totale dell’Amore di Dio, la manifestazione piena del volto misericordioso del Padre. E’ per questo che non possiamo conoscere il Padre né andare a Lui senza passare attraverso Gesù Cristo. M. Speranza è testimone di questo amore del Padre perché ha contemplato da vicino, da vera innamorata, Gesù. Lei stessa arriva a chiedersi da dove proviene questo amore incredibile e trova una risposta: “Da dove scaturisce questa tenera compassione, che non trova spiegazione, verso i peccatori? Quale ne è la causa? La causa è che il suo amore lo raddoppia nella misura in cui l’uomo diventa più miserabile. Mi sembra che tutti gli attributi del nostro buon Gesù sono al servizio dell’amore, e così vediamo che impiega la sua scienza per riparare i nostri errori, la sua giustizia per correggere le nostre iniquità, la sua bontà e misericordia per consolarci e colmarci di benefici e la sua onnipotenza per sostenerci e proteggerci”33 6. SANTITÀ COME AMORE CONCRETO VERSO I PIÙ BISOGNOSI E I SACERDOTI DIOCESANI Così M. Speranza, nel suo cammino di santità, ci appare come un’anima innamorata di Gesù, ma anche come una persona ugualmente innamorata di quelli che lei definisce “gli interessi più cari a Gesù”, cioè i poveri, e dei sacerdoti che sono i ministri della misericordia di Dio per tutti. Lo sguardo di com-passione misericordiosa Lei parla più volte, non tanto di aiuto, ma di “unione con i più bisognosi” e “unione con i sacerdoti”, sottolineando non solo la prestazione di un servizio, ma la condivisione di un’esperienza, il mettersi nei panni di chi è nel bisogno, il provare a sentire ciò che sente lui. Tutto ciò lo chiama “sguardo di compassione”, che definisce essenziale prima di offrire qualunque aiuto concreto: “Se vi capita di trovarvi con una persona oppressa dal dolore fisico o morale non cercate di soccorrerlo o fargli un'esortazione senza avergli , prima, rivolto uno sguardo di compassione. Il mondo si allontana da coloro che piangono, e quelli che piangono interiormente cercano la solitudine, ma sentono al tempo stesso il bisogno di sfogarsi e noi dobbiamo offrire loro la possibilità di farlo, facendo in modo che la nostra fiducia sia per essi una tavola di salvezza. Per questo bisogna comprenderli, sentire con loro e simpatizzare con loro. Nel momento in cui avremo dato ad essi l'impressione di averli capiti, li vedremo consolati e le nostre parole saranno un balsamo per le loro ferite”34.
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Perfección, 53. Ib, 11. 34 Ib, 2. 33
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Non è difficile constatare, anche ad una riflessione superficiale, che ci sono molte forme di guardare e molti gradi nel vedere. Forse per l'invasione dei mezzi di comunicazione il nostro occhio potrebbe diventare freddo come quello della telecamera che registra tutto con precisione matematica ma non si coinvolge in ciò che vede. Commuoversi solidariamente con il fratello che soffre o ha bisogno di qualche cosa, magari solo il dettaglio di un piccolo gesto (un bicchiere d'acqua ci dice Gesù), è il primo passo di chi ha viscere di misericordia. Si conosce davvero qualcuno quando si arriva a sentirlo con il cuore. Tutti conosciamo la parabola del Buon Samaritano, e sappiamo che l'unico ad aiutare il povero ferito fu quello che “lo vide ed ebbe compassione di lui” (Lc 10, 33). A questa immedesimazione, che si coinvolge e si commuove per la disgrazia dell’altro, fa seguito l’aiuto concreto, senza il quale la compassione rimarrebbe sterile sentimentalismo: “Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui” (Lc 10, 34). Penso che M. Speranza