l'arte, critica e letteratura artistica proposte da ricercatori di università italiane e ....
Novecento, la storia dell'arte abbia assunto il sogno a paradigma critico.
RIFLESSI
Direttore Tiziana M Università IUAV di Venezia
Comitato scientifico Paolo F Libera Università Internazionale degli Studi Sociali “Guido Carli” (LUISS) di Roma
Silvia B Università “Ca’ Foscari” di Venezia
Jean–Marie K Université de Liège
Isabella P “Sapienza” Universita di Roma
RIFLESSI
La collana di studi “Riflessi” raccoglie pubblicazioni di semiotica dell’arte, critica e letteratura artistica proposte da ricercatori di università italiane e straniere. Inquadra gli aspetti del visibile da un punto di vista teorico e metodologico. Fonda la sua specificità sull’efficacia della descrizione, che consente l’andirivieni tra pratica e teoria e perciò l’introduzione di concetti e strumenti utili all’analisi delle immagini. Guarda ai processi di enunciazione delle culture in un’ottica differenziale, come risorsa per comprendere, attraverso le immagini, i modi di ibridazione e le strategie del reciproco posizionamento politico.
La collana “Riflessi” propone opere di alto livello scientifico nel campo degli studi di semiotica dell’arte, anche in lingua straniera per facilitarne la diffusione internazionale. Quest’opera, approvata dal direttore, è stata anonimamente sottoposta alla valutazione di due revisori, anch’essi anonimi: uno tratto da un elenco di studiosi italiani e stranieri, deliberato dal comitato di direzione; l’altro appartenente allo stesso comitato in funzione di revisore interno. La revisione paritaria e anonima (peer review) è fondata sui seguenti criteri: significatività del tema nell’ambito disciplinare prescelto e originalità dell’opera; rilevanza scientifica nel panorama nazionale e internazionale; attenzione adeguata alla dottrina e all’apparato critico; rigore metodologico; proprietà di linguaggio e fluidità del testo; uniformità dei criteri redazionali. Quest’opera ha ricevuto una valutazione complessiva superiore a /. Le schede di valutazione sono conservate, in doppia copia, in appositi archivi.
Sara Damiani L’atelier dei sogni Rappresentazioni dell’onirico nelle arti visive
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Indice
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Introduzione
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Capitolo 1 L’anti–cosmo onirico. Modelli di definizione del sogno nella cultura classica 1.1. Grotte da sogno, 19 — 1.2. Il ricettacolo porta–impronta, 22 — 1.3. L’anti–cosmo dei sogni, 25 — 1.4. Schemi onirici, 29 — 1.5. L’acropoli pneumatica, 37
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Capitolo 2 Figure da sfogliare. Il Medioevo e l’impronta onirica del sacro 2.1. Pieghe, 43 — 2.2. Figure da sfogliare, 48 — 2.3. Il diavolo interpolatore, 56 — 2.4. Conversioni, 61 — 2.5. Sogni d’autore, 66
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Capitolo 3 Il sogno–Medusa. Il Cinquecento e le immagini serpentinate dell’onirismo 3.1. Il sogno–“capo di medusa”, 75 — 3.2. Picturae somnium, 80 — 3.3. Paesaggi da incubo, 84 — 3.4. L’arte sognata, 90 — 3.5. La cultura è sogno, 95
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Indice
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Capitolo 4 Gli spettri del pensiero. Sogni e dispositivi ottici del Settecento 4.1. Carceri d’invenzione, 107 — 4.2. Gli spettri del pensiero, 114 — 4.3. Fantasmagorie, 116 — 4.4. Teli onirici, 121 — 4.5. Trappole dello sguardo, 131 — 4.6. Luci e ombre, 137
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Capitolo 5 Archeologie interiori. Il linguaggio geroglifico della modernità 5.1. Reperti di luce, 143 — 5.2. Geroglifici mentali, 148 — 5.3. Allucinazioni ipnagogiche, 151 — 5.4. Nulla da vedere, 155 — 5.5. Kleksografie, 165 — 5.6. Squarci interiori, 170 — 5.7. Fosforescenze, 177 — 5.8. Bianchi e neri, 182 — 5.9. Sogno di una vita primitiva, 187
