Lord of the Flies di William Golding - Our Unconquered Kingdom

35 downloads 418 Views 162KB Size Report
William Golding scrisse Lord of the Flies nel 1952, ma riuscì a pubblicarlo solo ..... Signore delle mosche, ossia la testa di una scrofa coperta dalle mosche, ...
LORD OF THE FLIES DI WILLIAM GOLDING: RITORNO ALLO STATO DI NATURA

Mi propongo in questo intervento di analizzare il romanzo Lord of the Flies di William Golding, per rintracciarne e metterne in luce gli aspetti distopici. William Golding scrisse Lord of the Flies nel 1952, ma riuscì a pubblicarlo solo nel 1954, dopo numerosi rifiuti da parte di diverse case editrici. Il romanzo ebbe poi uno straordinario successo, soprattutto dopo la diffusione negli Stati Uniti nel 1959. L’idea alla base del romanzo venne a Golding non solo dalla sua frequentazione quotidiana con bambini e adolescenti, essendo egli professore di inglese nelle scuole elementari, ma anche dalla lettura del romanzo The Coral Island: a Tale of the Pacific Ocean, di Robert Michael Ballantyne, più volte infatti esplicitamente citato in Lord of the Flies. In questo romanzo d’avventura indirizzato a un pubblico giovanile e pubblicato nel 1858, Ballantyne narra le vicende di tre ragazzi inglesi, Ralph, Jack e Peterkin, naufragati su un’isola deserta nel mezzo dell’Oceano Pacifico. I tre protagonisti si trovano quindi a dover organizzare la loro vita sull’isola e ad affrontare una serie di avventure, tra cui uno scontro con dei selvaggi. Grazie all’amicizia che li lega, al loro coraggio e alle loro capacità di organizzazione riescono a sopravvivere e infine a tornare in patria. Il romanzo, di epoca vittoriana, esalta lo spirito d’iniziativa, le qualità morali e il senso civile dei giovani inglesi, in aperto contrasto con la violenza brutale e l’inciviltà dei selvaggi. Golding, oltre al nome di due protagonisti, Ralph e Jack, recuperò la trama essenziale del romanzo, l’idea cioè di ragazzi soli su un’isola deserta, ma ne fece qualcosa di completamente diverso. Lord of the Flies racconta la vicenda di un gruppo costituito da bambini inglesi tra i sei e i dodici anni finito su di un’isola in seguito all’attacco dell’aereo su cui viaggiava. Le coordinate spazio-temporali non sono specificate, ma è possibile intuire dalle allusioni di alcuni dei ragazzi che il loro aereo è stato colpito nel contesto di un guerra atomica. Il gruppo deve cercare di organizzare la propria vita sull’isola e di sopravvivere senza adulti. Inizialmente i ragazzi danno vita ad una piccola società democratica: formano un’assemblea nella quale ognuno, a turno, ha diritto di parola, si danno delle regole ed eleggono un capo, Ralph, con una votazione. Questi, con l’aiuto e i consigli di Piggy, il più intelligente e razionale tra i

