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I diritti del consumatore e la difesa nel processo tributario

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I diritti del consumatore e la difesa nel processo tributario

Programma generale di intervento 2009/2010 della Regione Siciliana realizzato con l’utilizzo dei fondi del Ministero dello Sviluppo Economico Soggetto attuatore Associazione Consumatori Siciliani Via Chiesa Nuova, 1 98066 Patti (Me)

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INTRODUZIONE Mai come in questi ultimi anni il cittadino-contribuente ha avvertito la necessità di capire le ragioni di un’attività impositiva che, sia a livello centrale che locale, si è fatta sempre più pressante e sempre meno intellegibile e trasparente, in spregio all’obbligo di motivazione e di chiarezza imposto rispettivamente dal principio generale sancito dall’art. 3 della L. 241/90 e dallo Statuto del contribuente. Al desiderio di capire si accosta anche la necessità di pagare quanto è effettivamente dovuto, attesa la difficoltà che riscontrano le famiglie nel far quadrare i loro bilanci, tra esigenze reali ed esigenze che i mass-media fanno apparire tali e sulle quali si potrebbe certamente discutere. Su queste premesse, o se vogliamo, dietro queste spinte, il contribuente, con sempre maggiore frequenza, si è rivolto e continua a rivolgersi alle Associazioni dei Consumatori, diffuse sul territorio nazionale e regionale, nella speranza di poter attenere i chiarimenti richiesti e, molto spesso, anche un concreto aiuto mediante la tutela giudiziaria dei loro diritti, senza dover affrontare costi per le spese legali che, il più delle volte, superano di gran lunga, e, comunque, a ragione, il valore effettivo della controversia. Attraverso il contatto con le dette Associazioni, il contribuente scopre che, in molti casi, allorquando il valore della controversia lo consente, può difendere da se stesso i propri diritti, potendo agire in giudizio personalmente, ovvero, senza la necessità di una difesa tecnica. Con il presente testo, realizzato con il contributo della Regione Siciliana, desideriamo realizzare un concreto contributo per quanti, pur essendone legittimati, non sono nelle condizioni di avanzare le proprie istanze e difendere i propri diritti innanzi alle Commissioni Tributarie, per la scarsa conoscenza delle competenze di tali organi giurisdizionali e delle norme che regolano il processo tributario. Per sovvenire alle enunciate esigenze di chiarezza e di supporto tecnico, il testo contiene non solo una parte teorica che gioverà a

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comprendere meglio gli atti impositivi e la loro natura, ma anche una parte pratica, con schemi di atti che potranno essere utilizzati da quanti vorranno agire in giudizio personalmente.

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Capitolo I La giurisdizione tributaria 1.1 Natura Giuridica delle Commissioni Tributarie

Sulla natura giuridica delle Commissioni Tributarie è più volte intervenuta la Corte Costituzionale, soprattutto perchè chiamata a risolvere le eccezioni di incostituzionalità sollevate negli anni dai vari giudici di merito secondo i quali, l’aver sottratto al giudice ordinario, in tutto o in parte, la cognizione delle controversie relative alla estimazione dei redditi e dei valori imponibili, si porrebbe in contrasto con i principi di cui agli artt. 3 e 24 e, soprattutto, con l’art. 113 della Costituzione secondo il quale “contro gli atti della Pubblica Amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della Pubblica Amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa”. Con la prima sentenza sull’argomento, la n. 12 /1957, la Corte Costituzionale ha qualificato le Commissioni Tributarie come organi giurisdizionali. Nell’anno 1969, però, con le sentenze n. 06/1969 e n. 10/ 1969, le Commissioni Tributarie vennero considerate organi amministrativi, tant’è che era loro preclusa la possibilità di sollevare questioni di costituzionalità. La natura giuridica delle Commissioni mutò, sempre ad opera della Corte Costituzionale, nell’anno 1974, con la sentenza n. 287, laddove alla luce del contrasto interpretativo in cui si erano venute

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a trovare la Corte Costituzionale da una parte e la Corte di Cassazione dall’altra, nonché dei fatti nuovi in sede legislativa, per tali intendendo il complesso delle norme contenute nella riforma tributaria di cui alla legge n. 825/1971 e quelle relative al processo tributario contenute nel D.P.R n. 636/1972, ha concluso nel senso che le Commissioni Tributarie, così revisionate e strutturate debbono intendersi, a tutti gli effetti, organi speciali di giurisdizione. I giudici tributari costituiscono, dunque, “organi speciali di giurisdizione”, già in funzione al momento della entrata in vigore della Costituzione Repubblicana, che la Costituzione stessa non ha soppresso e che il legislatore può “sottoporre a revisione” in base alla sesta disposizione transitoria della Costituzione stessa, secondo cui “Entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dei tribunali militari”. Proprio sul tema dei limiti, giuridici e temporali, della revisione degli organi speciali di giurisdizione, è intervenuta, più volte, la Corte Costituzionale. Con la sentenza n. 17/1965, la Corte Costituzionale ha osservato che “la revisione contemplata dalla VI disposizione transitoria fu voluta allo scopo di consentire al Parlamento, attraverso un approfondito esame, se le singole giurisdizioni speciali siano meritevoli di essere conservate o debbano essere trasformate o soppresse, e di elaborare le indispensabili norme di adeguamento..” La stessa Corte ha, poi, chiarito, con ordinanza n. 144 del 1998, che la “revisione” comporta una scelta discrezionale del potere legislativo che potrebbe sopprimere gli organi speciali di giurisdizione, ma può anche –come accaduto appunto per la giustizia tributaria- sottoporli a riforma, ad esempio meglio definendone (ed ampliandone) le competenze; purchè resti fermo il nocciolo originario delle competenze stesse. Di guisa che si possa parlare - appunto - di una “revisione” e non della istituzione di una

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nuova giurisdizione speciale, vietata dal secondo comma dell’art. 102 della Costituzione, secondo cui “Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura”. In sostanza, il procedimento di revisione dei preesistenti giudici speciali deve limitarsi all’adeguamento della normativa ai precetti costituzionali validi per qualsiasi organo di giurisdizione ed , in ogni caso, non si devono creare mai ex novo giudici speciali.

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Capitolo II Competenze della GiurisdizioneTributaria 2.1 Competenze

“Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati” e , oltre che quelle relative alle “sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari”, “agli interessi ed ogni altro accessorio” (art. 2 del D. Legs 546/1992, come sostituito dall’art. 12, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, ed integrato dalla legge 248/2005). La norma ora citata stabilisce che “appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunalie il contributo per il servizio sanitario nazionale, nonché le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative. A sua volta, la legge 248/2005, ha puntualizzato, smentendo un indirizzo giurisprudenziale di cui si dirà brevemente più avanti, che “appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall’articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997 n. 446, e successive modificazioni, e del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue e per lo smaltimento dei rifiuti urbani, nonché le controversie attinenti l’imposta o il canone comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni”. La legge n. 248/2006, invece, si colloca su una prospettiva alquanto diversa perché ha meglio definito i confini della giurisdizione tributaria incidendo sull’art. 19 del D. Legs. 546/ 1992.

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Dunque, la giurisdizione tributaria è oggi (soprattutto e in primo luogo) una giurisdizione il cui ambito è definito attraverso l’indicazione di una materia quale “i tributi di ogni genere e specie comunque denominati”. E dunque non vi è dubbio che appartengano alla giurisdizione tributaria, ad esempio, le controversie relative alle accise, ai diritti camerali, ai diritti doganali. 2.2 Entrate tributarie e processo tributario

La nuova dizione normativa che parla di “tributi di ogni genere e specie, comunque denominati” ha comportato un (ulteriore) considerevole rilievo pratico alla (difficile ed incerta) individuazione del confine tra prestazioni di carattere tributario e prestazioni patrimoniali di “altra natura” a vantaggio di una “entità” pubblica. Simile “actio finium regundorum” aveva assunto specifica attualità nel settore della finanza locale, ove il legislatore è andato rimaneggiando e connotando con il termine “tariffa” e “canone” numerosi oneri patrimoniali gravanti sui privati, e che fino a ieri erano pacificamente qualificati come tributi. Si era posto così il problema di stabilire se è quando, sotto la scorza della prestazione privatistica tariffaria, battesse e batta ancora il “cuore antico” della tassa o imposta (e quindi sopravvivesse la giurisdizione delle commissioni tributarie), e quando, invece, il relativo rapporto sostanziale sia stato “privatizzato” ed il contenzioso fosse, conseguentemente, trasmigrato nella giurisdizione ordinaria (e restituito alla giurisdizione tributaria dalla legge 248/2005). Il quesito non è stato privato di parte del suo interesse pratico dalla legge 248/2005 (che come ricordato ha esplicitamente devoluto alla giurisdizione tributaria una parte di contenzioso); ma conserva un consistente rilievo in relazione ad altri esborsi di cui è incerta la collocazione.

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2.3 Le prestazioni tributarie

Nel nostro moderno stato “sociale”, l’apparato pubblico provvede ad un gran massa di servizi a vantaggio della collettività e dei singoli. Esso acquisisce i mezzi economici per affrontare simili oneri con molteplici strumenti. Per converso, le entrate tributarie hanno natura pubblicistica e poggiano sulla potestà impositiva o, comunque, su quella che viene denominata “pubblica superiorità”; perciò si sottraggono allo schema privatistico della domanda di una prestazione da parte del privato e del corrispondente obbligo a suo carico di un corrispettivo (magari ridotto per ragioni “politiche”), ma pur sempre sinallagmatico rispetto al vantaggio ricevuto. Il tributo consiste in una prestazione patrimoniale imposta, caratterizzata dal fatto di esser destinata a concorrere alle spese pubbliche. Si tratta, quindi, di un pagamento a titolo definitivo e senza indennizzo, il cui obbligo sorge al fine di consentire il procacciamento di mezzi finanziari per il fabbisogno pubblico. Pertanto, pare necessario riconoscere, in conformità del resto all’indirizzo giurisprudenziale prevalente, la intrinseca natura tributaria dell’esborso che concorre a finanziare un servizio di cui il privato bensì si avvantaggia; senza però aver chiesto di usufruirne e senza potervi rinunciare. E questa visione trova rispondenza nell’art. 2 della legge spagnola 58/2003, de 17 de dicembre (General Tributaria). Non appartengono, cioè, all’ambito tributario solo le prestazioni destinate a sopperire alle esigenze così dette di “fiscalità generale” e la cui commisurazione dovrebbe sottostare al principio di proporzionalità di cui all’art. 53 Cost. Ricadono in tale ambito anche le “tasse di scopo”, in cui la prestazione è giustificata e commisurata al presuntivo vantaggio

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che il contribuente riceve dal servizio che con quella entrata viene finanziato. 2.4 Entrate tributarie e competenza (o meno) del giudice tributario

Le considerazioni sostanziali svolte nel precedente paragrafo, sembra debbano prevalere su considerazioni puramente nominalistiche e, quindi, non si possa considerare come entrata di diritto privato tutto ciò cui il legislatore attribuisca una terminologia privatistica. Ritengo cioè di dover accogliere una concezione sostanzialistica, in conformità alla natura “rigida” della nostra Costituzione, che non consente di “scavalcare” le disposizioni che regolano le iniziative pubbliche, facendo ricorso a terminologie privatistiche che non trovino rispondenza nella sostanza delle cose. E possiamo ricordare come la giurisprudenza della Corte di Cassazione abbia respinto alcuni tentativi di sottrarre erogazioni finanziarie da parte di enti pubblici alle forme di controllo proprie della utilizzazione del denaro pubblico, semplicemente facendo gestire tali erogazioni da strutture societarie costituite in forme private (società per azioni) ma, in realtà, di pertinenza pubblica (con azioni possedute esclusivamente da enti pubblici). Quando poi si concluda che un determinato rapporto conserva natura sostanziale tributaria, si deve riconoscere la competenza a conoscere la controversia, in sede contenziosa, delle Commissioni tributarie; a meno che non vi sia una esplicita indicazione legislativa in senso contrario (sempre possibile dal momento che la nostra giurisdizione non gode della tutela costituzionale). Una disposizione specifica può essere rinvenuta negli artt. 442 e 444 del codice di procedura civile, che devolvono al giudice ordinario, con rito del lavoro, le controversie in materia di assicurazioni sociali, e dei corrispondenti obblighi contributivi del datore di lavoro; nonché, secondo la giurisprudenza, di contribuzioni a carico dei privati professionisti.

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La disposizione legislativa in materia di competenza scavalcherebbe, dunque, tutte le considerazioni di sostanza; anche quelle basate sull’indubbio parallelismo fra queste contribuzioni e il contributo per il servizio sanitario nazionale esplicitamente devoluto alla giurisdizione tributaria. Sempre che non si ritenga che la legge del 2001 abbia modificato gli artt. 442 e 444 del codice di procedura civile. Una situazione analoga si configura, poi, in relazione al contributo per il rilascio del permesso di costruire, previsto dall’art. 16 del D.P.R. 380/2001 (art. 34 D. Legs 80/1998), devoluto alla giurisdizione amministrativa. Prestazione contributiva previdenziale e contributo per il rilascio del permesso per costruire, hanno dunque natura tributaria, come dimostra il fatto che esse prescindono dall’interesse del singolo alle prestazioni corrispettive e, dunque, assumono la natura di forme di finanziamento di un pubblico servizio, tanto che i versamenti contributivi sono dovuti anche quando il soggetto “assicurato” non tragga da essi alcun beneficio. Quindi, la qualifica fiscale è anche più marcata di quella propria dei contributi consortili, di cui è pacifica la natura tributaria, nonostante siano addirittura deducibili dal reddito (art. 10 D.P.R. 917/1986); e dei contributi per le stazioni sperimentali per le industrie. E simile constatazione, pur in presenza di una specifica disposizione che esclude il relativo contenzioso dalla competenza delle commissioni tributarie, non è priva di rilievo anche sotto il profilo processuale, in quanto consente di affermare che la eventuale attribuzione alla giurisdizione tributaria di competenza in materia, non urterebbe con il divieto costituzionale di istituire nuove giurisdizioni speciali (come invece urterebbe ad esempio una norma che devolvesse alle commissioni tributarie il risarcimento danno per l’infortunistica stradale). Si può del resto osservare che il legislatore si è già posto, in qualche misura su questa strada, in primo luogo, come già ricordato,

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devolvendo al giudice tributario le controversie relative al contributo per il servizio sanitario nazionale. Un’ulteriore importante ipotesi di devoluzione al giudice tributario di controversie previdenziali, agevolmente giustificabile sul piano costituzionale alla luce della natura sostanzialmente tributaria delle relative contribuzioni, era rappresentato dall’art. 3 del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12 (convertito in L. 23 aprile 2002, n. 73, disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare), secondo cui “l’impiego di lavoratori dipendenti non risultanti dalle scritture o altra documentazione obbligatorie, è punito con la sanzione amministrativa dal 200 al 400 per cento dell’importo, per ciascun lavoratore irregolare, del costo del lavoro calcolato sulla base dei vigenti contratti collettivi nazionali, per il periodo compreso tra l’inizio dell’anno e la data di constatazione della violazione”. Competente alla irrogazione della predetta sanzione amministrativa era “l’Agenzia delle entrate. Si applicano le disposizioni del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazioni, ad eccezione del comma 2 dell’articolo 16". Le impugnazioni contro gli atti della agenzia delle entrate, che è indubbiamente un “ufficio finanziario”, rientravano, a loro volta, nella giurisdizione tributaria. La sussistenza, in materia, della giurisdizione tributaria è stata però anche affermata sia perché le somme così richieste avrebbero natura, latu sensu, tributaria, sia perché, ove ad esse si riconoscesse funzione sanzionatoria, tale funzione sarebbe da porre in rapporto all’ accertata e non quantificabile “evasione” dell’ IRPEG ed al mancato versamento delle ritenute d’ imposta (IRPEF). 2.5 I canoni

Più complesso è, senza dubbio, il problema dei canoni che vengono pagati a seguito della volontaria richiesta di un vantaggio e che a tale vantaggio in qualche modo si ricollegano.