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Capitolo 6 Lo schermo del sogno. Psicoanalisi e cinema del primo Novecento 6.1. Fabbrica di sogni, 197 — 6.2. Membrane cerebrali, 203 — 6.3. La prova del sonno, 210 — 6.4. Il cinema della sensibilità, 215 — 6.5. Lo schermo del sogno, 219
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Bibliografia
Introduzione
«L’arte non ripete le cose visibili, ma rende visibile»1. Questa celebre affermazione di Paul Klee sugli obiettivi dell’arte potrebbe essere ugualmente estesa all’onirismo. La pittura e il sogno sono infatti legati da una medesima necessità di figurare, di trasformare pensieri e narrazioni (mitiche, bibliche, personali, ecc.) in immagine, dando loro una forma attraverso particolari sovrapposizioni di significati, intrecci di corpi od oggetti, combinazioni di colori, e così via2. L’aspetto naturalistico della raffigurazione appare secondario, dal momento che è il meccanismo di composizione dell’immagine a interessare sia la visione notturna sia l’opera d’arte: i sogni si raccontano nel loro divenire così come i dipinti, secondo Klee, sono il risultato di una volontà di messa in opera della figura. Se da un lato, appare del tutto scontato associare la creatività all’onirismo, da sempre fonte di ispirazione e ricerca in ambito plastico–pittorico, dall’altro una teoria della figurazione che metta in parallelo l’immagine mentale e l’immagine dipinta può essere ravvisabile solo a partire dalla modernità, soprattutto dopo la formulazione del «lavoro onirico» da parte di Sigmund Freud, che nell’Interpretazione dei sogni (1899) mette in luce i particolari processi psichici attraverso cui, nella sua prospettiva, si struttura lo sguardo notturno, come ad esempio la
P. Klee, Schöpferiske Konfession, Erich Reiss Verlag, Berlin 1920, trad. it. Confessione creatrice, in Id., Confessione creatrice e altri scritti, Abscondita, Milano 2004, p. 13. 2 Cfr. S. Finzi, “Sogno e disegno”, in Il sogno rivela la natura delle cose, Museion–Arte Moderna di Bolzano, Mazzotta, Milano 1991, pp. 3–7, p. 4. Cfr. inoltre D. Arasse, “Quelques déclics personnels”, in Id., Histoires de peintures, Denoël, Paris 2004, pp. 201–206. 1
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Introduzione
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«condensazione» (un accumulo di concetti in un’unica immagine) e lo «spostamento» (passaggio da rappresentazioni astratte a rappresentazioni concrete, comparsa di persone o cose al posto di altre persone o cose, ecc.)3. Sebbene le attuali scoperte neuroscientifiche siano in disaccordo con gran parte delle ipotesi della psicoanalisi freudiana e propongano spiegazioni alternative del fenomeno onirico, la centralità del sogno come modello cognitivo utile a rivelare strategie di funzionamento del cervello altrimenti scarsamente analizzabili rimane indiscussa, e anzi viene ulteriormente ribadita a supporto di nuove intuizioni sul rapporto tra sogni e creatività4. Di qui, è facile comprendere perché, a partire dai primi decenni del Novecento, la storia dell’arte abbia assunto il sogno a paradigma critico della creazione estetica, quasi fosse la chiave di accesso privilegiata alle origini nascoste della rappresentazione o, per dirla con Freud, «la via regia che porta alla conoscenza dell’inconscio»5. Importanti studiosi come Erwin Panofsky, Ernst Gombrich, Louis Marin e, più recentemente, Daniel Arasse, Georges Didi–Huberman e Mieke Bal hanno tutti fatto ricorso al lavoro onirico per spiegare i meccanismi di pensiero inscritti in una composizione artistica.