1

ragazzi, si rivela un capo responsabile e interessato al bene comune. Si applica infatti affinché il lavoro sia equamente diviso tra tutti, affinché le regole siano rispettate e si preoccupa che tutti si concentrino sulle cose più importanti della vita sull’isola: il cibo, l’acqua, le capanne e il fuoco che dovrebbe permettere ai bambini di essere avvistati da navi e aerei. Questa parvenza di vita democratica ha tuttavia breve durata. Tre fattori concorrono infatti ad incrinare l’organizzazione della piccola società dei ragazzi. Il primo di questi è il graduale ma inesorabile regresso alla vita selvaggia che pian piano coinvolge tutti. I ragazzi infatti trascurano i loro compiti, non si occupano dei bambini più piccoli, lasciati a loro stessi, non si interessano più di nulla se non a divertirsi, vivere nella natura e ad andare a caccia, attività che diventa centrale nella vita sull’isola, anche oltre la sua effettiva necessità. La caccia risveglia istinti primitivi e selvaggi nella maggior parte dei ragazzi, che iniziano a pitturarsi i volti con il sangue degli animali uccisi e a dedicarsi a danze tribali e rituali che evocano violenza. Il secondo di questi motivi è una sorta di lotta per il potere che si scatena tra Ralph e Jack. Quest’ultimo è il capo dei cacciatori, il più forte e autoritario nel gruppo, mal sopporta le regole, le costrizioni e i rimproveri che gli vengono rivolti da Ralph, e pretende per sé il ruolo di capo. La tensione tra i due e la tendenza di Jack a gratificarsi esercitando una supremazia sugli altri sfocia in un conflitto verbale e nella creazione di un gruppo alternativo a quello di Ralph, in cui coinvolge gli altri ragazzi con la promessa di una vita dedita solo al divertimento e alla caccia. Ralph rimane solo con Piggy, Simon, personaggio di cui si parlerà più avanti, e i bambini più piccoli. La vita nella tribù di Jack si rivelerà tuttavia sempre più verticistica e violenta, con un capo venerato quasi come un idolo o un feticcio che pretende totale obbedienza e punizioni corporali distribuite arbitrariamente da Jack e soprattutto da Roger, braccio destro del capo e aguzzino, il più istintivamente violento tra tutti i ragazzi. Il terzo fattore è una paura irrazionale e strisciante che si impossessa lentamente di tutti i bambini: la paura che sull’isola ci sia una Bestia. Questo timore angoscioso contribuisce ad aumentare la tensione tra i ragazzi, e a renderli sempre più irrazionali e istintivi, fino ad arrivare all’uccisione di Simon, scambiato appunto per la Bestia nel buio della notte, da parte del gruppo di Jack, durante la danza rituale che i ragazzi compiono dopo aver mangiato per ricordare la caccia e l’uccisione dell’animale. La situazione dunque precipita nella violenza e porta ad un’altra morte, quella di Piggy, e ad una vera e propria caccia all’uomo nei confronti di Ralph, inseguito e snidato con il 2

fuoco dagli altri ragazzi, e salvato all’ultimo momento dall’incontro sulla spiaggia con dei militari inglesi attirati dal fumo e sbarcati sull’isola. Nel romanzo si verifica dunque il precipitare di una situazione che inizialmente sembrava avere tutte le caratteristiche per portare alla creazione di una piccola società utopica. Prima di queste caratteristiche è l’isola, ambientazione tipica delle narrazioni utopiche, che al principio del libro è descritta come un luogo meraviglioso, paradisiaco, che i ragazzi immaginano teatro di entusiasmanti avventure e che, soprattutto, da subito considerano e sentono come qualcosa che gli appartiene, come la “loro” isola:

Eyes shining, mouths open, triumphant, they savored the right of domination. They were lifted up: were friends. “There’s no village smoke, and no boats,” said Ralph wisely. “We’ll make sure later; but I think it’s uninhabited.” “We’ll get food, “ cried Jack. “Hunt. Catch things…until they fetch us.” Simon looked at them both, saying nothing but nodding till his black hair flopped backwards and forwards: his face was glowing. […] Ralph spread his arms. “All ours.” 1

L’isola diventa specchio e riflesso delle emozioni e della condizione dei bambini: luogo idilliaco

all’inizio,

diviene

gradualmente

sempre

più

cupa

e

angosciante,

contestualmente allo spostamento dell’azione dalle spiagge bianche della prima parte del romanzo all’interno della foresta. È qui infatti che gli istinti primordiali dei ragazzi si manifestano con più forza, qui si svolge la caccia prima agli animali e poi a Ralph. L’isola sembra diventare sempre più stretta, opprimente e inquietante, fino alla definitiva trasformazione da paradiso tropicale a inferno di fuoco nell’incendio finale appiccato dal gruppo dei cacciatori. Un altro elemento che avrebbe potuto far pensare a uno svolgimento positivo della vicenda del romanzo è l’età dei protagonisti, tutti bambini. In tanta letteratura e in tanta parte della cultura occidentale i bambini sono stati spesso considerati i buoni e gli innocenti per eccellenza, eventualmente traviati poi dalla società. L’idea che l’uomo nasca naturalmente buono e che sia poi la convivenza con gli altri uomini nella società civile a farlo degenerare ha la sua massima espressione nell’incipit dell’Emilio di Rousseau: «Tutto è bene quando esce dalle mani dell’Autore delle cose, tutto degenera fra le mani dell’uomo2». In Lord of the Flies, non essendoci adulti ed essendo tutto nelle mani di bambini, potrebbero esserci le condizioni per la creazioni di una società di “buoni”. Golding però rovescia questa prospettiva, e descrive la degenerazione proprio dei bambini fino ad arrivare all’assassinio, elemento che rende particolarmente duro il 1 2