abbia testimoniato di essere un’autentica “samaritana del buon Dio” per tante situazioni di bisogno. Un giorno è arrivata a dire: “Mi ilusión han sido siempre los pobres” (= la mia passione sono stati sempre i poveri), e P. Gino Capponi, P. Spirituale di Madre Speranza gli ultimi 30 anni della sua vita, testimonia la stessa espressione riguardo ai sacerdoti: “i sacerdoti sono la mia passione” . Lo stesso discernimento, in età giovanile, della sua vocazione religiosa è stato guidato da questa sensibilità: “Passando con la suora incaricata per un corridoio, notai che un povero infermo era agonizzante, quasi nel rantolo della morte e in preda a una grande sofferenza… Lo dissi alla suora, pensando che lei non se n’era accorta… La suora si avvicinò al letto del moribondo, gli coprì la testa con il lenzuolo… e se ne andò. Io rimasi molto impressionata e provai una pena profonda per quell’uomo che soffriva. La suora se ne accorse e mi disse: “Vedrai che con il tempo anche a te si indurirà il cuore”. E io: “Questo mi basta! Me ne vado prima che il mio cuore diventi duro””35. Credo di poter affermare che tutti i bisognosi nel corpo o nello spirito, e in modo particolarissimo i sacerdoti, sono stati per lei uno dei criteri fondamentali di discernimento della volontà di Dio. È molto eloquente in proposito la testimonianza di P. Arsenio Ambrogi su M. Speranza, molto malata nella casa di Fermo, che chiamò intorno al capezzale i primi FAM della comunità e disse che il Signore aveva voluto far nascere la Congregazione dei FAM solo per l’unione e l’aiuto ai sacerdoti, e aggiunse: “… e Dio la disfaccia sul nascere se non dovesse servire a questo”. Dietro la fondazione delle due Congregazioni che formano una sola famiglia, ci sono infatti i due amori di Madre Speranza “i poveri e i sacerdoti”. Due Congregazioni: “una stessa famiglia” per testimoniare la misericordia concreta ai poveri e l’unione con i sacerdoti diocesani Nella notte di Natale del 1930, a Madrid, in estrema povertà e in un appartamento affittato, fonda, con altre tre suore, la Congregazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso. 35
Exhortaciones, ..... Molto significativo anche il fatto accaduto quando era nella Congregazione delle Figlie di Maria Immacolata e il Signore la stava preparando a fondare una nuova Famiglia religiosa. E’ il Natale del 1927, e lei fa parte di una comunità delle Clarettiane a Madrid, situata in Calle Toledo. La casa non è proprietà della Congregazione, ma di un’Associazione di Signore Cattoliche. Con l’aiuto della Provvidenza, M. Speranza prepara un pranzo di Natale per circa 400 poveri che, affamati, riempiono la galleria della casa. In quel momento arriva una signora dell’Associazione: “... mi dice: “Chi l’ha autorizzata a portare qui questa gente e sporcare tutto?”… “No, signora, non sono venuti a sporcarle niente ma a mangiare perché è Natale” – “Si guardi bene dal portare di nuovo qui i poveri. Lo potrà fare solo quando la casa sia sua”. Io molto addolorata corsi dal Signore e Lui mi disse: “Speranza dove non possono entrare i poveri, non entrare neanche tu; esci da questa casa!”. “Signore, dove vado?”” (Ib. 15.08.1966) 13
