Le forme della metrica tradizionale nella canzone italiana - Xoom.it

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Le forme della metrica tradizionale nella canzone italiana. (Anno scolastico 2001 /2002 – Classe 2 B Liceo scientifico – Prof. Fabrizio Galvagni). Ricordate ...
Le forme della metrica tradizionale nella canzone italiana (Anno scolastico 2001/2002 – Classe 2 B Liceo scientifico – Prof. Fabrizio Galvagni)

Ricordate L'amica di nonna Speranza? la poesia di Guido Gozzano che abbiamo letto all'inizio del secondo quadrimestre? Ad un certo punto l'autore, grande “artigiano della parola”, fa cantare alle due amiche (Carlotta e Speranza, appunto) alcuni “dolci bruttissimi versi” di Giuseppe Giordani, musicista del Settecento napoletano di intonazione arcadica: Caro mio ben credimi almen! senza di te Languisce il cor! Il tuo fedel sospira ognor, cessa crudel tanto rigor! Versi davvero brutti, o almeno lontanissimi dalla nostra sensibilità. Ci credereste? Ritroviamo lo stesso schema metrico e gli stessi quinari tronchi nel testo di una canzone di uno dei gruppi rock italiani in auge nei primi anni Settanta: la Formula Tre: Che cosa c'è negli occhi tuoi negli occhi miei Che cosa c'è. Io lo conosco questo momento ecc. Un puro caso? Vediamo un altro esempio: se analizziamo il testo di una nota una canzonetta, portata al successo negli anni Sessanta da Orietta Berti, Fin che la barca va, notiamo con stupore che essa utilizza gli stessi versi di cui si servì Leopardi quando scrisse i suoi idilli : endecasillabi, settenari e quinari: Il grillo disse un giorno alla formica: «Il pane per l'inverno tu ce l'hai, perché poi ti lamenti per il vino: aspetta la vendemmia e ce l'avrai» [...] Fin che la barca va lasciala andare, fin che la barca va tu non remare ecc. L'effetto – inutile dirlo – è decisamente diverso da quello dei Canti leopardiani.

Ed ora concediamoci un esempio un poco dissacrante: avete mai provato a cantare Sapore di sale, nota canzone di Gino Paoli, sull'aria dell'Inno di Mameli? Viene perfettamente. Naturalmente è possibile anche fare il contrario. Anche in questo caso possiamo reperire (e anche senza troppa fatica) un esempio illustre nella tradizione colta: Dagli atri muscosi, dai Fori cadenti, dai boschi, dall'aspre fucine stridenti, dai solchi bagnati di servo sudor ecc. É il noto incipit del coro dell'atto III dell' Adelchi di Alessandro Manzoni (in questo caso si tratta di senari doppi, ma il risultato non cambia). Scherzi dovuti al caso? A questo punto direi proprio di no: troppa è la consapevolezza espressiva con cui la maggior parte dei cantautori cura i propri testi per poter liquidare il tutto con le categorie della casualità. Pensiamo, ad esempio, a come Paolo Pietrangeli abbia reinterpretato il vigore tribunizio di quel Dagli atri muscosi... in quella sua canzone (forse la più nota) che è stata uno degli inni del Sessantotto in Italia: Compagni dai campi / e dalle officine, prendete la falce, / impugnate il martello. Scendete giù in piazza, / picchiate con quello. Scendete giù in piazza, / forzate il sistema ecc. Altri gli oppressori e altri gli oppressi; e altro naturalmente il clima politico! Eppure un qualcosa di dei versi manzoniani (o, se volete, dell'impeto risorgimentale dei versi di Mameli) resiste ed è vivo (inconsciamente?) anche in Pietrangeli. Ritroviamo quello stesso irruente senario di cui s'è appena detto, anche in un altro cantautore storico: Francesco Guccini. Muta però il tono, che si fa tono pensoso, riflessivo, intimo. Leggiamo l'incipit di Il vecchio e il bambino: Un vecchio e un bambino si preser per mano e andarono insieme incontro alla sera; la polvere rossa si alzava lontano il sole brillava di luce non vera. Ecc. Il senario, quando lo si modella attorno a una melodia, sembra esaltare la sua versatilità: lo ritroviamo, in tempi recentissimi, nel testo di una canzoncina frivola di tale Valeria Rossi (questa volta in senari trocaici con accenti su I, III e V sillaba): C'è solo una cura io so che lo sai è una stanza vuota io mi fiderei bravo puoi capire

cose che non sai sei il tuo guaritore sei nel tuo mondo dammi tre parole sole, cuore, amore ecc. Un dato è certo: tra i cantautori, almeno fino agli anni Ottanta, hanno comunque trionfato i versi della tradizione colta. Angelo Branduardi, ad esempio, utilizza spesso, anche accostandoli, quinario e settenario (Se tu sei cielo): Se tu sei cielo è a te che volerò e sul tuo seno le ali piegherò [...] Ma se sei vento vento di mare prima tempesta e poi riparo il tuo passo leggero mi segue sulla via e sei tu che cammini sulla terra che ho. Non disdegna però anche un verso marziale come il decasillabo, piegandolo però alla dolcezza trasognata delle sue canzoni (Tema di Leonetta): Tu sei quella che siede in disparte a spiar come danzan le altre. Sempre il prossimo giro tu aspetti per entrare nel ballo anche tu. Ecc. Il settenario è assai frequentato dal già citato Francesco Guccini (Canzone quasi d'amore): Non starò più a cercare parole che non trovo per dirti cose vecchie con il vestito nuovo, per raccontarti il vuoto che al solito ho di dentro ecc. De André ricorre spesso a versi inusuali, come il novenario a ritmo trocaico (Via del Campo), accentato sulla terza e sulla sesta sillaba: Via del Campo c'è una graziosa gli occhi grandi color di foglia

