I temi del Congresso riguardano aree come “ metodi innovativi di .... Il contributo
della Chimica alla conservazione e al restauro delle opere policrome.
Società Chimica Italiana Divisione di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali
Seminario Scientifico–Tecnico Dipartimento Scienza dei Materiali Università del Salento
col patrocinio di:
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Acaya Golf Hotel Acaya, Vernole (Lecce), 11 - 15 Giugno 2007
ATTI DEL CONGRESSO
SCOPO DEL CONGRESSO La Chimica è una tra le più importanti discipline scientifiche in grado di fornire elementi conoscitivi per lo sviluppo di azioni atte a salvaguardare l’uomo, la qualità della vita e l’habitat naturale. La Chimica, inoltre, è in grado di supportare politiche di sviluppo sostenibile e affrontare emergenze planetarie, spesso legate a un irrazionale uso delle risorse. La Chimica, come scienza al servizio dell’umanità, dimostra dunque la sua forza creativa nell’innovazione tecnologica, nei nuovi materiali e nei processi industriali puliti e, allo stesso tempo, nel settore dei Beni Culturali, offre strumenti metodologici per la salvaguardia e valorizzazione. In questo senso, la Chimica si propone come “Scienza di Vita” a difesa degli equilibri naturali e per la tutela delle opere frutto dell’ingegno umano. Il X Congresso Nazionale della Divisione di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali vuole, dunque, mettere in risalto questi aspetti, confrontando le più avanzate esperienze scientifiche in campo nazionale. La scelta di Acaya, esempio di cittadella medioevale fortificata, vuole esaltare il connubio tra “Ambiente e Beni Culturali” in un’area, il Salento, dove la conservazione del patrimonio naturalistico e storico-culturale diventano strumenti di un armonico sviluppo del territorio. I temi del Congresso riguardano aree come “ metodi innovativi di conoscenza e indagine, prevenzione, protezione e qualità”. All’interno di queste trovano spazio importanti problematiche come “la bonifica dei siti contaminati e la valutazione del rischio ambientale, gli inquinanti prioritari e le nuove direttive per le sostanze chimiche, l’ inquinamento di aree urbane e la salute umana, la depurazione delle acque e gestione dei rifiuti, la conservazione e valorizzazione dei beni culturali.
Nicola Cardellicchio Presidente della Divisione di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali
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COMITATO SCIENTIFICO Angelo Albini, Università di Pavia Ezio Bolzacchini, Università Bicocca, Milano Luigi Campanella, Università La Sapienza, Roma Nicola Cardellicchio, CNR-IAMC, Taranto Antonella Casoli, Università di Parma Alfredo Castellano, Università del Salento Maria Perla Colombini, Università di Pisa Massimo Del Bubba, Università di Firenze Gianluigi De Gennaro, Università di Bari Angelo Dell’Atti, Università del Salento
Franco Dell’Erba, CRC - Taranto Paola Gramatica, Università dell’Insubria, Varese Nadia Marchettini, Università di Siena Gioacchino Micocci, Università del Salento Luciano Morselli, Università di Bologna, Rimini Fabrizio Passarini, Università di Bologna Roberto Ramadori, CNR-IRSA, Roma Corrado Sarzanini, Università di Torino Antonio Tepore, Università del Salento Pietro Tundo, Università di Venezia
COMITATO ORGANIZZATORE Cristina Annicchiarico, CNR-IAMC, Taranto Alessandro Buccolieri, Università del Salento Giovanni Buccolieri, Università del Salento Micaela Buonocore, Università di Bari Antonella Di Leo, CNR-IAMC, Taranto Vittorio Esposito, Consorzio INCA, Lecce
Santina Giandomenico, CNR-IAMC, Taranto Floriana Pizzulli, Università di Bari Stefania Santoro, CNR-IAMC, Taranto Mariella Siciliano, Università del Salento Lucia Spada, Università di Bari
SEGRETERIA SCIENTIFICA E ORGANIZZATIVA Nicola Cardellicchio CNR - Istituto per l’Ambiente Marino Costiero, via Roma 3, 74100 Taranto Tel. 099 4542208/206/207, Fax 099 4542215, e-mail:
[email protected]
CON IL PATROCINIO DI: Regione Puglia, Provincia di Lecce, Comune di Vernole, ARPA Puglia, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Consorzio Interuniversitario INCA, Ordine Interprovinciale dei Chimici di Lecce e Brindisi, Ordine dei Chimici di Taranto, S.C.I. – Gruppi Interdivisionali Green Chemistry e Scienza e Tecnologia degli Aerosol, WWF.
ARTICOLAZIONE DEL CONGRESSO Il Congresso è articolato in conferenze plenarie, comunicazioni orali e poster. Le comunicazioni orali hanno la durata di 20 minuti, compresa la discussione. Il formato dei poster non deve superare la dimensione di 80 x 100 cm. I poster saranno affissi il primo giorno e per tutta la durata del Congresso.
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Si ringraziano gli sponsor: Analitica S.a.s., CEM, Chebios, Consorzio Interuniversitario INCA, Ecomondo, FKV, Italgest, Labozeta, LabService, Lenviros S.r.l., Levanchimica, Monticava, Osservatorio di Campi Salentina, Perkin Elmer, Sea Marconi Technologies S.a.s., Seminario Scientifico Tecnico - Università del Salento, Shimadzu, Solvay Chimica Italia S.p.a., STD Italia S.r.l., Systea, Varian, Zanichelli.
CHEBIOSSud s.s.r.l. Ch emistr y and Bi och emi str y Sol uti on s
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PROGRAMMA LUNEDÌ, 11 giugno 2007 Arrivo dei Congressisti all’Acaya Golf Hotel 17.00-20.00 20.00
Registrazione dei partecipanti Cocktail di benvenuto - Acaya Golf Hotel
MARTEDÌ, 12 GIUGNO 2007 8.00-9.00
Registrazione dei partecipanti
9.00-10.00
Cerimonia inaugurale: saluto delle Autorità, apertura del Congresso Consegna delle Medaglie a Personalità scientifiche della Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali Consegna delle Medaglie della Divisione a: LUCIANO MORSELLI, Università di Bologna, Sede di Rimini MARIA TERESA VASCONCELOS, Università di Porto Consegna della”Medaglia Liberti”a: LUIGI CAMPANELLA,Università “La Sapienza”, Roma CONFERENZE AD INVITO Presiedono: M. Del Bubba, C. Sarzanini
10.00-10.40
L. Morselli La Chimica dei Beni Culturali: il degrado dovuto all’azione degli inquinanti
10.40-11.20
M.T. Vasconcelos Influence of salt marsh plants on levels and speciation of trace metals in sediments and water column in case of sediment re-suspension
11.20-11.40
Coffee break SESSIONE: ANALISI DI RISCHIO E BIOINDICATORI
11.40-12.00
A. Marcomini, A. Critto, C. Micheletti, E. Semenzin L’analisi di rischio ecologico nella gestione dei siti contaminati
12.00-12.20
D. Brigolin, F. Rampazzo, D. Berto, S. Covelli, S. Predonzani, M. Giani, R. Pastres Un modello matematico per lo studio degli impatti delle attività di mitilicoltura sulla chimica dei sedimenti superficiali
12.20-12.40
S. Girotti, L. Bolelli, E. Ferri, E. Maiolini, M. G. Fumo, N. Barile, P. Fonti I bioindicatori nel monitoraggio ambientale: batteri bioluminescenti, mitili, squali ed api
12.40-13.00
M. Bernardello, E. Centanni, S. Noventa, D. Berto, M. Formalewicz, M. Giani, B. Pavoni Metodiche per la determinazione di composti organostannici: applicazione al mollusco bioindicatore Nassarius nitidus nella laguna di Venezia
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13.00-14.30
Intervallo pranzo SESSIONE: SITI CONTAMINATI, DEPURAZIONE, RIFIUTI Presiedono: G. Petruzzelli, R. Ramadori
14.30-14.50
L. Campanella, R. Antiochia, F. Borzetti, P. Ghezzi, E. Martini, M. Tomassetti Il Vetiver una nuova opportunità per la fitodepurazione da metalli pesanti: prestazioni e comportamento
14.50-15.10
S. Doumett, A. Cincinelli, D. Fibbi, L. Lepri, S. Mancuso, M. Del Bubba Applicazione di tecniche di fitoestrazione per la bonifica di suoli contaminati da metalli pesanti
15.10-15.30
C. Alisi, R. Musella, F. Tasso, C. Ubaldi, S. Manzo, A. R. Sprocati Biorisanamento di suolo contaminato da diesel mediante bioaugmentation con un consorzio microbico autoctono, isolato dal sito di Bagnoli-Coroglio
15.30-15.50
C. Di Iaconi, G. Del Moro, R. Ramadori, A. Lopez Applicazione su scala dimostrativa della tecnologia a biomasse granulari per il trattamento dei reflui municipali
15.50-16.10
C. Bonserio, A. M. Losacco, M. Muolo, F. Tedeschi Laser induced breakdown spectroscopy (LIBS) monitoring emission produced by a plasma torch for the treatment of wastes
16.10-16.30
M. L. Feo, M. Sprovieri Metodi di decontaminazione da idrocarburi policiclici aromatici in sedimenti marini: soil washing e reagente di Fenton
16.30-16.50
Coffee break Presiedono: N. Marchettini, P. Bruno
16.50-17.10
G. Pojana, E. Corrocher, A. Fantinati, D. Vallotto, A. Marcomini Sostanze farmaceutiche in ambienti costieri: comportamento negli impianti di trattamento sversanti in laguna di Venezia
17.10-17.30
F. Italiano, A. Agostiano, F. Milano, L. R. Ceci, F. DeLeo, R. Gallerani, L. Giotta, A. Dell’Atti, A. Buccolieri, G. Buccolieri, M. Trotta Interazione fra metalli pesanti e batteri fotosintetici rossi anossigeni
17.30-17.50
R. Terzano, M. Spagnuolo, B. Vekemans, K. Janssens, P. Ruggiero Alcune applicazioni di tecniche microanalitiche che impiegano raggi X di sincrotrone per lo studio di metalli nel suolo e nella pianta
17.50-18.10
B. De Tommaso, G. Mascolo, C. Malitesta, G. Bagnuolo, V. F. Uricchio, G. Brunetti Applicazione della tecnica TD/GC/MS per la determinazione diretta di PCB in campioni di suolo contaminati
18.30-19.30
RIUNIONE DOCENTI GRUPPO CHIM12
20.30
VISITA AL CASTELLO DI ACAYA
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MERCOLEDÌ, 13 giugno 2007 CONFERENZA AD INVITO Presiedono: L. Morselli, F. Passarini 9.00-9.40
L. Campanella Ambiente e Beni Culturali: un ponte per la Chimica fra passato,presente e futuro SESSIONE : TECNICHE DI INDAGINE PER I BENI CULTURALI
9.40-10.00
P. Baraldi, F. Paccagnella, P. Zannini Development of complementary microscopic techniques in the analysis of cultural heritage materials
10.00-10.20
L. Campanella, F. Borzetti, R. Dragone, P. Galli La datazione di manufatti cementizi: un problema ancora aperto
10.20.10.40
F. Adduci, A. Buccolieri, G. Buccolieri, A. Castellano, R. Cesareo, L. S. Leo, F. Vona La fluorescenza a raggi X in dispersione di energia (EDXRF) per lo studio della tela “San Felice in Trono” di Lorenzo Lotto
10.40-11.00
L. Campanella, C. Costanza, A. D’Aguanno Applicazioni di un fotosensore di persistenza ambientale a carte antiche
11.00-11.20
Coffee break SESSIONE: QUALITÀ DELL’ARIA E PARTICOLATO ATMOSFERICO Presiedono: E. Bolzacchini, G. De Gennaro
11.20-11.40
M. Amodio, P. Bruno, M. Caselli, P. R. Dambruoso, B. E. Daresta, G. de Gennaro, P. Ielpo, V. Paolillo, C. M. Placentino, M. Tutino Monitoraggio e composizione chimica del PM2.5 e PM10 in Puglia
11.40-12.00
P. Bonanni, A. Giovagnoli, C. Cacace, R. Gaddi Impatto dell’inquinamento atmosferico sul patrimonio storico-artistico italiano: definizione del rischio ambientale-aria nell’area del comune di Roma
12.00-12.20
A. Bergamo, A. Buccolieri, G. Buccolieri, I. Carofalo, A. Dell’Atti, M. R. Perrone Caratterizzazione chimica di particolato atmosferico frazionato
12.20-12.40
P. Fermo, A. Piazzalunga, R. Vecchi, G. Valli, M. A. De Gregorio Levoglucosan, a tracer for wood combustion in Milan particulate matter
12.40-13.00
L. Pasti, F. Dondi Frazionamento in campo termico-flusso di particelle submicroniche
13.00-14.30
Intervallo pranzo SESSIONE: BENI CULTURALI Presiedono: L. Campanella, F. Dell’Erba
14.30-14.50
A. Proto, M. Alfano, M. Passamano, A. Farina, C. Scarabino, D. Alfano, O. Motta Archeologia, ambiente e salute
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14.50-15.10
E. Campani, A. Casoli, K. Trentelman Studio di leganti organici in provini simulanti la pittura murale
15.10-15.30
A. Maccotta, P. Fantazzini, M. Gombia, M. Brai, M. Marrale Indagini NMR su legni moderni e antichi
16.00
VISITA OASI NATURALISTICA WWF DELLE CESINE
20.00
Cena libera in Hotel
21.15
VISITA GUIDATA ALLA CITTÀ DI LECCE ALLA SCOPERTA DEL BAROCCO
GIOVEDÌ, 14 giugno 2007 CONFERENZA AD INVITO Presiedono: A. Casoli, L. Rampazzi 9.00-9.40
P. Cremonesi Il contributo della Chimica alla conservazione e al restauro delle opere policrome SESSIONE: QUALITÀ DELL’ARIA E PARTICOLATO ATMOSFERICO Presiedono: M. Caselli, A. Piazzalunga
9.40-10.00
P. Barbieri, L. Di Monte, S. Cozzutto, C. Vezzil, F. Lo Coco, P. Sist, B. Scaggiante, A. Bandiera, R. Urbani Studies on stack emissions: defining policyclic aromatic hydrocarbons profiles for source apportionement and protocols for toxicity testing
10.00-10.20
M. Amodio, P. Bruno, M. Caselli, G. de Gennaro, M. R. Saracino, M. Tutino Monitoraggio indoor di composti organici volatili e caratterizzazione delle principali sorgenti emissive
10.20-10.40
E. Filippo, D. Manno, A. Serra, T. Siciliano, M. Tepore, P. Ielpo, M. Caselli Caratterizzazione morfologica e composizionale del particolato aerodisperso di origine urbana e industriale in due città del sud Italia
10.40-11.00
L. Ferrero, S. Petraccone, M. G. Perrone, G. Sangiorgi, B. Ferrini, Z. Lazzati, C. Lo Porto, E. Bolzacchini, A. Riccio, E. Previtali, M. Clemenza Altezza dello strato di rimescolamento e variazioni nella distribuzione dimensionale del particolato atmosferico lungo profili verticali nell’area urbana milanese
11.00-11.20
Coffee break SESSIONE: BENI CULTURALI Presiedono: O. Chiantore, M. P. Colombini
11.20-11.40
R. Ploeger, D. Scalarone, O. Chiantore Caratterizzazione di colori alchidici per artisti
11.40-12.00
A. Diamanti, F. Valentini, G. Palleschi, E. Tamburri, M. L. Terranova, S. Bellezza, P. Albertano Studio analitico dei processi di deterioramento di alcuni materiali lapidei e strategia enzimatica di recupero
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12.00-12.20
A. Andreotti, I. Bonaduce, U. Bartolucci, A. Ceccarini, M. P. Colombini, A. Favara Un progetto per la salvaguardia degli affreschi del camposanto monumentale di Pisa
12.20-12.40
S. Iacopini, E. Joseph, R. Mazzeo, D. Prandstraller, S. Prati Indagini analitiche su manufatti in argento dal sito archeologico di Classe (Ravenna)
12.40-13.00
F. Adduci, G. Buccolieri, A. Buccolieri, A. Castellano, L. S. Leo, C. Ragusa, F. Vona Studio delle cause di degrado della basilica di Santa Croce a Lecce: la risalita capillare dei sali solubili
13.00-14.30
Intervallo pranzo
14.30-15.30
SESSIONE POSTER
15.30-16.00
RIASSUNTO DEI POSTER Presiedono: A. Casoli, L. Morselli SESSIONE: BENI CULTURALI Presiedono: A. Castellano, A. Taticchi
16.00-16.20
A. R. Sprocati, C. Alisi, F. Tasso, N. Barbabietola, E. Vedovato Isolamento di ceppi batterici calcinogenici dalla tomba etrusca della Mercareccia (Tarquinia) ed ipotesi di una loro applicazione nel biorestauro
16.20-16.40
L. Rampazzi, B. Rizzo, C. Colombo, C. Conti, M. Realini, U. Bartolucci, M. P. Colombini Le decorazioni in stucco della chiesa di S. Lorenzo (Laino, Como): studio della tecnica artistica
16.40-17.00
S. Lorusso, A. Natali, C. Matteucci Diagnosi e digitalizzazione del Codice Dantesco Phillips 9589
17.00-17.20
F. Adduci, A. Buccolieri, G. Buccolieri, A. Castellano, M. Di Giulio, V. Nassisi, L. Sandra Leo Laser cleaning per la rimozione selettiva dei prodotti di corrosione su manufatti bronzei di interesse storico-artistico
17.20-17.40
A. Genga, M. Siciliano, T. Siciliano, A. Tepore, A. Traini, A. Mangone, C. Laganara Coloranti e opacizzanti in frammenti vitrei di età medioevale: caratterizzazione chimico-fisica
17.40-18.00
R. Giorgi, D. Chelazzi, E. Carretti, P. Baglioni Sistemi “soft-matter” per la pulitura di superfici pittoriche
18.00-20.00
ASSEMBLEA DELLA DIVISIONE
21.00
CENA SOCIALE
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VENERDÌ, 15 GIUGNO 2007 CONFERENZA AD INVITO Presiedono: G.Crippa, P. Gramatica 9.00-9.40
M. Sabetta Il regolamento Reach: prospettive, problematiche, strategie. Le imprese italiane utilizzatrici di sostanze chimiche di fronte alla nuova politica comunitaria SESSIONE: REGOLAMENTO REACH, INQUINANTI EMERGENTI, PRINCIPIO DI SOSTITUZIONE
9.40-10.00
E. Papa, P. Gramatica Approcci QSAR per l’identificazione di composti chimici persistenti, bioaccumulabili e tossici (PBTs), come supporto predittivo per il REACH e la Chimica Sostenibile
10.00-10.20
V. Esposito, A. Maffei, L. De Vitis Inquinanti organici emergenti in ecosistemi sensibili. Il caso dei ritardanti di fiamma
10.20-10.40
V. Librando, A. Alparone Relazione attività–struttura di nitro-derivati di idrocarburi policiclici aromatici
10.40-11.00
L. Canesia, C. Ciacci, L. C. Lorusso, M. Betti, G. Gallo, G. Poiana, A. Marcomini Emerging contaminants in the aquatic environment: effects on a sentinel organism, the mussel Mytilus
11.00-11.20
Coffee break Presiedono: A. Marcomini, F. Mangani
11.20-11.40
S. Brivio, M. Riccio Il Processo NEUTREC®: una tecnologia di riferimento nella depurazione dei fumi e nella valorizzazione dei prodotti residui
11.40-12.00
L. Balest, G. Mascolo, C. Di Iaconi, A. Lopez Rimozione di sregolatori endocrini (EDC) mediante trattamenti biologici innovativi
12.00-12.20
L. Lopez, N. Cardellicchio Inquinanti prioritari in bacini marino costieri: analisi ed ipotesi di recupero ambientale
12.20-12.40
S. Ciavatta, T. Lovato, C. Micheletti, R. Pastres Analisi di sensitività e di incertezza di un modello di bioaccumulo di POP applicato alla laguna di Venezia
12.40-13.00
M. DellaGreca, M. R. Iesce, S. Montanaro, L. Previtera, M. Rubino, F. Temussi Fotodegradazione di farmaci in condizioni ambientali
13.00
CONCLUSIONI E CHIUSURA DEL CONGRESSO
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SESSIONE POSTER SESSIONE: BENI CULTURALI (BC) BC01
M. Berzioli, E. Campani, A. Casoli, P. Cremonesi Enzimi lipolitici nel restauro: studio applicativo per la rimozione di sostanze filmogene naturali
BC02
E. Campani, A. Casoli, P. Cremonesi, I. Saccani, E. Signorini Studio preliminare per l’utilizzo di gel rigidi di agar e agarosio nel restauro delle opere policrome
BC03
E. Campani, A. Casoli Uno studio per la conoscenza dei leganti pittorici del dipinto “Sacra Conversazione” di Palma il Vecchio
BC04
P. Croveri, O. Chiantore La diagnostica chimica per il monitoraggio dello stato di conservazione del patrimonio monumentale
BC05
A. Maccotta, M. Marrale, M. Brai, P. Fantazzini Indagini EPR su legni moderni e antichi
BC06
F. Pinzari, M. Montanari Diagnostica di alterazioni chimiche e biologiche su carte antiche per mezzo di un SEMVP con rivelatore BSD e sonda EDS
BC07
F. Pinzari, M. Montanari, I. Renda, F. Lonero, C. Fanelli, L. Fachechi, D. Bellusci, S. Greco Potenzialità di applicazione di un naso elettronico all’individuazione precoce del biodeterioramento nei materiali cartacei
BC08
C. Riedo, D. Scalarone, O. Chiantore Riconoscimento di gomme vegetali di interesse nei beni culturali mediante pirolisi accoppiata con idrolisi e metilazione termicamente assistita
BC09
A. Taticchi, A. Marrocchi, M.L. Santarelli, V. Librando, M.C. Ginnasi, L. Minuti Sviluppo di una metodologia innovativa per la conservazione di beni culturali
BC10
A. Taticchi, A. Marrocchi, M.L. Santarelli, M.C. Ginnasi, L. Minuti Inibitori di cristallizzazione salina e beni culturali. Il caso studio del mosaico di Orfeo e le Fiere (Perugia)
BC11
A. Diamanti, F. Valentini, G. Palleschi, E. Tamburri, M.L. Terranova, S. Bellezza, P. Albertano Diagnosi analitica del biodeterioramento su materiali lapidei: strategie di recupero via lipasi e Gox.
BC12
A. Diamanti, F. Valentini, G. Palleschi, E. Tamburri, M.L. Terranova, S. Bellezza, P. Albertano Strategie analitiche di rimozione delle patine superficiali su supporti lapidei, a base di enzimi lipasi ed amilasi
11
BC13
C. Boschetti, A. Corradi, E. Kamseu, C. Leonelli Il “Sealing-Wax Red Glass” nel mosaico romano: studio archeometrico e riproduzione sperimentale
BC14
S. Lorusso, C. Matteucci, A. Natali, S. Tumidei Analisi storico-stilistica e diagnostica del dipinto a olio su metallo “Cristo Crocifisso con due angeli dolenti”
BC15
M.P. Colombini, I. Degano, G. Cambini, D. Digilio Caratterizzazione dei materiali impiegati in una seta dipinta tramite tecniche cromatografiche
BC16
M.P. Colombini, I. Degano, J.J. Łucejko, G. Bacci Coloranti organici negli arazzi: un approccio multi-analitico
BC17
L. Rampazzi, C. Corti, B. Giussani, M. Guzzo, M. Marelli, B. Rizzo Classificazione di malte storiche: il caso studio del Castrum Altomedioevale di Laino (Como)
BC18
A. Mangone; L.C. Giannossa, R Laviano, L. Sabbatini, A. Traini Tecnologia di produzione della ceramica in epoca romana
BC19
A. Augenti, C. Fiori, A. Genga, M. Siciliano, S. Tontini, M. Vandini Indagini archeometriche sul vetro tardoantico e medievale da Classe (Ravenna)
BC20
R. Mazzeo, S. Prati, E. Joseph, E. Kendix Mapping ATR-FTIR nella caratterizzazione e localizzazione stratigrafica di materiali artistici ed archeologici
BC21
L. Famà, A. Serra, D. Manno, A. Siciliano, R. Vitale, G. Sarcinelli Analytical method for the characterization of coins with high percentage of Ag
BC22
M. Magrini, E. Ramous, I. Calliari Metallurgical and technological study of bronze objects of ancient venetic people
BC23
L. Campanella, C. Costanza, M. Tomassetti Confronto di dati termoanalitici, biosensoristici e di persistenza ambientale per carta invecchiata artificialmente e per campioni di legno di noce invecchiati naturalmente
BC24
L. Campanella, C. Costanza, A. D’Aguanno Confronto tra metodi per la determinazione dell’andamento del pH nel tempo di carte invecchiate naturalmente, scritte e non.
BC25
L. Campanella, P. Ciancio Rossetto, T. Gatta, R. Grossi, M. Tomassetti Caratterizzazione di malte e stucchi del teatro di Marcello e del portico di Ottavia in Roma
BC26
L. Campanella, C. Costanza, A. D’Aguanno, R. Grossi, M. Missori Fotosensore per la misura della protezione di carta di vario tipo anche invecchiata artificialmente
BC27
A. Smeriglio, G. Nava, C.O. Rossi, S.A. Ruffolo, G.A. Ranieri Indagini diagnostiche sui dipinti “Preghiera di Tobia e Sara” e “L'Arcangelo Raffaele si rivela a Tobi e a suo figlioTabia”
12
BC28
A. Beneduci, M.C. Gallucci, S. Gigliotti Studio storico-artistico e diagnostico-materico su un affresco del XV sec. rinvenuto nella Cappela dei Nobili del Duomo di Cosenza
BC29
M.P. Casaletto, F. Caruso, F.M. Mingoia, M.L. Testa, G. M. Ingo, T. de Caro, C. Ricucci Il progetto Atena: sistemi diagnostici e progettazione molecolare a tutela dei beni culturali
BC30
M.L. Amadori, F. Mangani, M., F. Palla, M. Sebastianelli Il restauro della Chiesa delle Anime Sante di Bagheria (Pa)
SESSIONE: QUALITÀ DELL’ARIA E PARTICOLATO ATMOSFERICO (QP) QP01
D. Baldacci, V. Benedetti, S. Parmeggiani, M. Stracquadanio, L. Tositti, S. Zappoli Analisi della componente carboniosa nel PM10 e nel PM2.5 nell’area urbana di Bologna
QP02
D. Baldacci, A. Musetti, S. Parmeggiani, M. Stracquadanio, L. Tositti, S. Zappoli Determinazione degli idrocarburi policiclici aromatici nell’area urbana di Bologna: conferme e anomalie
QP03
A. Benedetti, E. Errani, B. Fabbri, I. Gualandi, V. Poluzzi, I. Ricciarelli, M. Stracquadanio, S. Zappoli Ciclo giorno – notte di composti carbonilici nell’area urbana di Bologna
QP04
A. Cecinato, C. Balducci, G. Nervegna, M. Possanzini, G. Tagliacozzo Cocaina in aria ambiente, effetto inatteso dell’abuso di droghe
QP05
D. Cesari, D. Contini, A. Donateo, S. Francioso, F. Belosi Caratterizzazione del contenuto di metalli pesanti nel particolato atmosferico a Lecce
QP06
E. Bernardi, C. Chiavari, C. Martini, D. Prandstraller, L. Morselli Simulazione di run-off su materiali esposti all’aperto
QP07
M. Possanzini, C. Balducci, G. Nervegna, A. Cecinato, G. Tagliacozzo Carbonili volatili nell’aria di Roma: confronto tra ambienti interni ed esterni
QP08
M. Caselli, G. de Gennaro, P. Ielpo, L. Trizio Sviluppo di una rete neurale di tipo “feed forward back propagation” per la previsione di PM10: confronto con un modello di regressione multivariata
QP09
M.V. Russo, G. Cinelli, I. Notardonato, P. Avino Valutazione dell’adsorbente XAD-2 per il campionamento e l’arricchimento d’inquinanti organici persistenti (POPs) in atmosfera
QP10
A. Buccolieri, G. Buccolieri, N. Cardellicchio, A. Dell’Atti Variazioni temporali dal 2002 al 2005 di metalli pesanti nel PM10 prelevato nel Salento
QP11
L. de Gennaro, P. Bruno, M. Caselli, G. de Gennaro, E. Andriani, M. Brattoli, M.A. De Leonibus, A.E. Parenza L’inventario delle emissioni in atmosfera per la Regione Puglia: le emissioni da riscaldamento residenziale e terziario
13
QP12
G. Cecchetti, M. Iacobucci, M.E. Conti Controllo dell’esposizione alla formaldeide in relazione alla nuova classificazione IARC
QP13
V. Librando, G. Tringali, G. Perrini, Z. Minniti, S. D’Amico Caratterizzazione della componente organica del particolato atmosferico di aree ad elevato interesse storico e culturale
QP14
V. Librando, G. Tringali, G. Perrini, Z. Minniti, S. D’Amico, M.C. Facchini, L. Emblico Caratterizzazione del particolato atmosferico segregato dimensionalmente nella città di Catania
QP15
V. Librando, G. Perrini, S. D’Amico, Z. Minniti, E. Foresti, I.G. Lesci, S. Petraroia, N. Roveri Caratterizzazione della componente inorganica ed organica del particolato atmosferico frazionato nella citta’ di Catania
QP16
C. Lo Porto, M.G. Perrone, G. Sangiorgi, L. Ferrero, S. Petraccone, Z. Lazzati, E. Bolzacchini Campionamento e composizione chimica del particolato atmosferico (PM10, PM2.5 e PM1) per l’area urbana milanese e per il sito remoto alpino di Alpe S. Colombano (M. 2260, SO)
QP17
S. Petraccone, M. Cameletti, A. Fassò, L. Ferrero, M.G. Perrone, C. Lo Porto, G. Sangiorgi, Z. Lazzati, E. Bolzacchini Mappatura dei dati storici di PM10 e ozono in Lombardia
QP18
G. Sangiorgi, L. Ferrero, M.G. Perrone, B. Ferrini, Z. Lazzati, C. Lo Porto, S. Petraccone, A. Balzarini, E. Bolzacchini, B. Larsen, M. Duane Profili verticali di composti organici volatili nell’atmosfera urbana di Milano
QP19
D. Cesari, D. Contini, A. De Marco, A. Genga, M. Siciliano, T. Siciliano Caratterizzazione chimico-fisica di particolato atmosferico in un sito di fondo urbano
QP20
G. de Gennaro, P. Bruno, M. Caselli, M. Brattoli, L. de Gennaro, M.A. De Leonibus, A.E. Parenza Valutazione dell’inquinamento olfattivo mediante olfattometria dinamica: indagine preliminare
QP21
E. Bolzacchini, L. Ferrero, B. Ferrini, Z. Lazzati, M. Orlandi, C. Lo Porto, G. Perrone, G. Sangiorgi, S. Petraccone, L. Zoia. Metodologie di caratterizzazione di residui polimerici nel particolato atmosferico
QP22
I. Lancellotti, M. La Robina, L. Barbieri, A. Corradi, C. Leonelli Rapid microwave heating of fly ash and borosilicate glass mixtures
QP23
B. Ferrini, L. Ferrero, M.G. Perrone, G. Sangiorgi, Z. Lazzati, C. Lo Porto, S. Petraccone, E. Bolzacchini, A. Riccio Importanza dello strato di rimescolamento nella relazione tra i valori di AOD ricavati da immagini satellitari e la concentrazione degli aerosol al suolo per la città di Milano
QP24
L. Barbieri, A. Corradi, I. Lancellotti, L. Morselli, F. Passarini, I. Vassura, A. Zardin Polveri da inceneritore: caratterizzazione e vetrificazione
14
QP25
L. Morselli, I. Vassura, F. Passarini, S. Ferrari Caratterizzazione chimica delle deposizioni atmosferiche nei pressi di un inceneritore
QP26
P. Ubbrìaco, A. Traini, D. Manigrassi, D. Calabrese Caratterizzazione delle ceneri volanti da CDR e delle miscele stabilizzate con legante a base laterizio/calce
QP27
W. Di Nicolantonio, A. Cacciari, E. Bolzacchini, L. Ferrero, B. Ferrini, M. Volta, E. Pisoni Utilizzo delle proprietà ottiche dell’aerosol derivate dal sensore MODIS per la stima delle concentrazioni di PM 2.5 a livello del suolo nel nord Italia
QP28
M. Giannoni, D. Vannucchi, T. Martellini, M. Del Bubba, A. Cincinelli, F. Lucarelli, S. Nava, M. Chiari, S. Becagli, R. Udisti, F. Rugi, L. Lepri La caratterizzazione chimica del PM10 in Toscana (progetto PATOS): 2. la componente carboniosa
QP29
F. Lo Coco, G. Vinci, P. Barbieri, G. Stani, D. Restuccia, G. Gasparini Hydrocarbons and inert gases determination of gases by-products of reforming processes by high speed gas analyser
QP30
M. Buonocore, N. Cardellicchio, L. Lopez, L. Spada Biomonitoraggio degli elementi in traccia nelle deposizioni atmosferiche mediante l’utilizzo del muschio Pleurochaete squarrosa
QP31
S. Becagli, C. Bommarito, E. Castellano, O. Cerri, M. Chiari, F. Lucarelli, F. Marino, S. Nava, A. di Sarra, D.M. Sferlazzo, M. Severi, F. Rugi, R. Traversi, R. Udisti Caratterizzazione chimica dell'aerosol nel Mar Mediterraneo. Un caso di studio: Isola di Lampedusa
QP32
R. Udisti, S. Becagli, E. Castellano, O. Cerri, A. Cincinelli, M. Chiari, M. Giannoni, L. Lepri, F. Lucarelli, T. Martellini, S. Nava, M. Severi, F. Rugi, R. Traversi Caratterizzazione chimica del PM10 in Toscana (progetto PATOS): 1. la componente inorganica
QP33
L. Campanella, D. Lelo Monitoraggio dell’aria (indoor e outdoor) nella città di Tirana
QP34
M.A. Benincasa, F. Borzetti, N. Caretto, R. Grossi, L. Campanella Biosensore amperometrico per la determinazione della tossicità integrale di particolato atmosferico
QP35
V. Librando, G. Perrini, S. D’Amico, Z. Minniti, G. Tringali Analisi HPLC-FD di composti mutageni nel particolato frazionato della città di Catania
QP36
M. Caselli, B. E. Daresta, G. de Gennaro, P. Ielpo, C. M. Placentino, A. Febo, A. Forgione, A. C. R. Imperatore, F. De Tomasi, M.R. Perrone, S. Di Sabatino Sistema integrato per il monitoraggio del particolato atmosferico (SIMPA)
QP37
M. Amodio, P. Bruno, M. Caselli, P.R. Dambruoso, G. de Gennaro, P. Ielpo, L. Trizio, A. Riccio, B. Bove, A.M. Crisci, G. Di Nuzzo, C. Mancusi, L. Mangiamele, G. Motta Andamenti del PM10 nelle regioni di Puglia e Basilicata
15
QP38
L. Tositti, D. Baldacci, S. Parmeggiani, S. Zappoli, M. Stracquadanio, D. Ceccato Speciazione inorganica di particolato atmosferico PM10 e PM2.5 nella citta’ di Bologna durante il progetto SITECOS
SESSIONE: INQUINANTI PRIORITARI (IP) IP01
E. Papa, H. Liu, P. Gramatica Screening, basato su modelli QSAR di composti chimici ad attività estrogenica
IP02
P. Gramatica , P. Pilutti, E. Papa Previsione della mutagenicita’ e genotossicita’ di composti aromatici policiclici mediante modelli QSAR
IP03
A. Giordana, A. Maranzana, G. Ghigo, M. Causà, G. Tonachini Theoretical study on PAH and soot structure and oxidation
IP04
C. Frazzoli, R. Dragone, A. Mantovani, C. Massimi, L. Campanella Implicazioni tossicologiche di nuovi contaminanti ambientali: il caso di Pd, Pt e Rh
SESSIONE: TECNOLOGIE DI TRATTAMENTO, BONIFICHE, RIFIUTI (TR) TR01
G. Mele, L. Jun, L. Palmisano, R. Słota, G. Vasapollo Photocatalytic degradation of organic pollutants in water: toward the design of a new generation of hybrid TiO2 based catalysts working under visible ligth
TR02
L. Campanella, R. Vitaliano, N. Bruzzese, N. Caretto, F. Borzetti Riutilizzo di acque reflue a seguito di trattamenti fotocatalitici con biossido di titanio per uno sviluppo sostenibile
TR03
F. Pedron, G. Petruzzelli La qualità del suolo nella bonifica dei siti contaminati: un aspetto trascurato
TR04
C. Della Torre, G. Pignolo, R. Urbani, P. Sist, A. Bandiera, A. Falace, M. Sesso, P. Plossi, P. Barbieri Brownfields beside recreational areas: some conceptual models and challenges for sensible remediation technologies
TR05
M. Girardini, L. Franz, L. Paradisi, A. Ceron, F. Loro, L. Bergamin, F. Germani, D. Formigoni, B. Pavoni Produzione di ammendante compostato verde: valutazione del processo e del prodotto
TR06
L. Morselli, L. Piccari, F. Passarini, I. Vassura Analisi di rischio associata alle emissioni di una discarica di rifiuti non
pericolosi
TR07
L. Zanin, L. Franz, L. Paradisi, M. Girardini, B. Pavoni Studio sulla definizione di biodegradabilità dei rifiuti di origine urbana e confronto sperimentale tra le principali metodologie di determinazione analitica
TR08
M. Muolo, M. Giannini, F. Tedeschi, C. Pappalettere ARC non-transferred plasma torch for waste treatment
16
TR09
M. Girardini, L. Franz, L. Paradisi, A. Ceron, F. Loro, L. Bergamin, F. Germani, B. Pavoni Aspetti metodologici dell’analisi del “dissolved organic carbon” nel compost: effetto del rapporto di eluizione e della granulometria del materiale
TR10
L. Morselli, V. Baravelli, D. Fabbri, A. Paludi, F. Passarini, I. Vassura Caratterizzazione chimico-fisica del car fluff ai fini della valorizzazione
TR11
A. Maccotta, P. Fantazzini, G. Alonzo, M. Gombia Indagine su fibre di carbonio e interazione con l’acqua mediante rilassometria NMR
TR12
E. Argese, S. Bedini, P. Figliola, U. Gamper, G. Rampazzo, C. Rigo, M. Simion, L. Zamengo Caratterizzazione delle componenti biotiche e abiotiche di un sito contaminato da ceneri di rifiuti solidi urbani
TR13
N. Cardellicchio, B.M. Petronio, M. Pietrantonio, M. Pietroletti, R. Caracciolo, L. Grifa Bonifica di sedimenti inquinati da metalli pesanti. Prove preliminari
TR14
M. Nicolì, E. Epifani, G. Ingrosso, L. De Vitis, A. Maffei, V. Esposito Efficacia di Phragmites australis nella fitorimediazione di terreni contaminati da idrocarburi policiclici aromatici (IPA): il caso di Cerano (Br)
SESSIONE: METODI INNOVATIVI DI INDAGINE (MI) MI01
L. Campanella, D. Lelo, E. Martini, M. Tomassetti Analisi di fitotossici con un biosensore ad inibizione enzimatica e studio di possibili interferenti, quando si operi in soluzione acquosa o in solvente organico
MI02
L. Campanella, N. Bruzzese, M. Aiossa, M. Papacchini, P. Di Gennaro, G. Bestetti Sviluppo di biosensori per il monitoraggio della contaminazione ambientale da idrocarburi mediante batteri ricombinanti
MI03
L. Lopez, C. Zambonin, F. Latanza Determinazione di metilxantine mediante cromatografia liquida (LC).
MI04
G. Anzilotta, T. Trabace, A. Palma Analisi di screening dei VOC nelle matrici solide e applicazione al controllo dei fanghi di depurazione
MI05
P. Iannece, D. Acanfora, O. Motta, A. Proto Determination of trace level perchlorate in drinking water
MI06
S. Ciavatta, C. Badetti, G. Ferrari, R. Pastres Stima dei tassi di produzione e respirazione in laguna di Venezia attraverso l’analisi di dati in continuo di qualità’ dell’acqua
MI07
M.C. Bruzzoniti, R.M. De Carlo, M. Fungi, C. Sarzanini Determinazione di metalli alcalini, alcalino-terrosi e di ammonio mediante cromatografia ionica in acque destinate a consumo umano
17
MI08
M.C. Bruzzoniti, R.M. De Carlo, S. Fiorilli, E. Garrone, B. Onida, A. Prelle, C. Sarzanini, F. Testa Separazione di ioni metallici in scambio cationico mediante substrati silicei mesoporosi funzionalizzati
MI09
M.C. Bruzzoniti, R.M. De Carlo, C. Sarzanini Separazione e arricchimento di tensioattivi anionici in matrici acquose mediante cromatografia ionica
MI10
A. Calisi, M.G. Lionetto, M.E. Giordano, T. Schettino Biomarkers nel lombrico Lumbricus terrestris
MI11
A. Di Leo, E. Prato, F. Biandolino, G. Calzaretti, E. Casalino, N. Cardellicchio Attività enzimatiche e induzione di metallotioneine nel Mytilus galloprovincialis esposto al cadmio
MI12
E. Erroi, M.G. Lionetto, M.E. Giordano, T. Schettino Studio di un nuovo bioassay in vitro basato sulla misura di inibizione dell’attività enzimatica di anidrasi carbonica
MI13
A. Genga, M. Lazzoi, A. Miceli, C. Negro, M. Siciliano, L. Tommasi Fitomonitoraggio: utilizzo della vegetazione esistente per la determinazione della qualità ambientale
MI14
G. Blo, C. Contado, C. Costa, F. Dondi, A. Pagnoni, A. Ceccarini, R. Fuoco Applicazione della tecnica combinata SDFFF-CID-ETAAS per la caratterizzazione di materiale particolato colloidale di interesse ambientale
MI15
G. Mangani, A. Tiberi Preparazione del campione ed analisi GC-MS di stirene ed altri VOC nelle resine poliestere insature.
MI16
L. Giotta, F. Italiano, F. Milano, A. Agostiano, M. Trotta Immobilizzazione di inquinanti su cellule batteriche: identificazione di siti di binding mediante spettroscopia ATR-FTIR differenziale
MI17
F. Pisani, L.R. Ceci, R. Gallerani, F. Italiano, M. Trotta, L. Zolla, S. Rinalducci, F. De Leo Analisi proteomica dell’efffetto del cobalto sull’apparato fotosintetico di Rhodobacter sphaeroides R26.1.
