Risk management nella supply chain

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all'approvvigionamento approvvigionare, alle risorse umane garantire il personale e ... hanno reso evidente che è il valore per il cliente il vettore di valore per l'azionista, ... Management (Gestione della Relazione con il Cliente), Customer Service ... sincronizzare e ottimizzare i flussi fisici, di persone e di informazioni che.
Risk management nella supply chain * ANTONIO BORGHESI** BARBARA GAUDENZI***

Abstract In una visione sistemica dell’impresa, si ritiene che il processo di Supply Chain Management (SCM) rappresenti la spina dorsale dell’azienda e che una efficace ed efficiente gestione della catena di fornitura, dal punto di vista organizzativo e manageriale, sia un requisito essenziale nel conseguimento del miglior livello di servizio per il cliente, da cui dipende la capacità dell’impresa di conseguire un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti. Ritenendo che la efficace gestione della catena non possa prescindere da una corretta gestione dei rischi che su essa gravano, si propone quindi un’applicazione del processo di Risk Management alle attività rientranti in una Supply Chain. In particolare, si definisce un metodo di identificazione e misurazione dei rischi basato sulla costruzione, in ogni sottoprocesso della supply chain, di un panel multi-livello di indicatori, successivamente sintetizzati in un Supply Chain Risk Indicator. In ogni area i rischi vengono analizzati in relazione agli specifici obiettivi verso cui è orientato il processo di SCM, ritenendo infatti che ogni oggetto di analisi sia in grado di generare rischi di natura ed entità differenti a seconda delle diverse prospettive di indagine. Key words: Supply Chain Management, Risk Management, risk assessment, processi, funzioni This paper considers Supply Chain Management (SCM), in a olistic vision, as the backbone of the company’s management (SCM efficacy represents in fact the key-skill to get customer service and competitive advantage), consisting as it does to the application of Risk Management to those activities that make up the supply chain. In particular, a method of identification and measurement of risks is proposed, based on the construction of a multilevel indicator panel that is then synthesized in a Supply Chain Risk Indicator. A Supply Chain Risk Management approach seems essential for ensuring effective and efficient supply chain management. **

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Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese – Università degli Studi di Verona e-mail: [email protected] Dottoranda di ricerca in “Dottrine economico-aziendali e governo dell’impresa” presso l’Università degli Studi di Napoli “Parthenope” e-mail: [email protected] Il presente lavoro, pur essendo frutto di riflessioni ed impegno comuni, in termini di contributi individuali può essere suddiviso come segue: Antonio Borghesi ha redatto il primo paragrafo, Barbara Gaudenzi ha redatto i paragrafi 2, 3 e 4. Gli autori lavorano presso il Dipartimento di Economia Aziendale dell’Università degli Studi di Verona, Facoltà di Economia, Via dell'Artigliere 19, 37129 Verona – Italy.

sinergie n. 63/04

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In this paper therefore, for each area of the supply chain, the risks are analyzed in relation to the specific aims of the SCM process, considering each object analyzed as capable of generating risks of diverse nature and entity in relation to the various viewpoints of the research. Key words: Supply Chain Management, Risk Management, risk assessment, process, function