S. Freud, Die Traumdeutung, 1899, trad. it. L’interpretazione dei sogni, in Id., Opere, 12 voll., Bollati Boringhieri, Torino 1982, vol. III, cap. 6: “Il lavoro onirico”, pp. 257–464. Per una storia della ricezione dell’opera di Freud, soprattutto negli anni della sua pubblicazione, cfr. L. Marinelli, A. Mayer, Träume nach Freud. Die «Traumdeutung» und die Geschichte der psychoanalytische Bewegung,Turia + Kant, Wien 2002 e 2008, trad. it., Sognare a libro aperto. L’interpretazione dei sogni di Freud e la storia del movimento psicoanalitico, Bollati Boringhieri, Torino 2010. 4 J.A. Hobson e H. Wohl, Dagli angeli ai neuroni. L’arte e la nuova scienza dei sogni, Mattioli 1885, Fidenza (PR) 2007. Negli ultimi anni, gli studi neuroscientifici sembrano addirittura aver rivalutato la teoria psicoanalitica, dopo che nel 1950 era stata scartata a seguito della scoperta del sonno REM (Rapid Eye Movement), una fase in cui l’onirismo appare generato esclusivamente da un processo di autoattivazione creativa del cervello priva di significati simbolici. Di recente, si è infatti constatato che, oltre al sonno REM, esistono altre cause di innesco dell’onirismo, legate questa volta al sistema libidinale del cervello e quindi più vicine al modello freudiano del sognare come un fenomeno causato dai nostri desideri inconsci. Cfr. M. Solms, “The Interpretation of Dreams and the Neurosciences”, in H. Rauff, M. Dorrmann, J. Peto, K. Arnold (a c. di), Sleeping and Dreaming, Black Dog Publishing, London 2007, pp. 137–152. 5 S. Freud, L’interpretazione dei sogni, cit., p. 553. 3
Introduzione
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In Early Netherlandish Painting (1953), Panofsky analizza per esempio i capolavori fiamminghi del Quattrocento attraverso il loro «simbolismo nascosto», presupponendo cioè che dietro la raffigurazione di «cose reali» esista tutta una simbologia mascherata che necessita di essere riconosciuta6. Allo stesso modo in cui Freud intendeva riportare alla luce il «contenuto latente» delle immagini oniriche, il compito dello storico dell’arte diventa quello di rintracciare i possibili significati impliciti del dipinto, come ad esempio individuare il segno della purezza virginale di Maria in una caraffa di vetro trasparente (cfr. Jan van Eyck, attr., Madonna con Bambino che legge, 1433, Melbourne, National Gallery of Victoria). Questo vuol dire riconoscere uno scarto tra la componente mimetico– naturalistica dell’immagine e la sua valenza metaforica, un vuoto intepretativo tipico del fenomeno onirico che Freud stesso aveva definito «l’ombelico del sogno, il punto in cui esso affonda nell’ignoto»7 e che il processo di figurabilità inscritto in ogni opera d’arte sembra ereditare a pieno titolo. Nella sua prefazione a Sogno ed esistenza (1954) di Ludwig Biswanger, Michel Foucault parla non a caso dell’«abisso» che separa l’immagine vigile dall’immaginazione notturna, sottolineando come il senso del sogno stia «sempre al di là delle immagini che la coscienza vigile raccoglie»8. Allo stesso modo in Minima moralia (1951), Theodor W. Adorno osserva che «[a]nche al sogno più bello rimane associata, come una macchia, la sua differenza dalla realtà, la consapevolezza del carattere puramente illusorio di ciò che esso ci dona. Ecco perché proprio i sogni più belli sono come solcati da crepe invisibili»9. “Abissi” e “crepe” della visione che si incontrano anche nella lettura iconologica di alcuni dipinti. Marin interpreta ad esempio il Paesaggio
6 E. Panofsky, Early Netherlandish Painting. Its Origin and Character, 1953, 2 voll., Icon Editions, New York 1971, vol. I, pp. 143–144. Cfr. inoltre M. Bergstein, Mirrors of Memory. Freud, Photography, and the History of Art, Cornell University Press, Ithaca and London 2010, pp. 29–30. 7 S. Freud, L’interpretazione dei sogni, cit., pp. 479–480. 8 M. Foucault, Il sogno, Raffaello Cortina Editore, Milano 2003, p. 90. 9 T.W. Adorno, Minima moralia. Reflexionen aus dem beschädigten Leben, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1951, trad. it. Minima moralia. Meditazioni della vita offesa, Einaudi, Torino 1994, p. 127.