MI18
N.B. Barile, E. Nerone, G. Mascilongo, L. Bolelli, S. Girotti Risultati preliminari sull’utilizzo di sensori analitici biologici nel monitoraggio delle acque marine costiere
MI19
R. Matarrese, V. De Pasquale, S. Rochira, P. Cosma, M. Trotta, M.T. Chiaradia, G. Pasquariello Calibrazione di un profilatore per misure fluorimetriche in situ per lo sviluppo di modelli bioottici satellitari
MI20
F. LoCoco, D. Restuccia, G. Vinci , G. Adami Simple and rapid determination of polycyclic aromatic hydrocarbons in different wastewaters, sewage sludges and stream waters samples by liquid chromatography with fluorimetric and UV detection
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MI21
T.R.I. Cataldi, G. Bianco, G. Pace, S. Abate Identificazione di molecole segnale mediante cromatografia liquida e spettrometria di massa in trasformata di Fourier (LC-ESI-FTMS) ed implicazioni del quorum sensing in batteri gram-negativi coinvolti nei processi di biorisanamento ambientale
MI22
S. Cavalli, S. Ghirlanda, R. Al-Horr, C. Saini, R. Slingsby, C. Pohl Sviluppo di una nuova colonna per la misura di acidi aloacetici nell’acqua potabile con IC/MS e IC/MS/MS
MI23
S. Cavalli, S. Ghirlanda, S. Henderson, E. Francis, R. Carlson, B. Murphy, B. Dorich, B. Richter Determinazione di contaminanti ionici in matrici diverse usando la tecnica di estrazione accelerata con solvente (ASE®)
MI24
M. Riess, S. Ghirlanda, S. Cavalli, J. Richardson, M. Wolf Determinazione HPLC di ritardanti di fiamma polibromurati (PBFR). Ottimizzazione e miglioramento dei test ROHS. Paragone dei metodi HPLC/UV, HPLC/MS e GC/MS
SESSIONE: SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE E MONITORAGGIO (SM) SM01
R. Ridolfi, R.M. Pulselli, A.C. I. Pizzigallo, S. Bastianoni Integrating environmental aspects in traditional economic evaluation: the case Province of Pescara
of the
SM02
N. Marchettini, F.M. Pulselli, E. Tiezzi Thermodynamics and anthropic systems: a physical view of globalization
SM03
L. Guzzi, G. Tartari Il data-base limno per la valutazione previsionale della sensibilita’ al mercurio degli ecosistemi lacustri italiani
SM04
G. Mele, M. Fiorentino, E. Margapoti, M. Palazzo, M. Serafino, L. Vasanelli, G. Vasapollo Environmental sustainability of agro-industrial processes toward the extraction of fine chemicals: utility of a web Geographic Information System
SM05
A. Buccolieri, G. Buccolieri, A. Castellano, A. Dell’Atti, L.S. Leo, L. Rizzo Misure di radon nella falda del Salento
SM06
E. Filippo, D. Manno, A.R. De Bartolomeo, M. Di Giulio, A. Serra
A biosensor based on silver nanoparticles embedded in starch for determination of hydrogen peroxide SM07
G. Adami, E. Reisenhofer, S. Cozzi, C. Cantoni, L. Celic , P. Barbieri. F. Lo Coco Parametri chimici in prossimità della “sediment-water interface” di un’area del golfo di Trieste esposta agli scarichi dell’impianto di depurazione cittadino
SM08
N. Calace, B.M. Petronio, M. Pietrantonio, M. Pietroletti Analisi del materiale particolato in acque naturali
SM09
C. Annicchiarico, N. Cardellicchio, A. Di Leo, S. Giandomenico, L. Guzzi, W. Martinotti, S. Santoro, L. Spada La biomagnificazione del mercurio nel Mar Piccolo di Taranto
19
SM10
L. Trianni, S. Giandomenico, A. Giangrande, N. Cardellicchio Valutazione dell’accumulo di policlorobifenili (PCB) nel polichete Sabella spallanzanii
SM11
N. Cardellicchio, A. Di Leo, C. Annicchiarico, L. Lopez, L. Spada Contaminazione da elementi in traccia in sedimenti ed organismi del Mar Piccolo di Taranto: bioaccumulo e considerazioni ecotossiclogiche
SM12
N. Cardellicchio, S.Giandomenico, L.Lopez, F. Pizzulli, L. Spada Studio della distribuzione dei livelli di concentrazione di IPA in 5 carote di sedimento prelevate nel Golfo di Taranto
SM13
L. Canesi, C. Ciacci, M. Betti, R. Fabbri, G. Poiana, A. Marcomini Effects of commercial and purified nanosized carbon black (NCB) on molluscan immunocytes
SM14
A. Farina, C. Cavaliere, O. Motta, M. Capunzo, F. De Caro, A. Proto Migrazione globale in simulanti alimentari di manufatti polimerici monouso
SM15
A. Buccolieri, G. Buccolieri, N. Cardellicchio, D. Corlianò Caratterizzazione chimico-fisica delle acque di falda nel Salento
SM16
S. Noventa, E. Centanni, E. Pistolato, F. Garaventa, M. Faimali, B. Pavoni Contaminazione da composti organostannici e inquinanti organici persistenti (PCB, IPA, pesticidi clorurati) in molluschi gasteropodi affetti da imposex prelevati lungo la costa slovena
SM17
B. Giussani, D. Monticelli, E. Ciceri, A. Credaro, L. Rampazzi, A Pozzi, S. Recchia, C. Dossi Lago di Como: studio della distribuzione e della speciazione di metalli in traccia nel bacino lacustre mediante analisi multivariata
SM18
F. Zanon, N. Rado, E. Centanni, N. Zharova, B. Pavoni Contaminazione da composti organostannici in molluschi bivalvi della laguna di Venezia
SM19
D. Karamanis, G. Mele, P. Assimakopoulos, K. Ioannides, A. Katsikis, I. Leonardos, C. Papadopoulou, K. Stalikas, K. Stamoulis, C. Malitesta, R.A. Picca, L. Vasanelli, G. Vasapollo, E. Margapoti, N. Kotsios, A. Korou, K. Grinias, E. Mellos, A. Ciccolella The ECODONET project: Development of a model Web based virtual observatory of Acherontas, Kalamas and Torre Guaceto ecosystems and its application as a mobile exhibit and permanent environmental kiosk towards public awareness and sustainable development of coastal ecosystems
SM20
L. Guzzi, W. Martinotti Influenza delle caratteristiche sito-specifiche sulla metilazione del mercurio in ecosistemi acquatici fluviali
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PREMI TESI DI LAUREA Allo scopo di divulgare la cultura della Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali, nell’ambito del Congresso sono assegnati 5 premi da 500 € ciascuno per tesi di laurea in Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali a laureati dell’anno accademico 2005-2006. I premi sono stati offerti da: Ecomondo, Osservatorio di Campi Salentina, Sea Marconi Technologies S.a.s., STD Italia S.r.l., Zanichelli. I premi saranno consegnati nel corso della cena sociale. Sono risultati vincitori: Berzioli Michela Università di Parma Laurea Specialistica in Scienze per i Beni Culturali Titolo della tesi: Enzimi lipolitici nel restauro: studio applicativo per la rimozione di sostanze filmogene naturali. Boneschi Silvia Università di Bologna Laurea in Tecnologie Chimiche per l’Ambiente e la Gestione dei Rifiuti Titolo della tesi: Monitoraggio del fall-out atmosferico in prossimità di un termovalorizzatore per CDR. Lauri Vittorio Università di Torino Laurea Specialistica in Analisi e Gestione dell’Ambiente Titolo della tesi: Valutazione della stabilità/instabilità fotochimica della materia organica disciolta nelle acque naturali. Leo Laura Sandra Università del Salento Laurea in Fisica Titolo della tesi: UV laser cleaning e analisi EDXRF su manufatti in rame e su leghe Mancusi Carlotta Università di Roma Laurea in Chimica Titolo della tesi: Caratterizzazione di malte di interesse archeologico. Il caso studio del Rione Terra di Pozzuoli
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MEDAGLIE dELLA DIVISIONE
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Medaglia della Divisione per il 2007 al Prof. Luciano Morselli Dipartimento di Chimica Industriale e dei Materiali Università di Bologna - Polo di Rimini
Luciano Morselli è nato a Revere (Mantova) il 5 Agosto 1943. Laureato all'Università di Bologna in Chimica Industriale; dal 2001 è Professore Ordinario di Chimica dell'Ambiente e dei Beni Culturali nella Facoltà di Chimica Industriale - Polo di Rimini. Dal 1989 al 1992 è stato comandato quale esperto al Ministero dell'Ambiente a Roma (settore: gestione dei rifiuti). È stato ed è membro di Commissioni europee e nazionali su diverse tematiche ambientali inerenti rifiuti, Deposizioni Acide e Carichi Critici, Microinquinanti nei vari Comparti Ambientali. È stato membro della Commissione E.U. al D.G. XI (Priority waste streams) a Bruxelles e Berlino come esperto del Governo Italiano. Responsabile del Gruppo di Lavoro Atmosfera nel Programma di Monitoraggio Ambientale della Tenuta Presidenziale di Castelporziano presso il Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica (1992 - 2000). Dal 1998 al 2000 è stato Presidente della Divisione di Chimica dell'Ambiente della Società Chimica Italiana. È membro del Comitato scientifico EuCheMS-DCE e chairmen del sub-committee “Cultural Heritage Chemistry” (CHSC). Chairman e membro di Comitati Scientifici di diversi Congressi nazionali ed internazionali, tra i quali l’organizzazione della 10th EuCheMS-DCE International Conference on Chemistry and the Environment – Rimini Settembre 2005. Dal 1997 è Coordinatore del Comitato Scientifico ed Editore degli Atti di Ricicla/Ecomondo, la più importante Fiera annuale Italiana e seconda in Europa dedicata a Tecnologie e Sostenibilità ambientali. Dal 2001 è Presidente del Corso di Laurea triennale in Tecnologie Chimiche per l'Ambiente e per la Gestione dei Rifiuti - TECHIAR (Facoltà di Chimica Industriale, Università di Bologna – Polo di Rimini). Dal 2005 è il coordinatore del Progetto di Laboratorio a Rete LITCAR (“Laboratorio Integrato di Tecnologie e Controllo Ambientale nel Ciclo di Vita dei Rifiuti”), della Rete Alta Tecnologia, finanziato dalla Regione Emilia- Romagna. Ha pubblicato circa 100 articoli originali in riviste scientifiche internazionali e nazionali, e più di 150 lavori in Atti di Congressi nazionali ed internazionali, Curatore di più di 10 volumi ed altrettanti atti di Congressi nei settori di ricerca relativi alla Chimica dell'Ambiente e dei Beni Culturali. I principali temi di ricerca attivati sono: Tecnologie e Controllo Ambientale nel Ciclo di Vita dei Rifiuti; Gli strumenti per il controllo e la certificazione Ambientale; LCA- Valutazione del Ciclo di Vita; AR- Analisi di rischio; Sistema Integrato di monitoraggio Ambientale; Chimica dei Beni Culturali: interazione di inquinanti con materiali costituenti i Beni Culturali.
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Medaglia della Divisione per il 2007 alla Prof.ssa Maria Teresa Sá Dias Vasconcelos Dipartimento di Chimica, Facoltà di Scienze, Università di Porto (Portogallo)
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Medaglia “Liberti” per il 2007 al Prof. Luigi Campanella Dipartimento di Chimica,Università “La Sapienza” Roma
Laurea in Chimica e abilitazione alla professione di Chimico nel 1961. Libera docenza in Elettrochimica nel 1967. Professore Incaricato Stabilizzato, prima di "Esercitazioni di Chimica Industriale II", poi di "Esercitazioni di Analisi Chimica Applicata, presso l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" dal 1967 al 1980. Professore Ordinario di "Chimica Analitica" dall'a.a. 1980/81 all’a.a. 2002-2003 e di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali successivamente a tale data. Titolare di Chimica Agraria e poi di "Chimica del Suolo" dall'A.A. 1994/95 ad oggi, di "Chimica del Restauro" dall'A.A. 1998/99 ad oggi di Chimica degli Alimenti (Facoltà di Farmacia)dall’a.a.2003-2004, presso l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza". Presidente del Consiglio di Corso di Laurea in Chimica Industriale dal 1981 al 1983. Direttore del Dipartimento di Chimica dal 1983 al 1986. Dal 1988 al 1992. Coordinatore del Dottorato di Ricerca in Scienze Chimiche. Dal 1988 al 1994 Preside della Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali dell'Università "La Sapienza" di Roma. È autore di oltre 500 lavori nei settori della Chimica Analitica, dell'Elettrochimica, della Chimica Ambientale, delle Biotecnologie Analitiche,della Chimica dei Beni Culturali. In particolare ha preparato, caratterizzato ed applicato numerosi biosensori, basati su enzimi immobilizzati o su tessuti vegetali, per la determinazione di sostanze di interesse clinico, farmaceutico ed ambientale e per la datazione di reperti archeologici cellulosici. Con queste ricerche è entrato a far parte del Gruppo di Ricerca CEE su "Biosensori". Ha anche studiato l'applicazione di metodi chimici e biologici alla degradazione ed alla rimozione di inquinanti (tensioattivi, idrocarburi, pesticidi, metalli pesanti) in scarichi civili ed industriali. Ha partecipato ad oltre 500 Congressi Nazionali ed Internazionali. Presidente della Divisione di Chimica Analitica della Società Chimica Italiana negli anni 1989-1990 e di quella di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali nel triennio 2004-2006. Vice presidente della Società Chimica Italiana dal 1990 al 1992. Presidente del MUSIS (Museo Multipolare della Scienza e dell'Informazione Scientifica) dal 1991 ad oggi, Consigliere Scientifico del Sindaco di Roma dal 1993 al 1997. È membro di numerose Commissioni di Studio del CNR, del Ministero della Ricerca Scientifica e Tecnologica, dell'Università e dell'ENEA, fra le quali il Comitato per le Infrastrutture, per i Materiali Innovativi e per la Chimica del Ministero della Ricerca ed il Gruppo Metalli dell'Istituto Ricerca sulle Acque del CNR. Dal dicembre 2005 Presidente dell’Ordine dei Chimici Interregionale Lazio – Umbria – Abruzzo. Vincitore dell' "International Capire Prize for a creative future" 1994. Vincitore del premio Internazionale "Scuola Strumento di Pace" nel 1996. Vincitore della Medaglia 2003 della Divisione di Chimica Ambientale della Società Chimica Italiana. Vincitore del Premio SCIENCE FOR PEACE 2005 (USA Convention). E’ stato eletto Presidente della Società Chimica Italiana per il triennio 2008-2010.
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CONFERENZE AD INVITO
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LA CHIMICA DEI BENI CULTURALI. IL DEGRADO DOVUTO ALL’AZIONE DEGLI INQUINANTI Luciano Morselli Dipartimento di Chimica Industriale e dei Materiali, Università di Bologna - Polo di Rimini Viale Risorgimento 4, 40136 Bologna e-mail:
[email protected] La chimica, nel campo dei beni culturali, riveste senza dubbio un ruolo di primaria importanza, essendo coinvolta in tutte le fasi del Ciclo di vita di un bene. In questo contesto, un contributo fondamentale è richiesto alla chimica che si occupa dell’ambiente nel quale il bene è collocato. Diversi sono, infatti, i fattori che minacciano l’integrità del patrimonio culturale, uno di questi è di certo l’inquinamento atmosferico. Gli inquinanti che interagiscono con i beni culturali sono numerosi e ciascuno mostra differenti specificità, sia per quanto riguarda le sorgenti di provenienza che la reattività di ogni specie, in relazione alle sue caratteristiche chimico-fisiche, alla concentrazione rilevata, alle condizioni ambientali ed alle altre specie presenti mostrando effetti sinergici e agire prevalentemente su alcune tipologie di materiale. La Normativa ha prodotto un atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei, indicando valori limite raccomandati per gli inquinanti aerodispersi, ma ancora nulla in relazione ai limiti per i beni outdoor, anche se la UE, nella direttiva 96/62/EC, ha sottolineato la necessità di tutelare dall’inquinamento anche il patrimonio culturale esposto all’aperto. Per giungere a limiti in questo senso la strada è certamente difficile e deve passare attraverso la definizione di Carichi/Livelli Accettabili per ogni tipologia di Bene Culturale. Ciò richiede un percorso che va da una conoscenza di base relativa alla classificazione merceologica dei materiali costituenti ed alla loro durevolezza, alla funzione delle diverse condizioni ambientali meteoclimatiche alle quali sono soggetti (Indoor, Outdoor), ad una puntuale caratterizzazione delle singole specie inquinanti interagenti, alla conoscenza dei loro prevalenti percorsi di rimozione, allo studio delle varie azioni ed agli effetti che si possono manifestare. Questo percorso porta a definire i meccanismi di interazione che intervengono e a “pesare” ogni singolo fattore di degrado, per poter scegliere gli strumenti tecnico-scientifici più idonei per una corretta diagnostica e conservazione. Le recenti esperienze di ricerca prodotte presso il nostro Dipartimento studiano gli effetti degli attuali livelli di inquinanti, sia in atmosfera che nelle deposizioni, sui materiali costituenti i beni culturali, monitorando gli inquinanti, il degrado dei materiali ed investigando i meccanismi di azione, anche attraverso lo sviluppo di adeguate strumentazioni per l’invecchiamento accelerato. Un aspetto, per certi aspetti inedito, riguarda la valutazione degli effetti degli ossidi di azoto su materiale lapideo tal quale e trattato con prodotti protettivi e di investigare i processi di degrado di bronzi esposti alle deposizioni secche ed umide. Un progetto è in corso anche per valutare l’impatto di inquinanti e microclima sul patrimonio culturale moderno e contemporaneo.
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INFLUENCE OF SALT MARSH PLANTS ON LEVELS AND SPECIATION OF TRACE METALS IN SEDIMENTS AND WATER COLUMN IN CASE OF SEDIMENT RE-SUSPENSION M. Teresa S. D. Vasconcelos1,2, C. Marisa R. Almeida2, Ana P. Mucha2 1
Departamento de Química, Faculdade de Ciências, Universidade do Porto, Porto, Portugal e-mail:
[email protected] 2 CIMAR / CIIMAR – Centro Interdisciplinar de Investigação Marinha e Ambiental, Universidade do Porto, Porto, Portugal
In the last years increasing importance has been given to rhizoremediation of persistent toxic substances (PTS), which utilize the synergy between plants and micro-organisms of the rhizosphere (environment among roots). However, the efficiency of rhizoremediation will depend on several factors, namely as follows: (i) soil (or sediment) composition; (ii) contamination composition; (iii) environmental conditions (temperature, humidity, redox potential, pH, …); (iv) plant species; and (v) nature and abundance of micro-organisms. Therefore, monitoring and understanding rhizoremediation is difficult, requiring further investigation. Studies of rhizoremediation in estuarine environments are still very scarce, biogeochemistry at the rhizosphere of salt marsh plants and implications on speciation of trace elements and consequent availability to organisms which feed in pore water/water column being not well known yet. A project on these topics, involving different salt marsh plants (Halimiones portulacoides, Juncus maritimus and Scirpus maritimus), which have colonised estuarine sediments at Cavado, Douro and Sado rivers, from Portugal, is in progress. The project aims include the evaluation of concentration, uptake, availability/degradation of some PTS (metals, organic POPs - and butiltin compounds) in the selected estuarine environments, and their influence on the biological response of plants, which includes release and uptake of organic ligands by plants. Significant differences between sediments and rhizosediments have been found [1-4], rhizosediments presenting higher metal (and pesticide) contents, and metals more weakly bound to the sediment and more available. In addition, plants were able of accumulating metals from the medium and releasing root exudates, such as low molecular weight organic acid capable of complexing metals [5]. Very recent results (un-published yet) indicated that potential solubility of metals present in the rhizosediments was markedly higher than that of metals in the surrounding anaerobic sediments. The presence of sulphide in sediments and its absence in rhizosediments (as plants could oxidize their rhizosphere) played a decisive role in the observed behaviour. Therefore, the presence of vascular plants may cause a marked increase in metals concentrations in the dissolved phase (pore water/water column) in case of rhizosediment resuspension, which can result of both natural occurrences, like floods, and human interventions, such as plant removal or dredging affecting colonized areas. As salt marsh plants are abundant in many coastal areas, this phenomenon should not be disregard in future studies which are intended for supporting policy development for such coastal areas. Acknowledgements - This work was partially funded by Fundação para a Ciência e Tecnologia, Portugal, through fellowships awarded to A. P. Mucha (SFRH/BPD 7141/2001) and C. M. Almeida (SFRH/BPD 9430/2002) and the project POCTI/CTA/48386/2002
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References 1- C.M.R. Almeida, A.P. Mucha, M.T.S.D. Vasconcelos, Environ. Sci. Technol., 38, 3112, 2004 2- C.M.R. Almeida, A.P. Mucha, M.T.S.D. Vasconcelos, Mar Environ Res, 61, 424, 2006 3- C.M.R. Almeida, A.P. Mucha, M.T.S.D. Vasconcelos, Environ Pollut., 142, 151, 2006 4- C.M.R. Almeida, A.P. Mucha, M.T.S.D. Vasconcelos, Environ Sci Pollut Res, 12, 271, 2005 5- A.P. Mucha, C.M.R. Almeida, A. Bordalo, M.T.S.D. Vasconcelos, Estuarine Coastal Shelf Science, 65, 191, 2005
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AMBIENTE E BENI CULTURALI: UN PONTE PER LA CHIMICA FRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO Luigi Campanella Dipartimento di Chimica, Sapienza Università di Roma P.le A. Moro, 5 – 00185 Roma e-mail:
[email protected] Il ruolo della chimica nello sviluppo della società moderna è stato dapprima sostanzialmente euristico, caratterizzato cioè dalla acquisizione di risorse, di capacità produttive e di benefits. Successivamente il ruolo è cambiato: l'avanzamento nel livello di qualità della vita ha indotto la ricerca di garanzie da un lato per conservarlo ( e se è il caso per accrescerlo) e dall'altro per proteggere i cittadini e gli utenti dalle ricadute negative che l'elevato tasso di consumismo poteva produrre,in termini di ridotta sostenibilità. La prospettiva per il futuro è quella per una chimica che concili le sue due vocazioni riscoprendo il volto euristico, ma finalizzato al monitoraggio delle condizioni di garanzia. La salute,l'ambiente,gli alimenti,i beni culturali sono tutti settori della vita della ns società nei quali questa semplificazione storica essenzialmente vera- trova maggiori sedi di conferma. In particolare la Chimica dell'Ambiente e dei Beni Culturali ha vissuto questo processo con grande attinenza alla realtà sociale. I beni preziosi- particolarmente nel nostro Paese - di Ambiente e Beni Culturali sono stati dapprima scoperti nelle loro realtà complesse e poi protetti. In prospettiva, le future innovazioni dovranno tenere conto della rivoluzione correlata alle nuove strategie ed ai nuovi metodi per diffondere e quindi rendere accessibili e popolari quanto più possibile cultura e programmi di intervento.
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IL CONTRIBUTO DELLA CHIMICA ALLA CONSERVAZIONE E AL RESTAURO DELLE OPERE POLICROME Paolo Cremonesi Coordinatore scientifico Cesmar7 Centro per lo Studio dei Materiali per il Restauro, Via Mentana 5, 37128 Verona e-mail:
[email protected] Generalmente, la persona che osserva il dipinto - anche perché costretta ad una visione esclusivamente frontale - lo percepisce come mera “immagine pittorica”, ignorandone così la natura composita: una successione di strati (lo strato protettivo, gli strati pittorici, lo strato preparatorio, il supporto), che, anche se non visibili, sono funzionali all’immagine pittorica e alla sua permanenza. L’immagine è fatta di materia: anche questa banale affermazione, in realtà, è tutt’altro che scontata: spesso viene percepita come se fosse solo colore, quasi addirittura una proprietà immateriale. Di conseguenza, è piuttosto difficile che, osservando un dipinto, la persona pensi a quanta chimica è presente nella creazione e nella permanenza di quel dipinto! Quasi istintivamente, infatti, tendiamo a porre le “belli arti” in un’altra dimensione, sicuramente più vicina all’estetica, o alle discipline umanistiche, piuttosto che alle Scienze. Invece, tanta chimica è coinvolta nelle varie fasi dell’opera d’arte, dal momento della sua creazione al momento in cui arriva davanti agli occhi dello spettatore, o nelle nostre mani per il trattamento conservativo. Fin dai tempi più remoti, per dare espressione alla propria ispirazione, l’artista ha dovuto fare della chimica: per molti secoli inconsapevole, certo; ma comunque chimica. Pensiamo all’artista dei secoli trascorsi: come purificare i minerali per ottenere i pigmenti - le polveri colorate adatte a dipingere - o addirittura riuscire ad “estrarre” e fissare permanentemente su una matrice inerte il colore di certi organismi viventi, animali e vegetali, o addirittura come arrivare a sintetizzare materie coloranti partendo da sostanze diverse; e come riuscire a “legare” stabilmente queste polveri colorate, ricorrendo ad adesivi di origine naturale, in modo da formare una pittura. Come arrivare ad estrarre, manipolare, modificare queste materie prime, in modo da poterle utilizzare: tutto questo richiede operazioni chimiche. Il fatto sorprendente che queste opere siano arrivate a noi attraverso i secoli, indica che questa chimica, anche se inconsapevole, di fatto funzionava. Altra chimica poi è coinvolta nella permanenza dell’opera, nel suo passaggio nei secoli, nelle sue interazioni con un ambiente che in particolare negli ultimi cento-centocinquant’anni sembra essere diventato assolutamente ostile alla fragile consistenza della materia artistica! Ossigeno, luce, temperatura, umidità, inquinanti atmosferici, con le loro sollecitazioni chimico-fisiche sui materiali e gli strati, condizionano pesantemente il mantenimento dell’integrità strutturale e formale. Fino a quando riusciremo a tramandare questa creazione ai posteri? Qui si innesta la terza fase, il terzo ambito di coinvolgimento della chimica. Il nostro intervento finalizzato alla comprensione analitica dei materiali, sia quelli costitutivi che quelli che sono stati aggiunti nel corso dei secoli; alla diagnosi delle condizioni strutturali; alla definizione delle condizioni ottimali per la conservazione dell’opera; alla manutenzione della sua integrità e, nella maggior parte dei casi, al ripristino della stessa. Siamo ad un momento critico. Siamo ad un punto in cui assistiamo ad una grande confluenza di conoscenze e metodi scientifici intorno all’opera d’arte, intorno al restauro che nella tradizione italiana è invece ancora fresco di un’impostazione artigianale, di manualità e di saperi appresi e tramandati in bottega. Queste due realtà devono riuscire ad integrarsi con pari dignità, finalizzate a garantire la tutela di queste fragili creazioni della mente umana. Nella presentazione si percorreranno queste “tappe” del coinvolgimento della chimica nell’opera d’arte, con particolare riferimento alle opere policrome mobili, illustrandole con esempi.
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IL REGOLAMENTO REACH: PROSPETTIVE, PROBLEMATICHE, STRATEGIE. LE IMPRESE ITALIANE UTILIZZATRICI DI SOSTANZE CHIMICHE DI FRONTE ALLA NUOVA POLITICA COMUNITARIA. Mauro Sabetta Unione Industriale Torino Via Fanti, 17 10128 Torino, Italia e-mail:
[email protected] Prima del regolamento 1907/2006 (Reach) l’impalcatura normativa comunitaria che disciplinava il mondo delle sostanze e dei preparati pericolosi era basata su alcuni pilastri, rappresentati dalla direttiva 67/548/CEE (la cosiddetta direttiva madre, adeguata 29 volte al progresso tecnico), concernente le sostanze pericolose, dalla Direttiva 1999/45/CE, concernente i preparati pericolosi, dal Regolamento 850/2004, concernente i POPs , e dalla direttiva 76/769/CEE, riguardante le restrizioni all’immissione in commercio. Nonostante tutto, numerosi problemi si sono manifestati nel corso degli anni: si va dal numero limitato delle sostanze ufficialmente censite, alla eccessiva macchinosità delle procedure, ma principalmente si è posto l’accento sulla carenza di informazioni disponibili, soprattutto in merito alle sostanze esistenti da tempo sul mercato europeo. I lavori, che possono datarsi a partire dal giugno 1999, si sono conclusi con l’approvazione del regolamento 1907/2006, in vigore dal 1° giugno 2007. Per quanto riguarda il sistema industriale, uno dei timori che il mondo industriale ha sempre evidenziato è rappresentato dal concreto rischio che Reach si manifesti verso le imprese con la veste di un aumentato carico di oneri burocratici cui adempiere, che si tradurranno in un aggravio di costi senza un effettivo beneficio per la salute umana e l’ambiente. In sintesi, il sistema Reach risulta articolato nelle fasi di : Registration (Registrazione) : si tratta del primo stadio del sistema, dove le informazioni sulla produzione, l’impiego e la sicurezza delle sostanze, nel momento in cui loro quantitativi siano esse prodotte, importate od impiegate siano superiori ad una tonnellata per anno. Non si potrà fabbricare, importare o utilizzare un chemical se esso non sarà registrato (secondo il principio"no data, no market"). Evaluation (Valutazione): stadio seguente alla registrazione è la valutazione dei dati ricevuti e registrati: essa sarà condotta in stretta sinergia tra le autorità nazionali e autorità comunitarie. Authorisation (Autorizzazione): una autorizzazione sarà prevista per sostanze particolarmente pericolose per l'ambiente e la salute umana, ovvero le (sostanze C/M/R di cat. 1 e 2, i PBT, i vPvB ) (19), ed i distruttori endocrini. Tali sostanze dovranno essere appositamente indicate in appositi elenchi. Restrictions (Restrizioni): tale strumento agirà prescindendo dai livelli quantitativi e più radicalmente (vietandone l’impiego) di come agirà una autorizzazione. Si tratterà di attivare un dispositivo che raccolga l’eredità della direttiva 76/769/CEE, ma che sia più tempestivo ed efficace. Un software per gli Utilizzatori: una proposta concrete dal mondo dell’industria italiana Per far fronte ai numerosi obblighi che impatteranno a breve sulle imprese italiane, uno degli strumenti messi a punto è il software STAR (Software Tecnico Adempimenti REACH), realizzato dalla collaborazione posta in essere tra tre associazioni del sistema confindustriale: l’Unione Industriale Torino, l’ UNIC e Federlegno –Arredo, a disposizione delle imprese associate alle tre organizzazioni ed a tutte le altre imprese ed Enti che lo vorranno acquisire. Tale strumento, che sarà costantemente implementato, ha l’ obiettivo di essere di ausilio alle imprese che siano principalmente utilizzatrici di prodotti chimici.
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COMUNICAZIONI ORALI
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L’ANALISI DI RISCHIO ECOLOGICO NELLA GESTIONE DEI SITI CONTAMINATI Antonio Marcomini*, Andrea Critto*, Christian Micheletti*, Elena Semenzin§ * Dipartimento di Scienze Ambientali, Università Ca’ Foscari di Venezia, Calle Larga S. Marta 2137, 30123, Venezia e-mail:
[email protected] §
CVR – Consorzio Venezia Ricerche c/o VEGApark, Via della Libertà 5-12, 30175 Marghera, Venezia L’analisi di rischio ambientale rappresenta un supporto decisionale insostituibile per la formulazione di politiche sostenibili. In particolare, per la valutazione ed il risanamento di ecosistemi contaminati da sostanze chimiche, l’Analisi di Rischio Ecologico (ERA) è lo strumento utilizzato per identificare gli obiettivi di qualità e gli aspetti ecologici rilevanti da tutelare. Nel contesto normativo europeo, infatti, essa è stata posta alla base della Direttiva Quadro sulle Acque ed affiancherà l’analisi di rischio per la salute umana nella Direttiva Quadro sui Suoli di prossima emanazione. Attualmente l’analisi di rischio è già parte della legislazione nazionale della maggior parte degli Stati Membri. In Italia, essa è stata in parte recepita nel Testo Unico Ambientale di recente emanazione (D.lgs. 152/2006) come Analisi di Rischio per la Salute Umana nella definizione degli obbiettivi di qualità per la bonifica dei siti contaminati e come Analisi di Rischio Ecologico per la valutazione dello stato di qualità delle acque superficiali (recepimento della Direttiva 2000/60/EC). Si può prevedere quindi che in un prossimo futuro giocherà un ruolo ancora più rilevante nella valutazione e gestione dei siti contaminati nella loro complessità (suolo, acque e sedimenti), richiedendo un ulteriore sforzo a livello nazionale ed internazionale nello sviluppo, applicazione e validazione di metodologie e di strumenti applicativi. Verranno presentati i risultati di alcuni progetti nazionali ed internazionali volti allo sviluppo di specifiche procedure di Analisi di Rischio Ecologico per diversi siti contaminati (suoli, acque costiere e lagunari, bacini fluviali) variamente inquinati da sostanze chimiche. Tali metodologie sono state validate, o sono in corso di validazione, mediante applicazione a specifici casi di studio e sono state implementate, o sono in corso di implementazione, in Sistemi di Supporto alle Decisioni (DSS). Questi ultimi sono strumenti che rivestono un ruolo cruciale nel supportare l’analisi e la gestione dei siti contaminati da parte dei diversi attori coinvolti nel processo decisionale.
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UN MODELLO MATEMATICO PER LO STUDIO DEGLI IMPATTI DELLE ATTIVITA’ DI MITILICOLTURA SULLA CHIMICA DEI SEDIMENTI SUPERFICIALI Daniele Brigolina, Federico Rampazzob, Daniela Bertob, Stefano Covellic, Sergio Predonzanid, Michele Gianib, Roberto Pastresa a
Dip. Chimica Fisica, Università di Venezia, Dorsoduro 2137, 30123, Venezia e-mail:
[email protected] b ICRAM - Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica Applicata al Mare, Chioggia; c Dipartimento di Scienze Geologiche, Ambientali e Marine, Università di Trieste; d ARPA – Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente, Friuli Venezia Giulia. Durante lo scorso decennio la produzione di mitili in Italia ha subito un notevole aumento, raggiungendo le 105 tonnellate annue nel 2003. Questa tendenza è dovuta principalmente all’aumento del prodotto da maricoltura, che nel 2002 ha rappresentato circa il 70% della produzione totale di mitili. L’accumulo di bio-depositi organici, feci e pseudo-feci, prodotti dalle mitilicolture in sospensione è considerato come un potenziale impatto negativo di questa attività sull’ambiente bentonico. Infatti, l’arricchimento organico aumenta la domanda di ossigeno e può portare a condizioni di anossia nei sedimenti superficiali. Questo lavoro, sviluppato nel contesto del progetto europeo ECASA (http://www.ecasa.org.uk), ha come obbiettivo lo studio dell’impatto dei biodepositi organici rilasciati dalle mitilicolture in sospensione sui sedimenti sottostanti attraverso un approccio di tipo integrato. Questo approccio è basato sulla corroborazione di un modello matematico mediante l’utilizzo di un insieme di dati sito-specifici appositamente raccolti. La massa di bio-depositi organici che raggiunge i sedimenti, nell’area occupata dall’impianto di mitili, è stata calcolata utilizzando il modello di deposizione DEPOMOD (Cromey et al., 2002). I flussi di biodepositi rappresentano l’input per un modello del tipo trasporto-reazione che rappresenta i processi di prima diagenesi. Questo è stato implementato utilizzando l’ambiente di simulazione BRNS (Biogeochemical Reaction Network Simulator), sviluppato dal Dipartimento di Geochimica dell’Università di Utrecht. Il modello è stato progettato per simulare: • •
le principali reazioni di degradazione della materia organica; la dinamica delle principali specie chimiche coinvolte nei processi di prima diagenesi all’interno dei sedimenti superficiali e all’interfaccia tra acqua e sedimento.
I risultati ottenuti dall’applicazione del modello matematico sono stati testati utilizzando un set di parametri chimici del sedimento e delle acque interstiziali, raccolto in una mitilicoltura attiva a largo di Chioggia (Venezia) ed in una vicina stazione di controllo. Il confronto con i dati sperimentali fornisce alcune indicazioni circa la capacità del modello di predire la distribuzione spaziale dei bio-depositi organici che raggiungono i sedimenti. I profili predetti ed osservati indicano come la presenza dell’impianto di mitilicoltura porti ad un aumento delle concentrazioni di nutrienti nelle acque interstiziali, causando tuttavia impatti 40
notevolmente inferiori rispetto a quelli registrati in corrispondenza delle gabbie utilizzate per le attività di piscicoltura (Black et al., 2001). Sulla base dei risultati ottenuti, si ritiene che il modello matematico sviluppato possa costituire uno strumento utile allo studio degli impatti della mitilicoltura sulla biogeochimica dei sedimenti. Bibliografia Cromey, C.J., Nickell, T.D. & Black, K.D. Aquaculture 2002, 214, 211-239. Black, K.D. Envionmental impacts of aquaculture Sheffield academic press. 2001, 214 pp
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I BIOINDICATORI NEL MONITORAGGIO AMBIENTALE: BATTERI BIOLUMINESCENTI, MITILI, SQUALI ED API. Stefano Girottia, Luca Bolellia, Elida Ferria, Elisabetta Maiolinia, Maria Grazia Fumoa,c, Nadia Barileb, Paolo Fontic. a
Dipartimento di Scienza dei Metalli, Elettrochimica e Tecniche Chimiche- Università di Bologna, Via San Donato, 15, 40127 Bologna,
[email protected]. b Centro di Biologia Marina, Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e Molise “G.Caporale”, Viale Marinai d’Italia, 20, 86039 Termoli,
[email protected] c Gruppo CSA SpA, Istituto di Ricerca, Via al Torrente, 22, 47900 Rimini,
[email protected]. La presenza di sostanze che possono agire come inquinanti tossici è ormai estesa ad ogni settore dell'ambiente; la loro individuazione e quantificazione tempestiva è di primaria importanza al fine di limitare i danni conseguenti alla salute umana e/o alle altre componenti biotiche dell’ambiente stesso. Molti organismi possono essere impiegati come bioindicatori, cioè come utili strumenti che indicano, attraverso la semplice osservazione del loro comportamento o l’analisi chimica dei composti estranei trattenuti nei loro tessuti, lo stato di degradazione di un ecosistema. Questo articolo presenta alcune recenti ricerche sull’utilizzo, sotto diversi aspetti, di organismi bioindicatori per lo svolgimento di attività di monitoraggio di inquinanti diversi. Gli organismi finora impiegati sono stati: batteri bioluminescenti (BBL), mitili, squali ed api. L’osservazione dell’andamento della emissione luminosa dei batteri ha permesso di determinare la tossicità di metalli pesanti, idrocarburi in fanghi e morchie, queste ultime anche sottoposte a trattamenti di biorisanamento, per cui in questo caso i BLB erano impiegati come metodo di valutazione della procedura di risanamento. La tossicità dei metalli pesanti nell’acqua di mare è stata valutata osservando il comportamento dei mitili, mentre la loro presenza o distribuzione può essere determinata tramite analisi chimica dei tessuti di piccoli squali prelevati da specifiche aree. Inquinanti organici come i pesticidi sono stati rivelati con metodi immunochimici impiegando le api come organismi che effettuano ampi ed accurati campionamenti ambientali, ideali quindi come bioindicatori della contaminazione di acqua, aria, vegetali, suolo. Questa loro peculiare caratteristica è stata sfruttata anche nel rilevamento di organismi fitopatogeni. Bibliografia Girotti S., Bolelli L., Fini F., Ghini S., Porrini C., Sabatini A.G., Musiani M., Gentilomi G., Andreani G., Carpené E., Isani G. Luminescence. 2002, 17, 273-274. Coletti G., Gubiani F., Piccolo M., Luque de Castro M.D., Japón Luján R., Ferri E., Garcia Morante B., Bolelli L., Girotti S.. Luminescence. 2006, 21, 324-325. Girotti S., Bolelli L., Fini F., Monari M., Andreani G., Isani G., Carpené E. Chemosphere. 2006, 65 (4), 627-633.
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METODICHE PER LA DETERMINAZIONE DI COMPOSTI ORGANOSTANNICI: APPLICAZIONE AL MOLLUSCO BIOINDICATORE Nassarius nitidus NELLA LAGUNA DI VENEZIA Marco Bernardello a, Elena Centanni b, Seta Noventa b, Daniela Berto a, Małgorzata Formalewicz a, Michele Giani a, Bruno Pavoni b a
ICRAM, Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica Applicata al Mare, Loc. Brondolo, 30015 Chioggia (VE). b Dipartimento di Scienze Ambientali, Università di Venezia, Calle larga Santa Marta 2137, 30123 Venezia. e-mail:
[email protected] Le metodiche di analisi di composti organostannici in matrici ambientali mediante tecniche GC/MS consentono di determinare selettivamente le diverse classi di composti, tra cui tri-, die monobutilstagno (TBT, DBT e MBT), e richiedono lunghe procedure di preparazione del campione attraverso numerose fasi (estrazioni, derivatizzazione e purificazione). In questo lavoro si presenta il confronto di due metodiche analitiche, basate su due reattivi derivatizzanti (metilmagnesio bromuro1 e n-pentilmagnesio bromuro2) e su tecniche di separazione gascromatografica accoppiate a due diversi rivelatori MS: quadrupolo lineare (in SIM) e trappola ionica quadrupolare (in MS2). Per i derivati metilati, più volatili, può aumentare il rischio di perdite degli analiti nella preparazione dei campioni, ma i reattivi per la pentilazione disponibili in commercio contengono spesso quantità degli analiti non trascurabili per l’analisi di campioni a basse concentrazioni. In entrambe le metodiche la sensibilità e la selettività nei confronti dei composti butilici dello stagno sono risultate adeguate all’analisi di matrici complesse. L’applicazione delle due metodiche a campioni di molluschi gasteropodi (Nassarius nitidus) provenienti dalla Laguna di Venezia (Nord Adriatico) ha mostrato un buon accordo nei risultati analitici. L’organismo utilizzato in questo lavoro è stato selezionato poiché, in presenza di composti organostannici, sviluppa un effetto noto come Imposex, risultando, pertanto, un buon bioindicatore di contaminazione da tali composti nell’ambiente. L’Imposex consiste nello sviluppo di caratteri sessuali maschili nelle femmine, che rischiano, di conseguenza, di diventare sterili. Tutte le femmine analizzate presentavano caratteri maschili e gli indici di popolazione misurati (Vas Deferens Sequence Index, VDSI, media degli stadi di imposex in una popolazione; Relative Penis Length Index, RPLI, rapporto percentuale tra la lunghezza del pene delle femmine e di quello dei maschi) unitamente ai dati di bioaccumulo hanno indicato la persistenza di livelli di contaminazione significativi nelle aree studiate. 1
Binato, G.; Biancotto; G., Piro, R.; Angeletti, R. Fresenius J. Anal. Chem. 1998, 361, 333337. 2 Morabito, R. Microchem. J. 1995, 51, 198-206.
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IL VETIVER UNA NUOVA OPPORTUNITÀ PER LA FITODEPURAZIONE DA METALLI PESANTI: PRESTAZIONI E COMPORTAMENTO Luigi Campanella, Riccarda Antiochia, Fabio Borzetti, Paola Ghezzi, Elisabetta Martini, Mauro Tomassetti Dipartimento di Chimica, Sapienza Università di Roma P.le A. Moro, 5 – 00185 Roma e-mail:
[email protected] Molti processi industriali contribuiscono all'accumulo nell'ambiente dei metalli pesanti in concentrazioni che possono risultare dannose per la salute dell'uomo e per l'ecosistema. La ricerca negli ultimi anni cerca di sviluppare tecniche di risanamento di siti inquinati da metalli che siano a basso costo, esteticamente compatibili e che determinino la riduzione degli eventuali rifiuti da smaltire. La fitodepurazione, è una tecnica che ben soddisfa i requisiti prima citati, prevede l'utilizzo di specie vegetali, capaci dì accumulare i metalli pesanti, ed è articolata in: fitoestrazione, rizofiltrazione e fitostabilizzazione. La fitoestrazione comprendente il bioassorbimento (processo di rimozione o dissoluzione degli inquinanti dovuto alle attività cellulari) di piante (sia selvatiche che coltivate), capaci di sottrarre dal terreno una quantità elevata di metalli pesanti accumulandoli nelle foglie. Tali piante vengono definite iperaccumulatrici. La rizofìltrazione utilizza piante acquatiche che hanno la capacità di assorbire contaminanti dalle acque inquinate con questo processo si possono bonificare acque lacustri inquinate sfruttando la capacità di assorbimento di ioni da parte delle radici. La fitostabilizzazione utilizza le piante per assorbire contaminanti, in modo da ridurre la loro biodisponibilità nel suolo, è impiegata per evitare erosione e percolamento degli inquinanti ed utilizza, in ambienti altamente inquinati e perciò privi di vegetazione, piante che presentano una elevata tolleranza nei confronti dei metalli pesanti e sono perciò in grado di sopravvivere in condizioni nelle quali altre piante morirebbero. Il nostro studio prevede l’uso, come pianta fitodepuratrice, del Vetiver (nome botanico: Vetiveria zizanioides), nota per la sua capacità di accumulare i metalli pesanti al fine di valutarne la possibile applicazione in processi di detossificazione ambientale con prove di fitoestrazione e di bioassorbimento nei confronti dei metalli pesanti (in particolare Cromo, Rame, Piombo e Zinco). Le prove di fitoestrazione e di bioassorbimento, a medio e a lungo termine della durata, rispettivamente, di otto e trenta giorni, sono state eseguite rispettivamente innaffiando la pianta con una soluzione contenente una concentrazione nota dei metalli da analizzare o direttamente immergendo in tale soluzione le foglie e le radici preventivamente essiccate. Le concentrazioni dei diversi metalli, in tali campioni, sono determinate tramite spettroscopia di emissione al plasma, dopo mineralizzazione con microonde. Sono state anche eseguite prove di reversibilità del processo di bioassorbimento, assorbimenti avvenuti trattando il materiale assorbente con acqua.. I risultati del processo mostrano un aumento costante dei valori di concentrazione dei diversi metalli nelle piante del Vetiver nelle prove a medio termine (durante i primi otto giorni). Nelle prove a lungo termine, invece, il valore della concentrazione dei metalli tende a stabilizzarsi, generalmente, verso il ventesimo giorno. Il nostro studio ci ha permesso di verificare che, rispetto a precedenti esperienze descritte in letteratura ed eseguite su piante diverse, il Vetiver possiede capacità superiori nella fitoestrazione del Piombo e dello Zinco. Il Vetiver non risulta invece adatto per prove di bioassorbimento, infatti, i valori osservati sono risultati di molto inferiori a quelli ottenuti in precedenza con altri substrati biologici.