1. Alcune considerazioni teorico-metodologiche sul rapporto tra funzioni e processi nella gestione di una catena di fornitura Nel presente lavoro proponiamo un approccio di Risk Management alle attività rientranti in una Supply Chain, al fine di identificarne e misurarne i rischi, sintetizzandoli in un Supply Chain Risk Indicator. Ogni impresa operante in un contesto competitivo dovrebbe progettare ed implementare, per raggiungere i propri obiettivi, una serie di processi aziendali1, intesi come sequenza (sistemi) di attività tra loro collegate e finalizzate verso un medesimo obiettivo. Per siffatta caratteristica i processi intersecano trasversalmente le funzioni aziendali tradizionali, quali la produzione, la finanza, il marketing, e così via. Secondo tale approccio manageriale le funzioni supportano i processi, interagendo dinamicamente tra loro in relazione alle specifiche attività da svolgere ed alle rispettive finalità. Non appare tuttavia semplice dare sistemazione teorica al rapporto intercorrente tra funzioni e processi. Nondimeno ci pare necessario, onde poter procedere con più rigore metodologico, sforzarci nel ricercare una risposta adeguata, almeno in termini di coerenza interna. In una visione sistemica2 le complesse attività che si svolgono all’interno di un’impresa possono essere scomposte sino ad attività elementari non ulteriormente suddivisibili. La consecuzione di due o più attività finalizzate al raggiungimento di un obiettivo specifico è generatrice di un processo. Mantiene peraltro validità il principio sistemico, per cui ogni processo è scomponibile in sotto - processi e fa parte di processi superiori. Esprimiamo tuttavia il convincimento che la chiave di lettura del rapporto tra funzioni e processi non possa che essere una chiave organizzativa. A ben vedere infatti che cosa gestiscono le funzioni se non processi o attività che le costituiscono? Ma allora quale è la discriminante tra ciò che denominiamo “funzione” e ciò che chiamiamo “processo”? Non possiamo qui non richiamarci alle teorie organiciste e 1

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Pastore A., Golinelli C., “La gestione dei processi nel governo dell’impresa”, Sinergie, N. 50, 1999; Borghesi A., “I processi di SCM, PDM, CRM: la nuova alleanza e la loro centralità nella funzione di marketing”, Sinergie, N. 56, 2001; Christopher M., Marketing Logistics, Butterworth Heinemann, Oxford, 1997. Sul punto rinviamo utilmente a Borghesi A., “Sistemi e organizzazioni economiche”, Economia e Politica Industriale, N. 41, 1984. Vedi anche Golinelli G., L’approccio sistemico al governo dell’impresa, Cedam, Padova, 2000.

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funzionaliste, che sono per altro alla base degli studi sull’impresa, e che se pur così lontane nel tempo sotto il profilo della loro elaborazione hanno permeato e continuano a permeare anche ai giorni nostri le strutture organizzative aziendali.3 Le funzioni dunque possono intendersi come una serie di attività non necessariamente sequenziali l’una all’altra, aventi tuttavia in comune la medesima natura. Ne consegue che le funzioni gestiscono attività, che qualche volta ma non necessariamente costituiscono processi o parte di essi. Inevitabilmente, non essendo direttamente misurabile il loro contributo al risultato economico, il principio che ne informerà la gestione non potrà essere che quello del rendimento, inteso come massimizzazione dell’efficienza nell’uso delle risorse assegnate. Infatti se a ciascuna delle funzioni viene assegnato un obiettivo (alla produzione produrre, alla finanza reperire le risorse finanziarie, al marketing rapportare l’azienda al mercato, alla ricerca e sviluppo innovare, alla amministrazione rilevare, all’approvvigionamento approvvigionare, alle risorse umane garantire il personale e così via), siamo pur sempre in presenza di obiettivi che non hanno valore assoluto bensì risultano relativizzati alla loro ricomposizione nel risultato finale del profitto. La mediazione logica è allora che la massimizzazione dell’efficienza nell’impiego delle risorse è condicio sine qua non per l’ottenimento del profitto. In definitiva, consideriamo l’obiettivo di fabbricare un prodotto andando a ritroso rispetto al risultato finale. Il prodotto è fatto di componenti tra loro assemblati. L’assemblaggio è dunque un processo. Ciascun componente è a sua volta costituito da una serie di sub-componenti e così di seguito. Ora, in una gestione per funzioni, tutte le “attività” aventi natura “produttiva” ricadranno sotto il dominio della “funzione di produzione”. Ovviamente la medesima cosa varrà per le “attività” connesse agli acquisti se è attivata la “funzione approvvigionamento”, per quelle di movimentazione se esiste una “funzione logistica”, per quelle distributive se è attiva una “funzione marketing”, per le attività di reclutamento se esiste una “funzione risorse umane” e così via. Le attività a loro volta possono essere contigue ed in tal caso generano processi e sub processi, che saranno gestiti dalla funzione nella quale risultano incardinati. In siffatta organizzazione è appena il caso di osservare che solo alcune “funzioni” gestiranno attività e processi a diretto contatto con il cliente: segnatamente “marketing” e “logistica”, anche se solo per la parte distributiva.