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con Piramo e Tisbe (1651, fig. 1) di Nicolas Poussin come «un sogno di pittore» che si costruisce attorno a una “frattura”: quella raccontata nella leggenda mitica, e cioè l’incrinatura presente su un muro che garantisce il dialogo tra i due amanti; quella raffigurata nel dipinto sotto forma di fulmine, una traccia luminosa che si staglia sulle nubi scure; e infine quella metaforica della tela, che si apre e lascia irrompere la materia pittorica (i pigmenti di colore) nel tentativo di offrire allo sguardo l’irrapresentabile, il sogno appunto10. Lo stesso “abisso” semantico, la stessa «differenza di realtà» che Daniel Arasse ritrova nel Sogno di una fanciulla (1505 ca., fig. 2) di Lorenzo Lotto, dove l’osservatore, incapace di distinguere ciò che è sognato da ciò che non lo è, è costretto a spostare l’attenzione sul processo “in divenire” della pittura, sul farsi e disfarsi onirico del suo significato11. Il sogno appartiene in effetti all’ordine della «figura figurante», e cioè quello di una visualità intermittente, sempre in movimento, che si fonda sulla discontinuità logica e temporale senza offrire alcuna stabilità alle forme12: in quest’ottica, la paradossale “crepa invisibile” che lo caratterizza non può che porsi come elemento di base per chiunque voglia affrontare e prendere in esame le sue modalità di rappresentazione artistica.
L. Marin, Sublime Poussin, Seuil, Paris, p. 92. Al riguardo cfr. anche F. Fimiani, “Sogni di segni. Poetica ed etica della scrittura”, in A. Mazzarella, J. Risset (a c. di), Scene del sogno, Artemide Edizioni, Roma 2003, pp. 41–65, p. 54. Sulla scorta di Marin, Didi–Huberman interpreta il sogno come una «lacerazione» provocata dal desiderio di produrre la figura: «il difetto, la lacerazione, funzionano nel sogno come il motore stesso di qualcosa che dovrebbe trovarsi tra il desiderio e la coercizione — il desiderio che costringe a figurare. Figurare malgrado tutto, dunque forzare, dunque lacerare. E, in questo movimento di costrizione, la lacerazione apre la figura […], genera incessanti costellazioni, incessanti produzioni visive che non fanno cessare il «difetto» ma che, al contrario, lo incastonano e lo sottolineano» (G. Didi–Huberman, Devant l’image, Les Éditions de Minuit, Paris 1990, pp. 186–187. Trad. ns.). 11 D. Arasse, “Lorenzo Lotto dans ses bizarreries: le peintre et l’iconographie”, in P. Zampetti, V. Sgarbi (a c. di), Lorenzo Lotto, Atti del convegno internazionale di studi per il V centenario della nascita, Asolo, 18–21 settembre 1980, 2 voll., Comitato per le celebrazioni lottesche, Treviso [1981], vol. I, pp. 365–376. Al riguardo, mi permetto di rimandare al mio articolo “L’immagine lacerata: il sogno pittorico e la frattura dello sguardo”, in R. Campra, F.R. Amaya (a c. di), Il genere dei sogni, Edizioni Sestante, Bergamo 2005, pp. 113–126. 12 P–A. Michaud, “Film”, in Id. (a c. di), Comme le rêve le dessin, Éditions du Centre Pompidou / Éditions du Louvre, Paris 2005, p. 96. 10
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Fig. 1, in alto: Nicolas Poussin, Paesaggio con Piramo e Tisbe, 1651, olio su tela, Francoforte, Städelsches Kunstinstitut und Städtische Galerie. Fig. 2, a destra: Lorenzo Lotto, Sogno di una fanciulla, 1505 ca., Washington, D.C., National Gallery of Art.