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APPLICAZIONE DI TECNICHE DI FITOESTRAZIONE PER LA BONIFICA DI SUOLI CONTAMINATI DA METALLI PESANTI a
Saer Doumett, aAlessandra Cincinelli, aDonatella Fibbi, aLuciano Lepri, b Stefano Mancuso e aMassimo Del Bubba
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Università degli Studi di Firenze – Dipartimento di Chimica, Via della Lastruccia, 3 50019 Sesto Fiorentino (FI) b Università degli Studi di Firenze – Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura, Viale delle Idee 30 – 50019 Sesto Fiorentino e-mail:
[email protected] Questo studio ha interessato un terreno reale inquinato da Cd, Cu, Pb e Zn posto sul territorio della provincia di Pisa. Su tale suolo, ulteriormente addizionato dei metalli suddetti in modo da superare anche i limiti che la normativa 152/2006 prevede per i siti ad uso commerciale e industriale, sono state effettuate prove di crescita dell’essenza vegetale di tipo arboreo Paulownia Tomentosa, una specie mai investigata finora per questo tipo di studi, ponendo a confronto la tecnica di fitoestrazione non assistita con quella che prevede l’aggiunta di ammendanti in grado di mobilizzare i metalli rendendoli maggiormente biodisponibili ai fini della loro traslocazione dal suolo ai differenti organi della pianta. A tale scopo sono stati testati come ammendanti, l’acido tartarico e l’acido glutammico, ambedue caratterizzati da bassa fitotossicità e da costi contenuti, rispetto all’EDTA, diffusamente utilizzato e riportato in letteratura per questa funzione. È stato realizzato un impianto di monitoraggio della crescita costituito da 90 vasi piantumati con germogli di Paulownia e, dopo 30 giorni, 81 dei 90 vasi sono stati aspersi con gli ammendanti EDTA, acido tartarico ed acido glutammico alle concentrazioni di 1, 5 e 10 mmoli/kg s.s., normalmente utilizzate negli studi riportati in letteratura (Luo et al., 2005; Kos et al., 2003) e compatibili con una loro applicazione in scala reale. In tal modo sono state investigate la crescita della pianta e la sua capacità di rimuovere il metallo dal suolo, in relazione alle seguenti tesi: tipo di ammendante; concentrazione di ciascun ammendante; tempo di contatto con il suolo contaminato. La determinazione dei metalli è stata effettuata tramite mineralizzazione dei vari organi della pianta con un sistema a microonde e successiva analisi in ICP-OES. I risultati hanno evidenziato un elevato accumulo dei metalli nell’apparato radicale ed una loro bassa traslocazione nella parte aerea, soprattutto per quanto riguarda il Pb ed il Cd che non rappresentano metalli essenziali nel metabolismo della pianta. L’uso degli ammendanti, ed in particolare dell’EDTA, non sembra determinare differenze di traslocazione particolarmente rilevanti; a tale proposito è opportuno sottolineare che la presenza di metalli costituenti la matrice suolo e complessabili dall’EDTA (quali ad esempio il Ca ed il Mg) possono giocare un ruolo decisivo nella competizione con i metalli oggetto di bonifica. Bibliografia (Luo, C.; Shen, Z.; Li, X. Chemosphere 2005, 59, 1-11). (Kos, B.; Grcman, H.; Lestan, D. Plant Soil Environ. 2003, 49(12), 548-553).
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BIORISANAMENTO DI SUOLO CONTAMINATO DA DIESEL MEDIANTE BIOAUGMENTATION CON UN CONSORZIO MICROBICO AUTOCTONO, ISOLATO DAL SITO DI BAGNOLI-COROGLIO Chiara Alisi a, Rosario Musella b, Flavia Tasso a, Carla Ubaldi a, Sonia Manzo b e Anna Rosa Sprocati a Enea, Dipartimento Ambiente, Clima e Sviluppo Sostenibile, a CR-Portici. bCR-Casaccia e-mail:
[email protected] Il lavoro presentato si inquadra in un progetto più ampio che prevede lo sviluppo di tecnologie integrate di bonifica (progetto TIDe, finanziamento MUR, legge 297). In una prima fase progettuale è stato individuato come luogo di indagine il sito siderurgico dismesso di Napoli Bagnoli-Coroglio, inserito tra gli interventi prioritari nel censimento dei siti di interesse nazionale (Art. 114, cc. 24 e 25 – L. n° 388/20009). In particolare sono state individuate alcune aree di indagine sulle quali è stata eseguita una caratterizzazione chimica, ecotossicologica e microbiologica del suolo. Nel presente lavoro viene presentato uno studio preliminare sulla fattibilità del biorisanamento del suolo applicando la tecnologia della bioaugmentation. Lo studio è stato condotto in fase slurry 20% (w/v) mediante biometri da 250 mL, con cattura di CO2, posti in agitazione a 28°C, in triplicato, mettendo a confronto due diverse condizioni: il suolo tal quale, come controllo, e il suolo addizionato con diesel 1% (w/v). Il campione negativo era rappresentato da suolo avvelenato con Metilmercurio. Come inoculo microbico (5*107 UFC/mg) è stato utilizzato il consorzio ENEA-LAM, isolato in precedenza dalla stessa area (laminatoio). Il consorzio è costituito da 10 differenti ceppi appartenenti a 6 diversi generi (Pseudomonas, Arthrobacter, Rhodococcus, Exiguobacterium, Delftia, Bacillus). La sperimentazione è stata seguita per 42 giorni, monitorando la biodegradazione degli idrocarburi in relazione a vari parametri: respirazione, profilo metabolico e profilo molecolare della comunità microbica, ecotossicità della matrice, composizione dello spettro degli idrocarburi. Mentre nei biometri di controllo l’attività respiratoria si è sempre mantenuta estremamente bassa, nel suolo contaminato con diesel si è registrata una vivace attività respiratoria, in progressivo calo a partire dal 30° giorno. A 15 giorni dall’inizio dell’esperimento gli idrocarburi lineari erano tutti degradati di un 70-80%, gli isoprenoidi di un 50-60%, l’area totale degli idrocarburi era scesa al 46%. Dopo 42 giorni di incubazione gli idrocarburi lineari erano completamente degradati, mentre gli isoprenoidi permanevano nelle stesse quantità; anche il fenantrene, usato come standard interno, risultava completamente degradato dopo 42 giorni. La carica microbica, dopo una flessione iniziale, si è mantenuta intorno al valore iniziale, mentre nel controllo è scesa stabilmente a 102 UFC/mg. La diversità di specie, stimata attraverso analisi t-RFLP risultava incrementata nel tempo nel trattato e ridotta nel controllo. La batteria di test ecotossicologici eseguiti (Vibrio fischeri, Pseudokirchneriella subcapitata, Heterocypris incongruens), al fine di ottenere informazioni sull’evoluzione della tossicità durante la trasformazione degli idrocarburi negli intermedi metabolici, ha evidenziato, dopo un leggero incremento iniziale, una riduzione della tossicità nel tempo, principalmente nella fase biodisponibile (acquosa). I risultati mostrano l’efficacia del consorzio microbico ENEA-LAM impiegato nella bioaugmentation per la biodegradazione del gasolio. Le prossime tappe riguarderanno la degradazione della frazione degli isoprenoidi e lo scale-up del processo con l’utilizzo di lisimetri in campo.
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APPLICAZIONE SU SCALA DIMOSTRATIVA DELLA TECNOLOGIA A BIOMASSE GRANULARI PER IL TRATTAMENTO DEI REFLUI MUNICIPALI Claudio Di Iaconi, Guido Del Moro, Roberto Ramadori, Antonio Lopez CNR, Istituto di Ricerca sulle Acque (IRSA), via F. De Blasio 5, 70123 Bari. e-mail:
[email protected] Le tecnologie basate sull’impiego dei sistemi a fanghi attivi sono ancora quelle più diffuse per il trattamento sia delle acque urbane che industriali malgrado siano caratterizzate da limitate capacità depurative, grandi volumi di reazione, basse velocità di sedimentazione dei fanghi con conseguente aumento della superficie dei sedimentatori, elevate produzioni di fango da smaltire. Le caratteristiche sopra riportate renderanno inevitabile la progressiva sostituzione dei sistemi a fanghi attivi con processi innovativi che risultino più vantaggiosi in termini di compattezza di impianto, flessibilità operativa, produzione di fango e costi operativi. In questo contesto, l’Istituto di Ricerca sulle Acque del CNR ha sviluppato una nuova tecnologia (SBBGR- Sequencing Batch Biofilter Granular Reactor) in grado di depurare le acque di scarico con elevata efficacia, minima produzione di fango e costi ridotti. Il sistema SBBGR si basa su un particolare biofiltro a funzionamento discontinuo nel quale le varie fasi del trattamento biologico (rimozione del carbonio, rimozione dell’azoto, sedimentazione) si susseguono nella stessa unità con sequenza temporale anziché avvenire contemporaneamente in unità diverse come negli impianti tradizionali a fanghi attivi. La potenzialità del sistema è attribuibile alle particolari caratteristiche della biomassa che nelle condizioni operative messe a punto (periodicità di funzionamento e fluidodinamica) cresce sotto forma di granuli ad elevata densità, anche 4 o 5 volte maggiore di quella dei tradizionali fanghi attivi. L’elevata densità consente di avere una maggiore concentrazione di biomassa (fino a 40 kg/m3) e quindi maggiori cinetiche di depurazione con conseguente riduzione del volume di reazione. Gli interessanti risultati ottenuti applicando la tecnologia su scala laboratorio e pilota per il trattamento dei reflui municipali e industriali hanno convinto la Commissione Europea che ha cofinanziato, nell’ambito del Programma LIFE-Ambiente 2005, il trasferimento tecnologico su scala dimostrativa della tecnologia SBBGR. La presente relazione riporta i risultati dell’applicazione della tecnologia SBBGR su scala dimostrativa per il trattamento dei reflui urbani. I risultati ottenuti dopo quasi un anno di sperimentazione hanno evidenziato efficienze di rimozione del COD e solidi sospesi intorno al 90% (con concentrazioni nell’effluente inferiori rispettivamente a 60 e 30 mg/L) anche in condizioni di massimo carico organico applicato (ossia, circa 6 kg COD/m3.g). La rimozione dell’azoto ammoniacale è stata pressoché completa (almeno fino ad un valore di carico organico di 2,5 kg COD/m3·g) evidenziando inoltre fenomeni di denitrificazione aerobica molto spinti (la concentrazione dell’azoto ossidato è stata sempre molto bassa). Altra nota estremamente positiva è stata la bassissima produzione di fango (quasi un ordine di grandezza inferiore a quella dei sistemi a fanghi attivi) riscontrata durante l’intero periodo di sperimentazione.
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LASER INDUCED BREAKDOWN SPECTROSCOPY (LIBS) MONITORING EMISSION PRODUCED BY A PLASMA TORCH PLANT FOR THE TREATMENT OF WASTES Cesare Bonserio, Aurora Maria Losacco, Mariagrazia Muolo, Francesco Tedeschi Centro Laser s.c.a r.l., Str.Prov. Per Casamassima km3 70010 Valenzano (Bari) Italy e-mail:
[email protected] Laser induced breakdown spectroscopy (LIBS) has been used to monitor the process of wastes destruction in a plasma torch plant. Toxic emissions from exhaust gases produced by waste processing may represent a significant health hazard. In order to test the quality of the process chemical-physical characteristics of vitrificated residue are evaluated and the presence of heavy metals flow in the exhaust gas is checked. This paper describes the potentiality of LIBS technique to online and real-time monitoring effluents generated from waste treatment to ensure compliance with safety and environmental protection. The capability of LIBS applied to monitor plasma torch processes has been successfully demonstrated by the use of many different waste kind. LIBS provide optimization and control of wastes treatment facilities.
Scheme of LIBS experimental setup
Keywords: LIBS; Plasma torch; Waste; Vitrificated residue; Exhaust gas.
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METODI DI DECONTAMINAZIONE DA IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI IN SEDIMENTI MARINI: SOIL WASHING E REAGENTE DI FENTON Maria Luisa Feo, Mario Sprovieri CNR - Istituto Ambiente Marino Costiero, Napoli e-mail:
[email protected] Le tecniche di bonifica di sedimenti marini contaminati da Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) sono molteplici e la scelta della migliore strategia di “remediation” dipende sostanzialmente dal tipo ed estensione della contaminazione, dalla destinazione d’uso del sito nonché da considerazioni tecnico-economiche. In questo lavoro di ricerca sono prese in esame tecniche di bonifica ex-situ come il soil washing ed il reagente di Fenton definendo limiti e potenzialità di ciascuna tecnica per i diversi sedimenti contaminati, in relazione alla loro distribuzione granulometrica, contenuto di materia organica totale, mineralogia e composizione chimica. Sono stati sottoposti ai trattamenti di decontaminazione sopra citati cinque sedimenti prelevati all’interno del Porto di Napoli e sugli arenili di Bagnoli e caratterizzati da proprietà chimico-fisiche e granulometriche diverse. La percentuale di decontaminazione per i diversi sedimenti analizzati diminuisce all’aumentare del contenuto delle frazione granulometrica più fine (φ 0.65 μm) del particolato raccolto invece e’ risultata essere fortemente dipendente dai processi di avvezione.
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LEVOGLUCOSAN, A TRACER FOR WOOD COMBUSTION IN MILAN PARTICULATE MATTER P. Fermoa, A. Piazzalungaa, R. Vecchib, G. Vallib, M. A. De Gregorioc a
Dep. Inorganic, Metallorganic and Analitical Chem., University of Milan, Via Venezian 21, 20133, Milan, Italy b Institute of General Applied Physics, University of Milan ,Via Celoria 16 20133, Milan, Italy c ARPA Lombardia-U.O.lab., Via Juvara 22, 20122, Milan, Italy Very scarce data on the contribution of particles emitted by residential wood combustion are available in Northern Italy. To achieve more information on this source of particulate matter, a study was carried out on wood smoke contribution by means of the chemical characterization of aerosol samples. In this study levoglucosan, organic carbon (OC) and elemental carbon (EC) have been determined on PM10 samples. Levoglucosan is taken as wood smoke marker as it arises from the pyrolysis of cellulose, is emitted in large amounts and is sufficiently stable. PM10 aerosol samples were collected in Milan in the frame of the ParFiL project (Particolato Fine in Lombardia). Samples were collected during winter 2005, summer 2005 and winter 2006. In particular, for both 2005 and 2006 we investigated the period between Christmas and the New Year’s Day, when an increase in the use of wood for domestic firing during holidays is very likely. Levoglucosan was quantified by two different techniques: Gas Chromatography coupled with Mass Spectroscopy (GC/MS) and High Performance Anion Exchange Chromatography (HPAEC) coupled with Pulsed Amperometric Detection (PAD). OC and EC were measured by Thermal Optical Transmission method (TOT). In the investigated periods, levoglucosan concentrations were 10.0% higher in winter than in summer 9.0% Levoglucosan/PM 8.0% (levoglucosan/PM=0.57%±0.14% Levoglucosan/OC 7.0% in February and 0.08%±0.05% in 6.0% 5.0% June). Furthermore, levoglucosan 4.0% levels during Christmas’s periods 3.0% 2.0% approximately doubled in 1.0% comparison with the wintertime 0.0% February '05 (n=7) Christmas's period '05 November '06 (n=3) Christmas's period '06 averages, confirming the higher (n=10) (n=7) wood consumption during the Figure 1: levoglucosan/OC ratio for winter and for holidays (figure 1). Christmas period The evaluation of levoglucosan emission factor for different kinds of wood has been also carried out in order to estimate the percentage of PM that can be attributed to residential wood combustion. Acknowledgements The authors are grateful to ParFiL Project for their financial support, to all the people from ARPA-Lombardia who collaborated to samples collection and to the personnel from Stazione Sperimentale dei Combustibili for the preparation of samples devoted to emission factor estimates.
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FRAZIONAMENTO IN CAMPO TERMICO-FLUSSO DI PARTICELLE SUBMICRONICHE Luisa Pasti, Francesco Dondi L.A.R.A., Dipartimento di Chimica, Università di Ferrara, Via L. Borsari, 46, 44100 Ferrara, Italy e-mail:
[email protected] Il presente studio ha lo scopo di esplorare l’impiego delle tecniche di frazionamento in campo-flusso (FFF, Field Flow Fractionation) nella caratterizzazione delle proprietà di materiale colloidale, tali proprietà hanno rilevanza nello studio degli equilibri presenti nei corpi idrici, essendo noto il ruolo significativo dei colloidi come ossidi di Al, Fe, Si e di argille nel regolare la composizione delle acque naturali1. In particolare e’ stata studiata la separazione di particelle di silice mediante frazionamento in campo termico flusso (Thermal Field Flow Fractionation: ThFFF), operante in mezzo acquoso di diversa forza ionica, in assenza ed in presenza di tensioattivo. Tali separazioni sono state condotte per esaminare l’ applicabilità della teoria di termodiffusione di particelle cariche, recentemente proposta da Parola1 per l’interpretazione dei frattogrammi sperimentali e di conseguenza per l’ottenimento della calibrazione di tecniche ThFFF2, 3. Vengono presentati i risultati e le relative relazioni modellistiche esistenti in ThFFF, tra ritenzione di colloidi carichi superficialmente, dimensioni e potenziale superficiale delle particelle ed inoltre lo studio della separazione in ThFFF di particelle di silice in presenza di assorbimento superficiale specifico di cationi di metalli pesanti ed in condizioni controllate di forza ionica del mezzo. Bibliografia 1) Parola, A.; Piazza, R.; Eur. Phys. J. E.; 2004, 15; 255-263. 2) Nguyen, M.; Beckett, R.; Anal. Chem.; 2004, 76(8); 2382-2386. 3) Schimpf, M. In Field-Flow Fractionation Handbook; Schimpf, M.; Caldwell, K. and Giddings, J.C., Eds.; Wiley-Interscience: New York, 2000; pp 239-256. 4) Stumm, W.; Morgan, J. J.; in “Aquatic Chemistry An Introduction Emphasizing Chemical Equilibria in Natural Waters”; John Wiley & Sons; 1981; Chapter 10
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ARCHEOLOGIA, AMBIENTE E SALUTE Antonio Proto a, Marianna Alfano a, Maria Passamanoa, Anna Farina a, Carla Scarabinoa, Davide Alfanoa, Oriana Motta b a
b
Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Salerno Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Università degli Studi di Salerno, via P.Don Melillo 84084 Fisciano (SA) e-mail:
[email protected]
Questo lavoro sintetizza un percorso di ricerca quinquennale iniziato con lo studio delle paleodiete mediante l’analisi dei metalli e dei rapporti degli isotopi stabili del carbonio e dell’azoto sui resti osteologici rinvenuti nei siti archeologici campani di Paestum e Pontecagnano. Tale lavoro ha permesso di individuare una nuova tecnica analitica basata sulla analisi infrarossa in trasformata di Fourier degli isotopomeri stabili della anidride carbonica. La determinazione quantitativa del rapporto 13C/12C è in relazione con la fonte di anidride carbonica prodotta nei processi di combustione e potrebbe essere un nuovo indicatore di inquinamento ambientale. A tal proposito la tecnica è stata utilizzata per effettuare campionamenti ambientali in differenti zone della provincia di Salerno ed i risultati evidenziano quanto il rapporto degli isotopi del carbonio sia differente in aree urbane a grande traffico rispetto a quelle prevalentemente agricole e di quanto esso sia influenzato dai fenomeni atmosferici. Questa nuova tecnica analitica è stata anche utilizzata per la diagnosi non invasiva della infezione da Helicobacter Pylori. Incoraggianti risultati sono stati ottenuti confrontando le determinazioni effettuate su una cinquantina di pazienti che hanno effettuato, nella stessa seduta ospedaliera, un duplice test respirometrico. Nessuna differenza sul risultato diagnostico è stata riscontrata tra la tecnica optogalvanica in uso presso l’ospedale di Nocera Inferiore e quella sviluppata presso il nostro gruppo di ricerca. Bibliografia C. Scarabino, C. Lubritto, A. Proto et al. “Paleodiet characterisation of an Etrurian population of Pontecagnano (Italy) by Isotope Ratio Mass Spectrometry (IRMS) and Atomic Absorption Spectrometry (AAS)”. Isotopes In Environmental and Health Studies. 2006, 42, 151-158 Antonio Proto, Davide Alfano, Carla Scarabino. Brevetto Italiano di Invenzione Industriale (SA2005A/000006) dal titolo: “Nuovi dispositivi per la determinazione del rapporto di concentrazione degli isotopi stabili del carbonio mediante analisi spettroscopica infrarosso.” R. Zanasi, D. Alfano, C. Scarabino, O. Motta, R. G. Viglione, A. Proto. Determination of 13 12 C/ C Carbon Isotope Ratio, Anal. Chem. 2006, 79, 3080-3083
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STUDIO DI LEGANTI ORGANICI IN PROVINI SIMULANTI LA PITTURA MURALE Elisa Campani1, Antonella Casoli1, Karen Trentelman2 1
Dipartimento di Chimica Generale e Inorganica, Chimica Analitica, Chimica Fisica, Università degli Studi di Parma, V.le G.P. Usberti 17/A, 43100 - Parma e-mail:
[email protected] 2 Museum Research Laboratory, Getty Conservation Institute, 1200 Getty Center Drive, Suite 700, Los Angeles, CA 90049-1684, USA
La conoscenza dei differenti tipi di materiali organici utilizzati nei dipinti murali e il loro comportamento è fondamentale per sviluppare un’appropriata procedura di conservazione dell’opera. Questo studio si inserisce nel progetto internazionale Organic Materials in Wall Paintings (OMWP), coordinato dal Getty Conservation Institute di Los Angeles, che mira alla messa a punto di un protocollo per l’identificazione dei materiali organici nei dipinti murali, utilizzando tecniche di indagine non distruttive, non invasive e distruttive. Sono stati studiati provini di composizione nota, provenienti dal Laboratorio per l’Affresco di Vainella (Centro Tintori - Prato), al fine di valutare potenzialità e limiti delle tecniche impiegate nell’identificazione dei materiali organici. I provini considerati sono costituiti da un supporto di terracotta sul quale sono stesi lo strato di intonaco e lo strato pittorico. Le tavolette da noi esaminate, per un totale di quarantatre campioni, prevedono diverse combinazioni di pigmenti (minerali, naturali e sintetici), leganti (uovo, colla animale, caseina e gomma arabica) e fasi di applicazione (a fresco, a secco e su intonaco stanco). La nostra parte del progetto ha previsto l’utilizzo della microspettroscopia Raman, impiegando sia uno strumento portatile sia un micro-spettrofotometro FT-Raman di laboratorio e della gascromatografia/spettrometria di massa mediante l’utilizzo di metodiche messe a punto per l’identificazione di materiali proteici, lipidici e polisaccaridici. Atti del Simposio Organic Materials in Wall Paintings: Assessment of Methods of Investigation, 12 Maggio 2006, Venaria, Torino.
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INDAGINI NMR SU LEGNI MODERNI E ANTICHI Antonella Maccottaa, Paola Fantazzinib, Mirko Gombiab, Maria Braic, Maurizio Marralec a
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche e dei Biosistemi, Università di Siena, Via A. Moro 2, 53100 Siena, Italy, e-mail:
[email protected] b Dipartimento di Fisica, Università di Bologna, Viale Berti Pichat 6/2, 40127 Bologna, Italy c Dipartimento di Fisica e Tecnologie Relative, Università di Palermo, Viale delle Scienze, Edificio 18, 90128 Palermo, Italy
La caratterizzazione di manufatti lignei di interesse storico-artistico-archeologico è molto importante sia per una maggiore conoscenza dell’opera stessa sia per una corretta progettazione dell’intervento di restauro [1]. A questo scopo riveste una notevole importanza lo sviluppo di metodologie non distruttive che siano in grado di fornire informazioni sullo stato di degrado del legno costituente il manufatto (porosità, distribuzione delle dimensioni dei pori, assorbimento e diffusione dell’acqua) e sugli effetti di trattamenti con prodotti consolidanti. Le caratteristiche del legno dipendono dal taxon ligneo, dal contenuto di acqua, dalla direzione delle fibre oltre che naturalmente dal degrado delle macromolecole costituenti. Studi di Risonanza Magnetica Nucleare (NMR) stanno attualmente mostrando che tale tecnica è tra le più interessanti per ottenere informazioni di questo tipo. E’ stato già mostrato infatti come le curve di distribuzione dei tempi di rilassamento della componente longitudinale della magnetizzazione nucleare dei nuclei 1H, in campioni di legno stagionato, permettono di classificare i campioni in funzione del taxon ligneo e suggeriscono fenomeni di accoppiamento e/o di scambio tra i nuclei di idrogeno dell’acqua e quelli macromolecolari [2]. Inoltre si osserva nei campioni degradati un aumento dei tempi di rilassamento che potrebbe essere indicativo dello stato di degrado della matrice lignea. Bibliografia 1. 2.
V. Bucur, Nondestructive Characterization and Imaging of Wood, Springer Series in Wood Science (Springer, New York, 2003) P. Fantazzini, A. Maccotta, M. Gombia, C. Garavaglia, R.J.S. Brown, M. Brai, SolidLiquid NMR relaxation and signal amplitude relationships with ranking of seasoned softwoods and hardwoods, J Appl Phys 100: 0749071-7 (2006).
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STUDIES ON STACK EMISSIONS: DEFINING POLICYCLIC AROMATIC HYDROCARBONS PROFILES FOR SOURCE APPORTIONEMENT AND PROTOCOLS FOR TOXICITY TESTING Pierluigi Barbieria, Luca Di Montea, Sergio Cozzuttoa, Claudio Vezzila, Filippo Lo Cocob, Paola Sistc, Bruna Scaggiantec, Antonella Bandierac, Ranieri Urbanic a
Università degli Studi di Trieste, Dipartimento di Scienze Chimiche, Via L. Giorgieri 1, 34127 Trieste (Italy);
[email protected] b Università degli Studi di Udine, Dipartimento di Scienze Economiche, Area Ambientale, Via Tomadini 30/A, 33100 Udine (Italy) c Università degli Studi di Trieste, Dipartimento di Biochimica, Biofisica e Chimica delle Macromolecole, Via L. Giorgieri 1, 34127 Trieste (Italy) Receptor modeling for particle source apportionment requires characterization of emission sources: in this study we report some of our experimental planning and results aimed characterizing adimensional profiles with specific attention on PAHs for an industrial source and for domestic burning systems. In the different cases the methods applying ground-based high volume (filters + PUF) sampling and diluted exhaust isokinetic sampling will be discussed. Gas chromatographic – mass spectrometric analyses are applied. Such a research is aimed to provide new data for evaluation of contribution of different emitting sources to measured PM, beside strategies that uses mainly out-of-date emission factors. A synoptical study reports about tests that are used for assessing toxicity on particulate matter samples, focusing on both oxidative stress and mutagenicity.
Bibliography Watson, J. G.; Zhu, T.; Chow, J.C.; Engelbrecht, J.; Fujita, E.M.; Wilson, W.E.; “Receptor modeling application framework for particle source apportionment”, Chemosphere 2002, 49, 1093-1136
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MONITORAGGIO INDOOR DI COMPOSTI ORGANICI VOLATILI E CARATTERIZZAZIONE DELLE PRINCIPALI SORGENTI EMISSIVE Martino Amodio, Paolo Bruno, Maurizio Caselli, Gianluigi de Gennaro, Maria Rosaria Saracino, Maria Tutino Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Bari, via Orabona, 4 70126 Bari e-mail:
[email protected] La qualità dell’aria indoor (Indoor Air Quality) è diventata oggetto di studio da parte della comunità scientifica internazionale soltanto negli ultimi anni. Questo crescente interesse è legato ai sempre più lunghi periodi di tempo trascorsi dalla popolazione all'interno di edifici pubblici e privati. Inoltre è stato osservato che diversi materiali impiegati in edilizia e nell’arredo possono costituire una fonte rilevante di inquinamento in quanto contengono composti considerati nocivi per l’uomo. Pertanto, nell'ottica di un’effettiva tutela della qualità della vita e della salute umana, risulta di primaria importanza lo studio del fenomeno dell'inquinamento indoor. In generale, la qualità dell’aria indoor è condizionata sia dalla qualità dell’aria esterna sia, soprattutto, da sorgenti inquinanti presenti solo all’interno. In particolare l’impiego di materiali sintetici sia nell’edilizia che nella produzione di mobili, l’adozione di nuovi stili di vita, il largo consumo di prodotti per l’ambiente e per l’igiene personale hanno introdotto nuove fonti di rischio. In alcuni casi, infatti, gli ambienti all'interno degli edifici possono essere responsabili dell'esposizione ad inquinanti a livello superiore a quello imputabile all'ambiente esterno. Tra i composti dannosi per la salute a cui si è quotidianamente esposti, particolare attenzione meritano i composti organici volatili (VOC), una miscela di composti organici aventi punto di ebollizione iniziale pari o inferiore a 250°C. Essi sono considerati una componente importante nell’eziologia della cosiddetta sindrome dell’edificio malato, (SBS) descritta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Al fine di ridurre tali rischi, occorre conoscere le principali fonti di inquinamento e i livelli di concentrazione degli inquinanti attraverso il loro monitoraggio. In risposta a tali esigenza sono state effettuate campagne di monitoraggio in ambienti domestici e siti pubblici largamente frequentati dalla popolazione. In concomitanza la ricerca si propone di determinare gli impatti emissivi di alcune classi di materiali e prodotti diffusamente presenti negli ambienti monitorati. Il confronto dei profili di emissione dei diversi materiali presenti in commercio permetterà di chiarire se i materiali definiti bioecologici dalle aziende produttrici emettono composti chimici classificati come pericolosi. Le informazioni ottenute saranno di particolare importanza non solo per il cittadino che, da solo, già potrà decidere di apportare mitigazioni alle situazioni esistenti in casa sua o scegliere più oculatamente i suoi insediamenti futuri, ma soprattutto per le diverse aziende produttrici, alle quali sarà fornito un ulteriore servizio ad elevato valore aggiunto. Bibliografia Baglioni, A. Aria ambiente e salute. 1999, 5, 8-10. Guo, H. F.; Murray, S. C. Building and Environment. 2003, 38, 1413-1422. Wargocki, P.; Sdell, J.; Bischof, W.;. Brundrett, G; Fanger, P.O.; Gyntelberg, F.;. Hanss, S.O. Indoor Air. 2002, 12, 113-128. Brinke, J.T.; Selvin, S.;. Hodgson. A.T. Indoor air. 1998, 3, 140-152 Maji, C.S.; Ashok, N. J. of Hazardous Materials. 2003, 105, 103-119. Nazaroff William W.; Weschler, W.; Charles, J. Atmospheric Environment. 2004, 38, 28412865. Wille, M.S.R.; Lambert W. E.E. Forensic Science International. 2004,142,135-156. 69
CARATTERIZZAZIONE MORFOLOGICA E COMPOSIZIONALE DEL PARTICOLATO AERODISPERSO DI ORIGINE URBANA E INDUSTRIALE IN DUE CITTA’ DEL SUD ITALIA. Emanuela Filippoa, Daniela Mannoa, Antonio Serraa, Tiziana Sicilianoa, Marco Teporea, Pierina Ielpob, Maurizio Casellib a
Dipartimento di Scienza dei Materiali Università del Salento Via Monteroni 73100 Lecce (Italia) b Dipartimento di Chimica, Università di Bari Via Orabona 4 70126 Bari (Italia) e-mail:
[email protected]
In questa indagine è stata utilizzata la microscopia elettronica a scansione correlata ad un sistema di microanalisi a raggi X (SEM/EDAX) al fine di condurre una caratterizzazione chimico-fisica del particolato aerodisperso con diametro aerodinamico inferiore a 10 μm (PM10) in due città del Sud Italia (Bari e Taranto) con condizioni climatiche simili ma densità abitative e attività produttive molto diverse. Lo scopo del presente lavoro è quello di stabilire il legame che esiste tra le caratteristiche morfometriche e composizionali delle particelle di aerosol e di mostrare possibili relazioni con le sorgenti di tali particelle, differenziando inoltre il contributo di ciascuna sorgente (industria, traffico, aerosol marino, suolo..) sull’inquinamento ambientale urbano. È possibile con queste informazioni determinare l’impatto che le diverse sorgenti possono avere sul particolato in sospensione nelle città. Nei campioni analizzati la quasi totalità del particolato è costituita da particelle sferiche o ellittiche aventi diametro medio inferiore a 2.5 μm. I dati ricavati dagli spettri a raggi X puntuali acquisiti su ogni singola particella sono stati caratterizzati statisticamente e hanno dimostrato che elementi come bario, zinco, ferro, rame, manganese e zolfo, prodotti da processi industriali e di combustione, sono presenti essenzialmente nelle particelle submicrometriche. Inoltre mediante la hierarchical cluster analysis (HCA) del particolato aerodisperso sono state individuate le componenti principali (cluster) presenti nei diversi siti con la relativa percentuale.
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ALTEZZA DELLO STRATO DI RIMESCOLAMENTO E VARIAZIONI NELLA DISTRIBUZIONE DIMENSIONALE DEL PARTICOLATO ATMOSFERICO LUNGO PROFILI VERTICALI NELL’AREA URBANA MILANESE L. Ferreroa, S. Petracconea, M.G. Perronea, G. Sangiorgia, B. Ferrinia, Z. Lazzatia, C. Lo Portoa, E. Bolzacchinia, A. Ricciob, E. Previtalic, M. Clemenzac. a
Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università di Milano - Bicocca, piazza della Scienza 1 – 20126 Milano, Italia; b Dipartimento di Scienze Applicate, Università Uniparthenope, Via De Gaperi 5, 80133 Napoli; c Dipartimento di Fisica, Università di Milano - Bicocca, INFN, piazza della Scienza 3 – 20126 Milano, Italia e-mail:
[email protected]
Quota (m AGL)
Le attività urbane influenzano direttamente la qualità dell’aria; i valori più alti di PM10 e PM2.5 sono raggiunti in aree urbane (Van Dingenen, 2004). Il bacino padano e in particolar modo la città di Milano sono un buon esempio di questo scenario dove in aggiunta la meteorologia gioca un ruolo fondamentale nel determinare i livelli di inquinamento. Durante il 2006, nella città di Milano, la concentrazione media di PM2.5 ha raggiunto un valore di 43 μg/m3, con i valori massimi concentrati nel periodo invernale caratterizzati dalla maggior stabilità atmosferica; in particolare nel periodo dicembre 2005 – febbraio 2006 è stato raggiunto un valore medio di PM2.5 di 83 μg/m3 (range: 17–250 μg/m3). Poiché la modellizzazione e l’amministrazione del problema richiedono una conoscenza tridimensionale dello stesso è stato avviato a Milano, presso il sito di Torre Sarca (45°31’19”N, 9°12’46”E), uno studio degli effetti delle condizioni di stabilità atmosferica sulla dispersione del particolato atmosferico in termini di concentrazione numerica e distribuzione dimensionale. I profili verticali sono stati misurati mediante l’utilizzo di un pallone frenato dotato di un OPC GRIMM 1.108 “Dustcheck” (15 classi dimensionali) e di una stazione meteorologica portatile permettendo una stima diretta della altezza dello strato di rimescolamento (Seibert, 2000) affiancata da misure di 222Rn e previsioni modellistiche (MM5). In figura è mostrato l’andamento Profili verticali della concentrazione numerica di particelle (0.3 1.6) mm per due lanci rispettivamente del 31 Gennaio e del 1 di due profili per due giorni tipici in cui Febbraio 2006 400 una altezza dello strato di h 7:40 - 8:00 (31/01/06) 350 h 14:20-14:44 (01/02/07) rimescolamento inferiore ai 300 m AGL 300 durante tutto l’arco della giornata ha 250 condotto rispettivamente a concentrazioni 200 di 100 e 133 μg/m3 di PM2.5; 117 e 166 150 μg/m3 di PM10. Scarsa dispersione e 100 processi di accumulo giorno dopo giorno ne sono la causa maggiore (Ferrero, 50 l 2007). 0 0.0E+00 1.0E+05 2.0E+05 3.0E+05 4.0E+05 5.0E+05 6.0E+05 7.0E+05 8.0E+05 Al fine di studiare le variazioni della distribuzione dimensionale del particolato con la quota, è stata effettuata una cluster analysis delle originali classi dimensionali dello strumento suddividendo i dati campionati, nel periodo invernale 2005/2006, in funzione della posizione relativa alla altezza dello strato di rimescolamento. Risulta la formazione di un primo cluster al suolo tra 0.3-0.5 μm e di un cluster più ampio in quota comprendente particelle tra 0.3-1.6 μm. Calcolando per ogni profilo il diametro medio delle particelle per quest’ultimo cluster è stata osservato un buon -1
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grado di correlazione tra l’altezza dello strato di rimescolamento e un rapido aumento del diametro medio delle particelle facenti parte della moda di accumulazione (R2 di 0.883) suggerendo che in condizioni stabili come quelle invernali l’altezza dello strato di rimescolamento separi il particolato atmosferico invecchiato da quello di fresca emissione al suolo. Bibliografia Ferrero L. & al. (2007), FEB, Vol. 16 N° 6 (in press). Van Dingenen R. & al. (2004), Atm. Env., 38, 2561-2577. Seibert P. & al. (2000), Atm. Env., 34, 1001-1027.
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CARATTERIZZAZIONE DI COLORI ALCHIDICI PER ARTISTI Rebecca Ploeger, Dominique Scalarone, Oscar Chiantore Dipartimento di Chimica IFM e Centro NIS, Superfici e Interfasi Nanostrutturate Università degli Studi di Torino
[email protected] I polimeri alchidici hanno avuto una certa diffusione come leganti pittorici e colori alchidici per artisti vengono attualmente usati con buoni riscontri per la loro efficacia. Risulta importante disporre di validi metodi di caratterizzaione delle pitture alchidiche, tenuto conto che i dati riportati nella letteratura tecnica e scientifica sono scarsi. Inoltre artisti e restauratori sono interessati a conoscere a fondo le qualità di questi materiali in termini di interazione con altre sostanze e di n durabilità. In questo lavoro vengono presentati i risultati relativi alla caratterizzazione di 3 differenti colori alchidici per artisti: Fig 1: Struttura ideale di resina alchidica formata da anidride Winsor & Newton Griffin Alkyd Colours, England, Ferraro ftalica, glcerolo e acido linoleico Colore Alchidico, Italia, and Da Vinco Co., Oil with Alkyd, USA, insieme a quelli della resina pura impiegata nella linea Griffin di Winsor & Newton. Per la caratterizzazione della resina e degli additivi sono state impiegate la spettroscopia FTIR, anche in modalità riflettanza con fibre ottiche (FORS), e la pirolisi-GCMS con idrolisi e metilazione termicamente assistita. Le resine alchidiche sono poliesteri modificati con oli, e il nome “alchidico” deriva dai monomeri, alcol e acido, usati per preparare il poliestere. Nella polimerizzazione per condensazione sono impiegati polioli (almeno trifunzionali), acidi polibasici, e acidi grassi. La resina finale è costituita da una catena di poliestere termoplastico con gruppi pendenti di acidi grassi, come schematizzato in Figura 1. La porzione di olio nelle alchidiche per artisti può arrivare al 70% su peso di resina. E stata studiata una stessa serie di colori per i diversi produttori: le resine e le cariche sono risultate essere uguali in ciascuna linea di prodotto, mentre differiscono tra le marche. Winsor & Newton produce una resina costituita da anidride ftalica e pentaeritrite (un poliolo tetrafunzionale), mentre Ferrario e Da Vinci impiegano acido isoftalico e pentaritrite. Nei colori Da Vinci la quantità di legante è bassa, e pertanto questi prodotti sono da considerare colori ad olio a cui è stata aggiunta una minore quantità di resina alchidica. In tutti i campioni è stata rivelata la presenza di acido azelaico, indicando che il processo di invecchiamento avviene con meccanismo di auto-ossidazione simila a quello degli oli siccativi. Una pittura alchidica secca può essere facilmente riconosciuta, rispetto ad una pittura ad olio, mediante FTIR-ATR e FTIR-FORS in quanto se non ci sono sovvrapposizioni dovute a pigmenti, additivi o altri riempitivi, essa presenta due deboli ma ben separati picchi at 1600 e a 1580 cm-1, dovuti alla porzione aromatica del poliestere. Nello spettro IR sono poi presenti i segnali dei CH2 a 2925 e 2850 cm-1, il largo assorbimento degli OH a 3440 cm-1, il picco del carbonile estereo a 1726 cm-1 e del legame C-O a 1120 e 1258 cm-1 insieme agli assorbimenti dovuti ai riempitivi (carbonato di calcio, solfato di bario e caolino) e ai pigmenti. La tecnica FTIR –FORS è di recente applicazione nel settore della conservazione e il suo interesse principale risiede nell’essere una tecnica non invasiva. Tuttavia gli spettri che si ottengono risentono della scarsa energia dei segnali e presentano generalmente forte rumore di fondo. Spettri di riferimento di buona qualità, confrontabili con quelli che si ottengono con O
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FTIR-ATR, sono stati raccolti da film pittorici stesi su alluminio. I picchi caratteristici dei campioni subiscono variazioni sia di intensità che di frequenze di assorbimento. Film pittorici sono stati stesi su altri substrati per verificare la possibiltà di ottenere spettri IR-FORS da substrati di reale interesse per le applicazioni a manufatti artistici.