Povere come Gesù a Betlemme, mangiano zuppa di cavoli, dormono per terra appoggiando la testa nell’unico materasso che hanno… e traboccano gioia. “… ho capito che Gesù voleva che si portasse a termine la fondazione di una Congregazione intitolata “Ancelle dell’Amore misericordioso” per aprire collegi ed educare in essi orfani, poveri, figli di famiglie numerose e classi modeste della società… Inoltre centri per bambini e bambine con handicap, così come centri di accoglienza e ospedali per ogni tipo di bisognosi, facendo scomparire da questi centri tutto ciò che può dar l’aspetto di ricoveri. E’ importante, inoltre, che le religiose prendiamo gli stessi alimenti dei bambini, evitando così la cattiva impressione che produce il vedere che le religiose prendono cibi diversi e di migliore qualità”36. Diceva che nella porta di tutte queste case si dovrebbe poter scrivere: “Chiamate, voi poveri, e sarete soccorsi; chiamate, voi afflitti, e sarete consolati; chiamate, voi malati, e sarete assistiti; chiamate, voi orfani, e nelle Ancelle dell’Amore Misericordioso troverete delle madri”37. Il 15 agosto del 1951 fonda, a Roma, la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso, di cui il primo è Alfredo Di Penta38. Tre giorni dopo, il 18 agosto, si stabilisce con i primi Figli e alcune Suore a Collevalenza, nel cuore dell’Umbria, dove farà sorgere, in un bosco dove i cacciatori prendevano gli uccelli (il "roccolo"), il Santuario dell’Amore Misericordioso. La nuova Congregazione dei FAM ha come fine principale l’unione con i sacerdoti del clero diocesano. M. Speranza chiede ai FAM di essere per i sacerdoti “veri fratelli”. I sacerdoti, strumenti particolari della misericordia di Dio, sono essi stessi bisognosi di misericordia, anzi proprio per la loro missione, coloro che si occupano continuamente delle miserie dei propri fratelli, spesso si trovano a fare l’esperienza amara della sofferenza e della solitudine in prima persona. Per “l’amato clero” Madre Speranza ha sentito l’ispirazione di fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso, perché i sacerdoti trovino in noi la propria famiglia. Ogni nostra casa è aperta per loro, senza dimostrare alcun fastidio o meraviglia quando li vedessimo deboli di fronte a qualche miseria umana. Tra tutte le opere della Congregazione dei FAM questa è la priorità in assoluto, quella che deve orientare scelte, programmi e formazione. Madre Speranza è stata preparata a questa missione sacerdotale da tutto un percorso esistenziale, in cui la mano provvidente del Signore l’ha guidata attraverso incomprensioni, opposizioni, vere e proprie “opposizioni” da parte di alcuni pastori della Chiesa (che fanno a volte fatica a intuire i progetti di Dio incarnati dai santi). Per i sacerdoti ha pregato sempre e si è offerta vittima all’Amore Misericordioso, fin da giovane religiosa, e ha conosciuto molto da vicino le loro sofferenze, debolezze, solitudini. Quando incontrava qualche sacerdote gli chiedeva subito: come stai? con chi vivi? chi ti fa da mangiare? hai una madre, una sorella, qualche persona che si prende cura di te? Partiva da questa attenzione squisitamente umana per arrivare a una proposta alta di santità sacerdotale, a immagine di Gesù sommo sacerdote misericordioso. Fomentava in ogni modo la fraternità e l’unione tra i sacerdoti. Diceva “Il sacerdote di domani non potrà vivere da solo!”. E ha sentito, addirittura, che il Signore voleva realizzare questo sogno verso l’amato clero, istituzionalizzando l’appartenenza dei sacerdoti diocesani alla Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso in un ramo speciale: sacerdoti FAM che, rimanendo totalmente diocesani e alle dipendenze del proprio Vescovo, vivono lo spirito dell’amore misericordioso e la fraternità sacerdotale all’interno del proprio presbiterio. Un’apparente anomalia canonica, ma si sa che i progetti di Dio rompono i nostri schemi. Il magistero della Chiesa ha riconosciuto e approvato anche questo ramo, dando conferma, ancora una volta, a questo progetto di Dio di enorme attualità.