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La giurisprudenza ha riconosciuto la natura di entrata tributaria del canone radiotelevisivo sulla base del fatto che esso è dovuto per il possesso di apparecchi idonei alla ricezione dei programmi, considerato indice di capacità contributiva; e fin qui la conclusione è relativamente semplice perché il canone è imposto a prescindere (ed anche contro) la volontà del possessore del televisore, ed ancorchè si sforzi di dimostrare che non desidera usufruire delle prestazioni della RAI. Invece maggiori incertezze sorgono quando il soggetto privato chieda di usufruire di un servizio o di un bene pubblico e in questa occasione gli venga chiesto un esborso. Questo esborso può, infatti, costituire il corrispettivo di quanto goduto dal privato, o, invece, essere una imposta applicata nel momento in cui il soggetto manifesta la sua ricchezza attraverso la richiesta di un servizio; esempio classico sono le imposte di registro, ipotecarie e catastali. Ad esse si possono affiancare il contributo unificato e la soppressa “tassa sulle società”, che la direttiva della Comunità Europea n. 335/ 1969, ha imposto di contenere in un “diritto remunerativo” per il servizio prestato, ma che nella configurazione tracciata dal legislatore nazionale aveva abbondantemente travalicato tali limiti, per assumere la veste di una imposta del tutto sganciata dalla misura del servizio reso al privato. Come noto, la giurisprudenza, indotta dalla dizione letterale della legge, aveva in passato riconosciuto natura tributaria alla tassa di occupazione del suolo pubblico, ma ora, di fronte alle modifiche legislative, la medesima giurisprudenza manifesta un diverso indirizzo. E nei medesimi termini si è pronunciata la Agenzia delle Entrate, ancorché sia difficile comprendere perché la Agenzia abbia voluto esprimere un parere in ordine ad una entrata di pertinenza degli enti locali,. Si può in proposito ricordare che, secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, i1 canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, istituito dall’art. 63 del D. Legs.. 15 dicembre 1997, n. 446, come modificato dall’art. 31 della legge 23 dicembre 1998, n.

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448, rappresenta il corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici, perciò costituisce, dal punto di vista giuridico, un quid ontologicamente diverso rispetto a tributo denominato “tassa per 1’occupazione di spazi ed aree pubbliche” di cui al capo II del D. Legs. 15 novembre 1993, n. 507 ed all’art. 5 della legge 16 maggio 1970 n. 281, in luogo del quale puo’ essere applicato. Ne consegue che le controversie attinenti alla debenza del canone in esame esulano dalla giurisdizione delle commissioni tributarie (come delineata dall’art. 2 del d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, pur dopo la sostituzione operata dall’art. 12 della legge 28 dicembre 2001, n. 448) e rientrano nell’ambito della competenza giurisdizionale del giudice ordinario, a mente dell’art. 5 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, come modificato dall’art. 33 del d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80, ora sostituito dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205. Insomma, si realizzerebbe una situazione analoga a quella relativa ai canoni demaniali, in ordine ai quali è stato, ancora di recente, affermato che: i canoni e, in genere, i proventi derivanti dalla utilizzazione dei beni del demanio pubblico e del patrimonio dello Stato, non hanno carattere tributario, trattandosi di entrate correlate alla concessione del godimento di tali beni. Ne deriva che le relative controversie sono sottratte alla giurisdizione del giudice tributario, e sono invece devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, a meno che implichino la verifica dei poteri autoritativi della p.a. sul rapporto concessorio sottostante (in tal caso ricadendosi nella sfera di competenza giurisdizionale del giudice amministrativo). 2.6 L’imposta sulla pubblicità

Profili peculiari presenta la “privatizzazione” della imposta sulla pubblicità, consentita dall’art. 62 del D. Legs. 447/1997 (Canone per l’installazione di mezzi pubblicitari). L’articolo in questione prevede che i Comuni possano “con regolamento adottato a norma dell’articolo 52 del medesimo

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decreto, escludere l’applicazione, nel proprio territorio, dell’imposta comunale sulla pubblicità di cui al Capo I del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, sottoponendo le iniziative pubblicitarie che incidono sull’arredo urbano o sull’ambiente, ad un regime autorizzatorio e assoggettandole al pagamento di un canone in base a tariffa”. In verità sembrerebbe una “privatizzazione”, almeno ai fini che qui ci interessano, del tutto apparente. E’ vero che il ricorso a “iniziative pubblicitarie” è frutto di una libera scelta dell’operatore economico; ma sembra altrettanto vero che il “canone” percepito dall’ente pubblico costituisca, solo in parte e solo eventualmente, corrispettivo della utilizzazione da parte del privato di beni pubblici. Come pongono in evidenza le disposizioni secondo cui il regolamento deve determinare la tariffa per i mezzi pubblicitari installati su beni privati “in misura inferiore di almeno un terzo rispetto agli analoghi mezzi pubblicitari installati su beni pubblici” (lettera f), e la tariffa è “comprensiva dell’eventuale uso di aree comunali”. Mentre cioè l’occupazione di aree pubbliche è il presupposto indefettibile della applicazione della TOSAP e del canone sostitutivo, altrettanto non può dirsi del canone sulla pubblicità. Dunque, il canone sulla pubblicità rappresenta, come la tassa, nella sua componente essenziale una imposizione patrimoniale che colpisce quella manifestazione di ricchezza e di iniziativa economica costituita dal ricorso a talune “iniziative pubblicitarie” (anche quando siano assunte da associazioni prive di scopo di lucro). Né il canone rappresenta un “corrispettivo” o risarcimento per la “incidenza” della pubblicità sull’arredo urbano o sull’ambiente. Infatti, tale “incidenza” non costituisce necessariamente un danno estetico o un pregiudizio per la collettività (anzi se lo costituisse la pubblicità non dovrebbe essere consentita). Il canone è dovuto anche quando lo strumento pubblicitario occulti la sgradevole visione di un edificio in rovina, o accresca il pregio di un via commerciale abbellita da insegne luminose.

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L’incidenza sull’arredo urbano o sull’ambiente costituisce cioè un semplice presupposto per l’applicazione della tassa, che non è dovuta per altre forme di pubblicità, a mezzo radio, a mezzo televisione, molto più difficilmente ricollegabili al territorio di un determinato Comune. 2.7 Le questioni cautelari e i rapporti consequenziali, il risarcimento dei danni

La giurisdizione tributaria si estende logicamente alle garanzie cautelari e ad alcune prestazioni patrimoniali di carattere consequenziale. Oltre che alle questioni pregiudiziali (quali la ricusazione del giudice). Così il giudice deve pronunciarsi in ordine alle “spese di giudizio” (art. 15 D. Legs. 546/1992), al compenso del commissario “ad acta” che provvede alla esecuzione delle sentenze (art.70) e del consulente tecnico (art.7). Nonché sulla richiesta di precludere, in caso di riproduzione della sentenza o provvedimento in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l’indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del medesimo interessato riportati sulla sentenza o provvedimento (art. 52 D. Legs 196/2003). Carattere accessorio ha del pari logicamente la domanda relativa agli interessi (anche anatocistici) dovuti sul rimborso tributario. Problemi più delicati suscita il risarcimento del danno. Le sezioni unite della Cassazione con sentenza 4 ottobre 2002, n. 14274, hanno affermato che appartiene alla giurisdizione esclusiva delle commissioni tributarie non solo la cognizione dell’obbligazione principale e di quella concernente la corresponsione degli interessi, anche anatocistici, ma altresì la cognizione della domanda diretta ad ottenere il risarcimento del danno da svalutazione monetaria sulla somma indebitamente versata e trattenuta, atteso che tale giudice ha gli stessi poteri istruttori del giudice civile per l’accertamento e la valutazione del rapporto e considerata l’inesistenza, tra le norme che

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disciplinano la giurisdizione delle commissioni tributarie, di una disposizione analoga a quelle (art. 30, 2º comma, r.d. 26 giugno 1924 n. 1054; art. 7, 3º comma, l. 6 dicembre 1971 n. 1034) che, fino all’entrata in vigore dell’art. 35 d.leg. 31 marzo 1998 n. 80 (successivamente riformato dall’art. 7 l. 21 luglio 2000 n. 205), riservavano, in caso di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, al giudice ordinario le questioni concernenti i c.d. diritti patrimoniali consequenziali. Si suole, invece, affermare che appartengono alla giurisdizione ordinaria le controversie relative al risarcimento del danno per l’indebita richiesta di tributi. Pur se il confine tra queste forme di risarcimento e quelle pacificamente ricomprese nella giurisdizione tributaria appare piuttosto labile5 2.8 Gli “atti di esecuzione forzata”

L’ art. 2 del D. Legs 546/1992, come sostituito dall’art. 12, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, devolve alla competenza del giudice ordinario gli “atti della esecuzione forzata tributaria successivo alla notifica della cartella di pagamento” . La competenza del giudice ordinario sussiste, quindi, allorquando concorrano due condizioni e precisamente: che sia già avvenuta la notifica della cartella di pagamento e che ci si trovi di fronte ad un “atto di esecuzione forzata”. Questo secondo requisito non sembra realizzarsi in relazione ai così detti “fermi amministrativi”. In particolare, il fermo amministrativo sui beni mobili registrati di proprietà del debitore (così detto “fermo auto”) è oggi disciplinato dal primo comma dell’art. 86 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, dopo le modifiche apportate dal D.Lgs. 27 aprile 2001, n. 193 nei seguenti termini: “decorso inutilmente il termine (di sessanta giorni dalla notifica della cartella) di cui all’articolo 50, comma 1, il concessionario può disporre il fermo dei beni mobili del debitore

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o dei coobbligati iscritti in pubblici registri, dandone notizia alla direzione regionale delle entrate ed alla regione di residenza». La norma originaria prevedeva la possibilità da parte della Direzione regionale delle Entrate di disporre il fermo dei beni mobili del debitore e dei coobbligati, qualora non fosse possibile eseguire su di essi il pignoramento mobiliare per mancato reperimento del bene. E ciò era ragionevole perché poneva in primo piano la esigenza di assicurare il soddisfacimento del credito attraverso gli strumenti della esecuzione forzosa. Oggi, invece, il fermo amministrativo non è più parte della espropriazione forzata giacché, essa inizia con il pignoramento (art. 491 del codice di procedura civile), che non è più necessario. Si potrà, allora, parlare al più di atto prodromico alla (eventuale) esecuzione forzata. E’ evidente, dunque, che siamo di fronte ad una misura che può definirsi di natura punitiva (e non di esecuzione civile) nei confronti del debitore (e dei coobbligati), prevista appunto dal codice della strada nella sezione dedicata alle “sanzioni amministrative accessorie”. Ed, infatti, il fermo viene dal Codice della strada previsto come sanzione in riferimento a specifici illeciti ed ha durata proporzionale alla gravità dell’illecito stesso (ad esempio, trenta giorni per la guida di un veicolo a motore da parte di persona priva del requisito di età, art. 115, 6° comma Cds; sessanta per la guida senza titolo abilitante, art. 116, comma 17, e per la guida di un veicolo privo di carta di circolazione, art. 83, 5° comma, ecc…) Per quanto attiene ad altre ipotesi di “fermo amministrativo” giova ricordare che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza 7 febbraio 2002, n. 1733 (r.) hanno affermato che la domanda di rimborso d’iva, che il contribuente proponga in sede giudiziale impugnando l’atto di rifiuto del rimborso stesso reso in dipendenza di provvedimento di fermo amministrativo ex art. 69 r.d. 18 novembre 1923 n. 2440, rientra, ove si metta in discussione la sussistenza del potere dell’amministrazione finanziaria di adottare