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Intendiamo qui riferirci alla suggestiva comparazione dell’azienda con il corpo umano ed alla conseguente individuazione di organi e funzioni aziendali. Come ricorda Scott R. W., Organizations. Rational, Natural and Open Systems, Prentice-Hall, 1981 (trad. It. Le organizzazioni, Il Mulino, Bologna, 1985), p. 84 s., Fayol nella ricerca dei principi amministrativi suggerisce che le attività debbano essere raggruppate in modo da riunire attività omogenee o tra loro collegate all’interno della stessa unità organizzativa. Così individuava la funzione direttiva, la tecnica, la commerciale, la finanziaria, la contabile e quella della sicurezza (Fayol H., General and Industrial Management, Pitman, 1949, ediz. orig. 1916; trad. it. Direzione industriale e generale, Franco Angeli, Milano, 1973).

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Nel momento in cui l’avvento del “nuovo mercato” e le sue implicazioni4 hanno reso evidente che è il valore per il cliente il vettore di valore per l’azionista, diventava necessario misurare e monitorare costantemente il contributo delle attività alla creazione di valore per il cliente. E’ appena il caso di sottolineare che nel caso di organizzazione basata sulle funzioni solo il marketing e la logistica distributiva sarebbero in grado di misurare la loro attività o i loro processi interni rispetto al cliente. La consapevolezza che tuttavia non solo le attività e i processi delle funzioni di marketing e di logistica, ma anche attività e processi appartenenti ad altre funzioni possano in modo significativo contribuire a creare valore per il cliente, porta ad evidenziare la necessità di una ricomposizione di attività e processi contigui attraverso le funzioni. La ricomposizione più significativa sembra essere quella che ricollega il flusso fisico generatore del prodotto dalle materie prime che lo costituiscono alla consegna al cliente. Siffatta ricomposizione assume la denominazione di Supply Chain (catena di fornitura), e sembra essere il processo centrale aziendale che può integrare attività e processi contigui interni all’azienda o esterni. Idealmente infatti possiamo individuare una “Internal Supply Chain”, rispetto alla quale, a titolo esemplificativo, le attività e processi già ricompresi nella funzione approvvigionamento forniscono il loro output alle attività e processi già contenuti nella funzione produzione e queste ultime hanno come cliente interno le funzioni di marketing e distribuzione, alle attività e processi delle quali consegnano il loro risultato. Allo stesso modo vi sarà una “Extended Supply Chain” quando si porranno in congiunzione “catene di fornitura interne” di più imprese che si trovino in sequenza logica (fornitori e clienti dell’azienda focus). Vi sarà infine una “Ultimate Supply Chain” quando la sequenza considerata sarà integrale: fornitori dei fornitori e clienti dei clienti. Indipendente dalla forma assunta l’obiettivo del Supply Chain Management è il servizio al cliente, in termini di ordine perfetto e di reattività nella risposta al cliente. Non condividiamo quindi l’impostazione di coloro5 che di fatto identificano il Supply Chain Management come una sorta di processo aziendale unico, risultante da una gestione integrata dei seguenti otto processi: Customer Relationship Management (Gestione della Relazione con il Cliente), Customer Service Management (Gestione del Servizio al Cliente), Demand Management (Gestione della Domanda), Order Fullfillment (Evasione dell’Ordine), Manufacturing Flow Management (Gestione del flusso di produzione), Supplier Relationship Management (Gestione della Relazione con il Fornitore), Product Development and Commercialization (Gestione dello Sviluppo del Prodotto e della Commercializzazione), Returns Management (Gestione dei Resi). In realtà solo alcuni di essi possono essere considerati, a nostro avviso, sottoprocessi del SCM e 4