W. Golding, Lord of the Flies, Edizioni Scolastiche Mondadori, Vicenza, 1982, p. 67-68 J. Rousseau, Emilio, Laterza, Roma-Bari, 1953, pag. 51 3

romanzo e che rende più flebile la contrapposizione tra l’innocenza dell’infanzia e la corruzione dell’età adulta. Non solamente i bambini: anche il mito del buon selvaggio viene sfatato da Golding. La vita nella stato di natura era stata in precedenza vista da alcuni autori come uno stato dell’uomo di maggior innocenza, spontaneità e bontà, e il personaggio del “buon selvaggio” come un uomo non ancora corrotto dalle brutture della società civile e dotato di una saggezza “naturale”. Ancora Rousseau: Per il selvaggio è un’altra cosa: non essendo attaccato a nessun luogo, non avendo compiti prescritti, non obbedendo a nessuno, senz’altra legge che la sua volontà, è costretto a ragionare ad ogni azione della sua vita; non fa un movimento, non fa un passo senza averne in anticipo considerate le conseguenze. Così, più il suo corpo si esercita, più il suo spirito si rischiara; la sua forza e la sua ragione progrediscono di conserva e si estendono l’una con l’aiuto dell’altra. 3

Nel romanzo di Golding la vita selvaggia dei ragazzi non coincide con una maggiore innocenza o rapporto idilliaco con la natura; coincide invece con l’emergere di istinti violenti e primitivi. Tuttavia non troviamo in Lord of the Flies neppure la concezione contraria, fatta propria da tanti autori, in particolare inglesi, nel corso dell’Ottocento nel contesto della politica imperialista: l’opposizione cioè tra il selvaggio visto come violento e brutale e l’occidentale portatore della luce della civiltà. Era questa l’idea portante proprio di The Coral Island, in cui questa opposizione era netta e proclamata, con i giovani inglesi cristiani nella parte dei protagonisti e i nativi dell’isola in quella degli antagonisti. In Lord of the Flies non c’è opposizione con un “nemico” esterno, sono gli stessi giovani inglesi civilizzati che nel romanzo di Ballantyne rappresentavano la parte positiva dell’essere umano a regredire ad uno stato primitivo e cruento. È infatti proprio Jack all’inizio del romanzo a dire: «We’ve got to have rules and obey them. After all, we’re not savages. We’re English, and the English are best at everything. So we’ve got to do the right things»4. Della vita dei bambini precedente all’arrivo sull’isola vengono dette poche cose; è possibile però intuire che essi frequentano una scuola importante e sono ragazzi di buona famiglia, appartenenti cioè all’alta borghesia inglese. Essi dovrebbero quindi essere i migliori rappresentanti della società civile, destinati plausibilmente in futuro a comporre la classe dirigente inglese. Eppure l’occhio fortemente critico di Golding li fa precipitare in uno stato di profonda degradazione, a dispetto della loro cultura ed educazione. Nelle ultime righe del romanzo infatti

3 4

J. Rousseau, Emilio, Laterza, Roma-Bari, 1953, pag. 125 W. Golding, Lord of the Flies, Edizioni Scolastiche Mondadori, Vicenza, 1982, p. 82 4

l’ufficiale della marina che trova i ragazzi impegnati nella sanguinosa caccia a Ralph dirà loro:

«I should have thought,» said the officer as he visualized the search before him, «I should have thought that a pack of British boys… you’re all British, aren’t you?... would have been able to put up a better show than that… I mean…». «It was like that at first,» said Ralph, «before things…». He stopped. «We were together then…». The officer nodded helpfully. «I know. Jolly good show. Like the Coral Island»5