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quella misura cautelare, nella giurisdizione delle commissioni tributarie, abilitate a disapplicare il provvedimento di fermo del rimborso allorché risulti non assistito dal relativo potere. E ciò nonostante il “fermo amministrativo” dei crediti si presenti come atto cautelare direttamente propedeutico a quella forma di esecuzione del credito della amministrazione che è la sua compensazione con un debito in favor del privato; mentre il “fermo auto” non appare (più) propedeutico o sostitutivo del pignoramento del bene, e di una sua vendita a soddisfazione del credito della Amministrazione, bensì costituisce uno strumento di pressione volto ad indurre il debitore (o presunto tale) al sollecito pagamento del dovuto. Costituisce insomma una sorta di “prigione per debiti” destinata protrarsi finchè il debitore non si decida a pagare. Resta da domandarsi se vi siano profili sotto i quali il contenzioso relativo al fermo-auto ricada nella giurisdizione del giudice amministrativo. Ed in effetti la natura punitiva e largamente discrezionale del “fermo” potrebbe indurre ad affermare la giurisdizione del giudice amministrativo. Secondo la citata sentenza 1733/2003 delle Sezioni Unite (relativa al fermo amministrativo di crediti) rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la valutazione degli eventuali vizi dell’atto che non incidono sulla sussistenza del debito tributario. Ed a sostegno di questa soluzione si può invocare T.a.r. Lazio, sez. II, 11 settembre 2000, n. 7010, secondo cui rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia inerente all’annullamento del provvedimento di fermo amministrativo di cui all’art. 69 r.d. 14 aprile 1910 n. 639, adottato dall’Aima verso la federazione italiana dei consorzi agrari in liquidazione concordatizia, avente ad oggetto un contributo comunitario per la produzione di soia, già erogato, in quanto la posizione del privato creditore è di interesse legittimo, a prescindere dai connotati del presupposto rapporto sottostante. La giurisprudenza prima e la legge, dopo, hanno ormai fugato ogni dubbio affermando, come vedremo più avanti la esclusività della giurisdizione tributaria così come delineata dalla riforma

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dell’art. 2 del D. Legs 546/1992 disposta con l’art. 12 della legge 448/2001, ricomprendendendo ogni controversia attinente al fermo (specie di veicoli), anche relativa al “periculum in mora” nell’ambito della giustizia tributaria. Si potrà così porre rimedio ai più vistosi abusi nell’utilizzo del fermo, si pensi alle ipotesi in cui la misura è disposta a sostegno di pretese economiche minimali. A sostegno di tale impostazione vale anche la analogia con l’art. 23 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, che attribuisce al giudice tributario la competenza in materia di “fermo amministrativo” di crediti vantati dal contribuente verso la amministrazione, a garanzia di debiti derivanti da sanzioni pecuniarie amministrative tributarie; e l’art. 29 del D. Leg. 46/1999 che demanda al giudice del merito il contenzioso relativo alla sospensione delle riscossioni mediante ruoli. Appare infine prevalente l’opinione secondo cui competono al giudice ordinario le azioni con cui il contribuente richieda il risarcimento dei danni (comprese le spese legali per difendersi in giudizio) cagionatigli dall’illegittimo comportamento dell’Amministrazione finanziaria che iscriva a ruolo un’imposta non dovuta, o comunque emetta provvedimenti sproporzionati e vessatori, fonte di ingiusto danno. Il che può evidentemente accadere con particolare facilità nella materia di cui ci siamo occupati.

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Capitolo III Gli atti impugnabili innanzi alle Commissioni Tributarie 3.1 Giurisdizione tributaria e individuazione degli atti impugnabili

L’ambito di operatività della giurisdizione speciale tributaria trova origine in precise disposizioni di legge che, tassativamente, indicano le controversie devolute alla cognizione dei giudici tributari. La delimitazione delle materie devolute ai detti giudici, solitamente, viene effettuata attraverso il concorrente riferimento ai c.d. limiti esterni e limiti interni della giurisdizione speciale tributaria. L’art. 2 del D. Legs 546/1992, innovato dall’art. 12 comma 2 del D.Lvo n. 448 del 28/12/2001, indica i limiti esterni della giurisdizione tributaria, affermando che le controversie devolute ai giudici tributari devono avere ad oggetto:”i tributi di ogni genere e specie, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo sanitario nazionale, nonché le sovrimposte e le addizionali, e sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi, e ogni altro accessorio. Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successi alla notifica dell cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’art. 50 del DPR 29 settembre 1973 n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica”. Il secondo comma della norma in argomento, inoltre, stabilisce che “Appartengono altresì alla giurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il

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classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento dele singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale. Appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall’art. 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997 n. 447, e successive modificazioni, e del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue e per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, nonché le controversie attinenti l’imposta o il canone comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni. Il comma 3 dell’art. 2 del D.Lgs 546/92, infine, stabilisce che “il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio. La tassativa elencazione delle controversie devolute alla giurisdizione tributaria contenuta nell’art. 2 trovava rispondenza nella altrettanto tassativa elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 che definisce i c.d. limite interno alla giurisdizione tributaria. La riforma del 2001 ha però imposto una “nuova lettura” dell’art. 19, essendo necessario adeguare la “vecchia” disposizione dell’art. 19 con la “nuova” dizione dell’art. 2 prendendo atto delle modifiche implicitamente apportate all’art. 19. Orbene, ai sensi dell’art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 31/12/1992, il ricorso innanzi alle Commissioni Tributarie può essere proposto avverso i seguenti atti: a) l’avviso di accertamento del tributo; b) l’avviso di liquidazione del tributo; c) il provvedimento che irroga le sanzioni; d) il ruolo e la cartella di pagamento; e) l’avviso di mora;

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e-bis) l’iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all’art. 77 del DPR 29/9/1973 n. 602 e successivo modificazioni; e-ter) il fermo di beni mobili registrati di cui all’art. 86 del DPR 29/9/1973 n. 602 e successive modificazioni; f) gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell’art. 2, comma 3; g) il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti; h) il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari; i)ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l’autonoma impugnabilità davanti alle commissioni tributarie. Da una integrata sintesi delle riportate disposizioni si può, dunque affermare che sono di competenza dei giudici tributari: 1) Tutte le controversie relative all’an o al quantum debeatur dei tributi (avviso di accertamento, liquidazione, ruoli, diniego di rimborso ecc...) 2) Non possono essere, invece, propone innanzi alle Commissioni tributarie azioni preventive volte all’accertamento negativo della dovutezza del tributo; 3) Non sono di competenza delle Commissioni Tributarie questioni che, pur avendo ad oggetto imposte indicate nell’art. 2, intercorrono tra privati, posto che in tali casi la controversia non ha ad oggetto alcuno degli atti indicati nell’art. 19 sopra richiamato. (Si pensi, ad esempio, all’azione di regresso tra il condebitore che ha pagato, incoata nei confronti degli altri condebitori.) La riforma del 2001, con l’eccezione relativa all’impugnazione del fermo amministrativo e delle icrizioni ipotecarie, evidenzia come l’art. 19 non attenga di fatto alla definizione dell’ambito della giurisdizione, ma alla ammissibilità dei ricorsi tributari. Va, poi, evidenziato, come la tassatività dell’elencazione delle materie devolute alla cognizione delle Commissioni Tributarie non ha evitato

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l’insorgenza di dubbi che, di volta in volta, vengono chiariti dagli interpreti del diritto. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, invero, hanno affermato che la riforma del 2001 “comporta la possibilità per il contribuente di rivolgersi al giudice tributario ogni qual volta la Amministrazione manifesti, anche attraverso la procedura del silenzio rigetto, la convinzione che il rapporto tributario o relativo a sanzioni tributarie debba essere regolato in termini che il contribuente ritenga di contestare. Iin assenza di simile manifestazione di volontà espressa o tacita, infatti, non sussisterebbe l’interesse del ricorrente ad agire in giudizio ex art. 100 c.p.c. Sono, quindi, devolute alla giurisdizione tributaria le controversie relative alla impugnazione degli atti di “autotutela” emessi dalla Amministrazione; e spetterà ai giudici tributari stabilire se e sotto quali profili tali atti siano impugnabili. Così come spetta al giudice tributario decidere in ordine alla legittimità delle attività ispettive e di accertamento (salvo poi ritenere che l’interesse tutelato sorga solo con l’emissione dell’avviso di accertamento). Il riferimento all’art. 100 c.p.c. pare anche necessario per impostare il complesso problema della impugnabilità degli “avvisi amichevoli”, degli “inviti al pagamento”. Sono cioè ricorribili tutti quegli atti, comunque denominati, con cui la Amministrazione (o il privato concessionario) manifestano una attuale pretesa tributaria, mentre non lo sono le mere richieste di chiarimento, gli inviti a far valere le proprie ragioni in sede amministrativa. La giurisdizione tributaria si qualifica sempre più come una giurisdizione esclusiva sul rapporto tributario, comprensiva della tutela cautelare, della esecuzione dei giudicati, della valutazione “incidenter tantum” di tutte le questioni rilevanti per il decidere (ad esempio circa sussistenza di contratti simulati in frode al fisco) con conseguente emarginazione dalla materia della giurisdizione ordinaria. Giurisdizione ordinaria e giurisdizione tributaria, dunque,

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si affiancano, essendo la giurisdizione tributaria la “giurisdizione ordinaria” del rapporto tributario. 3.2 La cartella esattoriale

La cartella esattoriale è un documento emesso da un “concessionario” (agente della riscossione) per la riscossione coattiva di un tributo (tassa, imposta, sanzione, contributo, ecc.) iscritto a ruolo a seguito di un inadempimento del debitore rilevato da un controllo od accertamento dell’amministrazione finanziaria oppure a seguito di sentenza di una commissione provinciale tributaria. Il ruolo è l’elenco dei debitori e delle somme da questi dovute a seguito del mancato pagamento di tasse, tributi, sanzioni amministrative, ecc., formato dall’ufficio dell’ente creditore (Comune, Agenzia delle entrate, Inps, ecc.) e periodicamente inviato all’agente della riscossione competente per territorio affinché siano svolte tutte le attività di riscossione coattiva. L’ambito di competenza degli agenti della riscossione -ovvero delle società che si occupano della riscossione per conto degli enti creditori - è provinciale, e fa fede il domicilio fiscale del debitore. In ogni caso, qualora l’attività di riscossione debba essere svolta in un ambito diverso da quello dell’agente che ha ricevuto il ruolo, quest’ultimo delega a tal scopo l’agente competente. Questa delega riguarda anche la notifica della cartella esattoriale e la sua riscossione. L’agente della riscossione - o “concessionario” - funge quindi da “intermediario” tra l’ente creditore e il cittadino debitore, e la cartella esattoriale è il suo strumento operativo primario. La procedura di riscossione attivata con la cartella può riguardare tutte le entrate dello Stato e degli enti pubblici, previdenziali e locali. In dettaglio si può dire che possono essere riscossi tributi, imposte sui redditi, Inps, Iva, imposta di registro, imposte ipotecarie e catastali, imposte sulle donazioni e sulle

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successioni, imposte erariali di consumo, diritti doganali, tasse automobilistiche e sulle concessioni governative, Ici, Tarsu, Tia, imposte comunali sulla pubblicità, sulle pubbliche affissioni, Tosap, Cosap, canoni demaniali ecc. Anche le sanzioni amministrative in generale (come per esempio le multe per infrazioni al codice della strada o relative a servizi pubblici) non pagate alla loro naturale scadenza, vengono iscritte a ruolo e sono soggette alla stessa procedura di riscossione coattiva delle tasse e dei tributi. La cartella di pagamento è formata di più pagine con le quali vengono comunicate al cittadino/contribuente le somme da lui dovute iscritte a ruolo. È l’atto che assolve la funzione di: - comunicazione formale al contribuente della sua posizione debitoria nei confronti dell’erario o degli altri creditori; - atto di precetto, ovvero formale intimazione a provvedere al pagamento entro TOT giorni (nel caso specifico 60) con avvertenza che, in mancanza, si potrà agire tramite le classiche procedure esecutive (fermo amministrativo auto, ipoteca, pignoramento, ecc.). - titolo esecutivo (relativamente all’iscrizione a ruolo), ovvero atto riferito ad un diritto certo, in base al quale può essere iniziata l’esecuzione forzata. L’ultimo modello di cartella esattoriale è quello disposto dall’Agenzia delle entrate con provvedimento del 22/4/08 (entrato in vigore il giorno successivo con pubblicazione sul sito dell’Agenzia) a seguito delle novità introdotte dalla recente legge 31/08 (di conversione del cosiddetto decreto milleproroghe, il d.l. 248/07). Prima pagina: - spazio dedicato alla relata di notifica riportato in alto (per informazioni sulla notifica vedi più avanti);

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- numero della cartella riportato sulla destra e al centro, sopra i dati del debitore; - dati dell’agente della riscossione che ha emesso la cartella sulla sinistra (Equitalia Serit, Equitalia Cerit, ecc.); - nome del contribuente/debitore, indirizzo e codice fiscale; - totale da pagare, ovvero somma dell’importo iscritto a ruolo, compensi di riscossione e diritti di notifica; - la causale, ovvero la natura del debito (sanzioni amministrative, infrazioni al codice della strada, imposte dirette, contributi inps, etc); - l’ente creditore, ovvero il Comune, l’Agenzia delle entrate, l’Inps, ecc. ; - una breve sintesi delle modalità di pagamento e sulle conseguenze legate al mancato adempimento, ovvero l’aggiunta di interessi e ulteriori compensi di riscossione nonché le procedure amministrative che si rischia di dover subire (fermo amministrativo dell’auto, ipoteca sugli immobili, ecc.). Pagine successive Sezione DETTAGLIO DEGLI ADDEBITI: - la denominazione dell’ente creditore/impositore (Comune, ecc.); - la descrizione del debito con numero del ruolo e la data in cui lo stesso è diventato esecutivo tramite la sottoscrizione dell’ufficio dell’ente creditore (esempio: sanzione amministrativa ai sensi della legge 689/81 con riferimento al verbale in caso di multe al codice della strada, ecc.); - i dati del soggetto responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo; - le maggiorazioni, le spese e i compensi di riscossione applicati nel caso di pagamento entro 60 gg e nel caso di pagamento in ritardo; Sezione ISTRUZIONI PER IL PAGAMENTO: Scadenza e modalità di pagamento (es. sportelli dell’agente di riscossione, uffici postali, sportelli bancari, ecc.);