tutta notte sta sulla soglia vende a tutti la stessa rosa ecc. oppure si serve del verso classico per eccellenza, l'endecasillabo (La guerra di Piero): Dormi sepolto in un campo di grano, non è la rosa, non è il tulipano che ti fan veglia dall'ombra dei fossi, ma sono mille papaveri rossi. Nella canzonetta leggera è assai presente anche un verso poco usato dai poeti: l'ottonario; si pensi a canzoni come Una lacrima sul viso di Bobby Solo; Una rotonda sul mare di Fred Buongusto; alle più note Acqua azzurra, acqua chiara di Lucio Battisti o Hanno ucciso l'Uomo Ragno degli 883. Chi avrebbe mai pensato che una canzone di Bobby Solo si servisse della stessa struttura metrica di cui si sono serviti poeti del calibro di Lorenzo il Magnifico (Quant'è bella giovinezza / che pur fugge tuttavia ecc.) o di Sandro Penna? È pur dolce ritrovarsi per contrada sconosciuta. Un ragazzo con la tuta ora passa accanto a te. Ecc. Ma nessun verso è di per sé né buono né cattivo, né leggero né impegnato: dipende dalle capacità dell'autore il quale, non dimentichiamolo, ha a disposizione un grande strumento capace di modellare anche il verso più ostico: la musica. Così ritroviamo lo stesso ottonario di Una lacrima sul viso (ma con il primo accento sulla II sillaba) nei versi di una canzone drammaticamente lirica come La canzone del bambino nel vento, meglio nota come Auschwitz, ancora di Francesco Guccini: ad Auschwitz c'era la neve e il fumo saliva lento ecc. Nella canzonetta di consumo è ben attestato anche l'endecasillabo: Piccola Katy, stanotte hai capito che carezzandoti ti hanno tradito e alle tue mani han rubato il calore che si conquista in un’ora d’amore e in questo mattino di grigia foschia... Ecc.

Qualche poeta neocrepuscolare? No: i Pooh. Gli anni Ottanta hanno visto l'affermarsi di una nuova generazione di cantautori, spesso alla ricerca di nuovi linguaggi; i loro testi sfuggono alle strutture della versificazione tradizionale, oppure la

stravolgono, la violentano: si pensi alle canzoni di Lucio Dalla, di Francesco De Gregori, di Vasco Rossi, tanto per citare alcuni nomi, che indulgono all'andamento discorsivo e al tono colloquiale, accelerano la sillabazione o la rallentano bruscamente, in una sorta di dialogo/contrapposizione con la linea melodica “naturale”. Del resto nemmeno i cantautori tradizionali, quelli che abbiamo chiamato “storici”, sono rimasti indenni da questa “rivoluzione”; paradossalmente, anche quando si sono liberati dagli schemi metrici, in realtà non hanno fatto altro che servirsene con più libertà. Facciamo un esempio: dalla fine degli anni Ottanta molte delle ballate gucciniane sono caratterizzate da una versificazione lunga, discorsiva. Ebbene: essa è spesso ottenuta dall'accostamento libero di versi tradizionalissimi; pensiamo ad Amerigo, canzone in cui Guccini usa un doppio settenario facendolo “chiudere” da un normalissimo quinario: Probabilmente uscì / chiudendo dietro a sé / la porta verde Qualcuno s'era alzato / a preparargli in fretta / un caffè d'orzo ecc. O ancora, come nella Canzone delle situazioni differenti, dove gioca letteralmente con doppi settenari (talvolta ipermetri) ed endecasillabi: Andammo i pomeriggi cercando affiatamento scoprivo gli USA e i rari giornaletti ecc. Paradossalmente la più conservatrice dal punto di vista metrico è la canzonetta leggera di ultima generazione. Così nei testi di uno degli ultimi prodotti dell'industria discografica, Tiziano Ferro, ritroviamo uno dei versi storici della tradizione lirica italiana, il doppio settenario martelliano, usato tra gli altri da Goldoni, Giacosa, Carducci e, in Francia, nientemeno che da Molière: Perdono sì quel che è fatto è fatto io però chiedo / Scusa... regalami un sorriso io ti porgo una / Rosa... su questa amicizia nuova pace si / Posa... perché so come sono infatti chiedo.../ Perdono... ecc.

E via di questo passo. Ugualmente nei testi scritti da Cesare Cremonini per i Lunapop incontriamo tranquillamente quinari e endecasillabi della miglior tradizione. Vorrei, vorrei che tu fossi felice in ogni istante vorrei,vorrei stare insieme a te così per sempre, pero, lo sai che io vivo attraverso gli occhi tuoi

Come si è potuto vedere la metrica non è solo “cosa di scuola” o strumento di cui, nei tempi passati, poeti barbogi si sono serviti per scrivere le loro opere. Essa è presente nell'esperienza quotidiana più di quanto non si creda; lo abbiamo constatato studiando i testi delle canzoni. Se scavassimo in quella miniera di messaggi che è la pubblicità, vi assicuro che ne scopriremmo delle belle... Ma per ora basta così: sarà per un'altra volta.