Se da una parte dunque Golding rifiuta la possibilità di abbandonarsi ad una vita istintiva e agli impulsi più profondi e primitivi dell’uomo, dall’altra appare anche molto scettico sulla possibilità che l’educazione, le regole del vivere civile e la società possano realmente funzionare ed essere efficaci nel limitare il degrado dell’uomo, per lo meno per come sono state pensate e attuate fino a quel momento. In effetti la visione di Golding sembra essere negativa e pessimista sulla natura stessa dell’uomo, più che sulle sue condizioni di vita e di organizzazione collettiva. Mi sembra che una serie di elementi evidenziati fin qui vadano in questa direzione: la scelta dei bambini, coloro che dovrebbero essere più innocenti, come protagonisti della storia; l’aver ambientato la vicenda su di un’isola senza altre indicazioni spazio-temporali che aiutino ad inquadrare storicamente l’episodio, rendendolo così simbolico e assoluto; i pochissimi dettagli forniti sulle vite dei ragazzi prima di giungere sull’isola, strategia questa che permette a Golding di non fornire spiegazioni e motivazioni rassicuranti sul perché del comportamento dei bambini. È la natura dell’uomo che Golding mette in rilievo, ed è una natura che tende irrimediabilmente al male se lasciata senza freni. Il male è interno all’essere umano, fa parte di ciascuno, naturalmente. È di fondamentale importanza per comprendere questo punto un dialogo che avviene nel romanzo ed ha come protagonista Simon. Questi è un bambino particolarmente sensibile, solitario, in sintonia con la natura circostante, e soffre di crisi di epilessia, malattia che sembra dargli per qualche strano motivo una qualche capacità di preveggenza. È solito ritirarsi da solo e nascondersi nel folto della foresta, ed è così che si trova una sera di fronte al Signore delle mosche, ossia la testa di una scrofa coperta dalle mosche, infilzata sulla cima di una picca conficcata a terra, lasciata da Jack e il suo gruppo in mezzo ad una radura come offerta per la Bestia. Poco prima di essere preda di uno dei suoi attacchi epilettici, Simon ha un dialogo premonitorio di ciò che succederà con il Signore delle mosche: 5

W. Golding, Lord of the Flies, Edizioni Scolastiche Mondadori, Vicenza, 1982, p. 254 5

Simon’s head was tilted slightly up. His eyes could not break away and the Lord of the Flies hung in space before him. «What are you doing out there all alone? Aren’t you afraid of me?» Simon shook. «There isn’t anyone to help you. Only me. And I’m the Beast.» Simon’s mouth labored, brought forth audible words. «Pig’s head on a stick.» «Fancy thinking the Beast was something you could hunt and kill!» said the head. For a moment or two the forest and all the other dimly appreciated places echoed with the parody of laughter. «You knew, didn’t you? I’m part of you? Close, close, close! I’m the reason why it’s no go? Why thing are what they are?» (…) «I’m warning you. I’m going to get waxy. D’you see? You’re not wanted. Understand? We are going to have fun on this island. Understand? We are going to have fun on this island! So don’t try it on, my poor misguided boy, or else…» Simon found he was looking into a vast mouth. There was blackness within, a blackness that spread. «… Or else,» said the Lord of the Flies, «we shall do you. See? Jack and Roger and Maurice and Robert and Bill and Piggy and Ralph. Do you see?» Simon was inside the mouth. He fell down and lost consciousness.6

La Bestia non è dunque qualcosa di esterno ai ragazzi, ma qualcosa che è dentro ognuno di loro e non può essere ucciso. A dire questo è il Signore delle mosche. Letteralmente Lord of the Flies è una traduzione dell’ebraico Ba’alzevuv, Belzebù in italiano. Questo è considerato il principe dei demoni, o anche in Paradise Lost di John Milton il braccio destro e primo ministro di Satana. Nel romanzo di Golding non è presente nel tradizionale senso religioso ma piuttosto come metafora del male. In questo modo la testa di maiale assume un inquietante significato simbolico, è come un vessillo del male piantato al centro dell’isola che incombe su tutti e che ha conquistato tutto, da cui emana un senso di morte che aleggia e si propaga ovunque. Dunque il male è insito nell’essere umano, ed emerge con tanta più forza quanto più vengono a mancare tutte le forme di controllo sociale, quando emergono senza limiti gli istinti più profondi e viscerali. La società civile con tutte le sue regole e forme di controllo è necessaria per limitare la violenza e il regresso a forme primitive di sopraffazione. In un’altra scena all’inizio del romanzo questo meccanismo è ben delineato: Roger, una sorta di sadico naturale, inizia senza motivo a tirare sassi contro uno degli altri bambini, desiderando di colpirlo e fargli del male. Tuttavia non osa fare fino in fondo ciò che il suo istinto e la sua volontà gli suggeriscono di fare, è frenato infatti dal ricordo dei vincoli sociali che ancora agisce su di lui:

6

W. Golding, Lord of the Flies, Edizioni Scolastiche Mondadori, Vicenza, 1982, p. 190-191 6

Roger gathered a handful of stones and began to throw them. Yet there was a space round Henry, perhaps six yards in diameter, into which he dare not throw. Here, invisible yet strong, was the taboo of the old life. Round the squatting child was the protection of parents and school and policeman and the law. Roger’s arm was conditioned by a civilization that knew nothing of him and was in ruins7

È questo che cercano di fare Ralph e Piggy, sono loro i personaggi che rappresentano la razionalità e il tentativo dell’essere umano di far prevalere l’interesse per il bene collettivo agli impulsi personali e naturali, sono loro che avvertono con più urgenza la necessità di riproporre una società civile anche su un’isola sperduta, anche in mancanza di adulti, di trovare delle regole che servano a limitare gli istinti violenti, a porre le basi per una vita insieme vissuta senza soprusi. È infatti Ralph a dire disperatamente «the rules are the only thing we’ve got!»8. Ma i due vengono alla fine sconfitti: Piggy è ucciso proprio da Roger, e Ralph, di cui Jack vorrebbe infilzare la testa su una picca come fatto per la scrofa, viene salvato solo dall’irrompere nell’isola della società civile con lo sbarco dei militari inglesi. Sembra essere poca quindi la fiducia nelle possibilità di riuscita della civiltà rispetto all’emergere degli istinti violenti. La società è una costruzione fragile che ha bisogno di una attenzione continua e volontà ferrea per sopravvivere. Il finale del romanzo potrebbe essere considerato un segnale di speranza, la possibilità di essere salvati da tanto male. Lo stesso Golding, in un’intervista rilasciata dopo la pubblicazione dell’edizione economica americana nel 1959, ci mette però in guardia dal considerare come completamente positivo l’arrivo dei militari e l’esito della vicenda:

The whole book is simbolic in nature except the rescue in the end where adult life appears, dignified and capable, but in reality enmeshed in the same evil as the symbolic life of the children on the island. The officer, having interrupted a manhunt, prepares to take the children off the island in a cruiser, which will presently be hunting its enemy in the same implacable way. And who will rescue the adult and his cruiser? 9

Questa sfiducia nella natura dell’essere umano deve essere forse inserita nel contesto storico in cui Golding compone l’opera. L’Europa, considerata la culla della civiltà per secoli, era appena uscita dalla Seconda Guerra Mondiale, ed era all’epoca praticamente un cumulo di macerie e di devastazione. Golding aveva partecipato in prima persona alla guerra, arruolato nella marina inglese, ed aveva operato anche in alcune grandi battaglie, prima fra tutte l’operazione dello sbarco in Normandia. Egli dunque aveva 7

W. Golding, Lord of the Flies, Edizioni Scolastiche Mondadori, Vicenza, 1982, p. 103 Ivi, p. 135 9 V. Fortunati, R. Trousson, Dictionary of Literary Utopias, Honoré Champion, Parigi, 2000, p. 364 8

7

assistito in prima persona alle atrocità che la cosiddetta società civile aveva prodotto negli anni della guerra, e aveva visto a quanta violenza l’uomo è in grado di dare sfogo. Inoltre Golding scrisse il romanzo nel 1952, negli anni della guerra fredda, quando il mondo intero temeva che si potesse da un momento all’altro precipitare nel peggiore degli incubi, la guerra atomica. Una situazione di tale tensione da lasciare pochi spazi alla fiducia nell’uomo e alla speranza nel futuro. In questo contesto Golding con Lord of the Flies si interrogò e mise in luce con grande pessimismo quella che evidentemente egli riteneva la questione fondamentale: la natura dell’uomo.

8