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Sezione DATI AD USO DEGLI UFFICI: - vi sono riportati i dati identificativi della cartella, ovvero: - l’anno di compilazione e il numero del ruolo; - il codice tributo da pagare (diverso a seconda del tributo, per le multe al codice della strada la sanzione può aver codice 5242, 5060 oppure 5010, la maggiorazione semestrale 5061, 5011 oppure 5013 e le spese 5354); - l’anno di riferimento, ovvero dell’atto che ha originato il debito (per es. l’anno in cui è stato emesso il verbale di violazione al c.d.s.); - le rate (normalmente una); - l’importo del tributo; - i compensi della riscossione; - gli estremi dell’atto che ha originato il debito (per es. numero e data del verbale di violazione al c.d.s.). Sezione COMUNICAZIONI DELL’AGENTE DELLA RISCOSSIONE: Vi vengono normalmente riportati gli indirizzi e gli orari di apertura degli sportelli dell’agente della riscossione. Nel nuovo modello di cartella questo spazio contiene anche i dati del soggetto responsabile del procedimento di emissione e di notifica della cartella nonché notizie sulla possibilità di pagare a rate secondo le nuove disposizioni della legge 31/2008. Informazioni sulle modalità di rateizzazione si trovano più avanti, nella sezione “come pagare”. Sezione AVVERTENZE (fogli allegati alla cartella): Si tratta di una nuova sezione prevista per il nuovo modello di cartella esattoriale dove vengono riportate informazioni sull’autotutela (riesame ed eventuale annullamento delle cartelle palesemente illecite od errate) e sul ricorso giudiziale. 3.3 Fermo amministrativo-giurisdizione

Nel caso del fermo amministrativo il legislatore ha normativamente risolto l’annoso problema circa l’individuazione

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dell’autorità competente a trattare la relativa controversia, essendo oggi il fermo un atto autonomamente impugnabile ai sensi dell’art. 19 del D.lgs 546/92, così come integrato dall’art. 35 della L. n. 248 del 4 agosto 2006. Nonostante l’intervento del legislatore sull’argomento che pareva avesse posto fine al nutrito dibattito in ordine all’individuazione del giudice innanzi al quale impugnare il provvedimento di fermo, con l’intervento della Corte Costituzionale, e precisamente con la sentenza n. 64/2008, si è ripreso a discutere della questione. La Consulta, infatti, con la citata sentenza ha opposto il proprio veto ad ogni e qualsiasi indebito ampliamento della giurisdizione tributaria, pena la violazione dell’art. 102 della Costituzione, ovvero del divieto di costituzione di giudici speciali. La Corte ha specificato che la giurisdizione tributaria, può essere considerata legittima e coerente al dettato costituzionale, solo allorquando ad essa sono devolute materie propriamente tributarie. A tal fine la Corte Costituzionale ha chiarito che per definire la materia tributaria bisogna riferirsi all’art. 53 della Cost. Piuttosto che all’art. 23, in quanto la coattività e sì un elemento essenziale del tributo, ma non distintivo. Ne consegue che non è tributo qualsiasi prelievo coattivo, ma solo quei prelievi che, sebbene coattivi, presentano, da un lato un nesso sostanziale con un presupposto economicamente valutabile, rilevante quale indice di capacità contributiva; dall’altro lato un vincolo di destinazione del gettito derivante da tale prelievo a concorrere a coprire le spese pubbliche. A fronte di tale posizione del giudice delle leggi, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 14831 del 05/ 06/2008, hanno cristallizzato lo spartiacque che dovrà orientare la condotta di chi intenda ricorrere avverso un provvedimento di fermo amministrativo. Le Sezioni Unite, con l’ordinanza in questione hanno evidenziato, come nonostante la chiarezza del testo normativo, la

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questione relativa alla competenza del giudice tributario a conoscere del preavvisi di fermo, pone due problemi: quello del coordinamento della più volte richiamata disposizione introdotta nell’art. 19 del D. Lgs. n. 546/1992, con la norma espressa dall’art. 2 del medesimo decreto che fissa i limiti della giurisdizione tributaria, e quello della circoscrivibilità della competenza del giudice tributario a conoscere delle sole controversie concernenti il fermo di beni mobili registrati relativo alla riscossione di tributi. Il primo problema, secondo i giudici della S.C., si pone in quanto l’art. 2 del D.Lgs n. 546/1992, esclude dalla giurisdizione tributaria “le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’art.50 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto”. Già nel rispetto di quanto stabilito con la richiamata norma, le Sezioni Unite, anteriormente alla modifica dell’art. 19 del D. Lgs n. 546/1992, avevano ritenuto che in ordine al fermo dei beni mobili registrati, sussistesse la giurisdizione del giudice ordinario in quanto il fermo “è preordinato alla espropriazione forzata, atteso che il rimedio, regolato da norme collocato nel titolo II sulla riscossione coattiva delle imposte, si inserisce nel processo di espropriazione forzata esattoriale quale mezzo di realizzazione del processo di espropriazione forzata esattoriale quale mezzo di realizzazione del credito” (Cass. S.U. ord. nn 2053 e 14701 del 2006). Tale esegesi non può più essere mantenuta secondo la S.C. in quanto l’intervento del 2006 palesa la chiara volontà del legislatore di escludere il fermo dei beni mobili registrati dalla sfera tipica dell’espropriazione forzata. In siffatta prospetiva è evidente che la modifica introdotta all’art. 19 del D.Lgs n. 546/1992, collocando il fermo tra gli atti impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie,abbia di riflesso determinato una modifica all’art. 2 del medesimo decreto, in

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particolare nel secondo periodo del primo comma nella parte in cui esclude dalla giurisdizione tributaria le controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata successivi alla notifica della cartella esattoriale. Da tale lettura integrata emerge, dunque, con chiarezza la volontà del legislatore di generalizzare la giurisdizione tributaria, limitando quella del giudice ordinario alla sfera residuale dell’espropriazione forzata vera e propria, rispetto alla quale possono ben essere funzionali gli strumenti giurisdizionali di tutela del debitore garantiti dal codice di rito. In ordine al secondo dei quesiti sopra esposti, ovvero quello afferente al rapporto tra giurisdizione tributaria e crediti sottostanti all’impugnando provvedimento di fermo amministrativo, la Suprema Corte qualifica come determinante la mancata modifica del primo periodo del comma 1 dell’art.2 del D.Lgs 546/1992, a norma del quale la giurisdizione tributaria resta ancorata alle controversie concernente tributi. Alla luce dell’espresso orientamento in ordine all’impugnazione del fermo amministrativo può affermarsi in sintesi quanto segue: a) Occorre che il contribuente, una volta ricevuto il provvedimento di fermo, accerti la natura del credito contestato. Ove si tratti di tributo, il ricorso dovrà essere presentato innanzi alla Commissione Tributaria territorialmente competente; b) Ove, invece, il credito non dovesse avere la natura di tributo, sarà necessario impugnare il provvedimento innanzi al Giudice Ordinario, ovvero innanzi al Giudice di Pace o al Tribunale territorialmente competente, secondo l’ordinaria ripartizione per valore, seguendo il rito dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c; c) Qualora il credito che ha dato origine all’emissione del provvedimento di fermo dovesse avere natura “mista”, ovvero sia tributaria che non, secondo la soluzione indicata dagli stessi giudici della Cassazione con la sentenza in argomento, opererà, nell’ipotesi

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in cui il giudizio sia stato intrapreso, il principio della translatio iudicis. Il giudice adito, pertanto, separerà le cause, trattenendo quella parte per la quale egli ha giurisdizione e rimettendo la restante parte al giudice competente. 3.4 Il preavviso di fermo e relativa impugnabilità

Così come in ordine al fermo amministrativo, di cui si è già detto, anche sul preavviso di fermo e segnatamente sulla sua natura e sulla relativa impugnabilità o meno, si è sviluppato un nutrito dibattito dottrinario e giurisprudenziale che, tuttavia, da ultimo, pare sia stato definito con l’intervento delle SS.UU della Corte di Cassazione. Si premette che il preavviso di fermo è un istituto dell’Agenzia delle Entrare introdotto con nota n. 57413 del 9/04/2003, con la quale ha disposto che i concessionari, una volta emesso il provvedimento di fermo amministrativo dell’auto, ma prima di procedere alla iscrizione del medesimo, comunichino al contribuente moroso, un avviso ad adempiere al debito entro venti giorni, decorsi i quali si provvederà a rendere operativo il fermo. La citata nota dell’Agenzia delle Entrate, dispone, inoltre, che in caso di persistente inadempimento, il preavviso “vale, ai sensi dell’art. 4, comma 41, secondo periodo, del D.M. 7 settembre 1998 n. 503, come comunicazione di iscrizione del fermo a decorrere dal ventesimo giorno successivo”. Il preavviso e, dunque, l’unico atto con cui il contribuente viene messo a conoscenza dell’esistenza a suo carico di una procedura di fermo amministrativo dell’auto di sua proprietà. L’iscrizione del fermo, allo scadere dei venti giorni e persistendo la morosità, comporta il divieto di circolazione del veicolo e per i trasgressori è prevista una pena pecuniaria e la

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confisca del mezzo, nonché i rischi sul piano assicurativo in quanto le compagnie di assicurazioni non coprono più il veicolo fermato. Avuto riguardo al contenuto del preavviso di fermo ed agli effetti allo stesso connessi, la giurisprudenza è stata di diverso avviso, concludendo in un primo momento per la non impugnabilità dello stesso, e successivamente per l’impugnabilità dell’atto. Un primo orientamento, invero, escludeva l’impugnabilità del preavviso di fermo a motivo che tale atto non era ricompreso tra quegli atti indicati dall’art. 19 del D.Lgs n. 546/1992. Tale tesi, tuttavia, non teneva in alcun conto il fatto che il preavviso di fermo, collocato all’interno di un procedimento che consta di tre fasi, ossia del provvedimento di fermo, del preavviso e dell’iscrizione del fermo stesso, svolge una funzione totalmente analoga a quella svolta dall’avviso di mora, nel quadro della comune procedura esecutiva esattoriale, per cui la relativa impugnabilità non poteva essere esclusa. Con l’ordinanza dell’11/05/2009 n. 10672, le SS.UU della Corte di Cassazione, confermando un orientamento che già insistentemente si era affermato sia tra i giudici di merito, sia nelle decisioni della stessa Corte, ha fatto chiarezza ed ha stabilito, invece, che il fatto che il preavviso di fermo amministrativo non compaia esplicitamente nell’elenco degli atti impugnabili contenuto nel D.Lgs n. 546 del 1992 art. 19, non costituisce un ostacolo, in quanto, secondo un principio già affermato dalla stessa Corte, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nel citato art. 19, va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della pubblica amministrazione (art.97 Cost.), che in conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la L. n. 448 del 2001. Con la conseguenza che deve ritenersi impugnabile ogni atto che porti, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, in quanto sorge in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l’interesse , ex art. 100 c.p.c., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modoficabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare

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una tutela giurisdizionale, comunque di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva e/o connessi accessori vantati dall’ente pubblico (v. Cass nn. 21045 del 2007, 27385 del 2008). 3.5 L’avviso bonario

Un’altra questione che ha tenuto vivo il dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza attiene al c.d. avviso bonario che, come è noto, non è ricompreso tra gli atti impugnabili indicati nell’art. 19 del D.Lgs 546/1992. Tale circostanza ha indotto generalmente gli interpreti a ritenere che l’avviso bonario non sia impugnabile, in quanto non incide nella sfera giuridica del contribuente ed è finalizzato ad un mero sollecito che, ove non seguito dall’adempimento da parte del contribuente, deve essere reiterato sotto forma di uno degli atti finalizzati proprio alla riscossione. Tale ragionamento è stato confermato dalla S.C. con sentenza n. 1791 del 28/01/2005. Nella prassi avviene, tuttavia, che dietro atti che vengono indicati come “avviso bonario”, si cela nella sostanza un atto che, per il suo contenuto, non può non essere considerato un avviso di accertamento o un avviso di liquidazione. In tali casi, la S.C ha ritento che essi devono essere impugnati e, da ultimo, le Sezioni Unite della S.C., con sentenza n.*** del 20/03/2007, ha affermato che debbono esserequalificati come avvisi di accertamento o di liquidazione di un tributo tutti quegli atti con cui l’Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, compiuta e con condizionata, ancorchè tale comunicazione si concluda non con una formale intimazione al pagamento sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell’attività esecutiva, bensì con un invito bonario a versare quanto dovuto. Non sono, invece, immediatamente impugnabili le comunicazione che contengano un invito a fornire eventuali dati o

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elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione dei tributi, le quali manifestano una volontà impositiva ancora in itinere e non formalizzata in un atto definitivo cancellabile solo in via di autotutela o attraverso l’intervento del giudice. Il contribuente che avrà ricevuto un avviso bonario, dovrà, dunque, valutarne attentamente il contenuto ed ove esso si concretizzi in una pretesa di pagamento già definita, dovrà proporre impugnazione al fine di ottenerne l’annullamento.

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Capitolo IV Il processo tributario 4.1 Azioni esperibili ed oggetto del ricorso

La disciplina del processo tributario è contenuta nel D.lgs 30 dicembre 1992 n. 546, di cui abbiamo esaminato l’art. 19 allorquando si è trattato degli atti che possono essere impugnati innanzi al giudice tributario. Dallo stesso art. 19 si traggono, tuttavia, altri elementi riguardanti il processo tributario e segnatamente: a) che l’atto introduttivo del giudizio è costituito sempre dal ricorso; b) che gli atti impugnabili devono contenere l’indicazione del termine entro il quale il ricorso deve essere proposto e della commissione tributaria competente, nonché delle relative forme da osservare ai sensi dell’art. 20 stessa legge; c) che gli atti diversi da quelli indicati espressamente dal legislatore non possono essere impugnati autonomamente; d) che ognuno degli atti impugnabili autonomamente, può essere impugnato solo per vizi propri; d) che la mancata notificazione degli atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ ultimo. Da tali principi si evince inequivocabilmente come il legislatore abbia voluto tipizzare le controversie di competenza delle commissioni tributarie e, nel contempo, come abbia voluto escludere che potesse verificarsi un effetto estensivo della sfera degli atti impugnabili, così come dei vizi propri che possono essere evidenziati in giudizio. Il processo tributario ha una struttura impugnatoria e, tuttavia, è ancora molto vivace il dibattito della dottrina in ordine all’inquadramento teorico- sistematico del detto processo.