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Diario, maggio 1929. Circulares, 06.07.1941. 38 Cf Diario, 24.02.1951. 37
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7. SANTITÀ COME AMORE CHE PERDONA MISERICORDIOSAMENTE La santità di vita di Madre Speranza nasce, abbiamo visto, da un incontro con l’amore di Gesù che l’ha segnata per tutta la vita. Questo amore l’ha tenuta stretta a Lui, in una passione di amore e di sofferenza, abbracciata alla croce del suo Gesù, ha prodotto poi uno stile caratteristico di preghiera, ha generato un dinamismo operativo impressionante, diretto soprattutto in modo particolare ai più bisognosi e ai sacerdoti. L’esperienza dell’amore di Dio fatta da Madre Speranza merita, credo, anche una sottolineatura particolare riguardo al tema del perdono. Dio ci ama misericordiosamente perché perdona sempre, anzi come sole dire la Madre “dimentica, perdona, non tiene in conto le miserie dei suoi figli”. Questa lezione evangelica, senza la quale non c’è santità, la Madre l’ha imparata dal cuore stesso di Dio, vincendo anche le resistenze umane che aveva come tutti noi. 39 Con questo non intendo dire che il messaggio di M. Speranza riduca il perdono di Dio a una specie di condono buonista, che lascia tutto come sta e cancella la responsabilità morale dei nostri atti. La confusione tra il bene e il male, quasi che fossero un fatto soggettivamente relativo, è il peggior servizio che possiamo rendere alla misericordia di Dio ed è, sicuramente, tra le cause che hanno gettato un’ombra di “sospetto” inquietante sulla stessa concezione del perdono misericordioso di Dio. Con estrema chiarezza, il Papa Benedetto XVI sottolinea, nel suo ultimo libro-intervista, che è pericoloso opporre una “Chiesa del diritto” a una “Chiesa dell’amore”, facendo spegnere “la consapevolezza che la punizione può essere un atto di amore”. E definisce questo “uno strano oscuramento del pensiero”.40 Il messaggio di M. Speranza non intende misconoscere la funzione pedagogica della “correzione”, ma farci cogliere l’identità di un Dio che è amore, e nel quale ogni dimensione, anche la correzione, fa parte dell’amore (cf Eb 12, 5-7) Chi si sente amato da Dio e rifatto nuovo da un perdono che è continuo gesto creatore e redentore, va entrando progressivamente nella dinamica di questo amore che non si stanca di capire, di “scusare l'intenzione quando non può giustificare l'azione”, com’era solita dire M. 39
“Ricordo, figlie mie, che stando a Roma, nei primi tempi della fondazione, c’era una suora che mi dava un po' di grattacapi... la vedevo come una farfalla girando di qua e di là e pregavo il Signore per lei. Pregavo sì, ma a volte mi veniva meno la pazienza - non avevo capito che dovevo usare nei suoi confronti più pazienza che rigore. Un giorno, ci trovammo nella casa vecchia, le suore stavano nell’orto dove sorge attualmente la casa generalizia. Quel giorno ero nera, perché quella figlia me l’aveva combinata grossa. Stando in casa mi affacciai a una finestra che dava sull’orto e, vedendo quella suora mi dicevo: “Se potessi stare lì... ma appena viene le do una penitenza che non se la scorda finché campa!”. Ero immersa in questi pensieri, quando passò un uomo con un carro carico di frutta, tirato da un cavallo. Mentre passava davanti alla finestra dove io mi trovavo, il cavallo inciampò e cadde, spargendo per terra tutta quella frutta. Quell’uomo senza badare alla frutta perduta, si apprestò a liberare il cavallo, lo aiutò ad alzarsi da terra e, con gran delicatezza lo accarezzava e gli puliva le ferite perché la polvere non provocasse un’infezione. Io contemplavo la scena mentre aspettavo quella figlia per darle una bella penitenza; ero talmente assorta in quest’idea che non pensavo alla lezione di quella caduta del cavallo. In quel momento ebbi una distrazione e dissi: “Signore, perché debbo vedere la scena di questo cavallo?”. Dice: “Non ti rendi conto?” – “No, perché? Cosa c’entro io con questo cavallo?”