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Come ha ben rilevato Christopher M., Marketing Logistics, Butterworth-Heineman, Oxford, 1997. Lambert M.D., Cooper M.C., Pagh J.D., “Supply Chain Management: Implementation Issues and Research Opportunities”, The International Journal of Logistics Management, Vol. 9, No. 2, p. 2

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più precisamente quelli direttamente connessi al servizio al cliente in termini di ordine perfetto e reattività nella risposta. Dunque tutti quelli indicati con esclusione del Customer Relationship Management e del Product Development Management. Esprimiamo infatti la convinzione che tali ultimi due processi abbiano una loro autonomia in quanto realizzano obiettivi diversi: l’affiliazione del cliente il primo ed il “time to market” il secondo. Ciò non toglie per altro che tutti e tre i processi possano utilizzare una medesima “base dati” informativa e contribuiscano complessivamente a creare valore per il cliente. In una definizione allargata il Supply Chain Management, gestione integrata della logistica all’interno della catena di fornitura6, si pone pertanto l’obiettivo di sincronizzare e ottimizzare i flussi fisici, di persone e di informazioni che attraversano le imprese facenti parte della catena, dai fornitori ai clienti finali7. Tale catena esiste in relazione a tutte le imprese, indipendentemente dalla sua gestione più o meno consapevole. Il Supply Chain Management (SCM), invece, è il processo che deriva dal tentativo di governare la catena ed i suoi attori, e di orientarla verso un fine comune. L’obiettivo ultimo del SCM è quindi la soddisfazione del cliente e la creazione, sia in termini quantitativi che qualitativi, di servizio al cliente e quindi di valore. Per tali motivi riteniamo che il Supply Chain Management rappresenti la “spina dorsale” dell’azienda industriale. A tale processo sono però intimamente collegati, in un rapporto di integrazione reciproca, il Product Development Management (PDM) e il Customer Relationship Management (CRM)8. Il SCM, infine, è per sua natura sottoposto alle vulnerabilità tipiche di un sistema di relazioni in essere tra diversi portatori di interessi9, in quanto racchiude in sé le opportunità della collaborazione e le minacce tipiche delle relazioni conflittuali. Le prime sono rappresentate dalla possibilità di crescita aziendale mediante la creazione di sinergie con l’ambiente di riferimento, le seconde dall’effetto dannoso proprio dei conflitti tra diversi attori. La efficace gestione delle 6

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Secondo Mentzer J.T. il SCM è una serie di tre o più entità (organizzazioni o individui) direttamente coinvolti in flussi (a monte e/o a valle) di prodotti, servizi, denaro e/o informazioni. Mentzer J.T., DeWitt W. J., Keebler J. S., Soonhong M., Nix N. W., Smith C.D., Zacharia Zach G., “What is Supply Chain Management?” Working Paper, University of Tennessee, Knoxville, 1999. La Londe B.J., Dawson L.M., contenuti in “Early Development of Phisical Distribution Thought” in Readings in Phisical Distribution Management, Macmillan Publishing Co., New York, 1969. Borghesi A., op. cit., 2001; Srivastava R.K., Shervani T.A., Fahey L. “Market-Based Assets and Shareholder Value: A Framework for Analysis”, Journal of Marketing, Vol. 62, 1998: i tre processi di PDM, SCM e CRM possono essere interpretati quali evoluzione di tre delle “p” tradizionali del marketing mix: product, place, promotion. Il Product si è sviluppato nel tempo nel processo di PDM, il Place può essere visto come punto di partenza nello sviluppo del SCM e la Promotion da “spinta alla vendite” è evoluta fino alla definizione di sistemi di CRM, ovvero “sistemi coordinati di azioni volte a soddisfare e fidelizzare il cliente in una logica di lungo periodo”. Golinelli G.M., L’approccio sistemico al governo dell’impresa, Cedam, Padova, 2002.