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Vi è una parte della dottrina che ha sostenuto che il processo tributario presenterebbe i caratteri del processo, di stampo amministrativistico, di annullamento totale o parziale di provvedimenti amministrativi lesivi dell’interesse legittimo del contribuente, con la conseguenza che a fronte di provvedimenti illegittimi, la solo tutela giurisdizionale accordabile è quella che porti all’annullamento dell’atto per vizi di natura formale. Vi è un’altra parte della dottrina che, invece, ha affermato l’esigenza che il processo tributario, malgrado la sua natura impugnatoria, debba concepito di stampo civilistico, in quanto avente ad oggetto l’accertamento negativo dell’obbligazione tributaria. A tale conclusione si è giunti sulla scorta delle seguenti considerazioni: gli atti impugnabili non possono essere equiparati ad atti amministrativi, mancando in capo all’ente impositore ogni e qualsiasi discrezionalità; i termini brevi decadenziali entro cui deve essere esercitato il diritto di difesa, così come la possibilità di ottenere l’annullamento degli atti impugnati solo per vizi formali, non si conciliano con la natura dichiarativa del processo tributario; la precisa determinazione degli atti impugnabili porterebbe a canonizzare l’interesse processuale ad agire. Secondo la giurisprudenza il processo tributario sarebbe caratterizzato dalla compresenza di entrambi gli aspetti attinenti ora al processo impugnatorio (modalità di introduzione del giudizio con ricorso e rilevanza dei vizi formali), ora al processo di natura civilistica con effetti dichiarativi (accertamento del rapporto obbligatorio tributario). La disquisizione sui caratteri del processo tributario, con la posizione di compromesso adottata dalla giurisprudenza, trova risposta anche nell’elenco degli atti impugnabili innanzi alle commissioni tributarie, contenuto nell’art. 19 del D.Lgs 546/92 che è eterogeneo e che, induce a ritenere che effettivamente si è in presenza di un processo impugnatorio, allorquando, come nel caso dei ricorsi avverso gli avvisi di accertamento o avverso gli avvisi di liquidazione del tributo e dei provvedimenti sanzionatori, giacchè tali

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atti sono tipicamente espressivi di una funzione amministrativa e, pertanto, devono essere considerati veri e propri atti amministrativi. Con la conseguenza che l’unica tutela invocabile dal contribuente è quella volta all’annullamento dell’atto e con esso della pretesa vantata dall’amministrazione finanziaria o dall’ente impositore in genere. Diverso è, invece, l’oggetto della domanda nel caso di controversie riguardanti le operazioni catastali di cui all’art. 2, o quelle avente ad oggetto il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori dovuti; quelle relative al diniego o alla revoca di agevolazioni o al rigetto di domanda di definizione agevolata di rapporti tributari. In tali fattispecie, infatti, la domanda non potrà non avere un contenuto dichiarativo che finisca con l’accertare il diritto del contribuente al rimborso delle somme, al condono ecc... Per ciò che concerne, infine, le controversie aventi ad oggetto gli atti della riscossione (iscrizione a ruolo, ingiunzione fiscale, cartella di pagamento, sospensione del rimborso, pronuncia di compensazione), il carattere del processo tributario è stato posto in stretta relazione con la natura che è stata attribuita a tali atti; se, infatti, ad essi viene attribuita natura provvedimentale, la tutela giurisdizionale non potrà non avere carattere impugnatorio, se, invece, vengono considerati meri atti, ad essi vanno correlate tutele meramente dichiarative di carattere civilistico. 4.2 Il processo tributario. Principi generali

La nuova disciplina del processo tributario sono contenute nel D.Lgs. n. 546/1992, le cui disposizioni sono applicabili a far data dall’01/04/1996. Le principali novità contenute nel citato decreto consistono: a) nella riduzione di un grado di giudizio di merito, con l’abolizione della Commissione Tributaria Centrale e nella previsione di un giudizio di legittimità dinanzi alla Corte di Cassazione;

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b) nella sostituzione delle previgenti Commissioni di primo e di secondo grado rispettivamente con le Commissioni provinciali e regionali; c) nell’ampliamento della giurisdizione delle Commissioni tributarie, la cui cognizione è estesa oltre che alle controversie in materia di tributi erariali, già di competenza delle soppresse commissioni tributarie, anche alle controversie riguardanti tributi comunali e provinciali; d) nell’obbligo di assistenza tecnica per le controversie aventi ad oggetto tributi di valore superiore ad • 2.582,28, eccezion fatta per quelle relative ai ruoli formati dai Centri di servizio e per quelli che hanno come ricorrente il soggetto che è in possesso dei requisiti per l’assistenza tecnica; e) nella possibilità di condanna della parte soccombente a sostenere le spese del giudizio; f) nella possibilità per le Commissioni di accordare la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato; g) nella possibilità di esperire la conciliazione giudiziale; h) nella possibilità di ottenere il giudizio di ottemperanza. L’art. 1 del D.Lgs.546/1992 al comma 1 stabilisce che la giurisdizione tributaria è esercitata dalle commissioni tributarie provinciali e dalle commissioni tributarie regionali. Come si è detto la giurisdizione tributaria ha per oggetto la cognizione delle controversie che insorgono nell’ambito del rapporto tributario concernente le materie indicate nel successivo art. 2 del citato decreto. La norma in esame, superando le precedenti perplessità in ordine alla natura giurisdizionale delle commissioni tributarie, sorte a seguito di contrastanti pronunzie giurisprudenziali, attribuisce in modo inequivoco e definitivo, alle nuove commissioni tributarie provinciali e regionali, l’esercizio della giurisdizione tributaria. Le Commissioni provinciali, aventi sede in ciascun capoluogo di provincia, sono giudici di prima istanza, mentre le Commissioni tributarie regionali, avente sede nei capoluoghi delle varie regioni, sono giudici d’appello.

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Il legislatore, così come si legge nella relazione ministeriale al D.Lgs. n. 546/1992, non ha voluto prendere posizione in ordine alla nota questione della natura della giurisdizione tributaria, se debba essere intesa come attività tendente all’annullamento degli atti ovvero volta all’accertamento dei rapporti. Tuttavia, in forza della fondamentale regola contenuta nell’art. 1, comma 2 del decreto in argomento, il processo tributario è disciplinato secondo i caratteri propri del processo civile, salvo alcune peculiarità connesse alla specificità della materia tributaria. Ciò lascerebbe propendere per una natura civilistica del processo tributario, ma non può, comunque, negarsi che vi sono dei parallelismi tra il processo tributario e quello amministrativo. Nel tentativo, comunque, di enucleare i tratti più salienti del processo tributario, si può affermare che: a) così come il processo civile, anche quello tributario è fondato sul principio dispositivo, per cui è rimesso all’esclusivo potere delle parti, sia l’individuazione del contenuto del ricorso, sia dei fatti posti a fondamento della domanda; b) a differenza del processo civile, ed in coerenza con quello amministrativo, il processo tributario è dominato dall’impulso ufficioso, per quel che concerne la ricerca e l’acquisizione delle prove e, in genere, lo svolgimento del processo; c) peculiare del processo tributario è, poi, la concentrazione e collegialità della trattazione della controversia, essendo mancante la distinzione tra la fase istruttoria e quella decisoria, tant’è che sin dalla prima udienza la causa viene trattata in sede collegiale per essere decisa, mentre è solo eventuale la disposizione ad opera del collegio la disposizione di adempimenti istruttori; d) manca, inoltre, nel processo tributario l’ipotesi di una definizione parziale della controversia, essendo espressamente esclusa la possibilità di emettere sentenze che non siano definitive o limitate a decidere solo su alcune domande proposte; e) altra caratteristica del processo tributario è che esso è fondamentalmente documentale, posto che le controversie incoate

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innanzi ai giudici tributari, vengono prevalentemente definite sulla scorta della documentazione prodotta dalle parti. E’, inoltre, esclusa la possibilità di produrre prove orali nella forma dell’interrogatorio formale, del giuramento e della prova testimoniale. Va, comunque, considerato che l’oralità ha nel processo tributario una importante parte, sia nel momento della discussione, sia per il potere che è riconosciuto ai giudici tributari di convocare le parti e di richiedere loro chiarimenti che, una volta acquisiti agli atti del processo, concorrono nella formazione del convincimento del giudice al pari di tutti gli altri elementi acquisiti con la documentazione prodotta dalleparti stesse; f) Del pari, nel processo tributario non hanno ingresso le c.d.prove legali e le controversie devono essere decise sulla base del libero convincimento del giudice che si fonda sulle prove prodotte dalle parti o acquisite d’ufficio. 4.3 Le parti del processo tributario, la loro rappresentanza e l’assistenza in giudizio

Le parti del processo tributario sono individuate dall’art. 10 del D.Lgs n. 542/1992, oltre che nel ricorrente, nell’ufficio del Ministero delle Finanze o nell’ente locale o nel concessionario del servizio di riscossione che ha emanato l’atto impugnato o non ha emanato l’atto richiesto, ovvero, se l’ufficio è un centro di servizio, nell’ufficio delle entrate del Ministero delle finanze al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso. La norma innanzi tutto considera il ricorrente che costituisce la parte attiva del processo in quanto titolare dell’azione o legittimato a proporre impugnazione. Nella maggior parte dei casi la figura del ricorrente coincide con quella del contribuente, ovvero del debitore di un tributo il cui pagamento gli viene richiesto mediante un atto per il cui annullamento egli ha interesse ad agire in giudizio.

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Talvolta, il contribuente può adire il giudice tributario al fine di ottenere il rimborso di somme che ha pagato e che non erano dovute in tutto o in parti ed in tali casi, l’azione prescinde dalla notifica di un atto impugnabile. Il altri casi ancora, la veste di ricorrente è assunta da soggetti diversi dal contribuente, quale il destinatario di una sanzione, che può essere un soggetto diverso dall’obbligato per il tributo, ovvero il sostituto d’imposta che ha “legitimatio ad causam” per vicende inerenti il rapporto di sostituzione. La norma considera, inoltre parte, l’Ufficio o l’Ente che ha emanato l’atto impugnato o che non ha emanato l’atto richiesto, ovvero gli Uffici del Ministero delle Finanze competenti alla amministrazione del tributo di cui si controverte. Per ciò che riguarda gli atti emanati dai Centri di servizio, l’art. 10 precisa che parte del processo è l’Ufficio che ha competenza in merito al rapporto controverso, ossia l’Ufficio delle Entrate. Viene considerata parte, oltre agli Uffici del Ministero delle Finanze anche l’ente locale, ovvero il Comune, la Provincia o la Regione, in relazione a tributi di rispettiva competenza, nonché il concessionario del servizio di riscossione, per il caso in cui vengono sollevati vizi inerenti ad errore allo stesso imputabili. La qualità di “parte” del processo tributario è, dunque, determinata dall’essere stati autore o destinatario dell’atto o comportamento che ha reso necessario il ricorso al giudice. L’art. 11 del D.Lgs 546/1992, stabilisce, al comma 1, che “le parti diverse da quelle indicate nei commi 2 e 3 possono stare in giudizio anche mediante procuratore generale o speciale”. La procura è di regola conferita a mezzo di atto pubblico o con scrittura privata autenticata. Nel caso in cui siano destinatari il coniuge o gli affini entro il quarto grado, la procura può essere conferita a mezzo di scrittura privata non autenticata, ma ai soli fini della partecipazione all’udienza pubblica di discussione. Al comma 2 precisa che “l’Ufficio del Ministero delle finanze nei cui confronti è proposto il ricorso sta in giudizio direttamente o

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mediante l’ufficio del contenzioso della direzione regionale o compartimentale ad esso sovraordinata”. Al comma 3, infine, chiarisce che “l’ente locale nei cui confronti è proposto ricorso, può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell’ufficio tributi, ovvero per gli enti locali privi di figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa in cui è collocato detto ufficio77". Con riferimento a tale ipotesi va puntualizzato che , qualora la controversia riguardi l’imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni o la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche ed il relativo servizio di accertamento e di riscossione sia stato affidato in concessione a norma degli artt. 25 e 52 del D.Lgs 15/11/1993 n. 507, legittimato a stare in giudizio è il suddetto concessionario che, in forza di quanto disposto dall’art. 25 del D.Lgs.n. 507/1993, subentra al Comune in tutti i diritti ed obblighi inerenti la gestione del servizio. Una importante innovazione introdotta nel processo tributario dall’art.12 del D.Lgs n. 456/1992, riguarda la regola dell’obbligatorietà dell’assistenza tecnica (salvo che per le liti di valore inferiore a 5 milioni di lire), per le parti diverse dall’Ufficio finanziario e dall’Ente locale a mezzo di un difensore abilitato. Per la determinazione del valore deve farsi riferimento al valore del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente all’irrogazione di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste. La necessità dell’assistenza tecnica nel processo tributario trova la suo origine nel fatto che esso si è arricchito di maggiori tecnicismi che, soprattutto per le controversie aventi un valore più considerevole, non può essere lasciato alla sola iniziativa della parte. Oltre agli avvocati, abilitati alla difesa tecnica innanzi al giudice tributario, sono anche i dottori commercialisti, i ragionieri ed i periti commerciali, ed i consulenti del lavoro, purchè non dipendenti dalla amministrazione pubblica. Sono, altresì, abilitati per l’assistenza tecnica innanzi alle commissioni tributarie, se iscritti nei relativi albi professionali, gli

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ingegneri, gli architetti, i periti edili, i geometri, i dottori agronomi, gli agrotecnici ed i periti agrari, per le controversie concernenti l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, la consistenza ed il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale e gli spedizionieri doganali per le materie concernenti i tributi amministrati dalle Agenzie delle dogane. Con Decreto ministeriale 18 novembre 1996 n. 631 è stato approvato il Regolamento recante la disciplina dell’assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie provinciali e regionali.78 Per i primi due gradi del giudizio vale la disciplina speciale relativa all’assistenza tecnica di cui si è detto, mentre per i ricorsi innanzi alla Corte di Cassazione, vigono le norme di procedura civile e, pertanto, la difesa dovrà essere affidata solo ad avvocati iscritti nell’apposito albo, nonché all’Avvocatura generale dello Stato. Una ulteriore innovazione introdotta dal D.Lgs 546/1992 rispetto alle previgenti norme che regolavano il processo tributario, riguarda la possibile pluralità di parti nel processo. La norma in questione è l’art. 14 del citato decreto che disciplina l’istituto del litisconsortio e dell’intervento. Essa stabilisce che: a) “Se l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi; se il ricorso non è proposto da o nei confronti di tutti i soggetti indicati nel comma 1, è ordinata l’integrazione del contraddittorio mediante la loro chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza.” b) possono intervenire volontariamente o essere chiamati in giudizio i soggetti che, insieme al ricorrente, sono destinatari dell’atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso. Le parti chiamate si costituiscono in giudizio nelle forme prescritte per la parte resistente, in quanto applicabili.