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STUDIO ANALITICO DEI PROCESSI DI DETERIORAMENTO DI ALCUNI MATERIALI LAPIDEI E STRATEGIA ENZIMATICA DI RECUPERO Alessia Diamantia, Federica Valentinib, Giuseppe Palleschib, Emanuela Tamburrib, Maria Letizia Terranovab, Simona Bellezzac, Patrizia Albertanoc. a. Università degli Studi di Roma, Tor Vergata, Facoltà di Lettere e Filosofia, via Columbia, 1- 00133 Roma b. Università degli Studi di Roma, Tor Vergata, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche, via della Ricerca Scientifica, 00133 Roma c. Università degli Studi di Roma, Tor Vergata, Dipartimento di Biologia, via della Ricerca Scientifica, 00133 Roma e-mail:
[email protected] L’attenzione di questo lavoro è rivolta alla diagnosi del degrado ambientale e al conseguente recupero di alcuni supporti lapidei naturali, provenienti da siti di campionamento reali a Roma (in ambiente esterno). Tale attività è stata svolta con le seguenti metodologie analitiche: microscopia ottica, microscopia interferenziale differenziale (DIC), spettrofotometria infrarossa in trasformata di Fourier (FT-IR) e fluorescenza X (XRF). Il presente lavoro è stato finalizzato alla sperimentazione ed ottimizzazione di una nuova strategia di biopulitura enzimatica, catalizzata dall’enzima Glucosio-ossidasi (GOx), testata sulle superfici dei campioni lapidei affetti da degrado chimico-biologico[1]. Le procedure ottimizzate a seguito di numerose prove di pulitura a diretto contatto con i supporti, hanno consentito di ottenere soddisfacenti prestazioni analitiche, in termini di efficienza di rimozione della patina superficiale e di non invasività del substrato. Tali risultati possono essere interpretati sulla base di una possibile correlazione tra la microstruttura dei campioni porosi ed il meccanismo d’azione enzimatico catalizzato dalla GOx, capace di produrre, in situ, acqua ossigenata e di modularne la ripartizione tra la superficie del materiale lapideo e la sua microstruttura (porosità interna). La macromolecola enzimatica GOx trattiene in superficie l’H2O2 da essa prodotta, favorendo maggiori tempi di contatto con la patina superficiale (e quindi la massima efficienza di rimozione) evitando che l’H2O2 si degradi. Il perossido di idrogeno essendo una molecola di piccolo taglio, è in grado di percolare nei pori del materiale in funzione della porosità specifica di questo. Per quanto detto, la massima efficienza di rimozione della patina è stata riscontrata per marmo, peperino e travertino, rispettivamente. Come in ogni studio analitico sistematico di base, la nuova tecnica di biopulitura è stata comparata con alcuni metodi standard di recupero delle superfici lapidee degradate (come l’attacco diretto con sola H2O2, il trattamento con (NH4)CO3 in soluzione satura e l’attacco con EDTA+NaHCO3, in ambiente tamponato)[2]. Dalle operazioni di confronto, il nuovo trattamento enzimatico è risultato in ogni caso vantaggioso, rispetto ai metodi convenzionali scelti, in termini di minima invasività verso il substrato nel rispetto di uno dei principi cardini del restauro basato sul “minimo intervento”. Bibliografia 1. Albertano, P.; Bellezza, S.; Cytochemistry of cyanobacterial expolymers in biofilm from Roman hypogea. Nova Hedwigia. 2001, 123, 501-518. 2. Mora, P. e L.; Philippot, P., La conservazione delle pitture murali. Editrice Compositori, 2001.
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UN PROGETTO PER LA SALVAGUARDIA DEGLI AFFRESCHI DEL CAMPOSANTO MONUMENTALE DI PISA Alessia Andreotti, Ilaria Bonaduce, Ugo Bartolucci, Alessio Ceccarini, Maria Perla Colombini, Adriana Favara Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale, via Risorgimento 35, 56126 Pisa
[email protected];
[email protected];
[email protected];
[email protected];
[email protected] Il Camposanto Monumentale, iniziato nel 1277 da Giovanni di Simone, come ultimo degli edifici monumentali presenti in Piazza dei Miracoli, raccoglie importanti pitture murali, tra cui quelle realizzate da Benozzo Gozzoli, Taddeo Gaddi, Spinello Aretino e Buonamico Buffalmacco. L'edificio ha subito nel corso dei secoli molti restauri. In epoca romantica le condizioni di conservazione destavano già numerose preoccupazioni, per via di alcuni vistosi segni di decadimento e il rovinare a terra di alcune intere parti di scene. Fin da allora iniziò l’opera di restauro, per tentare di arginare la perdita del colore e i distacchi dell'intonaco. Nel 1944, durante la Seconda Guerra Mondiale, le bombe degli alleati incendiarono il tetto in legno e piombo del Camposanto e danneggiarono gli affreschi in modo gravissimo. I dipinti furono staccati e riapplicati su di un supporto mobile in eternit con una colla a base di caseina. Questo restauro, sebbene abbia salvato i dipinti da una perdita completa, si è dimostrato nel tempo non congruo tanto che alla fine degli anni ottanta si è reso necessario un nuovo intervento: infatti, l’eternit e le condizioni microclimatiche stavano causando un rapido degrado di ciò che era stato salvato. Allo stato attuale la maggior parte dei dipinti sono stati puliti e trasferiti su un supporto inerte di vetroresina e al momento sono in fase di ricollocazione nel Camposanto Monumentale. A questo proposito va sottolineato che i dipinti verranno a trovarsi nella loro collocazione originale, ossia lungo le pareti interne del camposanto, protetti dall’azione diretta degli agenti atmosferici, perché riparati, ma comunque in un ambiente aperto, poiché il monumento ha la struttura di una chiesa a tre navate, di cui la centrale è in realtà a cielo aperto. Al momento solo quattro scene molto importanti, il Trionfo della Morte, il Giudizio Universale , l’Inferno e le storie degli Anacoreti probabilmente tutte opere di Buonamico Buffalmacco, attendono di essere restaurate. Queste opere sono conservate in un ambiente semi-aperto ed il loro stato di conservazione non appare ottimale. Questo lavoro presenta alcuni aspetti relativi al progetto di Conservazione sviluppato in collaborazione con l’Opera della Primaziale Pisana e la Soprintendenza di Pisa; in particolare verranno discussi i seguenti aspetti: • La caratterizzazione chimica delle colle usate per l’applicazione dei dipinti sul supporto in eternit tramite GC-MS e Py-GC-MS al fine di evidenziare i materiali usati e di caratterizzare il loro stato di degrado; • l’identificazione e la quantificazione dei composti organici volatili (VOCs) nell’aria del Camposanto Monumentale tramite SPME-GC-MS e GC-FID per valutare la qualità dell’aria e l’impatto che i composti organici identificati possono avere sulla stabilità dei dipinti. È infatti noto che il degrado naturale a cui sono soggetti i beni artistici è fortemente accelerato e reso più intenso dall’inquinamento ambientale: risulta quindi fondamentale valutare la qualità dell’atmosfera di esposizione al fine di individuare le migliori pratiche che possono essere adottate per una corretta salvaguardia dei dipinti ricollocati.
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INDAGINI ANALITICHE SU MANUFATTI IN ARGENTO DAL SITO ARCHEOLOGICO DI CLASSE (RAVENNA) Sara Iacopini, Edith Joseph, Rocco Mazzeo, Daria Prandstraller, Silvia Prati Microchemistry and Microscopy Art Diagnostic Laboratory (M2ADL) Università di Bologna, Polo di Ravenna, Via Tombesi dall' Ova 55, 48100 RAVENNA (I) Nel settembre 2005 nello scavo del “podere Chiavichetta” di Classe (RA) è stato rinvenuto un tesoretto di oggetti in argento, di piena epoca bizantina (V-VII sec. d. C.), formato da alcuni cucchiai e una coppa1 (fig. 1). Già dalle prime osservazioni archeologiche, è risultata chiara l’importanza e la preziosità degli oggetti, finemente decorati e scarsamente ergonomici, forse destinati ad un uso battesimale.
Fig. 1: Il tesoretto Bizantino al momento del ritrovamento nel sito archeologico“podere Chiavichetta”, Classe (Ravenna). In collaborazione con la Soprintendenza Archeologica dell’Emilia Romagna, è stata impostata una serie di indagini volte a raccogliere informazioni sia sulla natura dei materiali (composizione della lega e microstruttura2) sia sullo stato di conservazione dei reperti. I microcampioni prelevati in corrispondenza di zone già danneggiate dalla permanenza nel sottosuolo, sono stati analizzati mediante XRF, microscopia stereoscopica, ottica ed elettronica a scansione a pressione variabile (VP-SEM), con sonda EDS. Alcuni prodotti di corrosione sono stati inoltre sottoposti ad analisi mediate spettroscopia FTIR (microATR e trasmissione in pasticca di KBr) e XRD. I risultati ottenuti hanno permesso di individuare sia le sequenze tecnologiche di produzione (la coppa è stata ottenuta per lavorazione termomeccanica, decorata a cesello-sbalzo ed incisione ed infine dorata, mentre i cucchiai sono stati ottenuti per fusione) che le modalità di degrado: sui reperti sono stati individuati due distinti strati di corrosione, uno più interno formato da cloruri di argento e uno più esterno formato da solfuri di argento3. Le informazioni ottenute dalla sequenza analitica sono state utilizzate nella definizione dell’intervento di restauro4. Bibliografia 1.http://www.archeobo.arti.beniculturali.it/classe/classe_scavi/tesoretto_restaurato.htm 2.D.A. Scott, Metallography and Microstructure of Ancient and Historic metals. Los Angeles, Getty Museum, 1991 3.M.B. Mc Neil, B. J. Little, JAIC, 1992, 31, 3, 355-366. 4.V.Costa, Rev. in Cons. 2001, 2, 18-34.
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STUDIO DELLE CAUSE DI DEGRADO DELLA BASILICA DI SANTA CROCE A LECCE: LA RISALITA CAPILLARE DEI SALI SOLUBILI Francesco Adducia, Giovanni Buccolierib, Alessandro Buccolierib, Alfredo Castellanob, Laura Sandra Leob, Caterina Ragusac, Fabrizio Vonad a
b
Università di Bari, Dipartimento di Fisica, Bari Università del Salento, Dipartimento di Scienza dei Materiali, Lecce. c Soprintendenza BAP/PSAE, Lecce d Soprintendenza P.S.A.E. di Bari e Foggia, Bari E-mail:
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La Puglia ha sempre occupato un posto di rilievo nel campo della produzione e dell’impiego di materiale lapideo poiché ricca di pietre calcaree dalle buone caratteristiche chimico-fisichemeccaniche e dalle gradevoli tonalità cromatiche: ciò giustifica il largo uso che di queste si è fatto nelle costruzioni sia recenti che passate. Le rocce calcaree impiegate in Puglia per la realizzazione di opere monumentali sono notoriamente costituite dai calcari mesozoici (pietra di Trani e Apricena), dalle calcareniti mioceniche del Salento (pietra leccese), nonché dalle calcareniti quaternarie della Puglia centro-meridionale La pietra leccese, nelle sue varietà coltivate, è costituita da una biocalcarenite formata da grani bioclastici (sedimenti formati da detriti di esseri viventi) e glauconite (silicati di alluminio, ferro, sodio, potassio e calcio) immersi in una fine matrice micritica (grani di carbonati finissimi) e cementati da calcite. Sovente il cemento calcitico è reso opaco dalla diffusa dispersione di filamenti argillosi. In generale le varietà coltivate sono sostanzialmente omogenee dal punto di vista mineralogico e differiscono tra loro per tonalità di colore e composizione granulometrica. Il fattore principale che provoca alterazione nel calcare è il passaggio di acqua: l’acqua si distribuisce nel calcare, viene assorbita e migra in esso per gravità e per capillarità. L’acqua capillare viene trattenuta negli spazi porosi dalle forze di attrazione capillare. L’idratazione, la cristallizzazione e il congelamento, in generale, si accompagnano a una notevole pressione all’interno dei pori con conseguente frattura della struttura. Quando nella pietra sono presenti sali solubili, la loro solubilizzazione e successiva cristallizzazione può provocare considerevoli danni evidenziati da progressivi sfaldamenti superficiali fino alla completa dissoluzione del manufatto. Le precedenti considerazioni indicano la necessità di impedire la penetrazione di acque salmastre dai terreni circostanti e, ove i sali solubili siano già presenti nella struttura, l’opportunità di intraprendere misure al fine di desalinizzare la pietra stessa. Per la determinazione dei sali solubili presenti su differenti altari della Basilica di Santa Croce a Lecce sono stati eseguiti dei micro campionamenti e successive analisi cromatografiche e diffrattometriche, nonché valutazioni dei cloruri presenti in superficie mediante la tecnica della fluorescenza a raggi X in dispersione di energia la quale ha permesso di eseguire determinazioni quantitative in situ. I risultati ottenuti hanno evidenziato una continua risalita di sali solubili solo su alcuni altari: ciò è probabilmente da attribuire alle differenti condizioni microclimatiche all’interno della Basilica.
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ISOLAMENTO DI CEPPI BATTERICI CALCINOGENICI DALLA TOMBA ETRUSCA DELLA MERCARECCIA (TARQUINIA) ED IPOTESI DI UNA LORO APPLICAZIONE NEL BIORESTAURO Anna Rosa Sprocati, Chiara Alisi, Flavia Tasso, Nicoletta Barbabietola, Elisabetta Vedovato Dipartimento Ambiente, Clima e Sviluppo Sostenibile, Sezione Sviluppo di metodi innovativi per l’analisi ambientale ENEA-Casaccia, Via Anguillarese 301 00123 Roma e-mail:
[email protected] Sebbene i microorganismi siano comunemente associati agli effetti di deterioramento dei beni culturali, si sta sviluppando un crescente interesse verso lo sfruttamento delle loro capacità metaboliche come possibile soluzione per il restauro e la conservazione. In particolare, la deposizione di cristalli di carbonato di calcio da parte dei batteri offre un nuovo strumento per il consolidamento delle opere d’arte lapidee. I vantaggi più evidenti sono legati all’uso di un metodo più ecologico rispetto ai metodi chimici tradizionali e di un prodotto minerale con una composizione molto simile a quella della pietra monumentale calcarea. La ricerca si inquadra in un progetto più ampio di caratterizzazione della flora microbica eterotrofa presente all’interno della tomba etrusca della Mercareccia (Tarquinia) della necropoli di Monterozzi. Scopo del lavoro qui presentato è la selezione di batteri con attività calcinogenica e la loro applicazione in un esperimento di bioconsolidamento in scala laboratorio. Per discriminare i ceppi in grado di precipitare il carbonato di calcio, è stato eseguito uno screening su 109 ceppi batterici isolati dalla tomba, coltivandoli su terreno arricchito con acetato di calcio e valutando allo stereomicroscopio l’eventuale formazione di cristalli sulle colonie. Ben 71 ceppi hanno mostrato capacità di deposizione dei cristalli, confermando che la biomineralizzazione è un fenomeno molto diffuso tra i procarioti. Sulla base della quantità di cristalli e della velocità di deposizione, sono stati selezionati i 5 ceppi con maggiore efficienza di precipitazione: TSNRS13, TPBS4, TSC8, TSG16 e TPBF2. Sulla base dell’analisi della sequenza del gene r-DNA 16S i ceppi sono stati rispettivamente identificati come: Rhodococcus erytropolis (100%), Rhodococcus sp (99%), Microbacterium sp. (99%), Bacillus simplex (99%) e Bacillus simplex (100%). L’analisi di diffrattometria a raggi X ha rivelato che i cristalli sono costituiti da sola calcite e, per Rhodococcus sp., da calcite mista a vaterite. L’attività di calcinogenesi è stata quindi testata in vivomediante applicazione di una sospensione batterica in terreno B4 sulla superficie di blocchetti di Pietra di Lecce, protratta per 15 giorni consecutivi. L’efficacia del trattamento, condotto in triplicato, è stata valutata misurando l’assorbimento d’acqua per capillarità, il colore e l’osservazione al SEM. Il test di assorbimento capillare ha dimostrato un’efficacia solamente per i trattamenti condotti con i ceppi TSNRS13 e TPBF2, che hanno ridotto di circa il 20% l’assorbimento di acqua. L’osservazione al SEM ha dimostrato per tutti i ceppi che sulla superficie della pietra si deposita uno strato compatto costituito da un biofilm batterico calcificato, misto a cristalli di carbonato. Tali patine batteriche alterano, tuttavia, le caratteristiche originarie della pietra, come dimostrano le analisi colorimetriche. Per ovviare a questo problema e per evitare tutti gli altri inconvenienti legati all’applicazione diretta dei batteri sulle pietre monumentali (colonizzazione secondaria da parte di funghi e microrganismi eterotrofi e sviluppo di prodotti metabolici dannosi), la ricerca è stata indirizzata verso lo sviluppo di un processo di biomineralizzazione in assenza di cellule vive. In letteratura è stata già individuata una 79
frazione cellulare in grado di indurre la formazione di calcite in vitro, la frazione BCF (Bacterial Cellular Fraction), contenente le pareti cellulari e le membrane. Il lavoro è, quindi, proceduto testando la capacità di indurre biomineralizzazione da parte della frazione BCF dei ceppi impiegati nel precedente esperimento, utilizzando il test di precipitazione descritto da Addadi e Weiner (1985). Risultati preliminari mostrano che la BCF di tutti i 5 ceppi è in grado di indurre una significativa precipitazione di cristalli; inoltre, testando diluizioni seriali delle BCF, si osserva una progressiva riduzione del precipitato che dimostra la dipendenza del processo dalla concentrazione della frazione attiva. I risultati ottenuti depongono a favore della prosecuzione del lavoro, saggiando su pietra l’efficacia del trattamento. Bibliografia Addadi L.; Weiner S. Proc. Natl. Acad. Sci. 1985, 82, 4110-4114. Barabesi C.; Mastromei G.; Perito B. in Biologia e archeobiologia nei beni culturali, conoscenze, problematiche e casi di studio 2006, AIAR e Musei Civici Como editore, 236247. Tiano P.; Biagiotti L.; Mastromei G. Journal of Microbiological Methods 1999, 36, 139-145. Webster A.; May E. TRENDS in Biotechnology 2006, 24, 255-260. Elisabetta Vedovato.” Esplorazione microbiologica di un ipogeo etrusco per un’analisi descrittiva dei microorganismi colonizzatori” tesi di laurea Università di Roma “la Sapienza” AA.2005-2006
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LE DECORAZIONI IN STUCCO DELLA CHIESA DI S. LORENZO (LAINO, COMO): STUDIO DELLA TECNICA ARTISTICA Laura Rampazzi,a Biagio Rizzob, Chiara Colomboc, Claudia Contic, Marco Realinic, Ugo Bartoluccid, Maria Perla Colombinid a
Dipartimento di Scienze Chimiche e Ambientali, Università dell’Insubria, via Valleggio 11, 22100 Como b Dipartimento di Chimica Inorganica, Metallorganica ed Analitica, Università degli Studi di Milano, via Venezian 21, 20133 Milano c CNR ICVBC, p.zza Leonardo da Vinci 32, 2013, Milano d Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale, Università di Pisa, via Risorgimento 35, 56126 Pisa e-mail:
[email protected]
Il progetto Interreg IIIA ‘L’arte dello stucco nel Parco dei Magistri Comacini (Intelvesi, Campionesi e Ticinesi) delle Valli e dei Laghi: valorizzazione, conservazione e promozione’, è stato finalizzato allo studio e alla valorizzazione dei numerosi e pregevoli manufatti in stucco di epoca barocca presenti tra i laghi di Como e Lugano. Tra i monumenti indagati, la chiesa di S. Lorenzo di Laino (CO) si distingue per la ricchezza di decorazioni di pregevole fattura, eseguite a più riprese da diverse maestranze artistiche. Il piano progettuale prevedeva approfondite indagini analitiche su tali cicli, con la finalità di verificare ipotesi cronologiche ed attribuzioni formulate in base a valutazioni unicamente stilistiche e documentarie. Le analisi sono state quindi progettate in collaborazione con gli storici dell’arte, partner del progetto, che hanno evidenziato, sulla base delle conoscenze storiche, i manufatti più rappresentativi ed interessanti da indagare. Le diverse metodologie analitiche utilizzate (Microscopia Ottica ed Elettronica con Microsonda in dispersione di energia, Spettroscopia Infrarossa, Diffrazione di Raggi X, Spettrometria di Massa con sorgente al Plasma accoppiato induttivamente e sistema di Ablazione Laser, Gas Cromatografia interfacciata con Spettrometria di Massa) hanno consentito di caratterizzare le componenti mineralogico-petrografiche e i composti maggioritari, minoritari ed in traccia presenti nei campioni in stucco, ossia nella malta di corpo e nelle finiture, spesso costituite da stratigrafie complesse e comprendenti resti di dorature. L’utilizzo di tecniche complementari e sensibili ha permesso di discriminare le tecniche utilizzate dai diversi artisti e, in alcuni casi, di apprezzarne le raffinate scelte in fase di esecuzione delle decorazioni.
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DIAGNOSI E DIGITALIZZAZIONE DEL CODICE DANTESCO PHILLIPS 9589 Salvatore Lorusso, Andrea Natali, Chiara Matteucci Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali Alma Mater Studiorum Università di Bologna, via degli Ariani, 1 Ravenna
[email protected] Il presente lavoro riguarda lo studio del Codice dantesco miniato su pergamena conservato presso la Biblioteca del Centro Dantesco dei Frati Minori Conventuali di Ravenna. Tale codice è noto alla comunità scientifica internazionale con la sigla di Phillipps 9589 e deve la sua notorietà al fatto non solo di essere l’unico palinsesto dantesco, ma anche di conservare, nella scriptio superior, uno tra i testimoni più antichi di quel ramo della tradizione manoscritta della Commedia di Dante chiamata “tradizione α”, la cosiddetta “antica vulgata”. La ricerca, svolta in più fasi, si è proposta di approfondire gli aspetti tecnico-diagnostici, in particolare le finalità generali sono state: - valutazione dello stato di conservazione; - caratterizzazione dei materiali; - miglioramento della leggibilità del testo dantesco e lettura del palinsesto; - valutazione dell’ambiente di conservazione; - digitalizzazione del codice per una fruizione intranet ed internet. A tal riguardo ci si è avvalsi dell’impiego delle seguenti tecniche diagnostiche non-distruttive anche a scopo documentario: fotografia digitale; videomicroscopio ad analisi di immagine; colorimetria spettrofotometrica; fluorescenza a raggi X (XRF); sistema multispettrale per l’acquisizione di immagini (MuSIS Multispectral Imaging System).
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LASER CLEANING PER LA RIMOZIONE SELETTIVA DEI PRODOTTI DI CORROSIONE SU MANUFATTI BRONZEI DI INTERESSE STORICO-ARTISTICO b
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Francesco Adducia, Alessandro Buccolieri , Giovanni Buccolieri , b b c b Alfredo Castellano , Massimo Di Giulio , Vincenzo Nassisi , Laura Sandra Leo a
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Università di Bari, Dipartimento di Fisica, Bari Università del Salento, Dipartimento di Scienza dei Materiali, Lecce. E-mail:
[email protected] c Università del Salento, Dipartimento di Fisica, Lecce
I manufatti in rame e sue leghe sono soggetti a numerosi e complessi processi di corrosione che determinano la formazione della patina, ovvero di uno strato d’alterazione che si sviluppa sulla superficie del metallo e, in alcuni casi, ne provoca il progressivo degrado nel tempo [1, 2]. La patina è dunque il risultato dell’interazione chimico-fisica del metallo con l’ambiente che lo circonda. Pertanto le caratteristiche chimico-fisiche, la stratigrafia e le proprietà di strato protettivo (patina nobile) o, al contrario, di strato dannoso (patina vile), sia per la salvaguardia del manufatto che per il suo impatto estetico, sono inevitabilmente influenzate da una vasta gamma di fattori, quali le condizioni ambientali a cui il manufatto è esposto, la composizione e struttura metallica dello stesso, ecc.. In tale contesto, la conoscenza profonda sia del materiale che costituisce il manufatto che dei processi di degrado cui esso è soggetto, costituiscono un primo ed essenziale requisito per il corretto restauro dei bronzi antichi, anche in considerazione del fatto che qualsiasi trattamento di restauro dovrebbe essere in grado di rimuovere la patina vile senza intaccare né il bulk metallico né la patina nobile eventualmente presente. A tal riguardo, la tecnica di laser cleaning si prospetta come un trattamento di pulitura estremamente innovativo sia perché si configura come una tecnica di non contatto, sia perché permette una pulitura estremamente graduale e di conseguenza controllabile. Nel presente lavoro è stata valutata l’efficacia e la selettività della tecnica di laser cleaning come metodo di pulitura di antichi manufatti in rame e in bronzo, differenti per composizione (sia del bulk che della patina) e provenienza (sia campioni interrati che esposti all’aperto), utilizzando un laser a eccimeri KrF (248 nm). Al fine di monitorare gli effetti dell’interazione laser-materia ed evitare possibili danni al substrato e all’eventuale patina nobile presente, le operazioni di laser cleaning sono state affiancate da analisi non distruttive quali la tecnica di fluorescenza a raggi X in dispersione di energia (EDXRF) e la tecnica di diffrattometria a raggi X (XRD). In particolare, le analisi EDXRF quantitative hanno permesso di stabilire la selettività e il grado di accuratezza della pulitura laser raggiunte per ciascuna tipologia di campione investigato. Bibliografia 1. Scott, D.A. Copper and Bronze in Art, Getty Publications, Los Angeles, California, 2002. 2. Pedeferri, P. Corrosione e protezione dei materiali metallici, Città Studi Edizioni, Torino, 2003.
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COLORANTI E OPACIZZANTI IN FRAMMENTI VITREI DI ETA’ MEDIEVALE: CARATTERIZZAZIONE CHIMICO-FISICA Alessandra Gengaa, Maria Sicilianoa, Tiziana Sicilianoa, Antonio Teporea, Angela Trainib, Annarosa Mangoneb, Caterina Laganarac a
Dipartimento di Scienza dei Materiali – Università degli Studi di Lecce via per Arnesano, 73100 Lecce b Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Bari, via Orabona 4, 70126 Bari c Dipartimento di Beni Culturali –Università di Bari, p.zza Umberto I, 70100 Bari e-mail:
[email protected] L’analisi chimica dei reperti vetri di interesse archeologico fornisce utili informazioni sui cambiamenti e sulle innovazioni tecnologiche riguardanti i processi di produzione. Ciò permette di caratterizzare differenti gruppi di oggetti vitrei, identificare i materiali usati per la loro fabbricazione e, non in ultimo, la possibilità di manipolare il colore e l’opacità con o senza l’intenzionale introduzione di agenti coloranti. Tale evidenza, infatti, è rivelabile indagando la presenza e il relativo contenuto degli elementi cromofori, i quali in base alle condizioni ossidanti o riducenti dell’atmosfera della fornace conferiscono agli oggetti le tonalità di colore desiderate. Il presente lavoro illustra i risultati relativi all’analisi composizionale di frammenti vitrei, datati XIII-XIV sec. e provenienti dal parco archeologico di Siponto (Foggia-Italia), per l’individuazione e determinazione degli elementi minoritari e in tracce. L’obiettivo è stato quello di indagare il contenuto degli agenti coloranti presenti nei reperti e le tecniche di lavorazione impiegate per conferire ad essi colore, trasparenza o opacità. I frammenti, che in un precedente lavoro si sono rivelati essere tutti silico-sodico-calcici [1], sono caratterizzati dalla presenza di quantità relativamente alte di metalli coloranti. In particolare i campioni blu mostrano alte concentrazioni di CoO e ZnO, Sb2O5, As2O3, PbO e NiO ed un’alta correlazione fra i contenuti di CoO e PbO e ZnO, Sb2O5, As2O3, e NiO. Ciò lascia supporre che per la loro colorazione sia stato utilizzato come pigmento un minerale contenente cobalto e che in tale minerale il Co sia associato a Pb, Zn, Sb, As e Ni. I frammenti rossi trasparenti sono caratterizzati da un’alta concentrazione di MnO e relativamente alta di BaO, Cr2O3, V2O5 e SrO. L’alta concentrazione di manganese e la sua associazione con Cr, V, Ba e Sr portano ad ipotizzare l’impiego di un minerale contenente manganese con presenza in traccia dei suddetti elementi. I frammenti rossi opachi mostrano una più alta eterogeneità composizionale. Essi sono caratterizzati da una più alta concentrazione di CuO, Fe2O3, SnO2 e di P2O5, i quali risultano associati a Na2O, MgO, K2O e CaO (derivanti plausibilmente dall’uso di ceneri). Tali evidenze suggeriscono l’ipotesi che per ottenere tale colorazione e opacità siano stati aggiunti alla miscela ossidi di rame, di ferro, di stagno. Bibliografia 1. Genga A., Manno D., Siciliano M., Buccolieri A., Traini A., Mangone A., Laganara C., proceedings ART05, 2005, 182.
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SISTEMI “SOFT-MATTER” PER LA PULITURA DI SUPERFICI PITTORICHE Rodorico Giorgi, David Chelazzi, Emiliano Carretti, Piero Baglioni CSGI (Consorzio per lo sviluppo dei Sistemi a Grande Interfase – Dipartimento di Chimica – Università degli Studi di Firenze, Via della Lastruccia 3-50019 Sesto Fiorentino (Firenze)
[email protected];
[email protected];
[email protected];
[email protected]
Il restauro e la conservazione delle superfici pittoriche richiede molto spesso la rimozione selettiva di materiali sintetici utilizzati nel corso di precedenti restauri. Tale operazione è molto delicata e spesso dannosa per la pittura stessa, in quanto la solubilizzazione dei polimeri è complicata e richiede trattamenti chimici e meccanici energici. E’ noto che polimeri come il paraloid B72 incorrono in processi chimici di degradazione che ne compromettono la funzionalità e favoriscono l’insorgere di gravi manifestazioni di degrado sulle pitture. La degradazione di simili molecole produce materiali con proprietà chimicofisiche molto diverse da quelle originarie, al punto da rendere molto bassa la possibilità della loro rimozione usando i solventi puri impiegati per l’applicazione. L’impiego di sistemi dispersi, quali soluzioni micellari, emulsioni e microemulsioni favorisce la solubilizzazione delle fasi oleose tenacemente legate alla pittura, grazie all’enorme superficie di scambio di simili sistemi nano-compartimentalizzati. Inoltre possono essere caricati su gelificanti ad ottenere idrogel con grande capacità detergente per la rimozione di sostanze poco polari o apolari. Questo contributo mostra alcuni risultati ottenuti impiegando alcune classi di tensioattivi nonionici e ionici per la preparazione di microemulsioni olio in acqua adatte per trattamenti di pulitura di superfici murali. In particolare sono stati studiati tensioattivi a base di polialchilglicosidi (non-ionici) ad ottenere microemulsioni con fase olio sotto l’1% in xilene per la rimozione di paraloid B72 degradato. Altre formulazioni a base di tensioattivi ionici sono state utilizzate valutando la possibilità di usare soluzioni acquose di carbonato di ammonio, quale fase disperdente della microemulsione, per intervenire su superfici lapidee e murali contaminate da residui organici e croste nere. Gli impacchi di carbonato di ammonio sono in grado di disgregare le patine ed agevolare la rimozione dei composti organici sintetici da parte della fase olio dispersa. Il presente lavoro riporta i risultati principali degli interventi eseguiti su alcune pitture murali in Siena, trattate con paraloid B72, e su pitture alluvionate in Firenze. I processi di rimozione si sono rivelati completi e del tutto soddisfacenti. Numerosi tets sono stati, infine, eseguiti allo scopo di ottenere gel capaci di caricare tali microemulsioni. In particolare sono state studiate le potenzialità applicative di alcuni gelificanti a base di acrilammide legati a nanoparticelle magnetiche recentemente sintetizzate nei laboratori del CSGI. La possibilità di ottenere gel chimici responsivi a stimoli fisici quali un campo magnetico può consentire la perfetta rimozione di ogni residuo di gel dalla superficie trattata.
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APPROCCI QSAR PER L’ IDENTIFICAZIONE DI COMPOSTI CHIMICI PERSISTENTI, BIOACCUMULABILI E TOSSICI (PBTs), COME SUPPORTO PREDITTIVO PER IL REACH E LA CHIMICA SOSTENIBILE Ester Papa e Paola Gramatica Unità di Ricerca QSAR in Chimica Ambientale ed Ecotossicologia, Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale, Università dell’Insubria, via Dunant 3, Varese. e-mail:
[email protected] I composti chimici, che sono contemporaneamente persistenti, bioaccumulabili e tossici (i PBT) sono al centro dell’attenzione sia della Green Chemistry (tra i cui principi fondamentali è inclusa la progettazione di composti meno persistenti e meno tossici) sia della nuova normativa europea REACH (che richiede per i PBT la più severa fase dell’autorizzazione e la verifica di possibili alternative più “sicure”). La preoccupante realtà di una limitata disponibilità di dati sperimentali relativi alle caratteristiche in esame e la conseguente generale mancanza di conoscenze per la maggior parte dei composti esistenti nell’ambiente e sul mercato impone la scelta di approcci integrati che permettano di sfruttare al massimo le scarse conoscenze attualmente esistenti. In questo ambito si colloca la modellistica predittiva a base strutturale QSAR (Quantitative Structure Activity Relationships), che, partendo dai pochi dati noti permette l’ottenimento di dati predetti anche per nuove molecole, addirittura prima della loro sintesi e consente quindi la stesura di liste di priorità. I modelli QSAR, purchè validati secondo i criteri OECD, sono stati anche inclusi nell’ambito del REACH, in quanto permetteranno di ridurre gli elevati costi attesi, come pure la sperimentazione animale. Nella comunicazione viene presentato un approccio multivariato a base strutturale (che combina metodi chemiometrici e modellistica QSAR) per l’individuazione di composti PBT già esistenti, come pure per la progettazione di composti alternativi più sicuri. Il modello di regressione lineare sviluppato, basato su semplici descrittori molecolari, ha prestazioni confrontabili con il PBT-Profiler dell’US-EPA, ma è molto più semplice ed è stato validato su diversi gruppi di composti già inseriti come PBT in liste EU e USA. Bibliografia Gramatica, P.; Papa,E. Environ. Sci. Technol., 2007, DOI: 10.1021/es061773b. Papa, E.; Dearden, J.; Gramatica, P. Chemosphere, 2007, 67, 351-358. E.Papa, E; Villa, F.; Gramatica, P. J. Chem. Inf. Model 2005, 45,1256-1266.
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INQUINANTI ORGANICI EMERGENTI IN ECOSISTEMI SENSIBILI. IL CASO DEI RITARDANTI DI FIAMMA Vittorio Esposito, Annamaria Maffei, e Luisella De Vitis Consorzio I.N.C.A., Laboratorio Microinquinanti Organici di Lecce. c/o Università del Salento, Dipartimento di Ingegneria dell'Innovazione, Complesso Ecotekne – edificio 'La Stecca', 73100 Lecce, Italia. I ritardanti di fiamma sono una classe di additivi usati in moltissimi materiali allo scopo di prevenire il propagarsi di incendi in tutta una serie di beni di consumo che includono tessuti, mobili, ed elettrodomestici. Alla pari di altri inquinanti organici persistenti (POPs), questi composti possono venire rilasciati nell'ambiente e bioaccumularsi attraverso la catena alimentare a causa della loro bassa biodegradabilità ed elevata affinità per i tessuti grassi. La causa della crescente preoccupazione verso questi inquinanti è dovuta alla mole di evidenze scientifiche sui potenziali effetti diossina-simili sulla salute umana, come ad esempio carcinogenicità, interferenze con il sistema endocrino, e neurotossicità. I polibromo difenileteri (PBDEs) sono un sottogruppo dei ritardanti di fiamma bromurati (BFR). Esistono tre tipi ti PBDE che sono comunemente chiamati Penta, Octa, e Deca BDE secondo il numero di atomi di bromo presenti nella molecola. L'Unione Europea ha condotto una valutazione del rischio associato all'uso e alla diffusione di queste sostanze nell'ambiente. Sulla base dei risultati ottenuti, l'uso di Penta e Octa BDE è stato vietato dal 2004 1 . L'uso del Deca BDE è stato regolamentato e sottoposto a restrizioni dalla Direttiva RoHS. Molti laboratori hanno iniziato a proporre ed effettuare l'analisi di PBDE in matrici ambientali e molti e diversi protocolli sono stati sviluppati per quantificare le concentrazioni dei singoli congeneri al livello di ultratraccia. La maggior parte di questi metodi sono basati su procedure già esistenti per composti simili come le diossine e i PCB e questo ha facilitato il rapido sviluppo della capacità ad analizzare i PBDE in varie matrici. Tuttavia, quando queste classi di inquinanti sono contemporaneamente presenti negli estratti questo approccio ha la conseguenza di essere esposto ad interferenze e può portare ad interpretazioni erronee dei risultati. Saranno presentati risultati di una ottimizzazione della procedura per minimizzare questi effetti 2 . Nell'ambito della sua attività di analisi di microinquinanti organici, il Laboratorio INCA di Lecce conduce studi sulla presenza di PBDEs in campioni sottoposti alla concomitante analisi di diossine e PCB. Di questa attività saranno illustrati i risultati preliminari.
1 DIRECTIVE 2003/11/EC OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL 2 Esposito, Aries, Anderson, Fisher, unpublished results.
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RELAZIONE ATTIVITÀ–STRUTTURA DI NITRO-DERIVATI DI IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI Vito Librando, Andrea Alparone Centro Universitario di Ricerca per l’Analisi, il Monitoraggio e le Metodologie di Minimizzazione del Rischio Ambientale e Dipartimento di Scienze Chimiche, Università di Catania Viale A. Doria 6, 95125 – Catania, Italia email:
[email protected],
[email protected] I nitro-derivati degli idrocarburi policiclici aromatici (N-IPA) costituiscono una classe di inquinanti di notevole interesse ambientale. Si formano prevalentemente nei processi di combustione e da reazioni in atmosfera tra IPA ed ossidi di azoto, contribuendo al particolato atmosferico.1 Molti N-IPA e loro metaboliti sono caratterizzati da elevata attività biologica, mostrando alti livelli di tossicità su cellule e mutagenicità e carcinogenicità su batteri e mammiferi.2,3 É stato dimostrato che le caratteristiche strutturali ed elettroniche dei N-IPA influenzano significativamente la loro attività biochimica. In particolare l’orientazione del piano del nitro gruppo rispetto al piano degli anelli aromatici è stato spesso correlato all’attività biologica. In genere molecole con il nitro gruppo orientato perpendicolarmente o quasi al sistema aromatico presentano più bassi valori di attività mutagenica e/o tumorale di omologhe planari o quasi planari.4 I principali percorsi di attivazione metabolica che portano alla formazione di addotti con il DNA e all’induzione di mutazioni prevedono l’interazione intermolecolare tra il sito attivo dell’enzima e il substrato e successivamente reazioni di ossidazione del sistema aromatico, di nitroriduzione o loro combinazioni.1-3 É pertanto molto importante determinare quelle proprietà chimico-fisiche come la struttura, il momento dipolare, la polarizzabilità elettronica, il potenziale di ionizzazione, l’affinità elettronica, in grado di controllare le varie fasi di attivazione metabolica del DNA. A tale scopo risulta essere molto vantaggioso l’impiego di metodi computazionali, in grado di fornire accurate previsioni delle suddette proprietà in tempi relativamente brevi e a bassi costi. Verrano illustrati e discussi recenti risultati su proprietà elettroniche e strutturali di isomeri di importanti N-IPA quali, nitronaftaleni, nitroantraceni, nitrofenantreni e nitrobenzo[a]pireni ottenute mediante metodi di calcolo quantomeccanico di tipo semiempirico (PM6), ab initio (HF, MP2) e di teoria della densità funzionale (B3LYP), con lo scopo di fornire correlazioni con l’attività mutagenica. 1
Tokiwa, H.; Ohnishi, Y. Crit. Rev. Toxicol., 1986, 17, 23-60. Fu, P. P., Drug. Metab. Rev., 1990 , 22, 209-268. 3 Howard, P. C.; Hecht, S. S.; Beland, F. A. (Eds.), In Nitroarenes: The Occurrence, Metabolism and Biological Impact, Vol. 40, Plenum Press, NY, 1990. 4 Li, Y. S.; Fu. P. P.; Church, J. S. J. Mol. Struct., 2000, 550-551, 217-223 e riferimenti all’interno. 2
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EMERGING CONTAMINANTS IN THE AQUATIC ENVIRONMENT: EFFECTS ON A SENTINEL ORGANISM, THE MUSSEL MYTILUS Laura Canesia*, Caterina Ciaccib, Lucia Cecilia Lorussob, Michele Bettib, Gabriella Galloa, Giulio Poianac, Antonio Marcominic. a
Dipartimento di Biologia, Università di Genova; bIstituto di Scienze Fisiologiche, Università “Carlo Bo” di Urbino; cUniversità Ca’ Foscari di Venezia.
Advanced environmental analysis is revealing the widespread occurrence of different classes of emerging environmental contaminants (including endocrine disrupting chemicals-EDC, pharmaceuticals and personal care products-PPCPs, nanoparticles, etc.) in aquatic ecosystems. Increasing environmental exposure to these ‘new’ contaminants raised concern on their possible mechanisms of toxicity and consequent health hazard not only in humans, but also in aquatic organisms. Data are here summarised on the in vitro and in vivo effects of different emerging contaminants in a model aquatic invertebrate, the blue mussel Mytilus, that is widely utilised as a sentinel organism in biomonitoring programs. In vitro studies in mussel blood cells demonstrated that individual EDCs and PPCPs interfere with the signalling pathways involved in mediating cellular responses to environmental and hormonal signals, thus affecting the immune function. These effects were confirmed in vivo, in mussels exposed to different compounds, both individually and in mixtures; moreover, in mussel hepatopancreas, significant changes in the activity of metabolic enzymes, gene expression and biomarkers of stress were observed. The results indicate that these emerging contaminants can affect basic aspects of mussel physiology at environmental exposure levels. Finally, the potential for ecological toxicity associated with nanomaterials was considered. Because of the fast development of nanotechnology productions, nanoscale products and by products are expected to enter the aquatic environment. Data are reported here on the effects and modes of action of nanosized carbon black (CB) particles on mussel immune response and inflammation. 1. Oberdörster G.; Oberdörster E.; Oberdörster J. Nanotoxicology: an emerging discipline evolving from studies of ultrafine particles. Environ. Health Perspect., 2005, 113, 823839. 2. Fent, K.; Weston, A.A.; Caminada, D.; 2006. Ecotoxicology of human pharmaceuticals. Aquat. Toxicol. 2006, 76, 122-159.
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IL PROCESSO NEUTREC®: UNA TECNOLOGIA DI RIFERIMENTO NELLA DEPURAZIONE DEI FUMI E NELLA VALORIZZAZIONE DEI PRODOTTI RESIDUI Stefano Brivio, Marco Riccio Solvay Chimica Italia SpA, Via Turati 12, 20121 Milano
[email protected];
[email protected] La depurazione dei fumi, applicata sia all’attività industriale sia alla termovalorizzazione dei rifiuti, costituisce essa stessa un processo industriale, i cui residui devono essere trattati in un quadro di tutela dell’ambiente e delle sue risorse non rinnovabili. E’ in questo contesto che s’inserisce il Processo NEUTREC®, messo a punto e brevettato da SOLVAY, in quanto consente da una parte una depurazione efficace dei fumi e dall’altra il recupero della quasi totalità dei prodotti di risulta, determinando così una drastica riduzione della quantità di rifiuti destinati alla discarica. Il Processo NEUTREC® permette di realizzare l’abbattimento delle componenti acide presenti nei fumi, utilizzando il bicarbonato di sodio, opportunamente macinato fino a raggiungere la granulometria ottimale per la resa del processo. Quest’ultimo si articola in due fasi: ¾ La depurazione dei fumi propriamente detta; ¾ Il trattamento e la valorizzazione dei prodotti derivanti dalla depurazione. Il prodotto viene iniettato a secco nei fumi, a valle dell’ultima sezione di recupero energetico e prima dello stadio di depolverazione finale, rendendo possibile il pieno rispetto dei limiti previsti dalla legislazione in materia di emissioni in atmosfera. L’estrema reattività del bicarbonato di sodio è legata alla sua elevatissima superficie specifica, dovuta alla natura del processo di attivazione del reagente ed alla macinazione alla quale il prodotto è sottoposto. Il bicarbonato di sodio può essere combinato con carbone attivo, agendo così oltre che sulle componenti acide, anche sui metalli pesanti, sulle diossine e sui furani. I benefici della tecnologia NEUTREC® si riassumono quindi nell’assenza di emissioni di sostanze inquinanti, nel limitato consumo di reagente, nella quantità minima di residui ultimi, nella semplicità e flessibilità impiantistica e gestionale, nella completa adattabilità all’evoluzione delle normative. Il reagente basico utilizzato è un prodotto neutro, non corrosivo, non irritante e atossico e quindi agevolmente maneggiabile, oltre che utilizzabile in un ampio spettro di condizioni operative e di applicazioni che vanno dalla termovalorizzazione dei rifiuti urbani, industriali e sanitari, a settori industriali diversi quali la fusione secondaria dei metalli, la produzione del vetro, l’industria della ceramica e dei laterizi, i cementifici. Inoltre il processo NEUTREC® di depurazione fumi presenta l’ulteriore vantaggio di aver luogo interamente a secco e di non produrre, quindi, alcun refluo liquido. Infine, nel caso di ulteriori restrizioni normative, non sono necessarie modifiche impiantistiche della linea di trattamento fumi, ma semplicemente l’aumento del quantitativo di bicarbonato utilizzato. Con l’approvazione del Decreto Legislativo 22/97 (Decreto Ronchi) si è manifestata la volontà legislativa di attuare un cambiamento di rotta, prevedendo la riduzione alla fonte della quantità di rifiuti, il riutilizzo dei prodotti finiti, il riciclo delle materie ed il recupero di energia dai rifiuti stessi.