Partendo dall’ipotesi che i meccanismi onirici di figurazione possano essere applicati anche al “farsi” estetico dell’immagine, l’obiettivo del presente studio è stato quello di verificare come opere espressamente dedicate al tema del sogno mettessero o meno in atto la particolare qualità “intermittente” delle immagini del sonno. L’iconografia dell’onirismo lungo le varie epoche culturali è stata analizzata con un’attenzione rivolta non tanto alla ricorsività di determinati motivi plastici quanto piuttosto alla ricognizione di dettagli marginali, scarti e anomalie capaci di rendere conto di una dimensione del visibile altra, espressione dello sguardo ad occhi chiusi e, insieme, di un lavoro artistico che “pensa” (costruisce) il sogno.
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Probabilmente proprio a causa della loro incoerenza, non sono d’altra parte mai esistite convenzioni precise per definire visivamente le forme oniriche, se non alcuni “marcatori di confine” tra il mondo diurno e quello notturno, quali la figura del sognatore oppure l’utilizzo di nubi e aloni luminosi per incorniciare la scena del sogno. Aldilà infatti dei sogni narrati nella tradizione biblica o letteraria, fondamentali soggetti iconografici dell’arte premoderna che trovano i loro moduli espressivi in determinate fonti testuali, fino alla prima metà dell’Ottocento il riconoscimento di un sogno pittorico è sempre dipeso dalla presenza della persona addormentata, unico indizio certo per l’osservatore di trovarsi di fronte alla rappresentazione di un’esperienza onirica. Molti approcci critici al sognare sono concordi nello stabilire una grossa frattura tra l’interpretazione dell’onirismo nell’antichità, dove i sogni avevano una funzione collettiva di profezia e di comunicazione con il soprannaturale, e il sogno moderno, che a partire dal XVIII secolo inizia a delinearsi come momento individuale di confronto con la propria coscienza e storia passata. A livello iconografico questa frattura si risolve con il progressivo abbandono della figura del sognatore o il suo assorbimento all’interno della dimensione onirica — le incisioni di Francisco Goya oppure i disegni di Grandville sono chiari esempi di questa trasformazione — a favore di una marcata attenzione alla qualità non mimetica (forme e colori) della rappresentazione. Di fatto, i mutamenti nella raffigurazione dell’onirismo lungo i secoli sembrano rispondere appieno a quelle intenzioni ravvisabili nella pittura occidentale che, dal Rinascimento al tardo Ottocento, si prefigge non tanto di produrre accurati simulacri dell’esperienza, quanto piuttosto di stabilire un gioco di codici e schemi “interni” all’impresa pittorica stessa13: quello che qui si intende mostrare è proprio la centralità del sogno nella definizione delle logiche compositive della figura, che da processo mentale si muta in immagine artistica. Il saggio è suddiviso in capitoli che seguono un ordine cronologico utile a tracciare, anche se in termini necessariamente approssimativi, gli
M. Fried, Painting Memories: On the Containment of the past in Baudelaire and Manet, in “Critical Inquiry”, vol. 10, n. 3, March 1984, pp. 510–542, p. 517. 13
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snodi di sviluppo delle modalità plastiche dell’onirismo nel corso delle differenti realtà storiche. Ciò che accomuna le peculiarità espressive dei contesti culturali presi in considerazione è la ricorrenza di uno specifico “spazio del sogno”, un luogo fisico o metaforico che funge da matrice alle immagini del sognare, garantendone la configurazione e soprattutto circoscrivendone le fogge metamorfiche. Il mondo autosufficiente e dotato di caratteristiche proprie tipico dei sogni14 si può così incontrare nella caverna preistorica, antro buio le cui pareti disegnano le forme dello sguardo notturno, oppure nell’«anti– cosmo» greco, quella regione liminale che la tradizione classica individua come dimora delle apparizioni oniriche (cap. 1: “L’anti–cosmo onirico”). O ancora, sono i confini di spazi chiusi e ben definiti (“case del Sonno”, monumenti architettonici, studioli, ecc.), a