. “Sì che c’entri con questo cavallo, perché tu stai aspettando una figlia per farle questo e quello, dato che sta facendo delle cose che non ti sembrano giuste; ed é una creatura, un’anima a me consacrata, e tu, appena viene, gliene dirai tante e le darai una penitenza, che non scorderà facilmente... Che ha fatto quell’uomo con il suo cavallo? Avrai notato come si é preoccupato di aiutarlo ad alzarsi e gli ha pulito bene le ferite perché la polvere non le infettasse, senza badare alla perdita economica provocata dalla caduta”. ... Quando arrivò quella figlia l’abbracciai perché, francamente, la lezione fu così grande che non ero capace di dirle niente” Ivi, pp. 187-188. 40 Benedetto XVI, Luce del mondo, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2010, p. 47. Chiarissimo in proposito è anche il pensiero di Giovanni Paolo II: “È ovvio che una cosi generosa esigenza di perdonare non annulla le oggettive esigenze della giustizia. La giustizia propriamente intesa costituisce per cosi dire lo scopo del perdono. In nessun passo del messaggio evangelico il perdono, e neanche la misericordia come sua fonte, significano indulgenza verso il male, verso lo scandalo, verso il torto o l'oltraggio arrecato. In ogni caso, la riparazione del male e dello scandalo, il risarcimento del torto, la soddisfazione dell'oltraggio sono condizione del perdono” (Dives in misericordia, Libreria Editrice Vaticana, Roma 1980, pp. 75-76). 15
Speranza. Ho accennato che lei imparò il perdono alla scuola della misericordia divina e dalle prove sofferte. Abbondano nei suoi scritti le testimonianze in proposito. Ne cito solo alcune, prese da ciò che ha scritto in alcuni dei momenti più critici della sua vita: “Molte volte vi ho detto che dobbiamo perdonare coloro, che sono divenuti nemici della nostra amata congregazione e di questa vostra madre, e vi dico che non solo dobbiamo perdonarli, ma amarli e scusarli, perché i poveretti non si rendono conto di ciò che dicono o fanno. Sono ciechi, e, tenete presente, figlie mie, che per comportarci in questo modo verso i nostri nemici è necessario che i nostri cuori siano dominati dall'amore, dalla presenza di Gesù e dal desiderio di piacergli in tutto”41. Sappiamo, per la testimonianza diretta delle persone vissute con lei fin dai primi tempi, che M. Speranza faceva di tutto per nascondere la sofferenza causata da queste prove; e ciò che maggiormente la preoccupava era che si venisse meno alla carità. In mezzo a queste vicende è commovente anche una sua preghiera, dove fa suoi gli stessi sentimenti che ha imparato dal cuore di Dio: “Io ti prego, Padre di Amore e misericordia: dimentica, non tenere in conto, perdona e tieni presente che questi poveretti agiscono così perché sono ciechi. Dimentica, Gesù mio, il male che vogliono farmi e pensa al bene che hanno fatto alla mia povera anima;... ti prego, Gesù mio, che li perdoni e abbia compassione di tutti, me lo concederai, Gesù mio?... Io non desidero altro che il perdono per tutti quelli che ti hanno offeso con questa persecuzione”42. Viene spontaneo riconoscere, in questo atteggiamento, il riflesso della preghiera di Gesù sulla croce: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno!” (Lc 23, 34). 8. SANTITÀ COME AMORE CHE ACCOGLIE E INTERCEDE L’ultimo trentennio della vita di M. Speranza è trascorso a Collevalenza. In questo momento culmine della sua vita dice di se stessa di sentirsi come un flauto che diffonde la melodia della misericordia, o come la portinaia del buon Dio che apre le braccia a tutti per avvicinarli al cuore del Padre. Così scrive in una circolare ai figli e alle figlie, parlando della sua attività nel Santuario dell’Amore Misericordioso: “Io, amati figli e figlie, debbo dirvi che vivo dei giorni di vera gioia ed emozione… per la fortuna del compito che in questi mesi vengo svolgendo nella casa di nostro Signore, facendo da portinaia di coloro che soffrono e vengono qui a bussare a questo nido di amore, affinché Lui, come Padre pieno di bontà, li perdoni, dimentichi le loro follie e li aiuti in questi momenti di dolore. Sto qui, figli miei, ore ed ore, giorni e giorni, accogliendo poveri, ricchi, anziani e giovani, tutti carichi di grandi miserie morali, spirituali, corporali e materiali. E una volta finita la giornata vado a presentare al buon Gesù, piena di fede, fiducia