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In quest’ambito, SOLVAY ha messo a punto una tecnologia dedicata che consente di recuperare e valorizzare i Prodotti Sodici Residui (P.S.R.), derivanti dalla depurazione dei fumi acidi con bicarbonato di sodio, sottoforma di una salamoia satura di sali sodici costituente una materia prima utilizzabile in cicli industriali. Tale recupero viene realizzato su scala industriale in un impianto dedicato, sito a Rosignano (LI) e gestito dalla società SOLVAL (filiale al 100% SOLVAY). Tale impianto dedicato, autorizzato al trattamento di circa 13.000 tonnellate di Prodotti Sodici Residui (P.S.R.), è strutturato su tre sezioni (dissoluzione, filtrazione e rettifica finale), che permettono l’ottenimento di una salamoia depurata satura di sali di sodio. Oggi il processo NEUTREC® viene utilizzato in oltre sessanta impianti in Italia, e in un centinaio circa di installazioni europee. Questa specifica applicazione industriale del bicarbonato di sodio permette una gestione responsabile delle risorse naturali non rinnovabili e, pertanto, il processo si presenta come una soluzione “pulita” al problema dello smaltimento dei rifiuti.
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RIMOZIONE DI SREGOLATORI ENDOCRINI (EDC) MEDIANTE TRATTAMENTI BIOLOGICI INNOVATIVI Lydia Balest, Giuseppe Mascolo, Claudio Di Iaconi, Antonio Lopez CNR, Istituto di Ricerca sulle Acque (IRSA), via F. De Blasio 5, 70123 Bari. e-mail:
[email protected],
[email protected] I composti organici noti come sregolatori endocrini (Endocrine Disrupter Compounds, EDC) preoccupano la comunità scientifica internazionale per gli effetti che possono indurre sia sulla salute umana che sull’ambiente. Si ritiene, infatti, che molti composti organici appartenenti a differenti classi (alchilfenoli, policlorobifenili, pesticidi, fitoestrogeni, estrogeni sintetici) possano influenzare il sistema ormonale degli animali. In particolare, è noto che gli estrogeni possono causare effetti avversi sulla salute di un organismo, oppure della sua progenie, anche quando sono presenti a concentrazioni molto basse (ng/L), mentre altri EDC manifestano la loro attività a concentrazioni più alte (μg/L). Gli EDC, sia di origine estrogenica che di altra natura (per esempio gli alchilfenoli), sono presenti anche in acque reflue municipali dalle quali, durante lo stadio di ossidazione biologica con i tradizionali fanghi attivi, vengono rimossi con rese molto basse raggiungendo così i corpi idrici recettori dove possono causare i citati effetti negativi. Attualmente, nel settore della depurazione biologica di reflui civili e/o industriali, grande interesse è rivolto allo sviluppo di trattamenti innovativi che risultino più efficienti di quelli a fanghi attivi, in termini di rimozione del COD, e contemporaneamente producano minor quantità di fango biologico da smaltire nell’ambiente. In questo ambito, presso IRSA-CNR è stata sviluppata una nuova tecnologia che utilizza biomassa granulare (Sequential Batch Biofilter Granular Reactor: SBBGR) e che si caratterizza per mantenere un’elevata concentrazione di biomassa nel reattore (fino a 40 g biomassa/L) ed una produzione di fango molto bassa. Nel presente lavoro vengono riportati i risultati di un’indagine mirata a verificare l’efficacia di questa tecnologia SBBGR per la rimozione di alcuni EDC presenti nei liquami urbani di un impianto di depurazione municipale. Lo studio è stato focalizzato sulla rimozione dell’estrone (E1), del 17β-estradiolo (E2), del 4-t-octilfenolo (4tOP) e del bisofenolo A (BPA) che sono stati gli EDC identificati nel refluo preso in considerazione. L’obiettivo dello studio è stato quello di verificare l’efficienza della tecnologia SBBGR per la rimozione dei vari EDC e di confrontare le efficienze di rimozione con quelle ottenute nell’impianto municipale che opera con il processo convenzionale a fanghi attivi. Dei campioni compositi, rappresentativi di 24 ore di funzionamento, sono stati prelevati per diversi mesi all’ingresso e all’uscita dell’impianto municipale oltre che all’uscita dell’impianto SBBGR che trattava lo stesso refluo. I risultati hanno mostrato che con l’impianto SBBGR si ottengono rimozioni maggiori che con quello municipale. Infatti, con l’SBBGR la rimozioni medie sono state: per il BPA 91,8% rispetto al 71,3 %, per l’E1 62,2% rispetto a 56,4%, per l’E2 68,0% rispetto a 36,3% e per il 4tOP 77,9 rispetto al 64,6%. Questi risultati sono consistenti con l’elevata età del fango dell’impianto SBBGR (circa 180 giorni).
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INQUINANTI PRIORITARI IN BACINI MARINO COSTIERI: ANALISI ED IPOTESI DI RECUPERO AMBIENTALE Luigi Lopez a, Nicola Cardellicchio b a
Dipartimento di Chimica Università di Bari, via Orabona 4, 70124 Bari b Istituto CNR “IAMC” via Roma 3,I-74100 , Taranto e-mail:
[email protected]
Il degrado ambientale, in particolare dei bacini marino costieri di Taranto, è una diretta conseguenza dell’incremento demografico con le sue mutate esigenze socio-economiche, dell’industrializzazione e del crescente sfruttamento delle coste. Tutto questo ha determinato l’immissione nei corpi idrici recettori di un enorme quantità di inquinanti organici (POPs, PPCPs, PPPs) con effetti sulle risorse economiche e sullo stato di salute degli organismi animali e vegetali e sull’uomo, anello terminale della catena trofica. Trascurando il notevole apporto di inquinanti provenienti dal fall-out di polveri sottili, il nostro interesse si è concentrato sull’apporto di inquinanti derivanti dallo sversamento di acque reflue nei bacini in oggetto e del loro conseguente accumulo nei sedimenti e/o nella colonna d’acqua soprastante.1-3 Ipotesi di recupero ambientale, alternative al processo di dragaggio dei sedimenti, verranno discusse. Bibliografia 1. Cardellicchio, N.; Buccolieri,A.; Giandomenico, S.; Lopez, L.; Pizzulli, F.; Spada, L. Marine Pollution 2007 in press 2. Cardellicchio, N.; Buccolieri,A.; Giandomenico, S.; Lopez, L.; Pizzulli, F.; Lerario, V. Annali di Chimica 2006, (96), 51-64. 3. Cardellicchio, N.; Giandomenico, S.; Lopez, L.; Lerario, V. Annali di Chimica 2003, (93), 397-406.
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ANALISI DI SENSITIVITA’ E DI INCERTEZZA DI UN MODELLO DI BIOACCUMULO DI POP APPLICATO ALLA LAGUNA DI VENEZIA Stefano Ciavattaa, Tomas Lovatob, Christian Michelettia, Roberto Pastresc a
Consorzio Venezia Ricerche, Via della Libertà, 12 - 30175 Venezia e-mail:
[email protected] b Dipartimento di Scienze Ambientali, Università di Venezia, Dorsoduro 2137, 30123 Venezia; c Dipartimento di Chimica Fisica, Università di Venezia, Dorsoduro 2137, 30123 Venezia; L’analisi quantitativa del bioaccumulo di sostanze potenzialmente tossiche lungo la rete trofica negli ecosistemi acquatici naturali riveste una rilevante importanza nell’ambito dell’ecotossicologia ambientale e dell’analisi di rischio, anche in relazione alla recente normativa europea in tema di tutela delle acque (2000/60/CE, Water Framework Directive), che prevede di valutare lo stato di qualità dei corpi idrici considerando lo stato di salute degli organismi che li popolano. Il bioaccumulo di una sostanza inquinante può essere valutato in base a misure sperimentali utilizzando quali parametri di riferimento i fattori di bioconcentrazione (BCF) e di bioaccumulo (BAF). Tuttavia, i dati empirici risultano spesso incompleti, soprattutto per quanto riguarda la concentrazione dei contaminanti nei comparti biotici. In queste circostanze, come dimostrano ormai numerose pubblicazioni (van der Oost et al., 2003; Arnot e Gobas, 2004) l’utilizzo di modelli numerici è una valida alternativa per la stima dei BCF e BAF. Sebbene tali modelli siano ormai ampiamente utilizzati, in letteratura non sono finora stati presentati studi che mirino, da un lato, a quantificare l’incertezza delle riposte del modello dovuta all’incertezza dei numerosi dati di ingresso, attraverso l’Uncertainty Analysis (UA) e, dall’altro, ad ordinare le cause di incertezza in base alla loro importanza, attraverso la Sensitivity Analysis (SA). Tale analisi di incertezza/sensitivita’ risulta di particolare importanza soprattutto se si intende utilizzare il modello a fini gestionali. In questo lavoro, sono presentati i risultati preliminari dell’analisi di incertezza e dell’analisi di sensitività (UA/SA) globali e di un modello di bioaccumulo (Arnot e Gobas, 2004) recentemente applicato alla valutazione delle concentrazioni di PCBs e PCDD/Fs in alcuni organismi acquatici che popolano la Laguna di Venezia (Lovato et al, 2005). I fattori di incertezza presi in esame sono relativi i) ai dati ambientali di input, quali temperatura dell’acqua, la concentrazione dell’ossigeno disciolto e dei solidi sospesi ecc.; ii) parametri chimico-fisici del modello, quale la costante di ripartizione ottanolo/acqua e iii) parametri biologici quali i tassi di accrescimento e di detossificazione degli organismi. Utilizzando metodologie di UA/SA globali, è stata valutata quantitativamente l’incertezza dell’output in relazione all’incertezza associata ai diversi parametri e ai dati di ingresso del modello. In particolare, i risultati evidenziano che i valori utilizzati per le costanti di ripartizione e la formulazione adottata per la rappresentazione dell’interazione tra bioaccumulo e la forzante climatica, ovvero la temperatura, risultano i fattori più rilevanti nel determinare la distribuzione degli inquinanti lungo la rete trofica presa in esame. Bibliografia Arnot, J.A.; Gobas, F.A.P.C. Environ. Toxicol. Chem. 2004, 23, 2343-2355. Lovato, T.; Micheletti, C.; Pastres, R.; Marcomini, A. Scientific Research and safeguarding of Venice, Research Programme 2004-2007, Ed. Campostrini P., 2005, Volume IV. Oost R van der; Beyer, J.; Vermeulen, NPE. Environ. Toxicol. Pharmacol. 2003, 13, 57–149.
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FOTODEGRADAZIONE DI FARMACI IN CONDIZIONI AMBIENTALI Marina DellaGreca, Maria Rosaria Iesce, Sara Montanaro, Lucio Previtera, Maria Rubino, Fabio Temussi Dipartimento di Chimica Organica e Biochimica, Università di Napoli Federico II, Complesso Universitario Monte S. Angelo, Via Cintia 4, I-80126 Napoli, Italy e-mail:
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Il problema dell’inquinamento legato all’immissione di vari xenobiotici nei sistemi acquatici ha comportato l’introduzione di numerose normative che stabiliscono le informazioni minime per l’ammissibilità di tali sostanze. Tali normative, che riguardano prodotti fitosanitari principalmente, prevedono una valutazione del loro potenziale impatto ambientale con riferimento non solo al composto parentale ma anche ai metaboliti. Poco è stato finora fatto per i farmaci che solo di recente sono entrati a far parte della categoria di inquinanti ambientali (1). Numerose sono le fonti di immissione nell’ambiente: dallo smaltimento di scorie industriali alla introduzione nei corpi idrici dovuta agli effluenti degli impianti di depurazione civile non sempre efficaci per la rimozione di tali inquinanti. Il grave limite per un’indagine che riguarda i farmaci e i loro metaboliti è legato non solo alla necessità di tecniche analitiche sensibili ma anche alla mancanza di dati riguardanti il destino e il comportamento ambientale di tali sostanze. In questo ambito si inquadra il nostro studio che riguarda la degradazione in condizioni ambientali di farmaci ritrovati nei sistemi acquatici, con particolare riferimento alla fotolisi e all’idrolisi (2). In tale comunicazione si riportano i più recenti risultati relativi alla fotodegradazione in acqua di alcuni farmaci di natura eterociclica. Nell’indagine particolare attenzione è stata data all’isolamento e alla caratterizzazione dei prodotti di degradazione al fine di poterli utilizzare in saggi di tossicità e/o a scopi analitici.
Bibliografia 1. Kummerer K., in: K. Kummerer (Eds.), Pharmaceuticals in the Environment, SpringerVerlag, Heidelberg, 2004, pp. 3-11. 2. DellaGreca M., Iesce M.R., Isidori M., Nardelli A., Previtera L., Rubino M.; Chemosphere 2007, 67, 1933-1939
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SESSIONE POSTER BC: BENI CULTURALI
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BC01 ENZIMI LIPOLITICI NEL RESTAURO: STUDIO APPLICATIVO PER LA RIMOZIONE DI SOSTANZE FILMOGENE NATURALI Michela Berziolia, Elisa Campania, Antonella Casolia, Paolo Cremonesib a
Dipartimento di Chimica Generale e Inorganica, Chimica Analitica, Chimica Fisica Università degli Studi di Parma, V.le G.P. Usberti 17/A, 43100 – Parma b Cesmar7, via Lombardia 41/43, Savonara (PD) e-mail:
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Nelle applicazioni al restauro di opere policrome, l’uso degli enzimi può risolvere situazioni conservative molto complesse, ma fino ad ora non è stato sostenuto da studi sistematici e con un adeguato approfondimento analitico. In particolare, tra i vari tipi di enzimi idrolitici, quelli lipolitici, sono i meno studiati; al punto che vi sono risultati molto discordanti sulla loro attività. In questo lavoro sono stati condotti studi finalizzati alla comprensione dell’azione degli enzimi lipolitici su materiali naturali (oli siccativi, cera) che il restauratore si trova spesso a dovere rimuovere in operazioni di pulitura o finalizzate al consolidamento. La maggior parte delle informazioni oggi disponibili sull’attività enzimatica riguarda l’ambito della biologia e delle biotecnologie; pertanto, la loro validità su substrati strutturalmente e matericamente così differenti come i manufatti artistici deve essere sistematicamente verificata. Lavorando prima su stesure appositamente preparate in laboratorio poi anche su manufatti reali, sono state effettuate numerose esperienze, allo scopo di individuare le migliori condizioni di impiego degli enzimi, valutare la loro attività e la possibilità di completa rimozione dell’enzima stesso dall’opera d’arte una volta che ha esplicato l’azione richiesta. Per la ricerca sono state impiegate tecniche spettrofotometriche e gascromatografiche. Dai risultati ottenuti, si è confermato che l’uso degli enzimi si configura come un’alternativa più selettiva e meno tossica rispetto ai tradizionali metodi di intervento sui manufatti artistici, basati sull’uso di solventi ed alcali. Bibliografia 1)Bellucci R.; Cremonesi P.; Kermes arte e tecnica del restauro, Nardini, Firenze, 1994, 21, 45-64. 2)Cremonesi P., L’Uso degli Enzimi nella Pulitura di Opere Policrome, Seconda Edizione, I Talenti – Metodologie, tecniche e formazione nel mondo del restauro, 4, Il Prato, Padova 2002.
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BC02 STUDIO PRELIMINARE PER L’UTILIZZO DI GEL RIGIDI DI AGAR E AGAROSIO NEL RESTAURO DELLE OPERE POLICROME Elisa Campania, Antonella Casolia, Paolo Cremonesib, Ilaria Saccania, Erminio Signorinib a
Dipartimento di Chimica Generale e Inorganica, Chimica Analitica, Chimica Fisica Università degli Studi di Parma, viale G.P. Usberti 17/a, Parma b Cesmar7, via Lombardia 41/43, Savonara (PD) e-mail:
[email protected]
L’acqua è la sostanza necessaria, talora addirittura insostituibile, a compiere numerose operazioni nel restauro di svariati manufatti artistici: da operazioni di pulitura dell’immagine pittorica, dove in anni recenti i metodi acquosi sono andati ad affiancare i solventi organici più consolidati nella tradizione, ad operazioni di carattere più strutturale (umidificazione, consolidamento, foderatura…). Quando sia necessario controllare le proprietà superficiali dell’acqua, si fa comunemente ricorso alle sostanze gelificanti (come i tradizionali Eteri di Cellulosa o il più recente Acido Poliacrilico) per aumentarne la viscosità ed avere così un apporto più controllabile, più lento, meno invasivo. Tra gli addensanti sono da annoverarsi anche materiali di uso più recente come l’Agar e l’Agarosio, complessi polisaccaridi derivanti dalle alghe dell’ordine delle Gracilariales e Gelidiales, in grado di formare gel ad altissima viscosità e perciò definiti “rigidi”; proprio questa caratteristica li rende adatti per l’apporto controllato d’acqua su opere sensibili a tale contatto, dato che il rilascio avviene in maniera estremamente graduale. Lo studio effettuato ha avuto come principale intento quello di verificare la sicurezza applicativa dei gel di Agarosio e Agar su manufatti policromi come i dipinti su tela; questi due materiali sono stati oggetto di confronto, dato l’Agar, per il suo minor costo, è più adatto ad essere utilizzato nel campo del restauro. A tale scopo, è stato sviluppato un protocollo per la preparazione dei gel; l’applicazione su supporti porosi (preventivamente lavati per eliminare sostanze che potessero inficiare le analisi successive) ha messo in luce che in entrambi i casi il rilascio d’acqua è uniforme e pertanto controllabile. Successivamente sono stati indagati gli eventuali residui organici passati nel supporto tramite FT-IR e GC-MS: le analisi hanno messo in evidenza che in particolare l’Agar non lascia permeare materiale polisaccaridico all’interno del supporto. L’ultima fase ha visto l’applicazione del gel di Agar su dipinti reali: il materiale ha permesso la rimozione di veline da un’opera, che si era dimostrata particolarmente sensibile all’acqua; oltre a ciò, si è dimostrato efficace per rigonfiare patinature di materiali idrofili apposte sul fronte del dipinto, nonché per la rimozione di residui di colla pasta o altri materiali dal retro della tela (mostrando tra l’altro un’azione più prudente rispetto agli altri addensanti). E. Campani, A. Casoli, P. Cremonesi, I. Saccani, E. Signorini, L’Uso di Agarosio e Agar per la Preparazione di “Gel Rigidi”- Use of Agarose and Agar for Preparing “Rigid Gels”, QUADERNO N.4 /CESMAR 7, Ed. IL PRATO, Padova 2007.
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BC03 UNO STUDIO PER LA CONOSCENZA DEI LEGANTI PITTORICI DEL DIPINTO “SACRA CONVERSAZIONE” DI PALMA IL VECCHIO Elisa Campani, Antonella Casoli Dipartimento di Chimica Generale e Inorganica, Chimica Analitica, Chimica Fisica Università degli Studi di Parma, V.le G.P. Usberti 17/A, 43100 – Parma e-mail:
[email protected]
Recentemente è stata stipulata una convenzione nell’ambito del programma di rafforzamento istituzionale e assistenza tecnica del governo italiano ai Musei di Belgrado, coordinato dall’Istituto Centrale del Restauro di Roma. Si è svolto un corso di aggiornamento professionale per i restauratori dei Musei Pubblici della Repubblica della Serbia, che si è concretizzato in un cantiere di restauro sull’opera di Jacopo Palma il Vecchio (Serina 1480 – Venezia 1528) denominata Sacra Conversazione, conservata presso il Palazzo Reale di Belgrado. Lo studio, rivolto all’identificazione dei materiali organici, è stato compiuto al fine di completare, con un ulteriore tassello, il quadro di conoscenze finalizzato alla comprensione della tecnica pittorica del dipinto. A questo scopo è stato necessario disporre di frammenti di materiale di dimensione submillimetrica. Si è scelto di studiare, per ogni punto di campionamento, un micro-frammento composto dallo strato pittorico e uno sottostante di strato preparatorio. Per la ricerca sono state impiegate la micro-spettrofotometria infrarossa a Trasformata di Fourier e la gascromatografia accoppiata alla spettrometria di massa. Lo studio ha evidenziato che tutti i campioni di strato pittorico mostrano la presenza di olio di noce. Si può ipotizzare con una certa ragionevolezza che la possibilità di utilizzare un olio siccativo con una minore tendenza all’ingiallimento rispetto all’olio di lino, rappresentava per Palma una maggiore garanzia di salvaguardia di quella armonia cromatica che egli creava nei suoi dipinti, fatta di colori chiari e brillanti, quasi sempre puri. Per ciò che riguarda il legante della preparazione, si possono fare alcune considerazioni alla luce dei risultati delle indagini effettuate sul dipinto di Belgrado, in cui, insieme alla colla, è stato trovato latte. Dal punto di vista tecnico, non è semplice comprendere la funzione del latte nella preparazione del dipinto poiché, per formulare ipotesi accettabili, bisognerebbe essere certi della modalità con la quale è stato inserito fra i materiali costitutivi. Ci si chiede innanzitutto se il latte sia stato mischiato all’impasto del gesso e colla o piuttosto steso sulla superficie ultimata, per farlo penetrare nella preparazione già asciutta; più probabile sembrerebbe la seconda soluzione perché in questo caso, il latte sarebbe funzionale al fissaggio e consolidamento di una preparazione forse troppo fragile. AA. VV. Sacra Conversazione di Palma dipinto su tavola di Belgrado, Artemide, 2007, Roma.
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il
Vecchio.
Restauro
del
BC04 LA DIAGNOSTICA CHIMICA PER IL MONITORAGGIO DELLO STATO DI CONSERVAZIONE DEL PATRIMONIO MONUMENTALE Paola Croveri, Oscar Chiantore Dipartimento di Chimica I.F.M. e Centro NIS, Superfici e Interfasi Nanostrutturate, Università degli Studi di Torino, Via P. Giuria 7, 10125 Torino. E-mail:
[email protected],
[email protected]
Il patrimonio monumentale delle città storiche italiane è sempre più insidiato da molteplici concause, quasi sempre di origine antropica, che concorrono ad aggravarne lo stato di conservazione ed accelerarne il degrado. Mutamenti climatici e notevoli alterazioni nella composizione dell’atmosfera nelle aree urbane stanno trasformando le fenomenologie di degrado dei materiali esposti e le loro cinetiche. Inquinanti gassosi e in forma condensata, aerosol e micropolveri, attivano nuovi processi chimico-fisici all’interfaccia monumentoambiente sia essa costituita dai materiali originali costituenti l’opera che da materiali di restauro applicati con funzione di barriera protettiva nei confronti degli agenti di degrado esterni. Interventi di restauro, dispendiosi ed invasivi per l’opera, si rendono necessari ad intervalli sempre più ravvicinati per arginare i danni estetici e materiali prodotti dall’inquinamento dell’aria delle nostre città. La conoscenza approfondita delle condizioni ambientali di contorno, lo studio dei meccanismi e delle cinetiche delle reazioni di degrado indotte dagli agenti inquinanti, l’analisi dell’efficacia nel tempo dei materiali impiegati per la conservazione delle superfici risultano essere punti cardine per poter pianificare delle politiche di salvaguardia del patrimonio fondate sul concetto di monitoraggio programmato che rende possibile predisporre attività di manutenzione ordinaria dei manufatti, adeguate sia da un punto di vista conservativo che economico. Il Dipartimento di Chimica I.F.M dell’Università degli Studi di Torino, nell’ambito di un progetto svolto in collaborazione con il Settore Edifici Storici della Città di Torino e finalizzato a sviluppare una appropriata metodologia per il controllo dello stato di conservazione dei monumenti presenti nell’area cittadina, ha affrontato diversi casi studio che hanno permesso di approfondire, con l’ausilio di molteplici tecniche di diagnostica chimica, le problematiche relative alle cause e agli effetti del degrado dei manufatti esposti. L’inquinamento dell’aria, quale causa ambientale primaria di degrado urbano, è stato esaminato nello specifico studiando il particolato atmosferico e i componenti gassosi aerodispersi. La componente organica adsorbita nelle polveri incoerenti depositate sulle superfici e nelle croste nere è stata estratta ed analizzata mediante pirolisi gas-massa (Py-GCMS). E’ stata inoltre studiata l’influenza di alcuni composti organici riscontrati come inquinanti (pirene e fluorantene, IPA) sull’invecchiamento di protettivi polimerici acrilici (Paraloid B72, Paraloid B44, Incralac). L’esposizione ad inquinanti gassosi di monumenti localizzati in zone significative della città è stata valutata con una campagna di rilevazione (NOx, SO2, O3, gas acidi) mediante campionatori passivi. La presenza di Sali solubili quali fattori di degrado in matrici lapidee è stata indagata mediante spettroscopia infrarossa (FT-IR) e diffrazione di raggi X (XRD) mentre lo studio della componente solubile delle patine di corrosione del bronzo è stato effettuato mediante cromatografia ionica (IC). Gli effetti del deterioramento delle superfici lapidee e metalliche esposte sono stati indagati attraverso una accurata caratterizzazione dei prodotti di degrado: depositi, croste nere, patine
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di alterazione e di corrosione. Studiati dal punto di vista colorimetrico mediante spettrofotometro di riflettanza e morfologicamente mediante videomicroscopia in-situ, i prodotti di neoformazione e le patine di corrosione sono state caratterizzati chimicamente con l’ausilio della spettroscopia infrarossa (FT-IR), della diffrazione di raggi X (XRD) e della spettroscopia elettronica con microsonda EDX (SEM-EDX). Lo studio diagnostico dei materiali lapidei, delle leghe bronzee e dei loro fenomeni di alterazione e corrosione fornisce un approfondimento conoscitivo dei fenomeni di degrado presenti in area torinese consentendo altresì l’impostazione di una corretta metodologia per le operazioni di pulitura, consolidamento e protezione da impiegare nei restauri conservativi dei monumenti esaminati.
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BC05 INDAGINI EPR SU LEGNI MODERNI E ANTICHI Antonella Maccottaa, Maurizio Marraleb, Maria Braib, Paola Fantazzinic a
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche e dei Biosistemi, Università di Siena, Via A. Moro 2, 53100 Siena, Italy, e-mail:
[email protected] b Dipartimento di Fisica e Tecnologie Relative, Università di Palermo, Viale delle Scienze, Edificio 18, 90128 Palermo, Italy c Dipartimento di Fisica, Università di Bologna, Viale Berti Pichat 6/2, 40127 Bologna, Italy
Il degrado del legno costituente manufatti di interesse storico-artistico-archeologico comporta la formazione di vari radicali a partire dalle macromolecole che costituiscono la matrice lignea (cellulosa, lignina, emicellulosa) [1]. Tra le metodologie non distruttive in grado di fornire informazioni su questi radicali liberi può risultare di grande interesse la Risonanza Paramagnetica Elettronica (EPR). Di recente è stato intrapreso uno studio EPR su varie essenze lignee sia stagionate che degradate per investigare la presenza di radicali liberi nel legno non irradiato [2]. I primi risultati mostrano che la tipologia e il numero relativo di specie paramagnetiche dipende dal taxon ligneo e che il legno degradato presenta un segnale EPR molto più intenso rispetto allo stesso legno non degradato, indicando così che il numero di radicali può essere una misura del degrado del legno. L’aumento del numero di radicali può inoltre spiegare l’aumento dei tempi di rilassamento protonico NMR osservato nei campioni degradati [3]. Bibliografia 3. R. A. Wach, H. Mitomo, F. Yoshii, ESR investigation on gamma-irradiated methylcellulose and hydroxyethylcellulose in dry state and in aqueous solution, Journal of Radioanalytical and Nuclear Chemistry, Vol. 261, No. 1 (2004) 113-118 4. M. Brai, A. Maccotta, M. Marrale, Indagini EPR su campioni lignei, I Workshop – Tecniche di analisi non distruttive di materiali lapidei naturali e artificiali nei Beni Culturali, Palermo, 22 febbraio 2007. 5. P. Fantazzini, A. Maccotta, M. Brai, Rilassometria NMR in legni moderni e in legni trattati e non trattati provenienti da una statua lignea del XVI secolo, I Workshop – Tecniche di analisi non distruttive di materiali lapidei naturali e artificiali nei Beni Culturali, Palermo, 22 febbraio 2007.
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BC06 DIAGNOSTICA DI ALTERAZIONI CHIMICHE E BIOLOGICHE SU CARTE ANTICHE PER MEZZO DI UN SEM-VP CON RIVELATORE BSD E SONDA EDS Flavia Pinzari, Mariasanta Montanari Istituto Centrale per la Patologia del Libro – Laboratorio di Biologia. Via Milano, 76. 00184 Roma. e-mail:
[email protected] Lo studio delle carte e dei supporti cartacei per mezzo della microscopia elettronica è indirizzato da un lato alla ricostruzione della storia dei materiali e degli oggetti (archeologia del libro) attraverso la ricerca di indizi merceologici, e dall’altro allo studio di modificazioni strutturali nella trama delle fibre di cellulosa, o di situazioni di deterioramento chimico e/o biologico capaci di spiegare fenomeni degradativi altrimenti non riconducibili a cause univoche. In tutti questi casi il microscopio elettronico a scansione (SEM) porta un contributo decisivo e permette spesso di integrare le informazioni quantitative ottenute con metodi chimici e fisici, con aspetti qualitativi di rilievo. Attualmente esistono strumenti che operano con una nuova tecnologia dove la camera in cui viene posto il campione è in basso vuoto (10750 Pascal) ed i campioni possono essere osservati senza essere prima fissati e metallizzati. In pressione variabile (VP) il SEM ha una risoluzione inferiore che in alto vuoto (circa 4.5 nm) ma permette ugualmente di ottenere utili informazioni. Inoltre i rivelatori che acquisiscono le immagini possono essere di diverso tipo e rilevare differenti risposte del campione all’eccitazione elettronica del fascio. Oltre infatti ai rivelatori di elettroni secondari (SE) esistono rivelatori per elettroni “retrodiffusi” (BSD, backscattered electron detector) che ricostruiscono un’immagine del campione basata sul numero atomico degli elementi chimici in esso presenti. Ciò rappresenta un avanzamento notevole per l’osservazione della superficie della carta in quanto l’immagine ottenibile rende conto sia della topografia delle fibre utilizzate per la manifattura che del materiale di carica che, in quanto minerale, viene visualizzato con un contrasto che ne premette uno studio dettagliato. A tale metodo di analisi microscopica è inoltre possibile unire la microanalisi (EDS, Energy Dispersive X.Ray Spectrometry) che permette di conoscere la composizione chimica elementare di quanto visualizzato con il SEM. Nel presente lavoro campioni di carta di pochi millimetri di diametro, ricavati da volumi di pregio affetti da alterazioni di varia origine ed estensione sono stati osservati, analizzati e descritti per mezzo di un SEM-VP EVO 50 XVP, Carl-Zeiss Electron Microscopy Group e di una sonda elettronica per microanalisi (EDS) Inca 250 (Oxford). La caratterizzazione tramite microanalisi di singoli cristalli e di impurezze presenti nelle scansioni ha rappresentato uno strumento di indagine molto potente. E’, infatti, stato possibile isolare dalle immagini ottenute con il SEM, grazie al software Inca, strutture definite ed aree puntiformi in modo da limitare la scansione EDS ai soli elementi di interesse al fine di individuare e analizzare gli elementi chimici che possono aver determinato i fenomeni degradativi osservati nei materiali. Nello studio di carte di provenienza e manifattura ignota è inoltre stato possibile, con la microanalisi e l’osservazione al SEM, individuare la provenienza vegetale delle fibre costitutive, capire quale tipo di carica contenessero, quanto questa fosse rifinita, e l’eventuale presenza di impurezze e tracce di elementi capaci di indirizzare la diagnosi sui materiali effettivamente utilizzati e sul tipo di processo seguito nella fabbricazione.
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BC07 POTENZIALITÀ DI APPLICAZIONE DI UN NASO ELETTRONICO ALL’INDIVIDUAZIONE PRECOCE DEL BIODETERIORAMENTO NEI MATERIALI CARTACEI Flavia Pinzaria, Mariasanta Montanaria, Irene Rendaa, Francesco Loneroa, Corrado Fanellib, Luca Fachechic, Domenica Belluscic, Simona Grecoc a
Istituto centrale per la patologia del libro, Via Milano 76, 00184 (Roma), e-mail:
[email protected] b Università degli Studi di Roma ‘La Sapienza’ (Roma), e-mail:
[email protected] c Technobiochip Scarl, Pozzuoli (NA), Sito Web: www.technobiochip.com
Il naso elettronico può essere definito come uno strumento che comprende una serie di sensori chimici con una parziale specificità e un appropriato modello di riconoscimento, in grado di identificare odori semplici e complessi. Gli elementi fondamentali del naso elettronico sono i sensori chimici, che possono essere definiti come trasduttori miniaturizzati che rispondono in maniera selettiva e reversibile alla presenza di sostanze chimiche generando segnali elettrici in funzione della loro concentrazione. Per arrivare alla formulazione di sensori e di metodi di elaborazione dei segnali idonei a supportare le variabili specifiche delle biblioteche, dei magazzini, degli archivi, delle vetrine espositive, è indispensabile approfondire lo studio delle molecole volatili emesse dagli organismi nocivi che si vogliono monitorare e dai materiali di cui sono costituiti i beni da tutelare. In questo studio sono state studiate le risposte di due serie di otto sensori ciascuna alla sollecitazione con miscele odorose prodotte da funghi biodeteriogeni in condizioni differenti di crescita e di misura. Lo scopo principale del lavoro è consistito nella valutazione delle risposte dei singoli sensori ai composti volatili prodotti dai funghi, al fine di individuare le combinazioni di sensori più idonee a costituire uno strumento per l’individuazione precoce delle infezioni fungine in ambienti conservativi confinati. La sperimentazione ha riguardato, in particolare, il confronto qualitativo e quantitativo delle emissioni odorose dei funghi inoculati su differenti substrati cellulosici sia in coltura pura che in colture miste. L’acquisizione dei pattern odorosi è stata effettuata per mezzo di un prototipo di naso elettronico dotato di sensori con caratteristiche chimiche fra loro differenti; particolare attenzione è stata posta nell’evidenziare la risposta dei sensori stessi alle differenti condizioni fisiologiche cui sono stati appositamente sottoposti i funghi durante la sperimentazione. Lo studio della variabilità naturale del processo di produzione di sostanze organiche volatili da parte dei funghi rappresenta, infatti, un passaggio sostanziale del processo di valutazione della possibilità di utilizzare le sostanze volatili prodotte dai funghi quali marcatori della loro attività e quindi della presenza, in ambienti confinati, di materiale cellulosico soggetto al biodeterioramento. Lo studio è stato realizzato nell’ambito di una collaborazione fra l’Istituto Centrale per la Patologia del Libro e la Technobiochip Scarl. di Pozzuoli, impresa che ha realizzato il prototipo di naso elettronico che è stato utilizzato per le analisi. Le ricerche presentate rappresentano parte dello svolgimento di due tesi sperimentali del Corso di laurea in Scienze Applicate ai Beni Culturali de La Sapienza di Roma.
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BC08 RICONOSCIMENTO DI GOMME VEGETALI DI INTERESSE NEI BENI CULTURALI MEDIANTE PIROLISI ACCOPPIATA CON IDROLISI E METILAZIONE TERMICAMENTE ASSISTITA Chiara Riedo, Dominique Scalarone, Oscar Chiantore Dipartimento di Chimica IFM e Centro NIS, Superfici e Interfasi Nanostrutturate dell’Università degli Studi di Torino
[email protected] Le gomme di origine vegetale sono presenti come materiali costitutivi nei beni culturali sotto forma di leganti per colori all’acqua, o come adesivi e collanti per substrati cellulosici. Gli studi sulla caratterizzazione dettagliata di questi composti sono pochi, e fanno riferimento a metodi che richiedono lunghi trattamenti preliminari e quantità non compatibili con le applicazioni ai beni culturali. E’ quindi di particolare interesse poter disporre di un metodo di identificazione sufficientemente rapido e che utilizzi micro-campionamenti per il riconoscimento e la identificazione delle gomme vegetali nelle opere storico-artistiche. In questo lavoro vengono presentati i risultati ottenuti con un metodo di idrolisi e metilazione termicamente assistita utilizzando il reattivo TMAH e la pirolisi on-line. I campioni da analizzare, prima di essere introdotti nel pirolizzatore, vengono mescolati con il TMAH in soluzione acquosa. I prodotti di decomposizione passano direttamente nella colonna di un gascromatografo dove vengono separati e analizzati per mezzo di un rivelatore MS. Per l’analisi completa sono sufficienti quantità di campione inferiori al milligramo. Sono stati caratterizzati i prodotti di pirolisi derivanti da campioni standard di gomma arabica (2 gomme di diversa provenienza), gomma adragante, e gomma di ciliegio. I principali prodotti di pirolisi sono acidi aldonici metilati e parzialmente metilati, ciascuno caratteristico di determinati zuccheri epimeri. Gli acidi aldonici si formano per idrolisi alcalina degli zuccheri liberi e delle estremità riducenti dei polisaccaridi, mentre la metilazione avviene al momento della pirolisi. I meccanismi attraverso cui si formano gli acidi aldonici comportano che zuccheri epimeri in C-2 diano origine agli stessi prodotti, rendendoli di fatto indistinguibili. La presenza degli acidi aldonici caratteristici delle diverse gomme vegetali permette la classificazione adragante di queste ultime, che viene effettuata in base al contenuto relativo dei monosaccaridi ramnoso, fucoso e galattoso rispetto alla coppia arabinoso e xiloso (che producono lo stesso acido aldonico). Nel grafico tridimensionale della Figura si può apprezzare la riproducibilità delle prove ripetute su uno stesso campione e la possibilità di differenziare ciliegio le diverse gomme esaminate. E’ in fase di completamento l’assegnazione degli arabica spettri di massa di altri prodotti di fram-mentazione, arabica soluzione polvere in particolare degli acidi aldonici non completamente metilati eventualmente presenti.
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BC09 SVILUPPO DI UNA METODOLOGIA INNOVATIVA PER LA CONSERVAZIONE DI BENI CULTURALI Aldo Taticchia, Assunta Marrocchia, Maria Laura Santarellib, Vito Librandoc, Maria Cristina Ginnasia, Lucio Minutia a
Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Perugia, Via Elce di Sotto 8, 06123, Perugina: e-mail:
[email protected] b Centro di Ricerca in Scienza e Tecnica per la Conservazione del Patrimonio StoricoArchitettonico, Università di Roma La Sapienza, Via Eudossiana 18, 00184 Roma c Dipartimento di Scienze Chimiche, Università degli Studi di Catania, V.le A. Doria 6, 95125 Catania Il danneggiamento dei materiali lapidei dovuto alla cristallizzazione di Sali rappresenta un problema rilevante per la conservazione di monumenti e siti archeologici. L’acqua presente nella porosità di questi materiali contiene sempre quantità più o meno rilevanti di Sali che diffondono in ampie zone delle murature e si depositano sia per evaporazione dell’acqua che per una variazione di temperatura e di concentrazione. Quando i cristalli di sale si formano sulla superficie esterna dei materiali porosi (efflorescenza) i danni sono limitati e spesso soltanto estetici. Se i Sali cristallizzano all’interno della porosità dei materiali (subefflorescenza), la variazione di volume associata con il processo di cristallizzazione è sufficiente a distruggere la struttura interna dei materiali stessi, causando polverizzazione e distacco di croste superficiali. La cristallizzazione, infatti, genera sollecitazioni la cui entità è generalmente superiore alla resistenza a rottura dei materiali lapidei comunemente utilizzati. Sono stati sviluppati vari metodi fisici per il controllo della cristallizzazione salina. Recentemente, comunque, l’attenzione è stata rivolta1 allo sviluppo di metodologie per il controllo della cristallizzazione mediante l’utilizzo di inibitori, molecole, cioè, in grado di agire sia sulla cinetica di formazione dei cristalli del sale che sulla forma del cristallo stesso, limitandone la crescita e la dannosità. Da alcuni anni nel nostro laboratorio2 è in corso un ampio studio che si propone l’obiettivo di acquisire conoscenze nel campo delle proprietà di inibizione di cristallizzazione salina di composti organici opportunamente funzionalizzati, sia commerciali che di sintesi. In questa comunicazione verranno riportati i risultati preliminari ottenuti nella inibizione della cristallizzazione di NaCl ed Na2SO4 nella pietra di Noto e nella pietra di Palazzolo. Si tratta di pietre calcaree ampiamente utilizzate nella Sicilia SudOrientale, sia in elementi costruttivi (muri, volte, archi ecc.) che in elementi decorativi (fregi, capitelli ecc.), che subiscono facilmente degrado dovuto a tale fenomeno. Bibliografia 1. (a) Rodriguez-Navarro, C.; Linares-Fernandez, L.; Doehne, E.; Sebastian, E. Journal of Crystal Growth 2002, 243, 503-516. (b) Rodriguez-Navarro, C.; Doehne, E.; Sebastian, E. Langmuir 2000, 16, 947-954 2. Inter alia: (a) Marrocchi, A.; Taticchi, A.; Santarelli, M.L.; Minuti, L.; Broggi, A. Science and Technology for Cultural Heritage, 2006, N.1/2, 101-107 (b) Marrocchi, A.; Taticchi, A.; Santarelli, M.L.; Minuti, L.; Broggi, A.; Garibaldi, V. Science and Technology for Cultural Heritage, 2006, N.1/2, 109-114 (c) Marrocchi, A.; Taticchi, A.; Santarelli, M.L.; Broggi, A., Minuti, L.; Librando, V. Science and Technology for Cultural Heritage, 2006, N.1/2, 115-123
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BC10 INIBITORI DI CRISTALLIZZAZIONE SALINA E BENI CULTURALI. IL CASO STUDIO DEL MOSAICO DI ORFEO E LE FIERE (PERUGIA) Aldo Taticchia, Assunta Marrocchia, Maria Laura Santarellib, Maria Cristina Ginnasia, Lucio Minutia a
Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Perugia, Via Elce di Sotto 8, 06123, Perugia e-mail:
[email protected] b Centro di Ricerca in Scienza e Tecnica per la Conservazione del Patrimonio StoricoArchitettonico, Università di Roma La Sapienza, Via Eudossiana 18, 00184 Roma
Il mosaico Romano di Orfeo e le Fiere si trova nell’atrio di ingresso del Dipartimento di Chimica dell’Università degli Studi di Perugia. Ha dimensioni 8,10x14,10 m e si trova sotto il livello stradale. Il mosaico è uno dei più importanti monumenti Romani a Perugia ed è databile attorno alla prima metà del II sec. d.C. Probabilmente decorava parte di un complesso termale della città Romana. Il mosaico è situato in un’area soggetta ad una forte risalita capillare di umidità, cosicché, nonostante un recente intervento conservativo, l’area continua a mostrare visibili danni dovuti a processi di cristallizzazione salina. In questa comunicazione verranno riportati i risultati preliminari relativi ad una sperimentazione in in corso rivolta alla conservazione del mosaico, che utilizza una metodologia innovativa da tempo in studio nel nostro laboratorio1 e che consiste nel controllo della cristallizzazione salina mediante inibitori organici, molecole, cioè, in grado di agire sia sulla velocità di formazione dei cristalli del sale, sia sulla forma del cristallo stesso, limitandone la crescita e la pericolosità.