contenere le divagazioni irrazionali dell’uomo rinascimentale, che riesce così a “bloccare” i sogni in forma estetica offrendo loro lo statuto privilegiato di manifestazione dell’ingegno creativo (cap. 3: “Il sogno–Medusa”). Il «tessuto onirico» (la definizione è di Jean Epstein)15 che il Medioevo cristiano sceglie come luogo–oggetto in cui il divino modella la sua impronta, un drappo ripiegato che testimonia l’incontro con il sacro avvenuto durante il sonno (cap. 2: “Figure da sfogliare”), assume nella modernità settecentesca la forma di un telo bianco su cui si inscenano i numerosi spettacoli di fantasmagoria dell’epoca (cap. 4: “Gli spettri del pensiero”) e su cui, due secoli dopo, il cinematografo orchestrerà il carattere mentale dell’immagine filmica (cap. 6: “Lo schermo del sogno”). Il complesso e spesso contraddittorio passaggio dal sogno inteso come espressione di realtà soprannaturali al sogno interpretato esclusivamente in qualità di attività psichica dell’individuo trova di fatto un elemento cardine nella cultura ottocentesca, quando gli studi scientifici localizzano fisiologicamente nel cervello e nel sistema nervoso la vita mentale inconscia che i sogni sono incaricati di far riaffiorare in super-
14 H. Ferguson, The Lure of Dreams. Sigmund Freud and the Construction of Modernity, Routledge, London and New York 1996, pp. 2–3. 15 J. Epstein, “Tissu visuel”, 1947, in Id., Écrits sur le cinéma, tome 1: 1921–1947, Cinéma Club / Seghers, Paris 1974, pp. 93–98, p. 95. Cfr. il cap. 6 del presente volume.
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ficie (cap. 5: “Archeologie interiori”). In questo senso, le fogge astratte, i chiaroscuri, le macchie di colore e tutti i segni luminosi che iniziano a caratterizzare la rappresentazione del fenomeno onirico intorno a questo periodo spostano l’attenzione sul dinamismo e l’evanescenza delle figure interiori, intese come espressione di una grammatica originaria dello sguardo sepolta all’interno della mente che necessita di essere decifrata o quantomeno riconosciuta. Lo schermo bianco serve a catturare questo alfabeto visivo e a riprodurne i movimenti. In ogni caso, la pittura prima e il cinema in seguito documenteranno una progressiva apertura dei confini dell’onirismo che invaderà man mano il campo della rappresentazione (e della cultura in generale), sommergendo la frontiera tra il reale e l’immaginario. La “crepa invisibile” che istituiva il rapporto tra figure della veglia e figure del sonno andrà via via assottigliandosi a partire dalla seconda metà del XX secolo, e la pervasività dell’esperienza mediatico–virtuale dei tempi recenti non sembrerebbe che confermare la difficoltà a distinguere tra le immagini del giorno e quelle della notte, assorbendo tutto in uno stato di sonno (o di insonnia) perenne. L’installazione intitolata La casa dei sogni (The House of Dreams, fig. 3) che gli artisti russi Ilya ed Emilia Kabakov hanno creato alla Serpentine Gallery di Londra nel 2005 esemplifica forse al meglio questa incertezza, recuperando alcuni dei dispositivi tipici della rappresentazione onirica. Il visitatore, a cui all’ingresso erano state offerte delle protezioni per scarpe di plastica bianca, entrava in uno spazio completamente bianco, dai pavimenti alle tende che coprivano una serie di cubicoli ospitanti ognuno un letto, sempre bianco, dove poter trovare la tranquillità necessaria per meditare ed eventualmente sognare. L’aspetto da corsia ospedaliera di queste sezioni rimandava alla necessità di recuperare un onirismo “terapeutico” in grado di garantire il potere ristorativo del sonno, evocando al contempo tutte le fantasie “patologiche” generate da un dormire medicalizzato a base di sonniferi e narcotici vari. Una simile ambiguità interpretativa la si poteva ritrovare nella zona centrale dell’installazione, dove era presente un edificio rotondo coperto da cupola che ospitava quattro piccole camere da letto, completamente
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Fig. 3: Ilya e Emilia Kabakov, La casa dei sogni, 2005, installazione, Londra, Serpentine Gallery.