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I soggetti indicati nei punti 1 e 3 intervengono nel processo notificando apposito atto a tutte le parti e costituendosi nelle forme di cui al comma precedente. c) Le parti chiamate in causa o intervenute volontariamente non possono impugnare autonomamente l’atto se per esse, al momento della costituzione in giudizio, è già decorso il termine di decadenza. Dalla norma in esame si evince che nel caso in cui il ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, tutti i legittimi contraddittori devono essere parte nello stesso processo. Pertanto, il ricorso introduttivo del giudizio deve essere proposto e notificato nei confronti di tutte le parti, tant’è che allorquando non si è provveduto in tal senso, il giudice dispone l’integrazione del contraddittorio entro un termine dallo stesso fissato a pena di decadenza. All’integrazione del contraddittorio dovrà provvedere la parte che ha interesse alla prosecuzione del giudizio, mediante la notificazione del ricorso introduttivo del giudizio e del provvedimento della commissione che ordina l’integrazione del contraddittorio. Successivamente, l’atto notificato al litisconsorte deve essere depositato in giudizio a cura della parte che ha eseguito la notificazione entro il termine perentorio fissato dal giudice. Quest’ultimo, accertata la regolarità della notificazione del ricorso al litisconsorte, fisserà la data dell’udienza di trattazione che verrà poi comunicata alle parti, a cura della cancelleria della commissione tributaria. In caso di mancata integrazione del contraddittorio, nel termine perentoriamente stabilito dal giudice, il processo si estingue. Per quanto attiene, invece, all’altra ipotesi presa in esame dall’art. 14 del D.Lgs 546/92, ovvero al litisconsortio facoltativo, si fa riferimento all’istituto dell’intervento volontario e della chiamata in giudizio, sia su istanza di parte, sia per ordine del giudice. Nel caso di intervento volontario si fa riferimento all’ipotesi in cui un terzo, spontaneamente, ritenendo di poter subire indirettamente gli effetti di una sentenza emessa dal giudice tributario, si costituisce in giudizio al fine di seguirne lo sviluppo.

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Il comma 4 dell’articolo in esame prevede che le parti chiamate, sia in caso di litisconsortio necessario, che di litisconsortio facoltativo, debbono costituirsi in giudizio con le modalità prescritte dall’art. 23 per la parte resistente, ovvero mediante il deposito del proprio fascicolo nella segreteria della commissione, entro il termine di sessanta giorni da quello di notificazione dell’atto di chiamata in causa. Il comma 5, per l’ipotesi dell’intervento volontario, in caso di litisconsortio necessario che di litisconsortio facoltativo, stabilisce che lo stesso si realizza mediante un atto scritto che deve essere notificato a tutte le parti e tramite la successiva costituzione in giudizio dell’interveniente. Tale costituzione deve avvenire nelle stesse forme sopra riportate e prescritte per il chiamato in causa, con la differenza che il termine di sessanta giorni decorre dall’avvenuta notifica dell’atto di intervento. L’intervento deve ritenersi ammissibile in qualsiasi momento nel corso del giudizio, a condizione che, comunque, la costituzione dell’interveniente deve avvenire nel termine di almeno venti giorni liberi prima dell’udienza. Va sottolineato, comunque, che deve escludersi che nel processo tributario possano trovare spazio sia l’intervento principale (ex art. 105 c.p.c, comma 1), sia per l’intervento adesivo dipendente (ex art. 105 c.p.c comma 2). Nel primo caso perchè non possono presentarsi nel processo tributario i relativi presupposti, nel secondo caso, perchè avendo il legislatore limitato l’intervento soltanto a chi è destinatario dell’atto, o parte del rapporto tributario controverso,ha implicitamente escluso che nel processo tributario possa intervenire chi è soltanto titolare di situazioni giuridiche dipendenti da quella principale. 4.4. Il ricorso, la notifica e la costituzione delle parti

Il processo tributario viene introdotto con ricorso alla Commissione tributaria provinciale e, secondo quanto stabilito dall’art. 18 del D. Lgs n. 546/1992, deve contenere l’indicazione:

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a) della commissione tributaria cui è diretto; b) del ricorrente e del suo legale rappresentante, della relativa residenza o sede legale o del domicilio eventualmente eletto nel territorio dello stato, nonché del codice fiscale; c) dell’Ufficio del Ministero delle finanze o dell’ente locale o del concessionario del servizio di riscossione nei cui confronti il ricorso è proposto; d) dell’atto impugnato e dell’oggetto della domanda; e) dei motivi. Sono questi gli elementi sia soggettivi che oggettivi del ricorso, i quali, ad eccezione dell’indicazione del codice fiscale, non possono essere incerti o essere omessi, pena inammissibilità del ricorso stesso, così come previsto dal quarto comma del citato art. 18. Fondamentale è la corretta indicazione dell’oggetto della controversia e dei motivi che sorreggono la richiesta avanzata al giudice, giacchè è da tali elementi che si desumono i corretti termini della controversia su cui la commissione è chiamata a pronunziarsi. I motivi del ricorso che, così come previsto dalla previdente normativa processuale, non possono essere in alcun modo omessi, devono essere tutti indicati, non potendosi ritenere che la parte che abbia fondato il ricorso solo su alcuni vizi, riservandosi di integrare ulteriori eccezioni nel corso del giudizio, possa con memorie aggiuntive ampliare l’oggetto del contendere, a meno che non si ricorra nell’ipotesi di cui all’art. 24 del D.Lgs 546/92 che consente espressamente la proposizione di motivi aggiunti, quando essa sia resa necessaria dal deposito di documenti non conosciuti dalle altre parti. Il ricorso, così come le successive memorie depositate nel corso del giudizio, deve essere sottoscritto dalla parte personalmente, ovvero, ove quest’ultima abbia conferito mandato, dal suo difensore. Ove dovesse mancare la sottoscrizione, il ricorso è inammissibile. La proposizione del ricorso avviene mediante un duplice adempimento, ovvero la notifica dello stesso all’Ufficio che ha

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emanato l’atto impugnato o che non ha emanato l’atto richiesto ed il successivo deposito o costituzione in giudizio del ricorrente che dir si voglia. La notificazione può essere eseguita nelle seguenti forme: a) mediante ufficiale giudiziario, il quale consegna la copia conforme all’originale del ricorso all’Ufficio che ha emanato l’atto impugnato, sottoscritta dal ricorrente o dal suo difensore (vedasi art. 173 e segg. c.p.c.); b) mediante consegna del ricorso, in forma originale e sottoscritto dal ricorrente o dal suo difensore, a pena di nullità, all’Ufficio che ha emanato il provvedimento impugnato; c) mediante spedizione del ricorso, in forma originale e sottoscritto dal ricorrente o dal suo difensore, a pena di nullità, a mezzo posta in plico raccomandato, senza busta , con avviso di ricevimento. L’Ufficio, una volta ricevuto l’atto, dovrà verificarne la tempestività, ovvero l’avvenuta proposizione del ricorso entro il termine di sessanta giorni dalla notifica. Il termine per ricorrere è, invece, di novanta giorni dalla data in cui è stata avanzata una domanda di rimborso all’Ufficio, qualora venga impugnato il rifiuto tacito della domanda. L’Ufficio dovrà anche verificare la ritualità del ricorso, ovvero l’avvenuta proposizione dello stesso nelle forme sopra riportate. A tal proposito occorre precisare che il ricorso si considera temporalmente proposto nel giorno in cui ne viene effettuata la spedizione a mezzo posta, in quanto fa fede il timbro postale; nel giorno in cui l’Ufficiale Giudiziario ne ha consegnato copia all’Ufficio avverso cui il ricorso è proposto, come risulterà attestato dalla relata di notifica posta in calce all’atto; nel giorno in cui il ricorso è stato direttamente consegnato all’Ufficio ed in tal caso la data del deposito risulterà dalla ricevuta che l’Ufficio destinatario è tenuto a rilasciare. L’eccezione di inammissibilità del ricorso perchè tardivo è rilevabile anched’ufficio, in ogni stato e grado del processo.

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Con riferimento alla decorrenza del termine per ricorrere, va rilevato che, nel processo tributario, a differenza di quello amministrativo, rileva la valida notifica dell’atto e non la conoscenza di fatto che di esso si possa eventualmente avere avuto. Ciò si evince, sia dalla natura ricettizia degli atti impugnabili che, ove non validamente notificati, devono ritenersi improduttivi di effetti giuridici, sia dal disposto dell’art. 21 del D.Lgs n. 546/1992 che testualmente recita: “Il ricorso deve essere proposto a pena di inammissibilità entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto impugnato. La notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo”. Quanto sin qui detto, tuttavia, non preclude al destinatario di un atto di cui, ancorchè non validamene notificato, sia venuto a conoscenza, di proporre comunque ricorso al fine di ottenerne l’annullamento. L’adempimento successivo alla notifica, è la costituzione del ricorrente in giudizio, disciplinata dall’art. 22 del D.Lgs n. 546/ 92 e che deve avvenire, anch’essa a pena di inammissibilità, mediante deposito, entro trenta giorni dalla notifica, della copia del ricorso notificato, unitamente alla copia del provvedimento impugnato e dei documenti che si offrono in produzione. Anche nel caso di mancata o tardiva costituzione del ricorrente, l’inammissibilità del ricorso è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, anche se la parte resistentesicostituisce regolarmente. Nel caso in cui il ricorso sia stato notificato a mezzo di consegna o spedizione a mezzo di servizio postale, la conformità dell’atto depositato a quello consegnato o spedito, è attestata dallo stesso ricorrente. Se l’atto depositato nella segreteria della commissione non è conforme a quello consegnato o spedito alla parte nei cui confronti il ricorso è proposto, il ricorso è inammissibile.

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Sull’argomento la Corte Suprema di Cassazione ha affermato che la mancanza di attestazione di conformità non costituisce causa di inammissibilità, ma solo la loro effettiva difformità.80 Anche la parte resistente, ovvero l’Ufficio del Ministero delle finanze, l’ente locale o il concessionario del servizio di riscossione nei cui confronti è stato proposto il ricorso, dovrà costituirsi in giudizio entro sessanta giorni dal giorno in cui il ricorso è stato notificati, consegnato o ricevuto a mezzo del servizio postale.81 La costituzione si effettua mediante deposito, presso la segreteria della Commissione adita, di un fascicolo contenente una memoria di controdeduzioni, in tante copie quante sono le parti in giudizio, nonché tutta la documentazione che si intende offrire in comunicazione. Con le controdeduzioni la parte resistente propone le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, nonché la eventuale chiamata in causa del terzo, ai sensi del comma 3 dell’art. 23 del D.Lvo n. 546/1992. La parte resistente che non si costituisce in giudizio non riceverà l’avviso di trattazione che la segreteria della Commissione adita dovrà inoltrare a tutte le parti costituite almeno trenta giorni liberi prima, con la conseguenza di non potersi costituire, neanche tardivamente, mediante deposito di memoria ilustrativa fino a dieci giorni liberi prima dalla data di trattazione e di non poter richiedere la discussione in pubblica udienza, ex art. 33 comma 1 del citato decreto. Dall’esame delle richiamate norme che riguardano la costituzione di parte resistente e di parte ricorrente, si desume che solo per quest’ultima il termine fissato per la costituzione è perentorio con la conseguente inammissibilità nel caso in cui esso non venga rispettato, mentre il termine per la costituzione di parte resistente è ordinatorio, ben potendosi ritenere ammissibile la costituzione tardiva dell’Ufficio.

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In tale ipotesi, rimane, comunque preclusa la possibilità per quest’ultimo di depositare documenti fino a venti giorni prima dell’udienza, nonché di depositare memorie illustrative e di chiedere la discussione in pubblica udienza, fino a dieci giorni liberi prima della data di trattazione del ricorso. 4.5 La produzione di documenti e motivi aggiunti

Secondo quanto disposto dall’art. 24 del D.Lvo n. 546/1992, i documenti che si producono devono essere elencati negli atti di parte cui sono allegati, ovvero, se prodotti separatamente, in apposita nota sottoscritta da depositare in originale ed in numero di copie, in carta semplice, pari a quello delle altre parti. Qualora dalla produzione documentale effettuata dalle parti o ordinata dalla Commissione, si renda necessario presentare motivi di ricorso aggiunti, ciò deve essere fatto entro sessanta giorni dalla data in cui l’interessato ha avuto notizia del deposito. Qualora sia già stata fissata l’udienza di trattazione della controversia, la parte che intende presentare motivi aggiunti, a pena di inammissibilità, deve dichiararlo, non oltre la trattazione in camera di consiglio o la discussione in pubblica udienza. In tal caso la trattazione o l’udienza debbono essere rinviate ad altra data per consentire alla parte che ne ha rappresentato la necessità di proporre gli ulteriori motivi di ricorso. La possibilità di proporre motivi aggiunti, rappresenta una novità introdotta dalla citata norma che è comunque, subordinata all’avvenuto deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti, così come stabilito anche dalla S.C. Va sottolineato che la norma in parola non prevede alcun onere né per la segreteria della Commissione, né per le parti, di comunicare l’avvenuto deposito di memorie o di documenti e, pertanto, la loro conoscenza è frutto del diligente controllo dell’attività e del fascicolo processuale di cui ogni parte è onerata.