Bibliografia (a) Marrocchi, A; Taticchi, A.; Santarelli M.L.; Broggi,A.; Minuti, L. 10th EuCheMs-DCE International Conference on Chemistry and the Environment, Rimini, 2005 (b) Marrocchi, A.; Santarelli, M.L.; Taticchi, A.; Broggi, A.; Minuti, L. in: Proc. Workshop Argamassas de reboco para paredes antigas sujeitas à acção de sais solúveis (Lisbon, LNEC, 2005). National Laboratory for Civil Engineering (LNEC), Lisbon, 2006 © Marrocchi, A.; Taticchi, A.; Santarelli, M.L.; Minuti, L.; Broggi, A.; Garibaldi, V. Science and Technology for Cultural Heritage, 2006, N.1/2, 109-114
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BC11 DIAGNOSI ANALITICA DEL BIODETERIORAMENTO SU MATERIALI LAPIDEI: STRATEGIE DI RECUPERO VIA LIPASI E Gox. Alessia Diamantia, Federica Valentinib, Giuseppe Palleschib, Emanuela Tamburrib MariaLetizia Terranovab, Simona Bellezzac, Patrizia Albertanoc. a. Università degli Studi di Roma, Tor Vergata, Facoltà di Lettere e Filosofia, via Columbia, 1- 00133 Roma b. Università degli Studi di Roma, Tor Vergata, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche, via della Ricerca Scientifica,1- 00133 Roma c. Università degli Studi di Roma, Tor Vergata, Dipartimento di Biologia, via della Ricerca Scientifica, 1- 00133 Roma Indirizzo e-mail:
[email protected] Il presente lavoro è stato condotto su campioni lapidei, di marmo bianco, provenienti dai fregi decorativi della Basilica di Nettuno, annessa al Pantheon (ambiente esterno) di Roma. Tali supporti, affetti da concrezioni nere e grigie di diverso spessore, sono stati sottoposti ad una serie di indagini analitiche di carattere morfologico e strutturale, al fine di individuare le cause di degrado e valutarne gli effetti prodotti sulle superfici stesse. Da una prima caratterizzazione morfologica, con microscopio ottico e microscopio a contrasto differenziale interferenziale (DIC), è stato possibile rilevare la presenza di ossalati di calcio, prodotti da microrganismi fungini[1], e di metalli pesanti (tra cui probabilmente il Cobalto) trasportati sottoforma di specie adsorbite sulla superficie del materiale particolato sospeso, o di goccioline di vapore acqueo. La successiva caratterizzazione strutturale condotta mediante spettrofotometria IR in trasformata di Fourier (FT-IR), ha messo in luce la presenza di composti dello zolfo (come i gruppi solfonati, derivati dalle reazioni di smog fotochimico) associati alla compresenza, nelle patine nere, di solfo-batteri che traggono nutrimento da tali composti. Sia la componente biologica che quella prettamente chimica (ossia i gas inquinanti) vedono nel particolato atmosferico (soprattutto nella frazione PM2.5) un predominante veicolo di trasporto e deposito sulle superfici di interesse storico-artistico. L’ulteriore presenza di gruppi funzionali quali i carbonilici, le aldeidi e le ammine alifatiche (frazione CO: Carbonio Organico) rappresenta una valida conferma dell’avvenuto fenomeno di biodeterioramento delle superfici in esame. Successivamente a questa fase preliminare di diagnosi del degrado superficiale, sono state sperimentate due nuove strategie di recupero delle superfici in esame, quali: il trattamento di biopulitura catalizzato dall’enzima Gox, del tutto innovativo nel campo dei Beni Culturali[2], e quello tramite enzima Lipasi[3], per la prima volta adottato qui, su supporti lapidei. Tali procedure hanno mostrato un’efficienza massima di rimozione nel caso delle patine grigie di 1mm di spessore, e significativi esiti di rimozione anche nei confronti delle concrezioni nere di più consistente spessore (3mm). Bibliografia 1. Albertano, P.; Urzì, C.; Structural interactions among epilithic cyanobacteria and heterotrophic microorganisms in Roman hypogea. Microbial Ecology, 1999, 38, 244-252,. 2. Campanella, L.; et al.; Chimica per l’arte. Zanichelli Editore, 2007. 3. Cremonesi, P.; L’uso degli enzimi nella pulitura di opere policrome. Il Prato editore, 2002.
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BC12 STRATEGIE ANALITICHE DI RIMOZIONE DELLE PATINE SUPERFICIALI SU SUPPORTI LAPIDEI, A BASE DI ENZIMI LIPASI ED AMILASI. Alessia Diamantia, Federica Valentinib, Giuseppe Palleschib, Emanuela Tamburrib, Maria Letizia Terranovab, Simona Bellezzac, Patrizia Albertanoc a. Università degli Studi di Roma, Tor Vergata, Facoltà di Lettere e Filosofia, via Columbia, 1- 00133 Roma b. Università degli Studi di Roma, Tor Vergata, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche, via della Ricerca Scientifica,1- 00133 Roma c. Università degli Studi di Roma, Tor Vergata, Dipartimento di Biologia, via della Ricerca Scientifica, 1- 00133 Roma Indirizzo e-mail:
[email protected] Per la prima volta, in questo lavoro, sono stati utilizzati enzimi Lipasi ed Amilasi in ambiente alcalino[1], noti in letteratura per la loro applicazione nel campo dei Beni Culturali, di cui non si ha testimonianza nei trattamenti di biopulitura, specifici, per materiali lapidei. I protocolli scelti per questo tipo di biopulitura sono stati eseguiti su campioni lapidei di diversa natura, provenienza e stato di conservazione, sottoposti dapprima ad indagini analitiche mediante microscopia interferenziale differenziale (DIC), spettrofotometria infrarossa in trasformata di Fourier (FT-IR) e fluorescenza X (XRF) per la diagnostica circa le tipologie di degrado. Dagli esiti di pulitura con l’enzima Lipasi, è stato possibile osservare una efficienza massima di rimozione nei confronti della patina biologica superficiale, su travertino e peperino, ed una significativa rimozione della concrezione nera su marmo. Alla luce di ciò, è facile intuire l’efficienza del meccanismo enzimatico svolto dalla Lipasi, sulla base della composizione chimica della patina superficiale che investe il supporto in esame, probabilmente costituita della frazione organica (CO- Carbonio Organico) di natura lipidica, trasportata prevalentemente dalla frazione fine (PM2.5) del particolato atmosferico [2]. Diversamente, per il trattamento di biopulitura a base di enzima Amilasi, è stata riscontrata una scarsa efficienza di rimozione su ogni tipologia di supporto considerata, attribuibile probabilmente alla scarsa affinità tra l’enzima ed i substrati di contatto, di composizione chimica evidentemente non polisaccaridica. Sulla base dei risultati ottenuti in questo studio, è lecito affermare che entrambe i trattamenti potrebbero essere impiegati in sinergia con innovativi processi di biopulitura (come il processo ossidativo via enzima Gox, con produzione in situ di H2O2) al fine di ottimizzare al massimo il protocollo di pulitura, là dove le patine inquinanti risultino estremamente variegate a livello intrinseco[3] (come le concrezioni nere di spessore consistente e composizione mista tra la componente chimica e biologica). Bibliografia 1. Cremonesi, P; L’uso degli enzimi nella pulitura di opere policrome. Il Prato editore, 2002. 2. Baird, C.; Cann, M.; Chimica ambientale. Zanichelli Editore, 2006. 3. Lorusso, S.; Marabelli, M.; Viviano, G.; La contaminazione ambientale ed il degrado dei materiali di interesse storico-artistico. Bulzoni Editore.
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BC13 IL “SEALING-WAX RED GLASS” NEL MOSAICO ROMANO: STUDIO ARCHEOMETRICO E RIPRODUZIONE SPERIMENTALE Cristina Boschettia, Anna Corradia, Elie Kamseua, Cristina Leonellia a
Dipartimento di Ingegneria dei Materiali e dell’Ambiente, Università di Modena e Reggio Emilia, via Vignolese 905, 41100 Modena
[email protected],
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[email protected],
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Nei mosaici romani di area italica datati tra la fine del II secolo a.C. e gli anni 70 d.C è impiegato un particolare tipo di vetro di colore rosso opaco 3 e dalla struttura omogenea, noto in letteratura come “sealing-wax red glass” 4 . Questo vetro, prodotto a partire dalla fine del II millennio a.C. in Egitto e in area Mesopotamica 5 è fortemente piombico ed è colorato e opacizzato grazie alla presenza di cristalli rossi di cuprite. Il vetro impiegato per realizzare le tessere vitree è stato sottoposto a caratterizzazione archeometrica (microscopia ottica portatile e fissa, SEM-EDS, XRD, ICP-AES) 6 e si è poi proceduto alla riproduzione sperimentale del materiale, sia in fornace elettrica che in una fornace a legna appositamente progettata e costruita. La miscela da vetrificare è stata messa a punto impiegando materie prime analoghe a quelle impiegate in epoca romana. Come frazione vetrificante è stato impiegato quarzo (SiO2) polverizzato, mentre come fondenti sono stati impiegati trona [Na3(CO3)(HCO3)-2H2O], feldspato di sodio (NaAlSi3O8) e carbonato di calcio (CaCO3) e, in aggiunta, piombo. La formazione di cristalli di cuprite durante la fusione è stata indagata attraverso l’impiego di diversi quantitativi di rame. Sono stati sperimentati l’impiego di piombo e rame in diversi stati di ossidazione (PbO, Pb2O3 e Cu2O, Cu) e, parallelamente, diverse condizioni di atmosfera e temperatura della fornace. È stato possibile notare che lo sviluppo di un’atmosfera riducente ottenuta introducendo nei crogioli carbone di legna favorisce la riproduzione di vetri rossi per ossidalo di rame molto simili a quelli di epoca romana. A loro volta sono stati caratterizzati i vetri ottenuti sperimentalmente per evidenziarne la microstruttura e la composizione chimica.
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Boschetti C., Corradi A., Fabbri B., Leonelli, C., Macchiarola M., Ruffini A., Santoro S., Speranza M., Veronesi P., Impiego di vasellame vitreo nel mosaico dei ninfei pompeiani. Aspetti archeologici e archeometrici, Coll. Int. Mos., 11, c.s. Freestone I. C., Composition and microstructure of early opaque red glass, The British Museum Occasional Paper 1992, 56, 173-191. Bimson M., Opaque red glass: a review of previous studies, The British Museum Occasional Paper 1992, 56, 165-171. Boschetti C., Corradi A., Leonelli C., Veronesi P., Fabbri B., Macchiarola M., Ruffini A., Speranza M., Veronesi P., Caratterizzazione archeometrica sui mosaici del ninfeo della domus del Centenario, in a cura di Santoro S., Indagini diagnostiche, geofisiche e analisi archeometriche su muri, malte, pigmenti, colori, mosaici, c. s.
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BC14 ANALISI STORICO-STILISTICA E DIAGNOSTICA DEL DIPINTO A OLIO SU METALLO “CRISTO CROCIFISSO CON DUE ANGELI DOLENTI” Salvatore Lorusso a,Chiara Matteucci a, Andrea Natali a, Stefano Tumidei b a
Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali - Alma Mater Studiorum Università di Bologna, via degli Ariani, 1 Ravenna
[email protected] b Diipartimento delle Arti Visive – Alma Mater Studiorum Università di Bologna, p.ta Moranti, 2 Bologna Il dipinto ad olio su metallo (40x30 cm), acquistato sul mercato francese dell’antiquariato, raffigura una iconografia molto diffusa derivata da un disegno di Michelangelo: “Cristo Crocifisso con due angeli dolenti” La particolarità del supporto di natura metallica e la buona fattura del manufatto hanno incentivato gli Autori della presente Nota ad effettuare, insieme con l’analisi storico-stilistica e relativa alla tecnica esecutiva, anche la caratterizzazione dei componenti materici e la valutazione del suo stato di conservazione mediante tecniche diagnostiche. Partendo dall'iconografia, quindi, si è tentato di ricostruire la genesi del modello, invero ben noto, attraverso un inquadramento storico-artistico. Ricerche bibliografiche hanno consentito l’individuazione di alcune raffigurazioni analoghe, più o meno note, che non esauriscono certamente la spiegazione della fortuna del modello. Anche del supporto metallico si sono ricercate pertinenze che permettessero di spiegarne la diffusione e l'utilizzo. Sono state condotte indagini diagnostiche mediante: • Fotografia VIS analogica e digitale a luce diffusa e radente • Riflettografia VIS, IR, UV • Spettrografia di fluorescenza a raggi X • Videomicroscopia ad analisi d’immagine Si è constato uno stato di conservazione sostanzialmente discreto: le crettature e le abrasioni, rivelate e documentate con l’ausilio della microscopia, sono dovute in massima parte ad un essiccamento troppo rapido del legante. Risultano anche evidenti modesti restauri eseguite esclusivamente con colori da ritocco. I dati raccolti con la riflettografia in IR hanno evidenziato una stesura pittorica condotta con particolare perizia per la realizzazione dell’immagine del Cristo in contrasto con la “vaporosità” sfocata degli angeli dolenti. I risultati relativi alla composizione dei pigmenti ottenuti in spettroscopia di fluorescenza a raggi X, supportati dalla anamnesi storico-artistica, confermano tuttavia che si è in presenza di un esemplare antico, databile entro i primi decenni del seicento.
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BC15 CARATTERIZZAZIONE DEI MATERIALI IMPIEGATI IN UNA SETA DIPINTA TRAMITE TECNICHE CROMATOGRAFICHE Maria Perla Colombinia, Ilaria Deganoa, Giovanni Cambinib, Domenica Digiliob a
Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale, Università di Pisa, Via Risorgimento, 35, 56126 Pisa, Italia
[email protected],
[email protected] b Restauro e studio tessili di Lucca (c/o Museo Nazionale di Palazzo Mansi)
[email protected]
Lo studio dei materiali impiegati nella produzione di un manufatto può essere d’aiuto nel ricostruirne l’aspetto originario, nonché nello stabilire la sua provenienza e il periodo in cui è stato realizzato. Inoltre può fornire delle linee guida importanti durante la progettazione della procedura di conservazione. La composizione di campioni prelevati da oggetti d’arte è estremamente complessa a causa della presenza simultanea di materiali di natura organica e inorganica, sia originari che provenienti da restauri successivi e dall’ambiente di conservazione; inoltre vi possono essere prodotti legati all’invecchiamento dei materiali suddetti. In questa sede sarà trattata l’identificazione tramite tecniche cromatografiche dei materiali impiegati nella realizzazione di una seta dipinta dell’inizio del XVII sec., incollata su tavola durante un restauro precedente al fine di garantirne l’integrità. In particolare, sono stati caratterizzati il legante utilizzato per fissare la seta al supporto e i coloranti organici impiegati per tingere la seta che costituisce il fondo della pittura. L’analisi dei campioni prelevati per la determinazione del legante è stata effettuata mediante una procedura GC-MS combinata, in grado di permettere il riconoscimento di lipidi, cere, proteine e materiale resinoso a partire da un solo micro-campione, anche grazie a metodi chemiometrici di trattamento dei dati. L’analisi dei coloranti organici impiegati nella tintura dei filati è stata condotta tramite HPLCUV-Vis. In particolare, l’estrazione del colorante dalla seta è stata effettuata tramite una procedura ottimizzata, che permette il recupero di cromofori di natura flavonoica e antrachinonica, nonché degli indigoidi e dei tannini. Il presente lavoro riporta i risultati più significativi e le implicazioni rilevanti nel restauro di questo prezioso oggetto.
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BC16 COLORANTI ORGANICI NEGLI ARAZZI: UN APPROCCIO MULTI ANALITICO Maria Perla Colombini a, Ilaria Degano a, Jeannette Jacqueline Łucejko a, Gianna Bacci b a
Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale, Università di Pisa, via Risorgimento35, 56126 Pisa, Italia
[email protected],
[email protected],
[email protected] b Laboratorio di restauro degli arazzi, Opificio delle Pietre Dure, Palazzo Vecchio, Firenze, Italia
Fin dai tempi antichi, l’uomo ha impiegato miscele complesse di composti organici naturali per la colorazione dei tessuti; solo recentemente sono stati introdotti coloranti sintetici. Il numero di specie botaniche utilizzate è impressionante: basti pensare che nella sola Europa sin dall’antichità si utilizzavano, per ottenere tonalità gialle, l’erba gualda, lo scotano, la ginestra, la serratola e le bacche di alcune specie di Rhamnus. Di pari passo con l’instaurarsi di nuove rotte commerciali furono introdotte nuove materie prime, quali il legno giallo, importato dalle Indie Orientali, e il quercitrono proveniente dal Nord America. I coloranti rossi e blu più importanti e usati erano la radice di robbia, la cocciniglia, il kermes, l’indaco e il guado. Dall’estremo oriente e dalle Americhe erano importati inoltre coloranti rossi e blu detti “dyewood”, estratti da cortecce di alberi del genere Caesalpinia. Da un punto di vista chimico i coloranti di origine naturale contengono cromofori appartenenti alle classi dei flavonoidi, antrachinoni e indigoidi, nonché carotenoidi, benzochinoni, antocianine e gallotannini. Lo studio dei materiali impiegati nella tintura dei tessuti e dei filati può essere determinante per la datazione di un oggetto, per comprendere come esso appariva in origine e in molti casi per stabilire le strategie di conservazione. L’identificazione dei coloranti in tessuti antichi tramite metodologie analitiche risulta però particolarmente ardua a causa della loro foto-sensibilità e della complessità dei loro processi di degradazione, non ancora completamente delucidati. In questa sede sarà presentata l’applicazione delle tecniche micro-distruttive HPLC-UV/Vis, GC-MS e DE-MS allo stesso campione: i campioni sono stati prelevati da un arazzo del 16° secolo caratterizzato da una vasta gamma di colori (gialli, neri e alcuni rossi)che rivelano un significativo scolorimento. La procedura è stata validata tramite la caratterizzazione di campioni di riferimento di lana e seta, sottoposti anche a invecchiamento accelerato; sono stati identificati marker molecolari caratteristici delle diverse specie coloranti. Saranno quindi discussi i risultati più significativi riguardanti l’identificazione e i processi di degrado dell’arazzo “Giuseppe fugge dalla moglie di Putifarre”, attualmente in fase di restauro presso l’Opificio delle Pietre Dure.
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BC17 CLASSIFICAZIONE DI MALTE STORICHE: IL CASO STUDIO DEL CASTRUM ALTOMEDIOEVALE DI LAINO (COMO) Laura Rampazzia, Cristina Cortia, Barbara Giussania, Matteo Guzzoa, Marcello Marellia, Biagio Rizzob a
Dipartimento di Scienze Chimiche e Ambientali, Università degli Studi dell’Insubria, Via Valleggio 11, 22100 Como b Dipartimento di Chimica inorganica, Metallorganica ed Analitica, Università degli Studi di Milano, via Venezian 21, 20133 Milano e-mail:
[email protected]
La caratterizzazione analitica di malte storiche può essere di supporto alle indagini che solitamente vengono condotte in occasione della scoperta di un sito archeologico e dei successivi scavi. La presenza di ambienti spesso caratterizzati da numerose e complesse unità stratigrafiche complica la formulazione di ipotesi sulla coevità delle diverse fasi costruttive. Questioni quali la tecnologia adottata per la preparazione delle malte, la natura e la provenienza delle materie prime sono quindi di fondamentale importanza per supportare gli archeologi nel difficile compito di scrivere la storia del sito e per suggerire eventuali strategie conservative. Il presente lavoro prende in considerazione il caso studio del sito archeologico di Laino (Como). Si tratta di un castrum altomedievale (VI secolo), recentemente portato alla luce ad opera del Museo Archeologico P. Giovio di Como. Sono presenti diverse strutture murarie in pietre legate con malta, alcune delle quali sembrano, in base ad un esame visivo, diverse per manifattura e probabilmente per epoca. La determinazione dei componenti maggioritari e minoritari delle malte permette di classificare i campioni, ma ancora di più l’analisi dei componenti in traccia risulta determinante e in alcuni casi risolutiva. Oltre quindi alle classiche tecniche di caratterizzazione chimico-mineralogica, quali la Spettroscopia Infrarossa e la Diffrazione di Raggi X, è stata utilizzata, previo attacco acido dei campioni, la Spettrometria di Massa con Sorgente al Plasma accoppiato induttivamente per l’analisi degli elementi in traccia e per determinare i rapporti degli isotopi del piombo. L’elaborazione dei risultati, effettuata tramite analisi multivariata, insieme alle discussioni con gli archeologi responsabili dello scavo, hanno permesso di formulare ipotesi sulle fasi costruttive del sito.
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BC18 TECNOLOGIA DI PRODUZIONE DELLA CERAMICA IN EPOCA ROMANA Annarosa Mangonea; Lorena Carla Giannossaa, Rocco Lavianob, Luigia Sabbatinia, Angela Trainia a
b
Dipartimento di Chimica, Università di Bari, via Orabona 4, 70126 Bari, Italia Dipartimento Geomineralogico, Università di Bari, via Orabona 4, 70126 Bari, Italia e-mail:
[email protected]
La ceramica a pareti sottili rappresenta una diffusa classe nell’area Romana Mediterranea tra il secondo secolo AD ed il terzo AD. Tradizionalmente, i centri di produzione vengono ipotizzati sulla base della quantità ed omogeneità del materiale rinvenuto nei diversi siti archeologici o sul confronto con altri oggetti di provenienza certa. Gli indicatori di produzione sono pochi e, fino ad ora, questa classe di ceramica fine da mensa è stata solo occasionalmente indagata mediante studi archeometrici. Nell’area Vesuviana un centro di produzione di questo tipo di ceramica è stato supposto sulla base di osservazioni macroscopiche e peculiarità morfologiche degli impasti. Nell’ambito di un progetto di studio rivolto a materiali diversi - vitrei, ceramici, pittorici parietali provenienti dai siti archeologici di Ercolano e Pompei, reperti di ceramica a pareti sottili sono stati analizzati mediante Microscopia Ottica (MO) e Microscopia Elettronica a scansione con Spettrometria in Dispersione di Energia (EDS). L’ indagine archeometrica è stata effettuata sui campioni, classificati dagli archeologi come produzione campana, con lo scopo, su basi di elementi univoci, di confermare o escludere le ipotesi di produzione Vesuviana. Le analisi morfo-mineralogiche mostrano che tutti i frammenti sono caratterizzati da un impasto di granulometria fine con un alto grado di sinterizzazione e dalla presenza di pirosseni, feldspati, rocce vulcaniche e minerali opachi- composti principalmente da Mg, Si e Fe- come materiali sgrassanti. Sulla maggior parte dei reperti è presente un ingobbio applicato sui vasi dopo essiccazione ed ottenuto purificando la stessa argilla del corpo ceramico. Per quanto riguarda le zone superficiali, in alcuni campioni è stata trovata un’evidente continuità morfologica e composizionale tra le superfici colorate in rosso, in nero e il corpo ceramico, che ha permesso di escludere un’aggiunta intenzionale di pigmenti. In altri campioni, invece, uno strato distinto è stato osservato sul corpo ceramico di spessore medio 20 μm. Questo strato presenta una struttura estremamente compatta, assenza di vacuoli e alto grado di sinterizzazione, quantità rilevanti di Al, Fe, K e basse di Ca rispetto al corpo ceramico, con differenti rapporti Al/Si e Al/Fe per le colorazioni in rosse e le nere rispettivamente.
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BC19 INDAGINI ARCHEOMETRICHE SUL VETRO TARDOANTICO E MEDIEVALE DA CLASSE (RAVENNA) Andrea Augentia, Cesare Fiorib, Alessandra Gengac, Maria Sicilianoc, Susanna Tontinia, Mariangela Vandinib a
Dipartimento di Archeologia - Alma Mater Studiorum Università di Bologna (sede di Ravenna) via S.Vitale 28, 48100 Ravenna b Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali - Alma Mater Studiorum Università di Bologna (sede di Ravenna), via degli Arinai, 1, 48100 Ravenna c Dipartimento di Scienza dei Materiali – Università del Salento, via per Arnesano, 73100 Lecce e-mail:
[email protected]
L’indagine sulla produzione e la lavorazione del vetro a Ravenna e nel territorio circostante si inserisce in un più ampio progetto di studio archeometrico del vetro antico, per la riuscita del quale risulta fondamentale la collaborazione tra tecnici specialisti ed archeologi. In questo contesto rivestono massima importanza gli scavi condotti presso il sito archeologico di Classe da una équipe dell’Università di Bologna (Dipartimento di Archeologia – Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali), a partire dal 2001. Oggetto di studio è l’area portuale dell’antico centro urbano, che costituiva il porto di Ravenna e uno dei più importanti scali commerciali della tarda antichità. La sequenza stratigrafica rilevata a Classe si estende dal V secolo fino all’VIII. Nell’ambito di un edificio del porto sono stati trovati numerosi scarti di lavorazione del vetro, una fornace utilizzata per la produzione di oggetti in vetro o di vetrina usata per rivestire una particolare tipologia di contenitori in ceramica, qui attestata fin dal VI secolo. L'analisi archeometrica ed archeologica dei campioni, attualmente in corso, e l’elaborazione dei dati ottenuti hanno come obiettivo la classificazione tipologica e la collocazione cronologica dei reperti. Il fine ultimo dell’intero progetto di studio è quello di confrontare i risultati relativi a: - reperti provenienti da un unico sito e con una precisa cronologia per evidenziarne similarità o differenze, isolando ove possibile oggetti di produzione locale da quelli di importazione; - reperti rinvenuti in diversi siti dell'area ravennate e/o aventi diversa cronologia per individuare eventuali innovazioni tecnologiche; - frammenti di oggetti finiti e scarti di lavorazione per osservare eventuali analogie produttive e indagare la possibilità di riuso; - produzione ravennate e produzioni dell'area Mediterranea. Nel presente lavoro vengono illustrati i risultati preliminari della ricerca relativi ad un primo gruppo di circa 50 campioni vitrei, comprendenti frammenti di oggetti e scarti di lavorazione, provenienti dagli scavi archeologici di Classe databili in un periodo che va dalla fine del VI al IX secolo.
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BC20 MAPPING ATR-FTIR NELLA CARATTERIZZAZIONE E LOCALIZZAZIONE STRATIGRAFICA DI MATERIALI ARTISTICI ED ARCHEOLOGICI Rocco Mazzeo, Silvia Prati, Edith Joseph, Elsebeth Kendix Microchemistry and Microscopy Art Diagnostic Laboratory (M2ADL) Università di Bologna, Polo di Ravenna, Via Tombesi dall’ Ova 55, 48100 RAVENNA Il lavoro illustra le potenzialità offerte dalle varie tecniche di analisi utilizzabili in microscopia FTIR per la caratterizzazione chimica della composizione, stato di conservazione e fenomenologie di degrado a carico di materiali artistici ed archeologici. Vantaggi e limiti delle diverse tecniche di campionamento sono illustrati con l’applicazione a studi di caso riferiti a superfici policrome e bronzi archeologici. Particolare attenzione viene posta all’utilizzo della spettroscopia micro ATR – FTIR (Attenuated Total Reflection – Fourier Transform Infrared spectroscopy) e ATR mapping. Quest’ultima, se applicata su sezioni stratigrafiche di campioni, consente la contemporanea caratterizzazione chimica e localizzazione stratigrafica dei materiali costituenti o di degrado (prodotti di corrosione1, pigmenti, leganti organici, ecc) attraverso la selezione di bande caratteristiche di specifici gruppi funzionali presi come marker. Il lavoro illustra, inoltre, le possibilità offerte dall’ATR mapping nel monitoraggio non-distruttivo dell’evoluzione di processi di corrosione in atto su barre bronzee standard esposte ad invecchiamento naturale in ambiente sia marino che urbano.
Fig.1: rappresentazione schematica dei risultati ottenibili con l’uso combinato di microscopia ottica e microATR mapping su sezione stratigrafica di dipinto
Vengono discussi i limiti della tecnica ATR, quali la risoluzione spaziale (in genere non superiore a 20 µm) nonché gli effetti negativi sull’interpretazione degli spettri causati dalla resina di inglobamento nel caso di analisi di sezioni stratigrafiche. A tale proposito vengono presentati i primi risultati ottenuti con un nuovo sistema di preparazione del campione che utilizza KBr come materiale di inglobamento. Il microATR rappresenta un’utile tecnica nondistruttiva nei confronti del campione analizzato che può essere ulteriormente investigato con altre tecniche microscopiche sia molecolari (Raman) che elementari (SEM-EDX). 1. R. Mazzeo and E. Joseph,: ATR microspectroscopy mapping for characterization of bronze corrosion products. European Journal of Mineralogy (accettato per la pubblicazione), 2007
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BC21 ANALYTICAL METHOD FOR THE CHARACTERIZATION OF COINS WITH HIGH PERCENTAGE OF AG Lia Famàa, Antonio Serraa, Daniela Mannoa, Aldo Sicilianob, Rosa Vitaleb, Giuseppe Sarcinellib a
Dipartimento di Scienza dei Materiali Università del Salento, via Monteroni 73100 Lecce (Italia) b Dipartimento dei Beni Culturali, Università del Salento, via D.Birago 6, 73100 Lecce (Itali) e-mail:
[email protected] In this work, an analytical method for the characterization of stateres with high percentage of Ag is presented. Ancient silver coins minted in/by Greek Colony of Taras, between the beginning of the V century B.C. and the first (1st) of the III century B.C, and 2 incuse coins minted in the last quarter of V century B.C in Metaponto e Caulonia are characterized by scanning electron microscopy (SEM) equipped with energy dispersive x-ray microanalysis (EDX) and by x-ray diffraction. The x-ray microanalysis data obtained from the examined coins were checked by the use of homogeneous Ag-Cu alloys standards. The measures were carried out at different voltage of incident electron beam in order to obtain information about relative Ag/Cu concentration values at different depth. Moreover, it is possible to obtain information about Ag/Cu relative concentration calculating the ratios of intensity of Ag-Kα/Cu-Kα signals and Ag-Lα/Cu-Kα for the samples. In order to know the exact depth a test piece made of a different number of silver sheets on a smooth copper layer has been constructed. The Cu signal is visible also in the zone where the thickness is 20μm. Moreover a structural characterization of the samples was performed by XRD diffractometer. The reliability of our results has been checked analyzing with both the surface and section of some fragments of coins coming from Metaponto and Caulonia. The study of lapped part of the section by means microanalysis X has shown that the copper distribution is uniform both in surface and in cross-section of examined coins. This result confirms the reliability of the described protocol of surveying in the analysis of the surface of coins characterized by an high Ag content.
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BC22 METALLURGICAL AND TECHNOLOGICAL STUDY OF BRONZE OBJECTS OF ANCIENT VENETIC PEOPLE Maurizio Magrini, Emilio Ramous, Irene Calliari DIMEG, University of Padua, Italy The ancient venetic people were a pre-roman people living in the north –east Italian regions. The paleovenetian civilization had its main development from the VIII century BC. During that age, the most important urban settlements were Este, Padova, Treviso, Verona and Vicenza, near by a lot of necropolis and worship places have been brought to light. The rich metalwork from these towns includes bronze artefacts (jewellery, drinking vessels, ceremonial objects like situlae, votive plates and small bronzes) as well as objects involved in the metallurgical manufacturing processes. In the present paper the archaeometric characterization of several fragments of laminae, belts and fibulae is presented. All the samples are dated to IV-VIII B.C. The laminae and belts have been produced by cold working and annealing. The fibulae have been produced with the lost-wax techniques and modelled with hammering and annealing. In this study special attention has been paid to the characterization of the joining area between the bow, pin and spring as it is very important to understand the connection technique used. All the examined fragments are alfa bronze, with 7-14% of Sn, but with different content of Pb.
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BC23 CONFRONTO DI DATI TERMOANALITICI, BIOSENSORISTICI E DI PERSISTENZA AMBIENTALE PER CARTA INVECCHIATA ARTIFICIALMENTE E PER CAMPIONI DI LEGNO DI NOCE INVECCHIATI NATURALMENTE Luigi Campanella, Cecilia Costanza, Mauro Tomassetti Dipartimento di Chimica, Sapienza Università di Roma P.le A. Moro, 5 – 00185 Roma email:
[email protected] In precedenti lavori abbiamo descritto ed applicato un biosensore archeometrico per la determinazione dell’età di campioni cellulosici (carta, legno, tessuto) [1, 2]. Lo stesso biosensore è stato anche applicato allo studio dei processi di invecchiamento artificiale della carta extra-strong. In questo lavoro lo stesso processo viene studiato con: - metodi termogravimetrici, che vengono anche impiegati per datare campioni lignei basandosi sulle temperature di inizio dello step termogravimetrico [3] di degradazione termica della cellulosa, sui relativi valori dell’energia di attivazione, o sul rapporto fra la perdita ponderale dovuta alla cellulosa e quella dovuta alla lignina. - metodo fotosensoristico con l’applicazione di un test chimico di persistenza ambientale realizzato con un innovativo fotosensore [4-6] a TiO2. Sono stati ottenuti in ognuno dei casi dei trend monotoni discendenti, che potrebbero essere utilizzati a fini archeometrici. Interessante è risultato anche il confronto con i trend ottenuti con il metodo enzimatico (enzima immobilizzato nella matrice testata vs tempo di invecchiamento che produce un arricchimento in gruppi COOH responsabili dell’immobilizzazione enzimatica). Bibliografia [1] Campanella L.; Antonelli A.; Favero G.; Tomassetti M.; L’Actualité Chimique 2001, Octobre 14 – 20. [2] Campanella L.; Chicco F.; Favero G.; Gatta T.; Tomassetti M.; Ann. Chim. 2005, 95, 133141. [3] Campanella L.; Favero G.; Rodante F.; Tomassetti M.; Vecchio S.; Ann. Chim., 2003, 93, 897 – 907. [4] Campanella, L.; Battilotti M.; Costanza, C. Ann. Chim. 2005, 95, 727-739. [5] Campanella, L.; Costanza, C.; Tomassetti, M. Ann. Chim. 2006, 96, 575-585. [6] Campanella, L.; Costanza, C.; Tomassetti, M. La Chimica e l’industria, 2005, 87, 84 – 89.
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BC24 CONFRONTO TRA METODI PER LA DETERMINAZIONE DELL’ANDAMENTO DEL Ph NEL TEMPO DI CARTE INVECCHIATE NATURALMENTE, SCRITTE E NON. Luigi Campanella, Cecilia Costanza, Alessandra D’Aguanno Dipartimento di Chimica, Sapienza Università di Roma P.le A. Moro, 5 – 00185 Roma email:
[email protected] La determinazione del Ph di carte antiche è utile per capirne lo stato di conservazione e il deterioramento; infatti alcune delle cause del degrado della cellulosa sono: l’idrolisi catalizzata da acidi e basi e l’ossidazione [1-4]. Lo scopo di questo lavoro è l’applicazione dell’elettrodo di vetro per la determinazione del Ph di carte invecchiate naturalmente, scritte e non, con tre diversi metodi: 1) un metodo proposto dagli autori, confrontato con due dei metodi riportati in letteratura: 2) metodo superficiale [5]; 3) metodo di estrazione [5]; Le differenze tra i metodi sono la quantità di carta utilizzata, le operazioni preliminari (preparazione del campione, estrazione, etc.), la durata. Il metodo proposto dagli autori risulta essere il più rapido, il più riproducibile ed il meno distruttivo tra i tre. Bibliografia [1] Desai,R. L.; Shields J. A. Die Makromolekulare Chemie 1969, 122, 134 – 144 [2] Whitmore, P; Bogaard, J.; Restaurator, 1994, 15, 26 – 45 [3] Reháková,M.; Vizárová,K.; Jančiová, D.; Valovičová, M.; Varga Š. Durability of paper and Writing, 2004, 68 – 69. [4] Turanova, M.; Havlinova,B.; Ceppan, M. Durability of paper and Writing, 2004, 70 – 71. [5] Strlič, M.;Kolar, J.;Kočar, D.;Drnovšek, T.;Šelih, V. S.; Susič,R.; Pihlar, B. e-PS, 2004, 1, 35 – 47.
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BC25 CARATTERIZZAZIONE DI MALTE E STUCCHI DEL TEATRO DI MARCELLO E DEL PORTICO DI OTTAVIA IN ROMA Luigi Campanellaa, Paola Ciancio Rossettob, Tania Gattaa, Rossella Grossia, Mauro Tomassettia a
Dipartimento di Chimica, Sapienza Università di Roma P.le A. Moro, 5 – 00185 Roma b Sovraintendenza Beni Culturali del Comune di Roma e-mail:
[email protected];
[email protected]
A seguito di restauri e consolidamenti effettuati negli ultimi anni nel Teatro di Marcello in Roma su stucchi bianchi che decorano l’ambiente centrale della sottocavea, si sono resi disponibili piccoli campioni dello stucco più liscio e più esterno e frammenti di malta appartenenti allo strato immediatamente sottostante lo stucco. Poiché l’operazione di consolidamento ha interessato anche resti murali del Portico dedicato ad Ottavia, subentrato in età augustea al portico di Metello, sfruttando le stesse fondazioni di quest’ultimo, si è avuta anche la disponibilità di campioni di malta interstiziale, rispettivamente dei laterizi e del reticolato parietale, ed inoltre di un campione di stucco parietale anche di questa antica struttura. Modeste quantità di questi reperti (circa da 10 a 50 mg) sono stati sottoposti a diversi esami chimici strumentali, ai fini di una loro caratterizzazione e differenziazione dal punto di vista della composizione: analisi termogravimetrica (TG e DTG), analisi ICP delle soluzioni ottenute dopo dissoluzione in forno a microonde (Inductively Coupled Plasma Emission) ed analisi diffrattometrica a raggi X (metodo delle polveri). I risultati ottenuti hanno mostrato che, sia le malte che gli stucchi, risultano costituiti essenzialmente di carbonati di calcio e di magnesio (legante), derivante naturalmente dalla carbonatazione della malta originaria, e da “inerte”, con buona probabilità pozzolanico, essendo costituito essenzialmente da quarzo, pirossene, diopside, analcime. In genere sono state riscontrate quantità non molto significative di gesso. Ciò che distingue nettamente i campioni di stucco dai campioni di malte, è essenzialmente la percentuale nettamente superiore di legante, nei primi e di inerte nei secondi. Anche la percentuale di acqua contenuta nelle malte è circa doppia, rispetto a quella presente negli stucchi. Inoltre mediante diffrattometria a raggi X tracce molto modeste di ossalato di calcio sono state ritrovate negli stucchi, ma non nelle malte esaminate.
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BC26 FOTOSENSORE PER LA MISURA DELLA PROTEZIONE DI CARTA DI VARIO TIPO ANCHE INVECCHIATA ARTIFICIALMENTE Luigi Campanella, Cecilia Costanza, Alessandra D’Aguanno, Rossella Grossi, Mauro Missori Dipartimento di Chimica – Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Piazzale Aldo Moro 5 - 00185 Roma - Italia e-mail:
[email protected] L’invecchiamento del materiale cartaceo è dovuto a variazioni della struttura della cellulosa; come conseguenza la carta può diventare tanto fragile da rompersi. È importante perciò poter intervenire preliminarmente con trattamenti sulla carta mediante azioni protettive. In questo lavoro è stato valutato l’effetto del trattamento superficiale di leganti (a base di proteina vegetale o a base di poliuretano) e di una dispersione acquosa di un copolimero (di n-butilacrilato, acrilonitrile e stirene) con una soluzione polimerica, a fini protettivi di carte, fornite dal Gruppo Cordenons Spa, di diverso tipo: • trattate con effetto metallico della serie “Startdream”; • trattate con effetto matt della serie “Plike”; • naturali permanenti per acquarello della serie “Canaletto”; • naturali permanenti per documenti della serie “Carta per Registro TipoB”; non ed invecchiate artificialmente in veterometro. Sono stati applicati due metodi: 1) metodo biosensoristico, basato su un biosensore enzimatico a glucosio ossidasi. Viene valutato l’aumento del grado di carbossilazione della carta con l’invecchiamento artificiale [1, 2]; 2) metodo fotosensoristico, basato su un fotosensore a biossido di titanio (forma anatasio). La capacità della carta di mantenere le proprie caratteristiche senza un deterioramento significativo per lunghi periodi di tempo viene valutata attraverso un indice di “persistenza ambientale” [3-5] Entrambi i metodi hanno evidenziato l’efficacia del trattamento protettivo della carta adottato da Cordenons che si ringrazia per la fornitura dei campioni. Bibliografia [1]Campanella, L.; Favero, G.; Tomassetti, M. Sensor & Actuators B 1997, 559 – 565. [2] Campanella, L.; Antonelli, A.; Favero, G.; M. L’Actualité Chimique 2001, 14, 20. [3] Campanella, L.; Costanza, C.; Tomassetti, M. La Chimica e l’industria, 2005, 87, 84 – 89. [4] Campanella, L.; Battilotti M.; Costanza, C. Ann. Chim. 2005, 95, 727-739. [5] Campanella, L.; Costanza, C.; Tomassetti, M. Ann. Chim. 2006, 96, 575-585.
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BC27 INDAGINI DIAGNOSTICHE SUI DIPINTI “PREGHIERA DI TOBIA E SARA” E “L'ARCANGELO RAFFAELE SI RIVELA A TOBI E A SUO FIGLIO TABIA”. Andrea Smeriglio1, Gianluca Nava2, Cesare Oliviero Rossi1, Silvestro Antonio Ruffolo3, Giuseppe Antonio Ranieri1 1
Dipartimento di Chimica, Università della Calabria, Via P. Bucci, Cubo 14D, 87036 Arcavacata di Rende (CS). 2 Laboratorio SEZIONE SOTTILE RESTAURI Snc via Beato Marino 14, 87040 – Zumpano (CS). 3. Dipartimento Scienze della Terra, Via P. Bucci, Cubo 14B, 87036 Arcavacata di Rende (CS). Il presente lavoro riguarda le fasi diagnostiche di due opere policrome olio su tela datate al XVIII secolo: “Preghiera di Tobia e Sara” e “L'Arcangelo Raffaele si rivela a Tobi e a suo figlio Tobia”. Le opere, che raffigurano alcune scene delle vita di Tobia, sono collocate all’interno della cappella del SS Sacramento sita presso il Duomo di Cosenza. Le indagini sono state effettuate sia attraverso metodologie non invasive, come la riflettoscopia IR, sia attraverso metodiche invasive campionando microframmenti delle due tele al fine di caratterizzare la sequenza stratigrafica con il metodo delle Cross Section. Inoltre ciascuno strato è stato oggetto di analisi al fine di caratterizzare i materiali utilizzati, per tale scopo sono state effettuate analisi morfologiche ed elementari al microscopio SEM e analisi su frammenti e Cross Section mediante spettroscopia FT-IR e Micro FT-IR per caratterizzare i materiali organici. Le informazioni ottenute hanno fornito indicazioni sulla tecnica di esecuzione dell’autore e sulle procedure più idonee nelle fasi di restauro.