e amore, le miserie di ognuno, pienamente sicura di non stancarlo mai, perché so che Lui, da vero Padre, attende con ansia che io interceda per tutti quelli che da Lui sperano il perdono, la salute, la pace e tutto ciò di cui ha bisogno la loro vita, e che io gli dica in nome di tutti loro, non una ma molte volte: “Padre, perdonali, dimentica tutto, sono anime deboli che, nella loro infanzia, non sono state nutrite con il solido alimento della fede e oggi, attaccate al fango pesante della natura e trascinate dal forte vento della corruzione, precipitano in fondo al mare senza avere forze per navigare”. E Lui che è tutto Amore e Misericordia specialmente per i figli che soffrono, non mi lascia delusa, e così, con gioia, vedo confortate il gran numero di anime che si affidano all’Amore misericordioso”.43 41
Circulares, p. 111. Cf Ib., p. 86. Diario, 16.09.1941. 43 Ib., 19.12.1959. 42
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9. COMPIMENTO DELLA SANTITÀ: UN AMORE CHE SI DONA FINO ALLA FINE Quella del “compimento” è la chiave con cui il Vg secondo Giovanni legge l’amore di Gesù portato “fino alla fine” (Gv 13,1; 19,28-30). Anche M. Speranza che, fin da giovane religiosa, aveva fatto il voto di vittima all’Amore misericordioso, offrendosi in particolare per i sacerdoti del mondo intero, può dire alla fine della sua vita “È compiuto!”. Ha concepito sempre la vita consacrata come uno stato di olocausto per il Signore e per la sua gloria: “Nel momento in cui si consacra al servizio di Gesù, un’anima deve sforzarsi per perpetuare sulla terra il suo sacrificio in qualità di vittima sacrificata… Ma al sacrificio deve unire l’amore e così metteremo in pratica la bella dottrina del Santo Evangelo che dice: “Non può essere mio discepolo chi non prende la sua croce e mi segue. Il mio comandamento è questo: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati”” Lei stessa ha vissuto in prima persona questa dimensione di un amore che si dona fino alla consumazione totale. Gli ultimi anni della sua vita sono stati caratterizzati da un progressivo “scomparire” nel silenzio, nella preghiera e nell’immolazione serena di una vita che volge al compimento. Amava usare, oltre all’immagine del chicco di frumento che muore, anche quella della “patata che marcisce per dare vita a nuovi figli”. Diventava, così, testimone vivente del processo spirituale portato al suo grado supremo, che alcuni anni prima aveva descritto in questo modo: “Da questo stato passa l’anima all’immolazione e qui non deve pesare né misurare qual è la maggiore o minore gloria di Dio, perché questo lavoro lo ha già fatto nello stato anteriore… A quest’anima, che cos’altro rimane da fare? Deve ancora salire qualche grado? Permane ancora in lei quella soddisfazione umana che aveva dimenticato e verso la quale era già diventata indifferente, perché l’aveva sacrificata tutte le volte che vedeva esser gradito a Dio questo sacrificio. C’è ancora in lei abbastanza di questa soddisfazione, e sono gli ultimi vestigi delle aderenze che ritardano e impediscono il suo volo. Perché l’anima in questo stato vuole portare a termine l’olocausto, distaccarsi, bruciare e consumare tutto con un desiderio supremo e vere ansie di immolazione, spogliamento e rinuncia a ciò che è creato per raggiungere solo l’unione con il suo Dio. Ciò che caratterizza questo stato è l’ansia di immolazione, la fame di sofferenza, la sete di sacrificio e la passione per le croci. L’anima non vuole ormai lasciar sussistere in lei niente di quanto è creato, nessun attaccamento a se stessa, ma solo il suo Dio, lei si immola, lei immola tutto, tutto ciò che ha e tutto ciò che è, e si annulla per non lasciare vivere in lei altro che il suo Dio. Lei è crocifissa con Gesù, lei è morta e la sua vita è nascosta con Gesù Cristo”44. Ci aiuti il Signore a seguire questo esempio così luminoso, diventando anche noi una luce di misericordia dovunque c’è oscurità. Collevalenza 29 settembre 2013 Festa del Santuario dell’Amore Misericordioso e compleanno di Madre Speranza di Gesù
P. Aurelio Pérez García Fam
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El pan 8, 253-255. 17