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Un’ultima considerazione utile attiene alle modalità di presentazione dei motivi aggiunti che, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 24, si effettua mediante un atto avente i requisiti del ricorso e non della c.d. Memoria illustrativa. I motivi aggiunti, dunque, devono essere redatti con la stessa forma del ricorso. Il ricorso deve essere notificato alla parte resistente ed a tutte le altre parti eventualmente in causa ed, infine, deve essere depositato nella segreteria della Commissione. 4.6 La fase introduttiva del giudizio: l’esame preliminare del ricorso e la tutela cautelare

L’istituto dell’esame preliminare del ricorso è regolato dagli artt. 27 e 28 del D.Lvo n. 546/1992 . Esso consiste nella prerogativa che viene riconosciuta al Presidente della Sezione di esaminare preliminarmente il ricorso, una volta scaduti i termini di costituzione in giudizio delle parti, e, ove ne ricorrano i presupposti, di dichiarare la inammissibilità, ovvero la sospensione, l’interruzione o l’estinzione del procedimento. E’ evidente che l’esame preliminare del ricorso risponde ad esigenze di economia processuale in quanto evita che si porti alla trattazione un ricorso che si presenti ad esempio, ictu oculi, inammissibile per carenza di sottoscrizione o perchè proposti fuori termine. A garanzia del contribuente, però, i decreti emessi dal Presidente della sezione, non sono definitivi. Essi, infatti, sono impugnabili a mezzo di reclamo innanzi all’organo collegiale, entro il termine di trenta giorni dalla data delle loro comunicazione da parte della segreteria. Il reclamante, nel termine perentorio di quindici giorni dall’ultima notificazione, a pena di inammissibilità rilevabile d’ufficio, deve effettuare il deposito del ricorso. Nei successivi quindici giorni dalla notifica del reclamo, le altre parti interessate possono presentare memorie.

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Scaduti i termini, la Commissione decide immediatamente il reclamo in camera di consiglio. La commissione pronuncia sentenza se dichiara inammissibile il ricorso o l’estinzione del processo; negli altri casi pronuncia ordinanza non impugnabile nella quale vengono dati i provvedimenti per la prosecuzione del processo. La tutela cautelare, consiste nella possibilità che la Commissione adita, nelle more della definizione del giudizio nel merito, possa sospendere l’atto impugnato, ove il ricorrente lo abbia richiesto con il ricorso o con una successiva istanza, allorquando allo stesso ne possa derivare un danno grave ed irreparabile. L’istituto è regolato dall’art. 47 del D.Lvo n. 546/1992 il quale prevede che: - Il ricorrente, se dall’atto impugnato può derivargli un danno grave ed irreparabile, può chiedere alla Commissione provinciale competente la sospensione dell’esecuzione dell’atto stesso, con istanza motivata proposta nel ricorso o con atto separato, notificato alle altre parti e depositato in segreteria sempre che siano osservate le disposizioni di cui all’art. 22; - Il Presidente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile, disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima; - In caso di eccezionale urgenza, il presidente, previa delibazione del merito, con lo stesso decreto, può motivatamente disporre la provvisoria sospensione dell’esecuzione fino alla pronuncia del collegio; - Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito, provvede con ordinanza motivata non impugnabile; - La sospensione può essere anche parziale e subordinata alla prestazione di idonea garanzia mediante cauzione o fideiussione bancaria o assicurativa, nei modi e termini indicati nel provvedimento;

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- Nei casi di sospensione dell’atto impugnato, la trattazione della controversia deve essere fissata non oltre novanta giorni dalla pronunzia; - Gli effetti della sospensione cessano dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado; - In caso di mutamento delle circostanze la commissione su istanza motivata di parte, può revocare o modificare il provvedimento cautelare prima della sentenza, osservate, per quanto è possibile le forme di cui ai precedenti commi 1, 2 e 4. Richiamata la disciplina della tutela cautelare bisogna evidenziare che presupposti della tutela cautelare si ravvisano nella sussistenza del fumus bonijuris (ossia in una valutazione preliminare di probabile fondatezza del ricorso), nonché del periculum in mora, (ovvero, nel pregiudizio che il ricorrente potrebbe subire qualora l’atto impugnato venisse portato ad esecuzione nelle more della pendenza del giudizio. Ne consegue che, avuto riguardo al requisito del danno grave ed irreparabile, il ricorrente ha l’onere di supportare la richiesta con argomentazioni che riguardino non solo l’entità della somma richiesta dall’ente impositore, ma anche la propria condizione economica, onde poter porre il collegio nelle condizioni di valutare compiutamente se dall’esecuzione dell’atto, effettivamente il contribuente, possa subire quel danno grave ed irreparabile richiesto dal riportato art. 47. Ci si è chiesto se la sospensione dell’esecuzione possa essere invocata anche nei giudizi di impugnazione di atti negativi ed a tal proposito, benchè anche da atti negativi, come ad esempio nell’ipotesi di rifiuto di un consistente rimborso, possono derivare al contribuente danni gravi ed irreparabile, va osservato che nel processo tributario la tutela cautelare è possibile solo per la sospensione di un atto impugnato. Il che porta ad escludere che possa essere richiesta la sospensione di un c.d. atto negativo. Per quanto dalla lettura dell’art. 47 del D.lvo n. 546/1992 sembra che la sospensione cautelare sia limitata solo al primo grado,

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non mancano le pronunzie giurisprudenziali che ritengono, anche in grado di appello, ammissibile tale richiesta ritenendolo compatibile con quanto stabilito dagli artt. 49 e 61 del D.lvo 546/1992. L’art. 49, infatti, prevede che alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo III°, capo I°, del libro II° del codice di procedura civile, eccezion fatta per l’art. 337 e fatto salvo quanto disposto nello stesso decreto. L’art. 61 stabilisce, invece, che nel procedimento di appello si osservano in quantoapplicabili le norme dettate per il procedimento di primo grado, se non sono incompatibili con le disposizioni dettate per il giudizio di appello innanzi alle commissioni tributarie regionali. La questione è comunque ancora dibattuta sia in dottrina che in giurisprudenza. 4.7 L’istruttoria del processo tributario

Nell’ambito del processo tributario non si distingue una fase istruttoria ed una fase decisoria della controversia. In proposito è l’ art. 7 del D.Lvo 546/1992 a disporre che: a) ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, le commissioni esercitano tutte le facoltà di accesso, di richiesta dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari ed all’ente locale da ciascuna legge d’imposta; b) le Commissioni tributarie, quando devono acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità, possono chiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell’amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici, compreso il Corpo della Guardia di Finanza, ovvero disporre consulenza tecnica; c) non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale; d) se le commissioni tributarie ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione , non lo applicano, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salvo l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente.

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La vigente normativa, dunque, attribuisce alla commissioni tributarie, a differenza della previgente normativa processuale, poteri istruttori di approfondimento, nei soli limiti dei fatti dedotti dalle parti. Viene, in buona sostanza, ad essere attributa alle commissioni tributarie il potere di ricercare la verità, al di là della regolarità formale degli atti impositivi, attraverso l’acquisizione di notizie, di relazioni e di atti che devono concorrere alla formazione del convincimento del giudice. Il processo tributario, dunque, anche per l’espressa esclusione delle prove orali, si svolge esclusivamente su basi documentali e, pertanto, le parti devono assolvere all’onere probatorio sulle stesse gravanti, indipendentemente dei poteri istruttori riconosciuti alle commissioni tributarie. Per quanto, come detto, sono escluse nel processo tributario le prove orali, ovvero il giuramento e le prove testimoniali, la giurisprudenza prevalente ritiene che i verbali di testimonianze acquisite in altri processi, così come le dichiarazioni di terzi acquisite nell’ambito di indagini amministrative e raccolte dall’amministrazione finanziaria, ancorchè prive di efficacia di prova, possono essere valutate come elementi di prova ausiliari, in grado di contribuire all’apprezzamento, unitamente a tutti gli altri elementi disponibili dell’attendibilità delle prove ammesse nel procedimento tributario. 4.8 Lo svolgimento del processo

L’iter processuale innanzi al giudice tributario è regolato dalla sezione terza del D.Lvo 546/1992 che dall’art. 30 all’art. 38 stabilisce quanto segue: a) Se non ritiene di adottare preliminarmente i provvedimenti di cui all’art. 27, il presidente, scaduto in ogni caso il termine per la costituzione delle parti, fissa la trattazione della controversia secondo quanto previsto dagli artt. 33 e 34 e nomina il relatore;

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b) La segreteria deve dare comunicazione alle parti costituite della data di trattazione, almeno trenta giorni liberi prima. Uguale avviso deve essere dato quando la trattazione sia stata rinviata dal presidente in caso di giustificato impedimento del relatore, che non possa essere sostituito, o di alcuna delle parti o per esigenze di servizio; c) Le parti possono depositare documenti fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione. Fino a dieci giorni liberi prima della data di trattazione ciascuna delle parti può depositare memorie illustrative con le copie per le altre parti; d) La controversia è trattata in camera di consiglio salvo che almeno una delle parti non abbia chiesto la discussione in pubblica udienza, con apposita istanza da depositare nella segreteria e notificare alle altre parti costituite entro il termine di dieci giorni prima; e) All’udienza pubblica il relatore espone al collegio i fatti e le questioni della controversia e successivamente il presidente ammette le parti presenti alla discussione; f) Il collegio giudicante, subito dopo la discussione in pubblica udienza o, se questa non vi è stata, subito dopo l’esposizione del relatore, delibera la decisione in segreto nella camera di consiglio. Quando ne ricorrono i motivi la deliberazione in camera di consiglio può essere rinviata di non oltre trenta giorni. Alle deliberazioni del collegio si applicano di cui agli artt. 276 e seguenti del codice di procedura civile. Non sono tuttavia ammesse sentenze non definitive o limitate ad alcune domande. g) La sentenza viene pronunciata in nome del popolo italiano ed è intestata alla Repubblica italiana. Essa deve contenere: 1) L’indicazione della composizione del collegio, delle parti e dei loro difensori se vi sono; 2) la concisa esposizione dello svolgimento del processo; 3) le richieste delle parti;

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4) la succinta esposizione dei motivi in fatto ed in diritto; 5) il dispositivo. La sentenza deve, inoltre, contenere la data della deliberazione ed è sottoscritta dal presidente e dall’estensore. h) La sentenza è resa pubblica , nel testo integrale originale mediante deposito nella segreteria della commissione tributaria entro trenta giorni dalla data della deliberazione. Il Segretario fa risultare l’avvenuto deposito mediante l’apposizione della propria firma e della data. Il dispositivo, è comunicato, a cura della segreteria, nei dieci giorni successivi. i) Ciascuna parte può richiedere alla segreteria copie autentiche della sentenza e la segreteria è tenuta a rilasciarle entro cinque giorni dalla richiesta. Le parti hanno l’onere di provvedere direttamente alla notificazione della sentenza alle altre parti a norma degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile depositando, nei successivi trenta giorni l’originale o copia autentica dell’originale notificato, nella segreteria, che ne rilascia ricevuta e l’inserisce nel fascicolo d’ufficio. Se nessuna delle parti provvede alla notificazione della sentenza, si applica l’art. 337, comma 1, del codice di procedura civile. Tale norma non si applica se la parte non costituita dimostri di non avere avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione d’udienza. Lo svolgimento del processo tributario così come riportato nelle richiamate norme, non pone particolari problematiche. E’ opportuno, tuttavia, evidenziare che nel caso in cui l’avviso di trattazione, in violazione dell’art. 31, non dovesse essere comunicato alle parti nel termine di almeno trenta giorni prima, la decisione della commissione tributaria è nulla. Lo stesso dicasi per l’ipotesi in cui la comunicazione di avviso di trattazione della causa non venga effettuato presso il domicilio eletto o comunque, mediante consegna a mani proprie. La

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trattazione della causa, infatti deve ritenersi svolta in violazione del principio del contraddittorio e della difesa, per cui tutti gli atti compiuti da quel momento in poi sono da considerare come del tutto nulli. Per quanto attiene ai termini per il deposito di memorie e di atti, indicati nel riportato articolo 32, va precisato che trattandosi di giorni liberi, devono essere computati con l’esclusione sia del giorno di depositodelle memorie o dei documenti, sia del giorno dell’udienza di trattazione. Il deposito dei documenti deve avvenire, unitamente ad una nota di deposito debitamente sottoscritta, da depositare in originale per la commissione ed in tante copie in carta semplice, per quante sono le parti costituite. Il termine previsto dall’art. 32, inoltre, è secondo l’orientamento della S.C., da considerarsi perentorio ed i mancato rispetto è rilevabile anche d’ufficio, indipendentemente dal fatto che la controparte si sia costituita in giudizio senza nullaeccepire.

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RICORSO AVVERSO L’ATTO DI CONTESTAZIONE DI SANZIONI COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI . . . RICORSO Nell’interesse della Soc. . . . nel giudizio contro: Agenzia delle Entrate - Ufficio di. . . La Soc. . . ., con sede in . . . (C.F. . . .), nella persona del proprio rappresentante legale pro-tempore sig. . . ., rappresentata e difesa giusta delega a margine del presente atto dall’Avv./Dott./Rag. . . . ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in . . ., C.A.P. . . ., Via . . . n. . . ., RICORRE avverso l’atto di contestazione di sanzioni n. . . . emesso dall’Agenzia delle Entrate - Ufficio di . . ., notificato il . . ., per i seguenti motivi, salvo altri ai sensi del comma 2 dell’art. 24, D.Lgs. n. 546/1992. IN FATTO Con atto di contestazione n. . . . notificato alla società . . . il . . ., l’Ufficio . . . accertava violazione degli artt. . . . per l’anno . . . ed irrogava la relativa sanzione pecuniaria quantificandola in euro . . . In particolare, l’Ufficio . . . (esporre sinteticamente i fatti salienti degli addebiti quali risultanti dall’atto impugnato). IN DIRITTO L’atto di contestazione è illegittimo per i seguenti motivi: Vanno di seguito illustrati i motivi di impugnazione, con particolare riferimento ai profili di eventuale illegittimità formale dell’atto impugnato, ovvero, la carenza di elementi essenziali individuati dalla norma). Primo motivo: L’atto impugnato si appalesa illegittimo ex art. 7 della legge 212/2000 anche in relazione della mancata motivazione in esso recata. Nella fattispecie in esame, il provvedimento di contestazione presuppone e richiama un atto che l’odierno ricorrente non ha mai conosciuto né ricevuto, ne discende che esso viziato per carenza di motivazione: Secondo motivo: . . . Terzo motivo.... Per i sopra indicati motivi la società, tramite il sottoscritto difensore, CHIEDE

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che codesta On.le Commissione tributaria provinciale di . . ., rigettata ogni contraria istanza, eccezione e difesa, in accoglimento del presente ricorso, dichiari la illegittimità dell’atto di contestazione impugnato, con vittoria delle spese di giudizio. Si deposita: 1) copia autentica del ricorso notificato; 2) fotocopia della ricevuta della spedizione per raccomandata con avviso di ricevimento; 3) copia dell’atto impugnato; 4) eventuale ulteriore documentazione di supporto ai motivi di impugnazione, fatta salva la possibilità di successivo deposito nel termine di legge. Luogo e data Attestazione di conformità della copia del ricorso Firma del difensore