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BC28 STUDIO STORICO-ARTISTICO E DIAGNOSTICO-MATERICO SU UN AFFRESCO DEL XV SEC. RINVENUTO NELLA CAPPELA DEI NOBILI DEL DUOMO DI COSENZA Amerigo Beneducia, Maria Caterina Galluccia, Sara Gigliottia,b a
Dipartimento di Chimica Università della Calabria Via Pietro Bucci Cubo 17/D 87036 Arcavacata di Rende (CS) b Specializzanda nel corso di laurea in Diagnostica, Conservazione e Restauro per i Beni Culturali del Dipartimento di Scienze della Terra Università della Calabria e-mail:
[email protected] Nel 1973 è stato scoperto un interessante affresco nella Cappella dei Nobili, la più antica cappella del Duomo di Cosenza (XIII sec. a.c). L’affresco è collocato sul muro originario della cappella, oggi nascosto dalla attuale parete abbellita da dipinti su tavola del Bellizzi e da stucchi del XIX sec.[1]. In seguito ai danni subiti dalla Cappella, a causa di un incendio avvenuto al suo interno nel 1973, il dipinto centrale del Bellizzi “La Madonna della Misericordia”, venne rimosso creando una ampia apertura attraverso cui è oggi possibile ammirare in parte l’affresco. Esso, di autore ignoto, raffigura Cristo in croce sul Monte Calvario, con San Giovanni e la Madonna ai suoi piedi. La ricostruzione delle varie fasi storiche della Cappella e l’analisi stilistico-iconografica da noi effettuate sull’affresco ci hanno fatto avanzare l’ipotesi che esso risalga al XV sec. e che sia di stile “bizantineggiante”. Le analisi chimiche e chimico-fisiche effettuate sull’affresco sono state principalmente rivolte al riconoscimento dei pigmenti, dei materiali costituenti lo strato di intonaco e degli inquinanti presenti sullo strato pittorico. Tali riconoscimenti sono stati effettuati su microcampioni prelevati dall’Opera (campionamento semiconservativo) tramite microanalisi chimica al microscopio ottico (spot-test) e indagini morfologiche ed elementali attraverso microscopia elettronica a scansione (SEM) e spettrofotometria a fluorescenza di raggi X in dispersione di energia (EDS). Tabella 1: composizione chimica dei pigmenti. Pigmento Rosso scuro Rosso Rosa Bianco Giallo Nero
Nome Pigmento Formula Chimica Ocra rossa Fe2O3 Ocra rossa + carbonato di calcio Fe2O3, CaCO3 Ocra rossa + carbonato di calcio Fe2O3, CaCO3 Bianco di calce CaCO3 Ocra gialla Fe2O3 * H2O Nero fumo C amorfo
Fig. 1: Microfotografia al SEM di un campione di affresco prelevato dalla croce che mostra la presenza delle particelle sferiche inquinanti costituite da carbonio elementare.
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L’intonaco è risultato essere costituito essenzialmente da carbonato e solfato di calcio. Nella Tabella 1 sono riassunti i risultati più importanti ottenuti dall’analisi qualitativa. Nella Fig. 1 è inoltre riportata una microfotografia al SEM che rileva la presenza di particelle carboniose di forma sferoidale sulla superficie di tutti i campioni analizzati, probabilmente dovute ad inquinamento da combustione [2]. Bibliografia [1] [2]
C. Minicucci, Cosenza Sacra, Cosenza, Chiappetta 1933, 47. S. Lorusso, La diagnosi per il controllo del sistema manufatto-ambiente, Pitagora editrice, Bologna 2002, 260-265.
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BC29 IL PROGETTO ATENA: SISTEMI DIAGNOSTICI E PROGETTAZIONE MOLECOLARE A TUTELA DEI BENI CULTURALI Maria Pia Casalettoa, Francesco Carusoa, Francesco Michele Mingoiaa, Maria Luisa Testaa, Gabriel Maria Ingob, Tilde de Carob, Cristina Riccuccib Istituto per lo Studio dei Materiali Nanostrutturati, Consiglio Nazionale delle Ricerche: a Via Ugo La Malfa 153, 90146 Palermo b Via Salaria km. 29,300 - CP 10, 00016 Monterotondo Stazione, Roma e-mail:
[email protected] Un valido esempio del contributo che la chimica può offrire nell’ambito della conservazione e valorizzazione dei Beni culturali è rappresentato dal progetto ATENA 7 , basato sull’applicazione di tecniche innovative di indagine chimico-fisica e sullo sviluppo e sperimentazione di nuovi materiali e metodi per la conservazione di antichi manufatti ceramici e in lega di rame. Diversi manufatti rinvenuti in scavi archeologici dell’Italia insulare e centrale (Sicilia, Sardegna e Lazio) sono stati campionati in funzione dello stato di conservazione per lo studio dei meccanismi di degrado. La caratterizzazione chimico-fisica è stata condotta mediante le seguenti tecniche di superficie e di bulk: diffrazione di raggi X (XRD), spettroscopia fotoelettronica a raggi X (XPS), microscopia a scansione elettronica con microsonda (SEM-EDS), microscopia ottica (OM), analisi termica differenziale (DTA), termogravimetria (TGA) e spettroscopia elettrochimica di impedenza (EIS). Lo studio delle patine e dei prodotti di corrosione sui manufatti di lega a base rame ha rivelato che la forma più pericolosa di degrado è costituita dal “tumore del bronzo” 1,2. Lo studio di tale meccanismo di degrado consente di progettare una strategia reversibile ed ecocompatibile per il restauro conservativo di manufatti metallici da scavo archeologico. L’approccio innovativo del progetto risiede nella progettazione molecolare di nuovi inibitori della corrosione di leghe a base rame e nella definizione di un protocollo applicativo per il loro impiego nella conservazione di manufatti archeologici. I composti di sintesi vengono testati su campioni “cavia” prodotti a partire da leghe di sintesi, con caratteristiche chimiche e metallurgiche analoghe a quelle antiche, sottoposte ad un nuovo metodo di corrosione accelerata 3. Per quanto riguarda i manufatti ceramici, l’indagine diagnostica condotta sia sulla vetrina che sul corpo ceramico dei campioni ha permesso di identificare i composti costituenti i depositi superficiali. La rimozione delle incrostazioni viene effettuata per via chimica mediante una semplice e sicura procedura che prevede l’applicazione di resine a scambio ionico in condizioni di umidità assoluta e temperatura controllata. L’efficacia di tale trattamento è confermata dalle analisi microchimiche e microstrutturali dei campioni . Bibliografia [1] MacLeod, I.D. ICCM Bulletin, VII, ICCM Inc., Canberra, 1981, 16-26. [2] Scott, D.A. J. Am. Inst. Conserv. 1990, 29, 193-206 [3] Casaletto, M.P.; de Caro, T; Ingo, G.M.; Riccucci, C. Appl. Phys. A – Mater. 2006, 83, 617-622.
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Parzialmente finanziato dal MIUR (D. D. n. 1105/2002).
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BC30 IL RESTAURO DELLA CHIESA DELLE ANIME SANTE DI BAGHERIA (PA) M.L. Amadori°, F. Mangani°, M.F. Palla*, M. Sebastianelli** °Facoltà di Scienze e Tecnologie, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” *Laboratorio di Biologia Molecolare, Dipartimento Scienze Botaniche, Università di Palermo **Crimisos Società Cooperativa/Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”
[email protected] La chiesa del Santissimo Crocifisso di Bagheria (Palermo) fu eretta nel 1710 e intitolata alle Anime Sante del Purgatorio. Nel 1718 vi fu annessa una cripta con funzione cimiteriale e nel 1720 fu consacrata ed affidata alla congregazione omonima di Bagheria, da cui dipesero da quel momento il mantenimento del culto e le modifiche della chiesa stessa. Originariamente lunga m 10,32 e larga m 5,62, la chiesa, che riportò danni a seguito del terremoto del 1726, fu “restaurata” nel 1734 e ampliata a partire dall’ottobre del 1779, e fu riconsacrata; ma a causa dell’incremento demografico dell’eponimo quartiere bagherese, si rese necessario un nuovo ampliamento, realizzato negli anni 1865-1870, che le conferì le attuali dimensioni. L’asse longitudinale che attraversa la chiesa è decorato da stucchi che costituiscono il rivestimento architettonico e decorativo della volta della navata e dell’abside centrale, in un ricco susseguirsi di elementi vegetali, scene bibliche e cherubini che terminano al livello del cornicione che sovrasta le colonne portanti che delimitano le tre navate. Entro tali spazi sono stati realizzati affreschi da Onofrio Tomaselli, da F. Fazzone e pitture murali geometriche a carattere decorativo. La condizione di luogo privilegiato di visita e devozione ha comportato per la chiesa un accentuato degrado di natura antropica; provocando nelle parti alte alterazioni cromatiche per il deposito di nero fumo sprigionato dal largo utilizzo di ceri devozionali, usure nelle parti basse per il calpestio ed abrasioni da contatto. Il ricco apparato decorativo presentava alterazioni dal punto di vista strutturale, oltre che chimico-fisiche. Erano presenti, ad un’osservazione ravvicinata, fratture e fessure superficiali e profonde che con il tempo sono andate accentuandosi, provocando distacchi sia delle porzioni più aggettanti sia, in alcuni casi, di interi elementi decorativi vegetali realizzati direttamente sull’intonaco umido, quindi privi di elementi fissi di ancoraggio. Molte delle superfici pittoriche erano interessate da depositi di efflorescenze saline e da fenomeni di polverizzazione superficiale probabilmente causate dall’abbondante percolazione di acqua meteorica dal tetto. L’analisi dei dati storici, affiancata all’osservazione diretta delle superfici affrescate e stuccate, ha fornito un quadro conoscitivo utile all’interpretazione complessiva delle condizioni conservative ed alla pianificazione di una campagna di indagini scientifiche volte allo conoscenza dello stato di conservazione e della tecnica esecutiva in uso in un periodo che si può considerare di passaggio tra il XIX e il XX secolo. Sono state quindi effettuate analisi in diffrattometria di raggi X (XRD) su polveri, per individuare la composizione mineralogica principale; analisi in cromatografia ionica (CI) per conoscere il contenuto dei sali solubili dei prodotti di degrado; misure di conduttività per valutare i sali solubili totali; osservazioni al microscopio ottico su sezioni stratigrafiche e su sezioni sottili trasversali per identificare composizione di stucchi e intonaci; osservazioni al microscopio elettronico a scansione (SEM) per individuare i microrganismi; analisi molecolare mediante tecnica PCR (Polymerase Chain Reaction) per identificare le specie batteriche.
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I risultati analitici hanno permesso di individuare i fenomeni di degrado in atto e adottare adeguate metodologie di intervento. Sono emersi inoltre dati utili alla conoscenza delle differenti tipologie di stucchi riconducibili a tecniche esecutive diverse legate alle varie fasi di costruzione ed ampliamento della chiesa. I dipinti murali sono stati eseguiti sia a calce su intonaco asciutto, sia ad affresco, sia a secco con l’impiego di legante organico. I pigmenti utilizzati sono quelli che normalmente si riscontrano in questo periodo nella pittura murale, a base di nero di carbone, ocra rossa e gialla, oltremare artificiale e terre verdi.
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SESSIONE POSTER QP: QUALITÀ DELL’ARIA E PARTICOLATO ATMOSFERICO
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QP01 ANALISI DELLA COMPONENTE CARBONIOSA NEL PM10 E NEL PM2.5 NELL’AREA URBANA DI BOLOGNA Daniela Baldaccib, Valentina Benedettia, Silvia Parmeggianib, Milena Stracquadanioa, Laura Tosittib, Sergio Zappolia a) Dipartimento di Chimica Fisica e Inorganica, Facoltà di Chimica Industriale, Università di Bologna,viale Risorgimento 4, 40136 Bologna b )Dipartimento di Chimica “G. Ciamician”, Università di Bologna, via Selmi 2, 40128, Bologna La componente carboniosa può essere considerata uno dei maggiori costituenti del particolato atmosferico fine (PM2.5) in area urbana (ten Brink et al., 2004) con contributi del 20-40% della massa totale del particolato (Rogge et al., 1993). La componente carboniosa è costituita da due frazioni principali: la frazione di carbonio organico (OC), una complessa miscela di migliaia di composti organici di origine primaria o secondaria, e la frazione di carbonio elementare (EC), di origine primaria, a struttura chimica esagonale simile a quella della grafite, emessa prevalentemente durante i processi di combustione. Una frazione trascurabile della componente carboniosa ed in particolar modo nei diametri più fini è rappresentata invece dai carbonati (CC). Le frazioni di EC e OC sono generalmente definite in modo operativo dai protocolli di misura. Fino ad oggi non è stato identificato un metodo standard, ma esistono diverse metodiche analitiche per la determinazione del carbonio totale (TC) e la sua speciazione in elementare e organico nel particolato. Le diverse metodiche sfruttano le differenti proprietà ottiche, termiche o chimiche del carbonio particolato. Nel presente lavoro, è stato determinato il TC nei filtri di particolato PM2.5 e PM10 raccolti nell’autunno 2006 in un sito nel centro storico di Bologna in una zona non direttamente soggetta a traffico veicolare. L’analisi è stata effettuata su una porzione di filtro di 28.26 mm2 attraverso la completa ossidazione per mezzo di una combustione flash a 900°C e successiva analisi gascromatografica con detector a conducibilità termica utilizzando un analizzatore elementare CHN Flash Eager 1000-ThermoQuest. Dai dati ottenuti è risultato che il carbonio rappresenta in media circa il 20% della massa del particolato per il PM10 e circa un 30 % sul PM2.5. Dall’analisi dei dati è risultato inoltre che, in media, circa 80% del TC risulta associato alla frazione di particolato con diametro aerodinamico inferiore a 2.5 μm. Dal confronto con i dati ottenuti su campioni di filtri di PM2.5 raccolti a luglio del 2006 risulta che la percentuale in massa di carbonio in questa stagione (in media il 20% sul totale) è più bassa di quella registrata in autunno. Bibliografia ten Brink, H.; Maenhaut, W.; Hitzenberger, R.; Gnauk, T.; Splinder, G.; Even, A.; Chi, X.; Bauer, H.; Puxbaum, H.; Putaud, J.P.; Tursic, J.; Berner, A. T. Atm. Environ. 2004, 38, 65076519 Rogge, W.F.; Mazurek, M.A.; Hildemann, L.M.; Cass, G.R.;Simoneit, B.R.T. Atm. Environ 1993, 27A, 1309-1330
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QP02 DETERMINAZIONE DEGLI IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI NELL’AREA URBANA DI BOLOGNA: CONFERME E ANOMALIE Daniela Baldaccib, Andrea Musettib, Silvia Parmeggianib, Milena Stracquadanioa, Laura Tosittib, Sergio Zappolia a)Dipartimento di Chimica Fisica e Inorganica, Università di Bologna, viale Risorgimento 4, 40136 Bologna e-mail:
[email protected] b)Dipartimento di Chimica “G. Ciamician”, Università di Bologna, via Selmi 2, 40128, Bologna Nell’ambito del progetto SITECOS (Studio Integrato sul TErritorio nazionale per la caratterizzazione ed il COntrollo di inquinanti atmoSferici) sono stati analizzati gli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) associati al PM2.5 raccolto nella città di Bologna. Gli IPA sono composti organici semivolatili che si trovano in atmosfera sia in fase gas che associati al particolato atmosferico. In questo studio sono stati determinati gli IPA a medio - alto peso molecolare, preferenzialmente associati al particolato atmosferico, ed in particolare Benzo(a)Antracene (BAA), Crisene (CHR), Benzo(b)Fluorantene (BBF), Benzo(k)Fluorantene (BKF), Benzo(a)Pirene (BAP), Dibenzo(ah)Antracene (DBA), Benzo(ghi)Perilene (BGP). La procedura analitica utilizzata prevedeva l’estrazione in Soxhlet con acetone (3/4 cicli/h per 8 ore) di ¼ di filtro in fibra di quarzo (47 mm), la purificazione dell’estratto su silice e l’analisi in HPLC con detector a fluorescenza. Da luglio 2005 a luglio 2006 sono state effettuate quattro campagne di raccolta del particolato atmosferico, suddivise in campagna estiva 2005, campagna autunnale 2005, campagna invernale 2006, campagna estiva 2006. È stato quindi possibile identificare un andamento stagionale nei livelli di concentrazione degli IPA, confermando quanto già precedentemente riscontrato nel sito in esame (Stracquadanio et al. 2007) e riportato in bibliografia per altri siti urbani. Si rilevano, infatti, le minori concentrazioni, anche prossime al limite di rilevabilità, nel periodo estivo, probabilmente per effetto della maggiore altezza dello strato di rimescolamento e per una maggiore attività fotochimica di degradazione di questi composti. Le concentrazioni in aria aumentano a partire dal periodo autunnale, fino a registrare i più alti valori di concentrazione nel periodo invernale (anche di due ordini di grandezza superiori a quelli estivi). Ad esempio, la concentrazione media del BAP, IPA di riferimento della normativa italiana, calcolata sull’intero periodo che ha interessato il progetto SITECOS è di 0.43 ng.m-3, con un minimo nel periodo estivo di 0.020 ng.m-3 e un massimo di 0.72 ng.m-3 per il periodo invernale. È stata in genere riscontrata una buona correlazione fra concentrazione del PM2.5 in aria e le concentrazioni di IPA. Tale correlazione non è però rispettata in giornate caratterizzate da eventi meteorologici particolari. Tali anomalie mettono in luce l’influenza marcata di taluni parametri meteorologici sulla permanenza o dispersione degli IPA nei bassi strati della troposfera. Bibliografia Stracquadanio, M.; Apollo, G.; Trombini, C. WASP 2007, 179, 227-237.
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QP03 CICLO GIORNO – NOTTE DI COMPOSTI CARBONILICI NELL’AREA URBANA DI BOLOGNA Annamaria Benedettib, Ermanno Erranib, Barbara Fabbria, Isacco Gualandia, Vanes Poluzzib, Isabella Ricciarellib, Milena Stracquadanioa, Sergio Zappolia a
Dipartimento di Chimica Fisica e Inorganica,Università di Bologna,viale Risorgimento 4, 40136 Bologna b ARPA Sezione Provinciale di Bologna, via Trachini 17, 40138 Bologna e-mail:
[email protected].
I composti carbonilici rivestono una grande importanza nella determinazione della qualità dell’aria in area urbana, sia per la valutazione del rischio per la salute umana, viste le proprietà tossiche e carcinogeniche di alcuni composti, sia per il loro importante ruolo nella chimica atmosferica e nella formazione dello smog fotochimico. I composti carbonilici, infatti, sono intermedi stabili delle reazioni fotochimiche di ossidazione di composti organici e partecipano alle reazioni di formazione di ozono, perossiacetilnitrato (PAN) e particolato di origine secondaria. I composti carbonilici possono essere di origine antropica o naturale, emessi direttamente in atmosfera o di origine secondaria (Hellen, 2004). Visto il ruolo decisivo di numerose aldeidi nei processi fotochimici, risulta importante studiare l’evoluzione di questi composti in funzione dell’insolazione e, quindi, di impostare campagne di misure che prevedano, almeno, la suddivisione giorno-notte. In questa direzione abbiamo iniziato uno studio in ambito urbano volto al campionamento di aria ad intervalli regolari per tutta la giornata. Per il campionamento e l’analisi è stata adottata la procedura standard operativa (SOP MLD 022-2001), che prevede il campionamento attivo su specifiche cartucce a ad un flusso di 1 Lmin-1 I primi risultati ottenuti evidenziano che la metodica analitica consente determinazioni affidabili delle aldeidi principali in tutti i campionamenti effettuati e indicano, inoltre, la possibilità di aumentare la risoluzione temporale del prelievo (fino a un’ora per le aldeidi più concentrate). Nella comunicazione verranno presentati i risultati preliminari delle campagna primaverile in corso di completamento. Dalle prime analisi effettuate si evidenzia, per tutte le aldeidi, un marcato ciclo giornaliero con massimi localizzati nelle ore centrali del giorno e valori minimi nelle ore notturne. I composti che presentano le maggiori sono risultati essere: acetone, formaldeide, acetaldeide, 2,5-dimetilbenzaldeide. Bibliografia Hellen, H., Hakola, H., Reissell, A., Ruuskanen, T. M. Atmos. Chem. Phys. Discuss., 2004, 4, 2991–3011. California Environmental Protection Agency, Northern laboratory Branch Monitoring and Laboratory Division “Standard Operating Procedure for the Determination of Carbonyl Compounds in Air”, 2001 (http://www.arb.ca.gov/aaqm/sop/sop_22.pdf)
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QP04 COCAINA IN ARIA AMBIENTE, EFFETTO INATTESO DELL’ABUSO DI DROGHE Angelo Cecinato, Catia Balducci, Graziano Nervegna, Massimiliano Possanzini, Giorgio Tagliacozzo Istituto Inquinamento Atmosferico CNR, Via Salaria km 29,3 – CP 10, 00016 Monterotondo Stazione RM e-mail:
[email protected] Lo studio della composizione della frazione organica delle polveri sospese ha inaspettatamente rivelato la presenza di tracce di cocaina in aria, talvolta accompagnata da altre droghe (es. cannabinolo). In seguito alla messa a punto di una procedura analitica dedicata, sono state osservate concentrazioni di droga in aria dell’ordine decine di picogrammi per metro cubo a Roma, in siti e periodi dell’anno diversi. Misure estese ad altre regioni (la provincia di Taranto in Italia; l’area metropolitana di Algeri in un Paese in via di sviluppo) sembrano indicare che la diffusione del consumo di droghe (relazionata alle quantità sequestrate dalle Forze di Polizia e ai numeri di ricoveri per cure disintossicanti) renda ragione dei differenti livelli di concentrazione registrati nelle tre aree, sia in termini assoluti, sia in relazione ad altri inquinanti quali il benzo(a)pirene. Infatti, confrontando i dati raccolti per Roma e Taranto, si osserva che il contenuto di benzo(a)pirene in aria è simile nelle due città (frazioni di ng m-3), mentre la cocaina è assai più presente nella capitale (≈ 30 pg m-3 contro ≈ 5 pg m-3 a Taranto). Questi dati sono coerenti con i corrispondenti dati clinico-epidemiologici. Inoltre, nell’aria di Algeri la cocaina risulta del tutto assente, quantunque in generale i livelli d’inquinamento atmosferico siano superiori a quelli delle due città italiane. Al contrario, la cocaina risulta presente e quantificabile anche in aree suburbane romane, quali Malagrotta e Montelibretti. Significative differenze si osservano all’interno delle due aree italiane investigate. A Romacittà le concentrazioni più alte sono state registrate nel quartiere universitario e in un parco verde, le più basse in zone residenziali e a livello stradale. Nelle due zone suburbane (Malagrotta, sede di piccole e medie industrie, di un inceneritore e di una discarica; Montelibretti, area rurale attraversata da una strada e un’autostrada e sperimentante uno sviluppo residenziale diffuso) i livelli di concentrazione di cocaina appaiono simili a quelli più bassi registrati a Roma città. A Taranto, due zone abitate nel centro città e nel suburbio sembrano parimenti affette da cocaina, mentre in un sito rurale essa risulta assente.
Bibliografia Cecinato, A.; Balducci, C., Journal of Separation Science 2007 (in press).
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QP05 CARATTERIZZAZIONE DEL CONTENUTO DI METALLI PESANTI NEL PARTICOLATO ATMOSFERICO A LECCE Daniela Cesari a, Daniele Contini a, Antonio Donateo a, Salvatore Francioso b, Franco Belosi c a
Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima, CNR, S.P. Lecce-Monteroni km 1.2, Lecce b Servizio Ambiente, Provincia di Lecce, Via Umberto I, Lecce c Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima, CNR, Via P.Gobetti, 101, Bologna e-mail:
[email protected]
Si presenta una caratterizzazione del particolato atmosferico nel territorio della provincia di Lecce. I rilevamenti di PM10 e PM2.5 sono stati fatti con un Laboratorio Mobile utilizzando il metodo gravimetrico su filtri di fibra di quarzo o di esteri misti di cellulosa. I campionamenti sono stati fatti per l’arco di 24 ore alla portata di 2.3 m3/h in accordo alle indicazioni del D.M. 60/2002 utilizzando dei filtri bianchi sul campo per la correzione di errori sistematici e la valutazione dell’incertezza di misura. Maggiori dettagli possono trovarsi in Belosi et al (2006). I rilevamenti riguardano tre tipologie di sito di misura: urbano, sito di fondo urbano e sito di fondo urbano influenzato da un’area industriale. I risultati indicano una significativa variabilità delle concentrazioni medie nelle tre tipologie di sito e questo evidenzia la presenza di contributi locali al particolato atmosferico. Sono inoltre presenti contributi di trasporto a lungo raggio (fenomeni di Saharan Dust) che influenzano circa il 17% dei rilevamenti. Le intrusioni di polveri Africane aumentano in media del 19% le concentrazioni di PM10 e del 2.5% quelle di PM2.5 nei siti di fondo urbano mentre il loro effetto è minore nei siti urbani. Sono inoltre stati evidenziati casi di trasporto a medio raggio di inquinanti emessi dai grandi centri industriali della Puglia siti a Brindisi e Taranto. Il rapporto medio R=PM2.5/PM10 fra le concentrazioni giornaliere è R=0.71 (+/- 0.15), indicando la variabilità a livello di una deviazione standard. Tale rapporto è compatibile con altre misure riportate in letteratura dove si riportano valori medi di R compresi fra 0.63 e 0.75 (Marcazzan et al 2002, Marcazzan et al 2004). I metalli analizzati, mediante spettroscopia di assorbimento atomico (AAS) o spettroscopia ad emissione ottica al plasma accoppiata induttivamente (ICP-OES), sono i seguenti: Cadmio (Cd), Vanadio (V), Ferro (Fe), Rame (Cu), Nichel (Ni), Manganese (Mn), Zinco (Zn), Arsenico (As), Piombo (Pb) e Cromo (Cr). Questi metalli costituiscono in media fra lo 0.4% ed il 1.1% della massa del PM10 nei diversi siti di misura e fra lo 0.3% ed il 0.9% della massa del PM2.5. Le analisi chimiche condotte sui filtri hanno evidenziato le difficoltà di rilevare le concentrazioni di alcuni metalli (in particolare V, As, Ni, Cd e Cr sono talvolta al di sotto del limite di rilevabilità) con campionamenti a basso volume. Il calcolo del fattore di arricchimento crostale dei diversi metalli ha mostrato che Pb, Zn e Cd sono generalmente arricchiti e che il metallo è presente prevalentemente nella frazione fine (PM2.5). Il Mn è di origine crostale ed è distribuito sia sulla frazione fine che su quella grossolana. Il Cu risulta generalmente arricchito ma è presente in maniera significativa sia nella frazione fine sia in quella grossolana ed in alcuni siti è probabile un contributo sia crostale che antropico. Il Ni ed il Cr risultano arricchiti e correlati fra loro in vicinanza di una zona industriale con un inceneritore (che risulta una probabile origine di questi metalli) e sia le concentrazioni che la correlazione diminuisce allontanandosi dalla zona industriale. In molti siti di misura è stata osservata una correlazione fra Fe e Mn che ne evidenzia una probabile origine crostale comune.
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Bibliografia Belosi F., Contini D., Donateo A., Prodi F. Il Nuovo Cimento C 2006, 29, 4, 473-486. Marcazzan , G.M.; Valli, G.; Vecchi, R. The Science of the Total Environm. 2002, 298, 6579. Marcazzan, G.M.; Ceriani, M.; .; Valli, G.; Vecchi, R. X-Ray Spectrom. 2004, 33, 267-272.
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QP06 SIMULAZIONE DI RUN-OFF SU MATERIALI ESPOSTI ALL’APERTO Elena Bernardia, Cristina Chiavarib, Carla Martinib, Daria Prandstrallerb, Luciano Morsellia a
b
Dipartimento di Chimica Industriale e dei Materiali Dipartimento di Scienze dei Metalli, Elettrochimica e Tecniche Chimiche Università di Bologna- Via Risorgimento 4, 40136 e-mail:
[email protected]
Il presente contributo s’inserisce all’interno di un progetto multidisciplinare teso a studiare l’evoluzione ed i meccanismi del degrado indotto dalle deposizioni atmosferiche sui materiali esposti all’aperto. Le prove d’invecchiamento accelerato condotte fino ad ora nell’ambito del progetto sono state effettuate mediante la tecnica delle immersioni alternate, che simula una condizione di stagnazione del materiale nei confronti delle deposizioni umide [1,2]. Al fine di simulare sia condizioni di run-off, che cicli di deposizione secca ed umida, è stata sviluppata un’opportuna apparecchiatura, denominata “dropping system”. Tale apparecchiatura permette di far cadere, goccia a goccia, una soluzione su di un provino del materiale scelto, consentendo di variare i seguenti parametri: flusso di gocciolamento, altezza di caduta delle gocce, inclinazione del provino. La soluzione lisciviante può essere raccolta in maniera frazionata per successive analisi ed il provino monitorato nel corso della prova. In questo lavoro sono riportate le prove di validazione del “dropping system” per l’invecchiamento dei metalli e del metodo di campionamento messo a punto per seguire agevolmente l’andamento della corrosione durante le prove. Per i test di validazione sono stati utilizzati provini di bronzo G85-5-5-5 e, come soluzione lisciviante, una pioggia sintetica con composizione tipica delle piogge più acide (pH0.3µm, uno SWAM dual channels per il campionamento e determinazione di PM10 e PM2,5, un anemometro sonico, ed un PBL Mixing Monitor, per monitorare l’altezza dello strato rimescolato, verranno installati in un cabinet modulare e portatile. Obiettivo del prototipo è quello di identificare i parametri essenziali e le loro relazioni al fine di caratterizzare le frazioni “fine” e “corse” del particolato atmosferico e di identificarne le sorgenti, a partire dai dati ottenuti dal monitoraggio integrato. Una seconda fase prevede la progettazione, lo sviluppo e la sperimentazione sul campo del prototipo per la determinazione dei contributi delle singole sorgenti (‘fugitive emission’) alle concentrazioni di particolato fine. Si tratta di sviluppare un sistema integrato che prevede l'identificazione di tre postazioni intorno ad una sorgente (sito): una delle quali sarà costituita
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dal cabinet assemblato con la strumentazione sopra descritta, mentre le altre due saranno delle stazioni standard di monitoraggio della qualità dell’aria. Il progetto prevede, inoltre, un sistema integrato esteso per il monitoraggio del materiale atmosferico particolato su vasta area, attraverso l’uso di osservazioni terrestri mediante immagini satellitari e dati derivati da simulazioni numeriche del flusso e della dispersione in supporto a misure effettuate al suolo. Gli obiettivi sono il confronto dei dati di PM10 di diverse stazioni di monitoraggio presenti sul territorio regionale con quelli di PM10 ricavati da dati satellitari; l’utilizzo della modellizzazione nel caso di dati mancanti o non affidabili; l’individuazione delle principali sorgenti di inquinanti di origine locale e non; la determinazione dell’evoluzione spazio-temporale dei più importanti eventi inquinanti di origine locale o trasportati su lunghi percorsi come gli eventi di Saharan dust; la ricostruzione dei campi di vento e della turbolenza nelle aree di studio e quindi la determinazione di mappe di concentrazione di particolato a partire dai valori mediati su aree dell’ordine dei 10km x 10km forniti dalle misure satellitari. Infine saranno effettuati confronti ed integrazioni dei dati al suolo, ottenuti dal prototipo sviluppato, con i dati forniti da satellite e dati ottenuti con modelli diffusionali. Bibliografia World Health Organization; Report on a WHO working group meeting E 82790., 2004. Querol, X.; Alastuey, A.; Ruiz, C.R. et al. Atmospheric Environmet, 2004, 38, 6547-6555; Sillanpaa, M.; Hillamo R., Saarikoski S. et al. Atmospheric Environmet, 2006, 40, S212-S223; Gonzales, R.; Schaap, C.; de Leeuw, M. et al.Atmos.Chem. Phys. 2003, 3, 521-533
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QP37 ANDAMENTI DEL PM10 NELLE REGIONI DI PUGLIA E BASILICATA M. Amodioa, P. Brunoa, M. Casellia, P.R. Dambruosoa, G. de Gennaroa, P. Ielpoa, L. Trizioa, A. Ricciob, B. Bovec, A.M. Criscic, G. Di Nuzzoc, C. Mancusic, L. Mangiamelec, G. Mottac a
Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Bari, via Orabona 4, 70126 Bari Dipartimento di Scienze Applicate, Università degli Studi di Napoli “Parthenope”, via De Gasperi 5, 80133 Napoli c ARPA Basilicata, via della Fisica 18, 85100 Potenza e-mail:
[email protected]
b
Il particolato atmosferico, prodotto sia da sorgenti locali, quali il riscaldamento domestico, impianti di incenerimento, industrie metallurgiche, traffico autoveicolare etc. sia da trasporto trans-frontaliero (eventi di Saharan dust), durante il suo tempo di residenza in atmosfera subisce diversi processi chimici e fisici. Il prodotto risultante è un sistema polidisperso di particelle chimicamente eterogenee variabile sia nel tempo che nello spazio. In questo lavoro vengono presentati dati di PM10 relativi al periodo Gennaio 2005 - Aprile 2007 rilevati in diverse stazioni di monitoraggio automatico della qualità dell’aria delle regioni Puglia e Basilicata. I dati di PM10 raccolti nella regione Puglia derivano sia dalla rete di monitoraggio della qualità dell’aria del Comune di Bari, in particolare vengono presentati dati raccolti in due stazioni site nel centro della città (in corso Cavour e piazza Luigi di Savoia), una sita in un quartiere residenziale (viale Archimede) ed una periferica sita presso lo stadio S.Nicola; sia dalla rete di monitoraggio della Provincia di Bari: sono mostrati dati relativi alle stazioni site a Casamassima (20 Km a sud-est di Bari), Monopoli (paese costiero a 44 Km a sud di Bari) e Altamura (50 Km a sud-ovest di Bari). Della rete di monitoraggio della qualità dell’aria della regione Basilicata, gestita da ARPAB, vengono mostrati dati raccolti in diverse stazioni regionali, ovvero dati raccolti in quattro stazioni ubicate nella città di Potenza (due in zone urbane, una in zona suburbana ed un’altra in una zona industriale), nella stazione di Melfi (53 Km a nord di Potenza), in quella di Viggiano (60 km a sud di Potenza) e nella stazione di Matera (100 km ad est di Potenza e 18 Km a sud di Altamura). Sono mostrati gli andamenti di PM10 in relazione ai parametri meteorologici (pressione, velocità e direzione del vento ecc), agli eventi di Saharan dust, ai valori di PBL (Planetary Boundary Layer). Sono evidenziati ed interpretati particolari fenomeni critici. Gli andamenti di PM10 relativi ai vari siti considerati non mostrano evidente stagionalità e le sue concentrazioni sembrano essere indipendenti da sorgenti locali. Moreno, T.; Querol, X.; Alastuey, A.; Viana, M.;Gibbons,W. Atmosph. Environm, 39, 2005, 6109-6120 Charron, A.; Harrison, M. R.; Quincey, P. Atmosph Environm, March 2007 1960-1975
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QP38 SPECIAZIONE INORGANICA DI PARTICOLATO ATMOSFERICO PM10 E PM2.5 NELLA CITTA’ DI BOLOGNA DURANTE IL PROGETTO SITECOS Laura Tosittia, Daniela Baldaccia, Silvia Parmeggiania, Sergio Zappolib, Milena Stracquadaniob, Daniele Ceccatoc a
Dip. Chimica “G. Ciamician” Univ. di Bologna Via Selmi ,2 40126 Bologna e-mail:
[email protected] b Dip. Chimica-Fisica ed Inorganica, Univ. di Bologna, Viale Risorgimento 4, 40136 Bologna; c INFN-Laboratori Nazionali di Legnaro, Viale dell’Università 2, 35020 Legnaro (PD) Vengono presentati i dati di speciazione inorganica per cromatografia ionica ed analisi elementale mediante PIXE (Proton Induced X-ray Emission) presso la large scale facility dell’ INFN di Legnaro (PD) ottenuti nel corso dei campionamenti di aerosol atmosferico PM10 e PM2.5 nella città di Bologna previsti dal Progetto Nazionale COFIN SITECOS. Il presente studio è stato supportato dalle conoscenze provenienti da un precedente progetto effettuato a Bologna (collab. UNIBO/ARPA-EMR-Progetto PolveRE) basato sull'impiego di un campionatore Andersen ad alto volume, a stadi ossia su aerosol frazionato dimensionalmente. Tali dati sono risultati fondamentali per la migliore interpretazione dei dati di SITECOS stesso, basati invece su prelievi bulk. In entrambi i progetti si è constatato un ruolo rilevante della frazione fine ( 30% su s.s.) con conseguente declassamento dell’ACV da prodotto pregiato a rifiuto. Si suggerisce pertanto una correzione di questo limite in sede di revisione della normativa, in quanto troppo alto.
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TR06 ANALISI DI RISCHIO ASSOCIATA ALLE EMISSIONI DI UNA DISCARICA DI RIFIUTI NON PERICOLOSI Morselli L., Piccari L., Passarini F., Vassura I. Università di Bologna, Dip. di Chimica Industriale e dei Materiali, Polo di Rimini. e-mail:
[email protected] Gli effetti sulla salute e sull’ambiente delle emissioni di inquinanti costituiscono un elemento di evidente interesse nel dibattito sulla compatibilità ambientale di molte attività umane. Per rispondere alle esigenze di una gestione del territorio in linea con i principi dello sviluppo sostenibile, l’Analisi di Rischio, che integra il Sistema di Monitoraggio Ambientale (SIMA), rappresenta un valido strumento di conoscenza sistemica e multidisciplinare del territorio utilizzabile come metodologia di controllo degli impatti sulla salute umana da applicare sull’intero percorso di gestione dei rifiuti. Inoltre è strumento integrante dei processi di valutazione degli impatti ambientali, strumento tecnico-operativo di supporto alla valutazione di scenari alternativi di gestione dell’impianto stesso, di certificazione aziendale, e strumento utile al fine di adottare decisioni trasparenti e sostenibili ed infine di comunicazione dei rischi verso la popolazione. Lo studio riguarda una discarica avviata nel 1990, con un volume complessivo di 2.525.000 mc e un’utenza di 200.000 abitanti, attualmente in fase di postchiusura. Sulla base dei dati di emissione lo scopo del lavoro è quello di valutare gli impatti dell’intero corpo discarica sul territorio circostante. L’ente gestore porta avanti un piano di monitoraggio come previsto e disciplinato dal D.Lgs 36/03, e controlli legati ad ulteriori aspetti ambientali dell’attività svolta considerati significativi in fase di analisi ambientale del sito. Tali dati sono parte integrante degli input in ingresso al modello. L’analisi è impostata sul percorso generale così come definito dall’US EPA, che prevede le 4 fasi successive di identificazione del pericolo, valutazione dell’esposizione, valutazione della dose-risposta e caratterizzazione del rischio. Gli strumenti utilizzati per condurre la valutazione degli effetti delle sostanze inquinanti emesse dall’impianto sono database costruiti ad hoc, fogli di calcolo elettronici, modelli “Fate & Transport” per la valutazione della dispersione degli inquinanti nei comparti ambientali dalla sorgente al corpo recettore e strumentazione GIS (Geographic Information System) per la gestione, l’analisi e la visualizzazione delle informazioni con contenuto geografico/spaziale. Per la valutazione dell’esposizione, e quindi del rischio, vengono presi in considerazione i principali percorsi di diffusione degli inquinanti nelle tre matrici ambientali aria, suolo e acque (superficiali e sotterranee), in funzione delle caratteristiche costruttive del sito e quindi delle tecnologie utilizzate per prevenire possibili vie di migrazione dei contaminanti, nonché delle caratteristiche quali-quantitative del percolato e del biogas (prodotto sia dai rifiuti abbancati che dalle attività di trattamento e trasformazione dello stesso) generati dall’impianto. Bibliografia US EPA, 2005, Human Health Risk Assessment Protocol for Hazardous Waste Combustion Facilities, Final. Office of Solid Waste and Emergency Response. EPA 530-R-05-006. APAT, 2005, Criteri metodologici per l’applicazione dell’analisi assoluta di rischio alle discariche.
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TR07 STUDIO SULLA DEFINIZIONE DI BIODEGRADABILITÀ DEI RIFIUTI DI ORIGINE URBANA E CONFRONTO SPERIMENTALE TRA LE PRINCIPALI METODOLOGIE DI DETERMINAZIONE ANALITICA Lara Zanin a, Lorena Franz b, Luca Paradisi b, Marco Girardini a e Bruno Pavoni a a
Università Ca’ Foscari di Venezia, Dip. di Scienze Ambientali, Calle Larga S. Marta, 2137, 30123 Venezia b ARPA Veneto, Dip. Prov. Treviso, Oss. Reg. Rifiuti e Compostaggio, Via Baciocchi 9 31033 Castelfranco Veneto (TV) e-mail:
[email protected] La conoscenza del livello di biodegradabilità dei rifiuti costituisce un aspetto chiave per definirne una corretta gestione. La normativa europea impone, infatti, la riduzione della quantità di frazione biodegradabile in discarica e della biodegradabilità dei rifiuti non recuperabili prima dello smaltimento. A livello normativo e scientifico, però, non c’è ancora chiarezza sulla definizione di biodegradabilità, sulle metodiche per determinarla e sui valori limite di riferimento. Il lavoro ha comportato una classificazione delle definizioni e delle metodiche analitiche riscontrate in letteratura, distinguendo tra biodegradabilità istantanea e potenziale e un’indagine sperimentale finalizzata al confronto delle metodiche analitiche più comunemente proposte in letteratura e nella normativa. Nelle prove di laboratorio, per la determinazione del livello di biodegradabilità istantanea ed il contenuto di solidi volatili come misura di quella potenziale, sono stati utilizzati tre test respirometrici: Indice di Respirazione Statico-IRS (ARPAV, 2004), Specific Oxygen Uptake Rate-SOUR (Lasaridi e Stentiford, 1998; Adani et al., 2001), Indice di Respirazione Dinamico-IRD (Adani et al., 2001). Sono state analizzate diverse tipologie di rifiuti, comunemente avviati a discarica, per valutare l’applicabilità delle diverse tecniche analitiche a matrici con caratteristiche merceologiche e chimico-fisiche differenti. La correlazione tra i parametri è stata valutata attraverso un approccio monovariato con costruzione di una matrice di correlazione e un approccio multivariato basato sull’Analisi delle Componenti Principali (PCA). Da questo studio è stata confermata la correlazione tra IRS e IRD, già evidenziata in letteratura (Franz et al., 2005) ed è emersa la significatività statistica, oltre che tecnica, della distinzione tra le definizioni e le metodiche analitiche che misurano la biodegradabilità istantanea e quella potenziale. Bibliografia Adani F.; Lozzi P.; Genevini P.L. Compost Science and Utilization, 2001, 9 163-178. ARPAV, 2004. Compostaggio nel Veneto, strategie di recupero dei rifiuti organici, 1-13, 6777, 101-117, 145-168. Franz L.; Ceron A.; Paradisi L.; Germani F.; Bergamin L.; Caravello G. Rifiuti Solidi, 2005, 19, 22-26. Lasaridi K.E.; Stentiford E.I. Water Resources, 1998, 3, 3717-3723.
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TR08 ARC NON-TRANSFERRED PLASMA TORCH FOR WASTE TREATMENT Mariagrazia Muolo, Marco Giannini, Francesco Tedeschi, Carmine Pappalettere Centro Laser S.c.r.l. – Str. Prov. Per Casamassima Km. 3, 70010 Valenzano (BA) (I) e-mail:
[email protected] The new trend in the world environmental policy recommends to limit the production of waste and industrial residues, the reduction of their hazardness and promotes recycling. It is very difficult to reduce waste production and alternative technologies have been investigated to reduce their hazardness and to promote material recycling. The difficulties are connected not only to the content of toxic element of many residues, but also to the complexity of waste composition and to their scarce reproducibility. A valuable help to overcame these obstacles could be the thermal plasma induced vitrification. The plasma is able to transform organic compounds in energetic gas and promotes the vitrification of inorganic compounds, generating homogeneous amorphous materials that can be recycled. This paper presents a new plasma torch for waste treatment that operates in non-transferred arc mode (nominal power = 50 kW). The experimental data available on existing thermal plasma systems demonstrate its capability to be efficiently employed for the treatment of hazardous wastes that can hardly be cleaned in classical ways. In fact high temperature is very often required in order to achieve a high destruction efficiency and low environmental risks.
Plasma Torch section Keywords: Plasma torch; thermal plasma; Waste.