buie: al loro interno, pareti ornate di garze mostravano proiezioni di lanterna magica, figure colorate in movimento che ricordavano i protagonisti delle favole per l’infanzia; all’esterno di ogni stanza invece, rampe di scale portavano ad altri letti collocati al piano superiore, sorta di coperture modellate come sarcofaghi o giacigli tombali in un evidente rimando alla morte e ai sogni dei defunti16. Luoghi protetti, schermi bianchi di proiezione e lanterne magiche ritornavano così nella Casa dei sogni a definire uno spazio che se di primo acchito si presentava all’osservatore come un’oasi di quiete e distensione, si rivelava in seguito essere fonte di inquietudine e imbarazzo.
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I. e E. Kabakov, The House of Dreams, Serpentine Gallery, London 2005.
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Entrare in un cubicolo dove era possibile incontrare uno sconosciuto mentre giaceva disteso su un minuscolo letto bianco generava sensazioni di intrusione e voyeurismo, provocando dubbi sul comportamento sociale da adottare di fronte alla fusione di pubblico e privato che l’installazione portava in scena17. Costruito come rivisitazione provocatoria di modelli utopici dell’ex Unione Sovietica, come per esempio il progetto del Laboratorio del sonno proposto dall’architetto Konstantin Melnikov nel 1929, un’area di riposo per 4000 lavoratori che avrebbero dovuto smaltire la fatica attraverso un sonno collettivo e ritornare al pieno potenziale produttivo18, il sogno forzatamente “condiviso” dei Kabakov può essere assunto a metafora di un fenomeno, quello onirico, che come in passato risulta da una serie di immagini, memorie ed esperienze vissute, ma che ora sembra essere privato di un tempo e uno spazio dedicati, perché soggetto alla penetrazione esterna della veglia e delle sue dinamiche di spettacolarizzazione. Non a caso nel Laboratorio di Melnikov, per indurre il sonno, apposito personale tecnico era chiamato a regolare la temperatura e l’umidità, provocare il mormorio delle onde o il fruscio delle foglie, riprodurre il canto degli uccellini e azionare il dondolio dei letti, arrivando a “razionalizzare il sole” proprio come nel film The Truman Show (1998) di Peter Weir19: molto più che un rito incubatorio, nella Casa dei sogni dei Kabakov, cinema e ospedale insieme, la vita è ormai un sogno drammaticamente spettacolarizzato20.
17 F. Woods, Ilya Kabakov and the Shadows of Modernism, in “Artefact: Journal of the Irish Association of Art Historians”, Winter 2008. 18 J. Fineberg, “To Sleep, Perchance to Dream: The House of Dreams”, in I. e E. Kabakov, The House of Dreams, cit., pp. 43–54, p. 52. 19 Ibid. 20 Mark Fisher legge in quest’ottica anche Inception (2010), film di Christopher Nolan dedicato al mondo dei sogni. Cfr. M. Fisher, The Lost Unconscious: Delusions and Dreams in Inception, in “Film Quarterly”, vol. 64, n. 3, Spring 2011, pp. 37–45.