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COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI . . . RICORSO AVVERSO L’AVVISO DI INTIMAZIONE CON ISTANZA DI SOSPENSIONE Nell’interesse del Sig. . . . nel giudizio contro: Agenzia delle Entrate - Ufficio di . . . nonché contro il Concessionario della riscossione di . . . Il sig. . . . (C.F. . . .), rappresentato e difeso giusta delega a margine del presente atto dall’Avv./Dott./Rag. . . ., ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in . . ., alla Via . . ., n. . . ., RICORRE avverso l’avviso di intimazione n. ..... notificato il ....., PREMESSO IN FATTO ED IN DIRITTO che il sottoscritto è residente in . . ., Via....; che in data . . . il Concessionario della riscossione di . . . notificava una cartella di pagamento n. . . . per l’anno . . ., che veniva consegnata a mani di.... ad un indirizzo diverso da quello in cui il ricorrente risulta essere residente; che, decorso inutilmente il termine di legge per la impugnazione ed essendo, altresì, passato oltre un anno dalla notifica del titolo, il sottoscritto ricorrente in data . . ., riceveva notifica dell’avviso di intimazione n. . . ., per il pagamento, nel termine legale di cinque giorni, della somma onnicomprensiva di euro ....., ai sensi e per gli effetti dell’art. 50, comma 2, D.P.R. n. 602/1973; che, con istanza del . . ., il sottoscritto chiedeva, in via di autotutela, la immediata sospensione della esecuzione e l’annullamento dell’atto di intimazione, essendo il Concessionario privo di valido titolo esecutivo nei propri confronti e, comunque, attesa la giuridica inesistenza della iscrizione a ruolo erroneamente intestata e non regolarmente notificata; che, nonostante l’urgenza del provvedere e la evidente illegittimità della riscossione, l’Ufficio ed il Concessionario non sospendevano la esecuzione e, quest’ultimo, procedeva alla espropriazione forzata nei confronti dell’erede, con atto di pignoramento notificato in data . . .; che la intrapresa riscossione coattiva della pretesa erariale è palesemente illegittima, poiché priva di valido ed efficace titolo esecutivo nei confronti dell’esecutando ; tutto ciò premesso, il ricorrente, preliminarmente FA ISTANZA

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ai sensi dell’art. 47, D.Lgs. n. 546/1992, di sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato. Fa presente: a) che le somme intimate sono di rilevante entità e superiori alle proprie disponibilità, in quanto percepisce in reddito pari a •.... come risulta da..... che si produce; b) che l’esecuzione coattiva nei propri confronti gli comporterebbe un danno grave ed irreparabile; c) che dalla documentazione prodotta emerge indiscutibilmente che la pretesa erariale è illegittima nei propri confronti; tutto ciò premesso, Il Sig. . . ., per il tramite del sottoscritto difensore, inoltre, CHIEDE che codesta On.le Commissione tributaria provinciale di , previo accoglimento dell’istanza di sospensione dell’esecuzione, voglia, in ogni caso, dichiarare la illegittimità della iscrizione a ruolo e dell’avviso di intimazione opposti, con vittoria delle spese del presente giudizio. Si notifica il presente ricorso con l’istanza di sospensione dell’atto impugnato all’Agenzia delle Entrate Ufficio di. . . ed al Concessionario della Riscossione dei Tributi di . . . e si depositano i seguenti documenti: 1) avviso di intimazione n. . . ., notificato il . . .; 4) documentazione utile ad evidenziare la rilevanza degli importi intimati, in relazione alle condizioni economiche dell’esecutando; 5) . . . Luogo e data Attestazione di conformità della copia del ricorso Firma del difensore

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RICORSO AVVERSO SILENZIO RIFIUTO COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI . . . RICORSO Nell’interesse del sig.... nel giudizio contro: Agenzia delle Entrate - Ufficio di . . . . Il signor.... con sede in . . . (C.F. . . .), rappresentato e difeso giusta delega a margine del presente atto dall’Avv./Dott./Rag. . . . ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in . . ., C.A.P. . . ., Via . . . n. . . . RICORRE avverso il silenzio-rifiuto dell’Ufficio di . . . in relazione all’istanza proposta con atto notificato il . . . per i seguenti motivi, salvo altri ai sensi del comma 2 dell’art. 24, D.Lgs. n. 546/1992. IN FATTO Con istanza del . . . il ricorrente chiedeva il rimborso della somma di euro . . . dovuti in quanto . . . Trascorrevano 90 giorni dalla data di spedizione della predetta richiesta di rimborso senza alcuna risposta da parte dell’amministrazione . Ritenuto che al ricorrente non rimane altro che adire l’autorità giudiziaria a tutela delle proprie ragioni. Tutto ciò premesso il ricorrente propone ricorso in quanto il silenzio opposto dall’Ufficio è illegittimo ed il ricorrente ha diritto al rimborso richiesto per i seguenti motivi: 1) . . . 2) . . . Per i sopra indicati motivi il ricorrente, come sopra rappresentato e difeso CHIEDE che codesta On.le Commissione tributaria provinciale di . . ., in accoglimento del presente ricorso, dichiari il diritto al rimborso della somma di euro . . ., con gli interessi come per legge e vittoria delle spese di giudizio. Si deposita: 1) copia dell’istanza di rimborso;

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2) copia della ricevuta di spedizione del ricorso all’Ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate, racc. A.R. n. . . ., del . . .; 3) altri eventuali documenti. Luogo e data

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COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI . . . RICORSO AVVERSO CARTELLA DI PAGAMENTO CON ISTANZA DI SOSPENSIONE Nell’interesse del Sig. . . . nel giudizio contro: Agenzia delle Entrate - Ufficio di . . . Il sig. . . . (C.F. . . .), rappresentato e difeso giusta delega a margine del presente atto dall’Avv./Dott./Rag. . . ., ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in . . ., alla Via . . ., n. . . . RICORRE avverso la cartella di pagamento n. . . ., notificata il . . ., sull’errato presupposto che il ricorrente sia tenuto al pagamento delle somme ivi richieste a titolo di.... Ritenuto che il ricorrente non è tenuto al pagamento delle somme richieste in quanto....... che, pertanto, la pretesa impositiva, evidenziata per la prima volta con l’atto impugnato, è illegittima e come tale va dichiarata da codesta On.le Commissione tributaria provinciale. Poiché l’atto impugnato comporta la immediata riscossione coattiva per il recupero dei tributi contenuti nel medesimo, propone ISTANZA ai sensi dell’art. 47, D.Lgs. n. 546/1992, di sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato. Ad ogni buon fine fa presente: a) che l’importo iscritto a ruolo è di rilevante entità e, comunque, è largamente superiore alle proprie disponibilità, come risulta dalla documentazione che si produce; b) che l’esecuzione coattiva nei propri confronti comporterebbe un danno grave ed irreparabile in quanto.... c) che dalla documentazione prodotta emerge indiscutibilmente che la pretesa erariale è illegittima nei propri confronti. Tutto ciò premesso, il sig. . . ., come sopra rappresentato e difeso, CHIEDE che codesta On.le Commissione tributaria provinciale di . . ., previo accoglimento dell’istanza di sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato, voglia dichiarare

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la illegittimità della cartella di pagamento opposta, con vittoria delle spese del presente giudizio. Si notifica il presente ricorso con l’istanza di sospensione dell’atto impugnato all’Agenzia delle Entrate Ufficio di. . . ed al Concessionario della Riscossione dei Tributi di . . . e si depositano i seguenti documenti: 1) cartella di pagamento; 3) copia dell’ultima dichiarazione dei redditi; 4) copia della ricevuta di spedizione del ricorso all’Ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate ed al Concessionario della riscossione. Luogo e data Attestazione di conformità della copia del ricorso Firma del difensore

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RICORSO AVVERSO AVVISO DI ACCERTAMENTO proposto dal contribuente COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI . . . RICORSO Per il Sig. . . . nel giudizio contro: Agenzia delle Entrate Ufficio di . . . Il sottoscritto, . . ., nato a . . ., il . . ., (C.F.. . . .), residente in . . ., alla Via . . ., n. . . . ed elettivamente domiciliato in . . ., Via . . ., n. . . ., C.A.P. . . ., RICORRE avverso l’avviso di accertamento . . . n. . . . emesso dall’Agenzia delle Entrate Ufficio di . . ., notificato il . . ., per i seguenti motivi, salvo altri ai sensi del comma 2 dell’art. 24, D.Lgs. n. 546/1992. IN FATTO Con avviso notificato il . . . l’Ufficio . . . rettificava la dichiarazione . . . con la seguente motivazione: . . . Per l’effetto accertava un’imposta pari a euro . . . e, contestualmente, irrogava sanzioni per euro . . . IN DIRITTO L’avviso opposto è illegittimo e, comunque, errato, per i seguenti motivi; 1) . . . 2) . . . Per ciò che riguarda le sanzioni, la loro irrogazione è illegittima in quanto: 3) . . . 4) . . . Per i sopra indicati motivi, CHIEDE che codesta On.le Commissione Tributaria provinciale di . . ., in accoglimento del presente ricorso: 1) dichiari la illegittimità dell’avviso impugnato; 2) In subordine, determini il maggior reddito in euro . . .; 3) annulli le sanzioni sussistendo il presupposto di cui all’art. 8, D.Lgs. n. 546 del 1992, ai sensi del quale le sanzioni non penali, previste dalle leggi tributarie,

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non sono applicabili qualora la violazione sia giustificata da “obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce”; 4) condanni l’Ufficio . . . al pagamento di spese di giudizio. Si deposita: 1) copia del ricorso notificato 2) copia della ricevuta della spedizione per raccomandata con avviso di ricevimento; 3) copia dell’atto impugnato; 4) altri eventuali documenti. Luogo e data . . . Attestazione di conformità della copia del ricorso Firma del contribuente

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I diritti del consumatore e la difesa nel processo tributario INDICE DEL FASCICOLO DEL RICORRENTE COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI . . . Indice del fascicolo della società . . . nel giudizio contro: Agenzia delle Entrate - Ufficio di . . . 1) Originale o copia del ricorso; 2) Fotocopia della ricevuta di deposito (o di spedizione postale); 3) Copia dell’atto impugnato; 4) Altri documenti. Luogo e data

Firma del difensore Data, firma e timbro dell’Ufficio

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I diritti del consumatore e la difesa nel processo tributario ATTO DI DEPOSITO DI DOCUMENTI (art. 24 D. Leg. 546/1992)

Si rammenta che il deposito di documenti può avvenire fino a venti liberi prima della data fissata per la decisione della controversia (art. 32); e la controparte ha sessanta giorni di tempo dal deposito per integrare i motivi di ricorso; chiedendo se del caso il rinvio della decisione del ricorso. Normalmente i documenti saranno allegati ad un atto del processo; è però anche consentito depositarli con apposita “nota” (da depositare in originale bollato con copie in carta semplice per le parti) di cui si propone un modello Alla Commissione tributaria provinciale di ... sez. Nell’interesse e per conto del proprio assistito, sig. .. ...... elettivamente domiciliato in.......con domicilio dichiarato in..... il sottoscritto ha proposto ricorso avverso l’atto .... l ...; il ricorso è stato notificato il....... e il ricorrente si è costituito ritualmente in giudizio depositando la copia notificata e il proprio fascicolo in data ... ora si provvede al deposito dei documenti di seguito indicati......................... si allega copie in carta semplice luogo e data Sottoscrizione depositato in segreteria il

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INDICE INTRODUZIONE .................................................................................. 5 CAPITOLO I LA GIURISDIZIONE TRIBUTARIA ........................................................... 7 1.1 NATURA GIURIDICA DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE ................ 7 CAPITOLO II COMPETENZE DELLA GIURISDIZIONETRIBUTARIA ............................ 10 2.1 COMPETENZE ............................................................................ 10 2.2 ENTRATE TRIBUTARIE E PROCESSO TRIBUTARIO ........................ 11 2.3 LE PRESTAZIONI TRIBUTARIE ..................................................... 12 2.4 ENTRATE TRIBUTARIE E COMPETENZA (O MENO) DEL GIUDICE TRIBUTARIO ................................................................. 13 2.5 I CANONI ................................................................................... 15 2.6 L’IMPOSTA SULLA PUBBLICITÀ .................................................... 17 2.8 GLI “ATTI DI ESECUZIONE FORZATA” ........................................ 20 CAPITOLO III GLI ATTI IMPUGNABILI INNANZI ALLE COMMISSIONI TRIBUTARIE ...... 24 3.1 GIURISDIZIONE TRIBUTARIA E INDIVIDUAZIONE DEGLI ATTI IMPUGNABILI ..................................................................................... 24 3.2 LA CARTELLA ESATTORIALE ....................................................... 28 3.3 FERMO AMMINISTRATIVO-GIURISDIZIONE ................................... 31 3.4 IL PREAVVISO DI FERMO E RELATIVA IMPUGNABILITÀ .................. 35 CAPITOLO IV .................................................................................. 39 IL PROCESSO TRIBUTARIO ................................................................ 39 4.1 AZIONI ESPERIBILI ED OGGETTO DEL RICORSO .......................... 39

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4.2 IL PROCESSO TRIBUTARIO. PRINCIPI GENERALI ........................... 41 4.3 LE PARTI DEL PROCESSO TRIBUTARIO, LA LORO RAPPRESENTANZA E L’ASSISTENZA IN GIUDIZIO ................................................................. 44 4.4. IL RICORSO, LA NOTIFICA E LA COSTITUZIONE DELLE PARTI ...... 49 4.5 LA PRODUZIONE DI DOCUMENTI E MOTIVI AGGIUNTI ................ 54 4.6 LA FASE INTRODUTTIVA DEL GIUDIZIO: L’ESAME PRELIMINARE DEL RICORSO E LA TUTELA CAUTELARE ................................................... 55 4.7 L’ISTRUTTORIA DEL PROCESSO TRIBUTARIO ............................... 58 4.8 LO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO ............................................. 59 FORMULARIO ........................................................................... 63

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Finito di stampare nel mese di marzo 2010 per conto di Associazione Consumatori Siciliani

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