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TR09 ASPETTI METODOLOGICI DELL’ANALISI DEL DISSOLVED ORGANIC CARBON NEL COMPOST: EFFETTO DEL RAPPORTO DI ELUIZIONE E DELLA GRANULOMETRIA DEL MATERIALE Marco Girardini a, Lorena Franz b, Luca Paradisi b, Alberto Ceronb, Francesco Loro b, Lucio Bergamin b, Federica Germani b e Bruno Pavoni a a
Università Ca’ Foscari di Venezia, Dip. di Scienze Ambientali, Calle Larga S. Marta, 2137, 30123 Venezia b ARPA Veneto, Dip. Prov. Treviso, Oss. Reg. Rifiuti e Compostaggio, Via Baciocchi 9 31033 Castelfranco Veneto (TV) e-mail:
[email protected] La misura della stabilità biologica di compost e rifiuti è generalmente effettuata attraverso misure respirometriche, ma si stanno sviluppando diversi metodi più rapidi, semplici e meno dispendiosi. Tra questi vi è il DOC o WSC (Dissolved Organic Carbon, Water Soluble Carbon), una misura di Carbonio organico sull’eluato da test di cessione in acqua deionizzata, che rappresenta una stima della frazione di sostanza organica prontamente disponibile e facilmente degradabile per i microrganismi (Garcia et al., 1991). Il DOC risulta quindi legato al grado di attività biologica esplicabile dal materiale compostato e diversi autori ne hanno proposto l’utilizzo come parametro per misurare la stabilità biologica del compost (Hue and Liu, 1995; Bernal et al., 1998; Zmora-Nahum et al. 2005). I protocolli per la misura del DOC presentati in letteratura, pur basandosi sullo stesso principio, differiscono per alcuni aspetti importanti quali la preparazione del campione da sottoporre ad analisi (essiccazione, setacciatura) e le modalità di esecuzione del test di cessione (rapporto di eluizione, tempo di contatto, modalità di agitazione). Dai dati di letteratura, le principali differenze tra le procedure sono il rapporto liquido:solido impiegato nel test di cessione e le dimensioni delle particelle sottoposte ad analisi, in quanto influenzano i processi di ripartizione durante il test. È stata quindi realizzata un’indagine sperimentale per verificare se, a parità di altre condizioni operative, queste differenze possono rappresentare un elemento sostanziale di divergenza dei protocolli. I risultati ottenuti sembrano confermare che i dati ottenuti da autori con metodi che usano diversi rapporti di eluizione e diverse granulometrie non sono immediatamente confrontabili. L’applicazione del DOC come strumento per controllare il grado di stabilità biologica non può prescindere da una fase di standardizzazione del protocollo operativo, anche in vista di applicazioni in sede normativa (esempio DM 5 agosto 2005, “Criteri per l’ammissibilità in discarica”). È stata inoltre svolta un’indagine di confronto con dati di stabilità misurata come IRD in quanto resta ancora da chiarire la relazione del DOC con questo parametro di stabilità. Bibliografia Bernal M.P.; Paredes C.; Sanchez-Monedero M.A.; Cegarra J. Bioresource Technology 1998, 63, 91-99. Garcia C.; Hernandez T.; Costa F. Environmental Management 1991, 16, 433-499. Hue N.V.; Liu J. Compost Science and Utilization 1995, 3, 8-15. Zmora-Nahun S.; Markovitch O.; Tarchitzky J.; Chen J. Soil Biology and Biochemistry 2005, 37, 2109-2116. 197
TR10 CARATTERIZZAZIONE CHIMICO-FISICA DEL CAR FLUFF AI FINI DELLA VOLORIZZAZIONE L. Morsellia, V. Baravellia, D. Fabbrib , A. Paludia, F. Passarinia, I. Vassuraa a: Facoltà di Chimica Industriale, Polo Scientifico Didattico di Rimini, Università di Bologna. b: Laboratori “R. Sartori”, Centro Interdipartimentale di Ricerca per le Scienze Ambientali (C.I.R.S.A), Università di Bologna. e-mail:
[email protected] Lo studio in questione si colloca nell’ottica dell’azione di prevenzione e di recupero di materia ed energia dai rifiuti, così come espresso dalla normativa comunitaria. Oggi si ricicla mediamente il 75% in peso dei veicoli a fine vita, i cosiddetti residui di rottamazione, mentre il 25%, consistente nel residuo da frantumazione non ferroso, è disposto in discarica con problemi di contaminazione di acqua e suolo. Tale residuo viene denominato car fluff, o ASR (Automobile Shredder Residue). Il problema correlato allo smaltimento del fluff deriva soprattutto dal fatto che, essendo costituito essenzialmente da materiali organici, potrebbe avere un PCI superiore a quello individuato dalla normativa vigente per lo smaltimento in discarica (13.000 kJ/kg secondo la Dir 1999/31 Ce). Lo scopo di questo lavoro è quello di caratterizzare il materiale attraverso un’analisi chimico-fisica e merceologica, al fine di individuare le potenzialità nella valorizzazione dell’ ASR o di alcune sue frazioni come plastiche o metalli. Il car fluff tipicamente ha una densità di 405 kg/m3 e contiene il 6% di umidità. Dalle analisi effettuate, suddividendo il residuo secondo la granulometria (D=0-20mm, D=2050mm,D=50-100mm, D>100mm), risulta che l’84% in peso del materiale ha dimensioni minori di 50mm e solo l’1,7% del residuo è costituito da materiale con dimensioni superiori a 100mm. In seguito all’analisi merceologica è stato possibile riscontrare che le componenti principali sono plastiche e tessuti, mentre i metalli pesanti, soprattutto piombo, manganese, nichel e cromo, rappresentano l’1,4% in peso sul totale e sono concentrati maggiormente nella frazione con granulometria compresa fra 50 e 100 mm. Al fine di approfondire la caratterizzazione e, soprattutto per individuare una possibile tecnica di valorizzazione per questo materiale di scarto, sono state fatte prove di pirolisi sia su scala analitica che attraverso un reattore da banco a letto fluido. La pirolisi è un trattamento termochimico ad alte temperature che avviene in atmosfera inerte e dal quale si ottengono un prodotto liquido (bio-olio), uno solido (char) e gas. Con la pirolisi analitica si sono integrate le informazioni ottenute dalla caratterizzazione merceologica riguardanti la composizione delle 4 frazioni, mentre, in seguito alla pirolisi del car fluff su reattore da banco a letto fluido è stato possibile quantificare il bio-olio e il char prodotti, corrispondenti, rispettivamente, all’8 % e al 66 %.
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TR11 INDAGINE SU FIBRE DI CARBONIO E INTERAZIONE CON L’ACQUA MEDIANTE RILASSOMETRIA NMR Antonella Maccottaa, Paola Fantazzinib, Giuseppe Alonzoc, Mirko Gombiab a
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche e dei Biosistemi, Università di Siena, Via A. Moro 2, 53100 Siena, Italy, e-mail:
[email protected] b Dipartimento di Fisica, Università di Bologna, Viale Berti Pichat 6/2, 40127 Bologna, Italy c Dipartimento di Ingegneria e Tecnologie Agro-Forestali, Viale delle Scienze, Edificio 4, 90128 Palermo, Italy
Le fibre di carbonio sono costituite da un sistema eterogeneo di piani di grafene che durante il processo di sintesi si piegano a formare dei vuoti. Sono caratterizzate da un’alta conducilibità elettrica e riscaldandosi, per effetto Joule, possono essere utilizzate per trattamenti termici ai terreni agricoli, in particolare possono essere utilizzate per la disinfezione e la disinfestazione del terreno dagli agenti patogeni come tecnica alternativa e più rispettosa dell’ambiente rispetto, ad esempio, ai mezzi chimici. Il diverso comportamento delle fibre dipende dalla struttura chimica: le fibre costituite da più cilindri stratificati, a differenza delle fibre a parete singola, possono presentare una elevata porosità e quindi una diversa interazione con l’acqua che può essere studiata mediante la Risonanza Magnetica Nucleare (NMR). Infatti tecniche che utilizzano l’NMR per i fluidi nei Materiali Porosi (tecniche MRPM), sono già ampiamente utilizzate per lo studio e la caratterizzazione di materiali porosi di diversa natura [1] fornendo informazioni sulla porosità e sull’assorbimento e la diffusione dell’acqua. In questo lavoro abbiamo studiato, mediante Rilassometria NMR, tre diverse fibre di carbonio che, pur avendo la stessa composizione chimica, hanno mostrato caratteristiche differenti e soprattutto comportamenti diversi nell’assorbimento di acqua. Bibliografia 6.
P. Fantazzini, J.Gore, Editors, PROCEEDINGS of the Eighth International Bologna Conference on Magnetic Resonance Applications to Porous Media, Bologna, 10-14 September 2006, Magn. Res. Imaging: 25 (4) (2007)
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TR12 CARATTERIZZAZIONE DELLE COMPONENTI BIOTICHE E ABIOTICHE DI UN SITO CONTAMINATO DA CENERI DI RIFIUTI SOLIDI URBANI Emanuele Argese a, Stefano Bedini b, Pierluigi Figliola a, Ulrike Gamper a, Giancarlo Rampazzo a, Chiarafrancesca Rigo a, Marta Simion a, Luca Zamengo a
Dipartimento di Scienze Ambientali, Università Ca’ Foscari - Venezia, Dorsoduro 2137, 30123 Venezia b Dipartimento di Biologia delle Piante Agrarie, Università di Pisa, Via del Borghetto 80, 56124 Pisa c Dipartimento di Chimica Fisica, Università Ca’ Foscari - Venezia, via Torino 155, 30172 Venezia e-mail:
[email protected]
L’isola di Sacca S. Biagio è situata nella laguna centrale di Venezia e si estende su una superficie di circa 45000 m2. Sull’isola sono state riversate le ceneri risultanti dall’attività di termodistruzione di un inceneritore per rifiuti solidi urbani attivo negli anni ’70. Tale area rientra nel sito di interesse nazionale di Venezia-Porto Marghera da bonificare e risulta contaminata principalmente da metalli pesanti. Scopo di questo lavoro è la caratterizzazione del substrato, in particolare la valutazione della frazione di metalli potenzialmente biodisponibili, e la ricerca di relazioni tra le concentrazioni di metalli pesanti nel substrato e quelle presenti nei tessuti vegetali di sette specie erbacee raccolte sull’isola scelte tra quelle più abbondanti nel sito. A tal fine è stata indagata la concentrazione di metalli nel substrato e nelle piante mediante analisi ICP-AES e ICP-MS ed è stata effettuata una caratterizzazione semi-quantitativa del substrato con SEM-EDS e XRD. Il sito risulta contaminato principalmente da rame, piombo e zinco e sono stati osservati particelle, composti ed aggregati contenenti metalli pesanti e minerali di neo-formazione derivanti da processi di weathering [Piantone et al., 2004]. La mobilità dei metalli e la loro potenziale biodisponibilità per la vegetazione è stata valutata mediante estrazioni con HCl 0.5 M ed acido citrico; i risultati indicano una bassa mobilità già ipotizzabile in base alla natura della matrice considerata [Meima et al., 1999]. Le radici e la porzione epigea delle piante sono state analizzate separatamente. Dai risultati è emersa una grande variabilità nella risposta biologica delle diverse specie, ma si possono comunque individuare delle tendenze generali: ad esempio Rumex crispus e Conyza canadensis sembrano traslocare facilmente molti dei metalli considerati verso la porzione aerea, mentre Cynodon dactylon mostra un comportamento opposto e potrebbe perciò essere considerata una specie escluditrice, nella quale i metalli rimangono concentrati nelle radici e la traslocazione verso le parti aeree è minima [Fitz and Wenzel, 2002]. Bibliografia: Fitz, W.J., Wenzel, W.W. Journal of Biotechnology 2002, 99, 259-278 Meina, J.A., Comans, R.N.J. Applied Geochemistry, 1999, 14, 159-171 Piantone, P., Bodénan, F., Chatelet-Snidaro, L. Applied Geochemistry, 2004, 19, 1891-1904
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TR13 BONIFICA DI SEDIMENTI INQUINATI DA METALLI PESANTI. PROVE PRELIMINARI N. Cardellicchioa, B.M. Petroniob, M. Pietrantoniob, M. Pietrolettib, R. Caracciolob, L. Grifab a
Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto dell’Ambiente Marino Costiero, Via Roma 3, 74100 Taranto. b Dipartimento di Chimica, Università “La Sapienza”, piazzale A. Moro 5, 00185 Roma
[email protected] I metalli pesanti presenti in forma disciolta e particellata nelle acque naturali provengono sia da fonti naturali che antropogeniche quali scarichi urbani e industriali, acque di dilavamento di aree agricole, fanghi di depurazione, ecc. Un’elevata quantità di metalli pesanti negli ambienti acquiferi può causare significative alterazioni ambientali ed ecologiche, legate alla loro persistenza e tossicità. Va sottolineato che i metalli pesanti presenti nelle acque possono essere trasferiti da queste ai sedimenti nei quali si accumulano in gran quantità. Da qui la necessità di decontaminare i sedimenti. In questo lavoro viene presa in esame la possibilità di asportare i metalli presenti nel sedimento utilizzando fanghi da cartiera che, attraverso meccanismi diversi quali precipitazione ed assorbimento, sono in grado di legare i metalli in forma stabile, come evidenziato da precedenti lavori relativi sia ad acque che a suoli (1,2). Sono stati utilizzati per la sperimentazione fanghi da cartiera provenienti da una cartiera del basso Lazio e sedimenti provenienti dal Mare Piccolo (Taranto). I fanghi da cartiera sono stati caratterizzati e per alcuni dei metalli considerati sono state costruite le isoterme di adsorbimento. Nel sedimento è stato determinato sia il contenuto totale di Cu, Zn, Pb, Ni, Fe, Mn, Hg sia la loro distribuzione in forme chimiche di interesse ambientale. Sono state eseguite due serie di prove tendenti a simulare trattamenti diversi: prove in cui il sedimento è stato messo a contatto con lastrine di vetro supportanti uno strato di fango (simulante un intervento extra-situ) e prove in cui una certa quantità di acqua di mare ricopre il sistema sedimento-fango (simulante prove in-situ). Dopo un mese sulle lastrine e sulle porzioni di sedimento comprese tra due lastrine sono state determinate le concentrazioni dei singoli metalli. I risultati ottenuti sono stati soddisfacenti in quanto si è riscontrato: ¾ un aumento delle concentrazioni di alcuni metalli sul fango; ¾ un accumulo di metalli nello strato di sedimento a stretto contatto con il fango. Tali risultati sottolineano una migrazione dei metalli dal sedimento verso il fango. Bibliografia N. Calace, E. Nardi, B.M. Petronio, M. Pietroletti, G. Tosti, Chemosphere 51 (2003) 797-803 N. Calace, T. Campisi, A. Iacondini, M. Leoni, B.M. Petronio, M. Pietroletti Environ. Pollut., 136 (2005) 485-492.
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TR14 EFFICACIA DI Phragmites Australis NELLA FITORIMEDIAZIONE DI TERRENI CONTAMINATI DA IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI (IPA): IL CASO DI CERANO (BR) Marta Nicolìa, Erbana Epifania, Giovanni Ingrossoa Luisella De Vitisb, Annamaria Maffeib, Vittorio Espositob a
Laboratorio di Chimica Organica, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali, Università del Salento. Lecce. Italy. b Consorzio INCA, Laboratorio Microinquinanti Organici di Lecce, c/o Dipartimento di Ingegneria dell'Innovazione, Università del Salento. Lecce. Italy L’abilità del suolo di sostenere la biocenosi naturale e l’agricoltura è negativamente influenzata dalla contaminazione degli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) che rappresentano un rischio tossicologico per le piante coltivate in un agrosistema. E’ dimostrato che uno dei principali meccanismi di fitorimediazione di terreni agricoli contaminati da IPA è rappresentato dalla capacità di alcune piante di promuovere la degradazione microbica degli inquinanti a livello di rizosfera1,2. Particolarmente attiva nella fitorimediazione di terreni contaminati da IPA è Phragmites Australis o reed2: reed rimedia con succeso il terreno degradando, a livello di rizosfera, sino al 70% degli IPA presenti in esso. Gli obiettivi di questo lavoro sono la valutazione dell’attività di fitorimediazione di Phragmites Australis attraverso monitoraggi della contaminazione da IPA in terreni con e senza questa pianta e la valutazione dell’andamento stagionale della suddetta attività. Il monitoraggio prevede un campionamento mensile per quindici mesi di terreni prelevati da tre siti differenti: 1) senza Phragmites Australis sottoposto ad inquinamento; 2) con Phragmites Australis sottoposto ad inquinamento; 3) lontano da qualsiasi fonte di inquinamento. Come sito inquinato è stato scelto Cerano (BR), presso la centrale termoelettrica a carbone ENEL. Le tecniche analitiche per IPA basate sulla gascromatografia ad alta risoluzione con determinazioni tramite spettrometria di massa si impongono per la precisione dei risultati richiesti, così come l'uso di standard marcati al deuterio per la quantificazione dei singoli analiti. Nei primi mesi di monitoraggio, la comparazione della degradazione di IPA nel terreno con e senza reed ha dimostrato che la concentrazione totale di IPA nel terreno con reed è inferiore del 20% rispetto a quella senza reed.
1. Kanaly, R. A.; Hayama, S. Journal of Bacteriology, 2000, 182(8), 2059-2067. 2. Muratova, A. Yu. O.; Turkovskaya, V.; Hubner, T. and Kuschk. P. Applied Biochemisty and Microbiology, 2003, 39 (6), 599-605.
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SESSIONE POSTER MI: METODI INNOVATIVI DI INDAGINE
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MI01 ANALISI DI FITOTOSSICI CON UN BIOSENSORE AD INIBIZIONE ENZIMATICA E STUDIO DI POSSIBILI INTERFERENTI, QUANDO SI OPERI IN SOLUZIONE ACQUOSA OD IN SOLVENTE ORGANICO Luigi Campanella, Dalina Lelo, Elisabetta Martini, Mauro Tomassetti Dipartimento di Chimica, Sapienza Università di Roma P.le A. Moro, 5 – 00185 Roma e-mail:
[email protected];
[email protected]. È superfluo ricordare la grande importanza che riveste l'analisi dei fitotossici, in particolare dei pesticidi, in molti campioni reali. Negli ultimi anni sono state condotte numerose ricerche sui biosensori ad inibizione per l'analisi di pesticidi (soprattutto della classe degli organofosforici o dei carbammati). In pratica tutti questi biosensori sono basati sulla misura del grado di inibizione dell'attività enzimatica. La principale difficoltà, che spesso insorge nell'applicazione di questi biosensori all'analisi di campioni reali è dovuta alla scarsa solubilità, in soluzione acquosa, sia di parecchi pesticidi, sia di molte delle matrici reali che li contengono. Il recente sviluppo degli (OPEEs organic phase enzyme electrodes) ha ovviato a questo inconveniente. Il nostro gruppo di ricerca ha progettato e realizzato a questo scopo diversi OPEE ad inibizione, basati, in un primo tempo, sull'inibizione dell'enzima butirrilcolinesterasi, più recentemente sull'inibizione dell'enzima tirosinasi: prima di tutto per l'analisi dei pesticidi triazinici, quindi anche per la determinazione dei carbammati e degli organofosfati, operando in cloroformio saturo d'acqua. È stato perciò possibile effettuare l'analisi del contenuto di questi pesticidi (correlato all’azione inibitrice rilevata) in diversi tipi di campioni vegetali, ma anche in acque naturali; effettuando direttamente la misura in questo solvente organico, dopo averlo utilizzato come estraente dei pesticidi stessi. Nella presente ricerca l'attenzione è stata focalizzata soprattutto su due punti di estremo interesse: innanzitutto sullo studio di altri potenziali inibitori dell'enzima tirosinasi, costituiti, soprattutto quando si operi in soluzione acquosa, da diversi ioni di metalli pesanti, o da acidi carbossilici, quale il cinnamico, il sorbico ed il benzoico, che possono interferire quindi nell'analisi ad inibizione dei fitotossici; in secondo luogo su un confronto approfondito per stabilire se la possibilità di effettuare l'analisi in solvente organico, anziché in soluzione acquosa, dopo estrazione con cloroformio, possa costituire, o no, un vantaggio, quando si effettui la determinazione dei fitotossici in presenza dei possibili interferenti sopra ricordati. Bibliografia [1] Campanella, L.; .Dragone, R.; Lelo, D.; Martini, E.; Tomassetti, M.; Anal. Bioanal.Chem 2006, 384, 915-921. [2] Campanella, L.; Lelo, D.; Martini, E.; Tomassetti, M.; Anal.Chim.Acta. 2007, 587, 22-32.
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MI02 SVILUPPO DI BIOSENSORI PER IL MONITORAGGIO DELLA CONTAMINAZIONE AMBIENTALE DA IDROCARBURI MEDIANTE BATTERI RICOMBINANTI Luigi Campanellaa, Nicodemo Bruzzesea, Manuela Aiossaa, Maddalena Papacchinib, Patrizia Di Gennaroc, Giuseppina Bestettic a
Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Roma "La Sapienza", Piazzale Aldo Moro 5, 00185 Roma; b ISPESL, Dipartimento di Insediamenti Produttivi ed Interazione con l'Ambiente, Monteporzio Catone, Roma; c Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università degli Studi di Milano Bicocca - Piazza della Scienza, 1 - 20126, Milano. e-mail:
[email protected] La protezione della salute pubblica e la salvaguardia dell’ambiente impongono di contenere quanto più possibile i livelli di pericolosi inquinanti come gli idrocarburi aromatici. Per questa classe di composti, infatti, i valori ammissibili sono stati recentemente dimezzati. Per monitorare tale basso grado di contaminazione e garantire sempre più la salute dei cittadini è quindi indispensabile sviluppare metodi analitici altamente sensibili e facili da applicare. Un biosensore per benzene, etilbenzene, toluene e xilene (BTEX) è stato realizzato adoperando Pseudomonas putida, che ha la capacità di utilizzare tali idrocarburi come fonte di carbonio, ma la sensibilità e la specificità di questo sistema non è più sufficiente. Le biotecnologie, scegliendo distinti elementi genici, consentono di preparare nuovi microrganismi che procurano vantaggi allo sviluppo di strumenti bioanalitici ultrasensibili e estremamente selettivi. Abbiamo ottenuto ceppi ricombinanti di Escherichia coli, che portano i geni codificanti la benzene diossigenasi e la cis-benzene diidrolo deidrogenasi, espressi in diversi sistemi. I ceppi ricombinanti sono capaci di convertire il benzene e i composti aromatici derivati accumulando i corrispondenti catecoli. Le cellule non necessitano di particolare preparazione e possono essere trasferite dalle colture, o da aliquote congelate, direttamente al dispositivo per la rilevazione degli idrocarburi. Stiamo attualmente esaminando le possibilità applicative dei ceppi ottenuti. L’uso di microrganismi in un biosensore richiede oltre alle cellule specificamente sensibili, un trasduttore del segnale e un dispositivo di misura che possano essere applicati a differenti matrici ambientali: acqua, aria, suolo. Nei ceppi costruiti, i catecoli accumulati possono essere finemente misurati in HPLC, rapidamente rilevati mediante un biosensore a tirosinasi, o determinati con metodo colorimetrico. L’analisi dei catecoli mediante cromatografia può essere estremamente sensibile e specifica per misurare ridotti livelli degli idrocarburi. Le cellule ricombinanti combinate al sensore enzimatico a tirosinasi, che utilizza un elettrodo amperometrico per l’ossigeno come trasduttore, possono portare allo sviluppo di uno biosensore in-linea di elevata sensibilità. L’analisi colorimetrica può indicare con rapidità le quote e la persistenza nel tempo dei contaminanti. Considerati tali presupposti il ceppo ricombinante di E. coli, che esposto a BTEX accumula catecoli, può risultare concretamente applicabile al controllo della contaminazione ambientale. [1] Campanella L.; Crescentini G.; D’Onorio M.G.; Favero G.; Tomassetti M. Ann. Chim. 1996, 86, 527-538. [2] Campanella L.; Bonanni A.; Martini E.; Todini N.; Tomassetti. Sensor & Actuators B 2005, 111-112,505-514 [3] Xu Z.; Mulchandani A.; and Chen W. Biotechnol. Prog. 2003, 19, 1812-1815.
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MI03 DETERMINAZIONE DI METILXANTINE MEDIANTE CROMATOGRAFIA LIQUIDA (LC). Luigi Lopez Carlo Zambonin, Francesco Latanza Dipartimento di Chimica Università di Bari, via Orabona 4, 70124 Bari e-mail:
[email protected] Nell’ambito di un più vasto progetto, che vede coinvolti l’Istituto CNR “IAMC” di Taranto e il Corso di Laurea in “Scienze Ambientali” del polo Universitario di Taranto, in questa comunicazione verranno discusse nuove ipotesi di bonifica dei siti marino costieri locali, privilegiando metodologie avanzate e nuove infrastrutture derivanti dalla conoscenza del territorio nei suoi molteplici aspetti. La necessità di conoscere il territorio verrà enfatizzato in uno studio preliminare sui livelli di concentrazione delle metilxantine, escrete con le urine, da cui estrapolare le quantità delle stesse presenti nelle acque reflue influenti in un impianto di depurazione, o direttamente sversate nei bacini idrografici di Taranto.
Bibliografia (a) Breton R., Boxall A. 2003, QSAR Comb. Sci. ,22, 399; (b) Daughton C.G. 2003. Environmental Health Perspectives, 111, 757; (c) Daughton C. G. 2003, Environmental Health Perspectives, 111, 775; (d) Daughton C.G., Ternes T.A. 1999, Environmental Health Perspectives, 107, 907 and refererences therein.; (e) Daughton. C:G. 2004, Environ. Impact Asses. Review, 24, 711; (8f) Voulvoulis N. 2004 Organohalogen Compounds, 66, 3481 and references therein
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MI04 ANALISI DI SCREENING DEI VOC NELLE MATRICI SOLIDE E APPLICAZIONE AL CONTROLLO DEI FANGHI DI DEPURAZIONE Giuseppe Anzilottaa, Teresa Trabacea, Achille Palmaa a
Metapontum Agrobios s.r.l. S.S. Ionica km 448.2 Metaponto (MT) e-mail:
[email protected]
Le metodiche di analisi dei composti organici volatili applicate alle matrici solide (terreni, fanghi e sedimenti) indicate dall’EPA1 prevedono l’impiego di due tecniche di estrazione: il campionamento dello spazio di testa statico (HS) e dello spazio di testa dinamico (Purge & Trap) precedute dall’estrazione con metanolo e diluizione acquosa nel caso di campioni a concentrazioni maggiori di 0.2 µg/g1 . Come si è potuto verificare l’estrazione metanolica, in questo caso, è necessaria anche ad evitare effetti di contaminazione incrociata tra il campione contaminato e il successivo. Rispetto a quanto suggerito dall’EPA è stata testata e validata una metodologia che prevede direttamente un’analisi di screening dei campioni sull’estratto metanolico diluito di un fattore cento seguita nel caso di campioni contaminati da un’analisi sull’estratto diluito maggiormente. Le motivazioni a favore di questa scelta sono: • un rischio minore di contaminazione del sistema; • risultati sicuramente più accurati, ripetibili e indipendenti dalla tipologia di matrice solida indagata e un rischio minore di falsi negativi; • l’impossibilità nel caso di analisi sul campione tal quale di dosare una concentrazione che non rientra nel range lineare in funzione di poter decidere la diluizione da fare così come previsto nel metodo EPA 5030. La metodica è stata validata su due matrici certificate di terreno denominate CRM-624 e CRM-625 rispettivamente a un livello di contaminazione “basso” e “alto” e i risultati confrontati con quelli prodotti e sia dall’HS che dal P&T sul campione tal quale, dimostrando in ogni caso di essere da preferire. Il metodo è stato quindi usato e confrontato con l’analisi dello spazio di testa statico per analizzare campioni di fanghi di depurazione perlopiù di reflui urbani. Questi hanno presentato valori compresi in un intervallo 0.5-3600 ppm, quindi superiore a quanto riportato da studi effettuati in precedenza con un decremento della concentrazione in dipendenza dal tempo di essiccamento. La presenza dei composti organici volatili nei fanghi dimostra quanto sia più che mai opportuno inserire il controllo dei VOC tra i controlli obbligatori da effettuare sui fanghi soprattutto in vista di un loro possibile reimpiego in agricoltura. Un ultimo aspetto che è stato valutato è l’importanza dell’analisi del bianco, che in questo caso è costituito dal metanolo stesso usato per l’estrazione e trattato come un campione. La presenza di impurezze volatili a vari livelli riscontrata nei solventi venduti in commercio per questo tipo di applicazione va tenuta ben presente al momento dell’acquisto e bisogna valutare caso per caso l’opportunità di esprimere i risultati analitici dopo sottrazione del bianco. 1
EPA Method 5035A Crathorne B.; Donaldson K.; James H. A.; Rogers H. R.; Organic contaminants in wastewater, sludge and sediment. The determination of organic contaminants in UK sewage sludges. Elsevier Applied Science. 1989
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MI05 DETERMINATION OF TRACE LEVEL PERCHLORATE IN DRINKING WATER Patrizia Iannecea, Domenico Acanforaa, Oriana Mottab and Antonio Protoa a
Dipartimento di Chimica, bDipartimento di Scienze dell’ Educazione Università degli Studi di Salerno, 84084 Fisciano (SA), Italy e-mail:
[email protected]
Perchlorate (ClO4-) is an emerging pollutant that has been detected in soil, ground and drinking waters, vegetables, milk, and, most recently, in wine and beer [1-3]. High local concentrations of perchlorate have been associated with the manufacture or use of ammonium perchlorate as an oxidant in rocket fuel, munitions, or blasting materials. It is also used in air bag inflators, pyrotechnics, tanning and finishing leather, batteries and lubricating oil additives [4]. Perchlorate ingestion has potential health effects related to its ability to interfere with the normal thyroid function. This can lead to metabolic problems in adults ad anomalous development during gestation and infancy [5]. In 2005, the United States Environmental Protection Agency (EPA) estabilished a drinking-water equivalent level of 24.5 μg/L of perchlorate in water [6]. Several methods have been published for the analysis of perchlorate; however, ion chomatography (IC) is, presently, the most common system for its determination in water samples. Typical IC reporting limits are 2.5-4 μg/L [7-9]. In this work we describe a simple, less expensive, and less-time consuming method for the determination of perchlorate in drinking water using IC. The procedure based on the IonPac AS20 column with a 100mM NaOH eluent, a large loop injection (1000μL), and suppressed conductivity detection permits to quantify 1 μg/L of ClO4- in drinking water. By cool evaporation of water under nitrogen flux it is also possible to detect 0.1 μg/L of ClO4-.The method is free of interference from common inorganic anions, linear over the range of 0.1100μg/L and quantitative recovery are obtained.
[1] Kirt, A.B.; Martinelango, P.K.; Tian, K.; Dutta A.; Smith, E.E; Dasgupta, P K. Environ. Sci. Technol. 2005, 39, 2011-2017. [2] Aribi, H.; Le Blanc, Y.J.C.; Antonsen, S.; Sakuma, T. Anal. Chim. Acta 2006, 567, 39-47. [3] Krynitsky, A.J.; Niemann R.A.; Williams A.D.; Hopper M.L. Anal. Chim. Acta 2006, 9499. [4] Motzer W.E. Environ. Forensics 2001, 2, 301. [5] B.C. Blount,; J.L. Pirkle; J.D. Osterloh; L.V. Blasini; K.L. Caldwell Environ. Health Perspect. 2006, 114, 1865-1871. [6] National Academy of Sciences 2005, 102, 16152. [7] Koester C.J.; H.R. Beller; Halden R.U. Environ. Sci. Technol. 2000, 34, 1862-1864. [8] Jackson P.E.; Gokhale S.; Streib T.; Rohrer J.S.; Pohl C.A. J. Chromatogra. 2000, 888, 151- 158. [9] Snyder S.A.; Vanderford B.J.; Rexing D.J. Environ. Sci. Technol. 2005, 39, 4586-4593.
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MI06 STIMA DEI TASSI DI PRODUZIONE E RESPIRAZIONE IN LAGUNA DI VENEZIA ATTRAVERSO L’ANALISI DI DATI IN CONTINUO DI QUALITA’ DELL’ACQUA Stefano Ciavattaa, Christian Badettib, Giorgio Ferrarib, Roberto Pastresc a
Consorzio Venezia Ricerche, Via della Libertà, 12 - 30175 Venezia e-mail:
[email protected] c Magistrato alle Acque di Venezia, 19 San Polo-Rialto, 30125 Venezia, Italy d Dipartimento di Chimica Fisica, Università di Venezia, Dorsoduro 2137, 30123 Venezia; Nell'ambito dei monitoraggi della qualità dell'acqua, sono utilizzati sempre più diffusamente strumenti di rilevazione automatica ed in continuo dei dati, anche in ottemperanza delle recenti disposizioni normative in tema di tutela dei corpi idrici: il D. Lgs 152/06 e la Direttiva Comunitaria 2000/60/CE. Tali strumenti consentono infatti di rilevare in continuo serie storiche di osservazioni di variabili chimico-fisiche dell'acqua, permettendo di sorvegliare in tempo reale lo stato di salute dell'ecosistema. Inoltre, i sistemi di monitoraggio in continuo possono rappresentare un vantaggiosa alternativa, in termini di costi e continuità temporale, rispetto alle metodologie sperimentali comunemente utilizzate per indagare complesse dinamiche ambientali, se i dati raccolti vengono elaborati mediante opportuni strumenti statistici e modellistici (Beck e Lin, 2003). In questo lavoro, dati di ossigeno disciolto (OD), temperatura dell’acqua e salinità, rilevati con la frequenza di 30 minuti nella Laguna di Venezia dal sistema di monitoraggio SAMANET del Magistrato alle acque di Venezia (Ferrari et al., 2004), sono utilizzati per la stima giornaliera dei tassi di produzione primaria (P), di consumo (R) e di scambio con l’atmosfera (k) dell’OD. I tassi di respirazione e riareazione sono stimati attraverso l’interpolazione di un modello del bilancio dell’OD rispetto ai dati rilevati nelle ore notturne. Le stime ottenute sono successivamente utilizzate nel modello per stimare il tasso di produzione planctonica di OD attraverso l’elaborazione dei dati raccolti in automatico durante le ore diurne. Testi statistici sono applicati per eliminare i valori ottenuti per i tre parametri nei casi in cui essi non risultino significativi. Tale procedura di stima è stata applicata all’elaborazione delle serie storiche rilevate in un sito lagunare nel corso degli anni 2002-2004, consentendo di investigare l’evoluzione stagionale di P, R e k. I valori mediani mensili mostrano che la produzione ed il consumo di ossigeno risultano confrontabili nei mesi invernali, mentre la respirazione del sistema risulta maggiore della produzione da aprile a dicembre. I risultati ottenuti hanno inoltre consentito la stima della produzione netta annuale del sistema (NEP), che è risultata negativa, indicando che le aree lagunari in cui la produzione planctonica risulta dominante rispetto a quella di fanerogame e macroalghe, possono risultare, su base annuale, rilevanti fonti di carbonio per l’atmosfera. Bibliografia Beck, M. B.; Lin, Z. Wat. Sci. Tech. 2003, 47, 43-51. Ferrari, G.; Badetti, C.; Ciavatta, S. Sea Technology 2004, 45, 22-26.
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MI07 DETERMINAZIONE DI METALLI ALCALINI, ALCALINO-TERROSI E DI AMMONIO MEDIANTE CROMATOGRAFIA IONICA IN ACQUE DESTINATE A CONSUMO UMANO Maria Concetta Bruzzonitia, Rosa Maria De Carloa, Martino Fungib, Corrado Sarzaninia a
Dipartimento di Chimica Analitica, Università di Torino, Via P. Giuria 5, 10125 Torino e-mail:
[email protected] b Società Metropolitana Acque di Torino SpA, C.so XI febbraio 14, 10152 Torino
La cromatografia ionica è ampiamente utilizzata per la determinazione di metalli alcalini, alcalino-terrosi e dello ione ammonio nelle acque destinate ad uso umano. Tuttavia, qualora questi analiti siano contenuti in rapporti di concentrazione molto diversi, la loro separazione e quantificazione è difficoltosa soprattutto se tali analiti eluiscono l’uno in prossimità dell’altro. Un caso tipico è rappresentato dalle concentrazioni molto basse di ione ammonio e dagli elevati livelli di ione sodio che possono essere presenti nelle acque. Poiché gli scambiatori cationici classici mostrano una selettività simile per queste due specie, non è possibile ottenere una risoluzione dei due picchi se le concentrazioni di tali ioni differiscono di qualche ordine di grandezza. Un’altra problematica è rappresentata dalla determinazione di Ba2+ e Sr2+ nelle acque. Poiché l’affinità di Ba2+ e Sr2+ per gli scambiatori cationici convenzionali è molto elevata, la loro eluizione cromatografica comporta tempi di analisi piuttosto lunghi e l’utilizzo di eluenti acidi concentrati. Per questo motivo, la loro determinazione è solitamente effettuata mediante spettroscopia di emissione atomica. In questo lavoro è presentato lo studio di ottimizzazione per la separazione cromatografica di Li+, Na+, K+, Ca2+, Mg2+, NH4+ in presenza di Ba2+ e Sr2+. Lo studio si è sviluppato attraverso l’utilizzo di due colonne a scambio cationico IonPac CS12A a diverse dimensioni (250 mm x 4 mm e 150 mm x 3 mm) e di eluenti a diversa composizione contenenti acido metansolfonico, acetonitrile e etere 18-corona-6. I risultati ottenuti evidenziano il ruolo determinante dell’etere 18-corona-6 nel variare la selettività della colonna e risolvere eventuali parziali sovrapposizioni dei picchi di Na+ e NH4+ a diversi rapporti di concentrazione.
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MI08 SEPARAZIONE DI IONI METALLICI IN SCAMBIO CATIONICO MEDIANTE SUBSTRATI SILICEI MESOPOROSI FUNZIONALIZZATI Maria Concetta Bruzzonitia, Rosa Maria De Carloa, Sonia Fiorillib, Edoardo Garroneb, Barbara Onidab, Ambra Prellea, Corrado Sarzaninia, Flaviano Testac a
Dipartimento di Chimica Analitica, Università di Torino, Via P. Giuria 5, 10125 Torino e-mail:
[email protected] b Dipartimento di Scienza dei Materiali e Ingegneria Chimica, Politecnico di Torino, Corso Duca degli Abruzzi, 24 – 10125 Torino c Dipartimento di Ingegneria Chimica e dei Materiali, Università della Calabria, Via Pietro Bucci-Cubo 44A, 87030 Rende (CS)
Nell’ultimo decennio, i materiali mesoporosi a base silicea hanno trovato applicazione come fasi stazionarie per la separazione cromatografica di composti organici. Se opportunamente funzionalizzati, i materiali mesoporosi mostrano un’affinità anche per gli ioni metallici e risultano pertanto utilizzabili nel recupero/rimozione di tali specie. Attualmente, l’affinità verso gli ioni metallici è esaltata attraverso l’introduzione di gruppi funzionali quali mercapto-, amminopropilici, etc. In questo lavoro si sono valutate le prestazioni di un materiale mesoporoso siliceo (SBA-15) funzionalizzato con trietossisililbutirronitrile, precursore di gruppi –(CH2)3COOH, quale fase stazionaria per l’eluizione di ioni di metalli pesanti (Cd2+, Co2+, Cu2+, Fe3+, Ni2+, Pb2+, Zn2+) in cromatografia di scambio cationico. Dopo la sintesi, il materiale (SBA15-COOH) è stato caratterizzato mediante tecniche di diffrazione di raggi X, FTIR e mediante misure di adsorbimento-desorbimento di N2. Attraverso una titolazione potenziometrica sono state inoltre valutate capacità acida e pKa dei gruppi –(CH2)3COOH. Il comportamento cromatografico dei metalli sulla fase stazionaria SBA15-COOH è stato studiato con diverse tipologie di eluente (acidi metansolfonico, piridin-2,6-dicarbossilico e ossalico), variandone le condizioni di concentrazione, pH e forza ionica. Attraverso i risultati ottenuti si sono discriminate le proprietà di coordinazione e di scambio cationico del materiale verso i metalli e si è ottimizzata un’eluizione a gradiente per la separazione di cinque fra gli ioni metallici considerati.
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MI09 SEPARAZIONE E ARRICCHIMENTO DI TENSIOATTIVI ANIONICI IN MATRICI ACQUOSE MEDIANTE CROMATOGRAFIA IONICA Maria Concetta Bruzzoniti, Rosa Maria De Carlo, Corrado Sarzanini Dipartimento di Chimica Analitica, Università di Torino, Via P. Giuria 5, 10125 Torino e-mail:
[email protected]
L’utilizzo di tensioattivi è ampiamente diffuso e correlato a diverse attività antropiche. A seconda delle loro caratteristiche chimiche i tensioattivi possono essere classificati in anionici, cationici, non-ionici e anfoteri. Per quanto riguarda i tensioattivi anionici, i composti appartenenti alle famiglie degli alcansolfonati, alchilsolfati e alchilbenzensolfonati sono impiegati soprattutto nella produzione di detergenti e il loro uso estensivo comporta il loro inevitabile rilascio nell’ambiente, con particolare riferimento al comparto acquoso. La metodica ufficiale per la determinazione dei tensioattivi anionici nelle acque (espressi come tensioattivi totali) è basata sulla determinazione colorimetrica dopo reazione con blu di metilene. In questo lavoro si è sviluppato un metodo per la determinazione degli acidi metan-, etan-, propan-, butan-, pentan-, esan-, eptan-, ottan-, nonan-, decan-, dodecan-, benzen-, p-toluensolfonico, ottil- e dodecil- solfato di sodio mediante cromatografia di scambio anionico e rivelazione conduttimetrica con soppressione. La fase stazionaria è uno scambiatore anionico IonPac AS11 (Dionex) idrossido- selettivo. Visto l’elevato numero di analiti considerati e la loro eterogeneità, l’ottimizzazione della separazione è avvenuta attraverso uno studio dettagliato della variazione dei fattori di capacità al variare della composizione dell’eluente. In particolare, si è studiato l’effetto della concentrazione di NaOH e della presenza di modificanti organici (CH3OH e CH3CN) sulla separazione. I risultati ottenuti hanno dimostrato la necessità di operare mediante un’eluizione a gradiente la cui composizione finale, dopo ottimizzazione, ha portato alla separazione di tutti gli analiti considerati. Successivamente, si sono valutate eventuali interferenze dovute ad anioni tipicamente presenti nelle acque (Cl-, NO3-, SO42-) e si è sviluppata una procedura di arricchimento fuori-linea dei tensioattivi mediante estrazione in fase solida con cartucce a riempimento polimerico (SDB-1, Baker). Le rese di recupero sono particolarmente elevate per gli alchilsolfati, gli alchilbenzensolfonati e per gli alcansolfonati a catena medio-lunga. Il metodo sviluppato è stato applicato alla preconcentrazione e determinazione dei tensioattivi in un campione di acqua di mare.
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MI10 BIOMARKERS NEL LOMBRICO Lumbricus terrestris Antonio Calisi, Maria Giulia Lionetto, Maria Elena Giordano, Trifone Schettino Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche Ambientali- Università del Salento, Via Provinciale Lecce- Monteroni 73100 Lecce e-mail:
[email protected],
[email protected],
[email protected] I lombrichi sono organismi molto importanti per la funzionalità del sistema suolo in quanto intervengono nel riciclo dei materiali organici e nella loro trasformazione in humus e svolgono un’importantissima azione di rimescolamento del terreno con conseguente aumento dell’aerazione e della capacità di drenaggio del suolo. Per tali motivi i lombrichi sono largamente utilizzati come bioindicatori della qualità del suolo (Lanno et al., 2004). Obiettivo del presente lavoro è lo studio di una batteria di biomarkers molecolari e cellulari in Lumbricus terrestris, una delle più comuni specie di lombrico, al fine di un suo potenziale utilizzo nella valutazione del rischio chimico ambientale del suolo. Esemplari di Lumbricus terrestris sono stati esposti in laboratorio ad alcuni dei più comuni pesticidi utilizzati in agricoltura quali il solfato di rame e il metiocarb. Su tali esemplari è stato studiato un nuovo biomarkers, rappresentato dalla misura di alterazioni morfometriche dei celomociti, insieme a biomarkers già standardizzati, quali livelli tissutali di metallotioneine, attività di acetilcolinesterasi e stabilità della membrana lisosomiale. I biomarkers molecolari e cellulari sono stati confrontati con la misura di endpoints ecologici quali la misura della biomassa e della mortalità. I risultati ottenuti hanno mostrato un significativo (P