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attività e processi di Supply Chain è quindi una “capacità distintiva” aziendale non reperibile sul mercato delle risorse e difficilmente imitabile. Pera tali motivi si ritiene che essa rappresenti una variabile significativa nella acquisizione di vantaggio competitivo10. Tale efficacia è meglio raggiungibile in presenza di una attiva azione di fronteggiamento delle vulnerabilità gravanti sulla supply chain medesima. In ogni impresa, inoltre, si svolge in modo più o meno consapevole un processo di Risk Management, avente per obiettivo la protezione dell’impresa dagli eventi sfavorevoli e dai loro effetti. Il rischio può essere definito come la potenzialità di un evento sfavorevole, intendendo per evento sfavorevole la possibile variazione di segno negativo rispetto ad una data situazione prevista11.Tale processo incrocia trasversalmente gli altri processi aziendali e si articola in cinque fasi: identificazione, misurazione e trattamento del rischio, implementazione e revisione. Il Risk Management è in grado (a) di monitorare sistematicamente tutte le informazioni al fine di evincere le condizione di rischiosità cui è sottoposta l’impresa e (b) di garantire la protezione dell’impresa dagli eventi sfavorevoli e dai loro effetti, mediante una gestione accentrata del rischio volta a rendere meno imprevedibile e/o meno impattante per l’impresa la manifestazione del rischio. Scopo del presente lavoro è dunque l’applicazione del processo di Risk Management12 alla Supply Chain, al fine di governarla e orientarla verso un determinato obiettivo, la creazione del valore. In aggiunta ci proponiamo di costruire un Supply Chain Risk Indicator che cerchi di misurare il grado di rischio cui è assoggettata una catena di fornitura. Tale indicatore deriva dalla sintesi di un insieme di indicatori di rischio calcolati per i sottoprocessi “trasporto”, “processo produttivo”, “ciclo dell’ordine”, “magazzino” e “fornitura”, che ripercorrono a ritroso, all’interno e all’esterno dell’impresa, la sequenza logica delle attività svolte in una Supply Chain. Posto che ciascun processo o sottoprocesso della catena può assumere valore diverso in funzione di una specifica finalità perseguita, gli indicatori che permettono di dare sintesi al rischio connesso ad ogni sottoprocesso considerato vengono di volta in volta rivisti in funzione di ciascuna delle finalità considerate. Per ogni sottoprocesso si identifica pertanto un cruscotto di indicatori di rischio, misurabili quantitativamente, tante volte quante sono le finalità di analisi, cioè i “punti di vista” da cui si effettua l’indagine. Gli indicatori emergenti da ogni sottoprocesso vengono quindi sintetizzati tra loro, mediante opportuna 10 11 12

Porter M.E., Competitive advantage: creating and sustaining superior performance, Free Press, 1985. Borghesi A., Timidei A., La gestione dei rischi nelle imprese minori, Cedam, Padova, 1998. Olson D.G., Simkiss J.A., “An overview of risk management”, Geneva Papers, N. 33, 1984; Gilardoni A., La protezione aziendale: impostazione strategica e gestionale, EGEA, Milano, 1992; Rowe W.D., An anatomy of risk, Wiley and Sons, Hoboken, 1977.

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ponderazione, pervenendo ad indicatori unici per ogni sottoprocesso e, successivamente, ad un unico Supply Chain Risk Indicator. I sottoprocessi e le finalità possono assumere di volta in volta “pesi” differenti nelle ponderazioni, in funzione della loro specifica rilevanza strategica. 2. Modello di analisi Gli indicatori di rischio sono stati selezionati in base a due criteri fondamentali: la natura preferibilmente quantitativa, per garantirne una maggiore “oggettività” di misurazione, interpretazione ed eventualmente comparazione intra/inter-aziendale, e la possibilità/facilità di rilevazione in azienda. Secondo tale impostazione si è preferito non considerare gli indici che, seppur apparentemente rappresentativi di una condizione di rischio, non siano di fatto misurabili in impresa, ad esempio a causa dell’eccessivo livello di dettaglio richiesto o della laboriosità dei calcoli necessari per la rilevazione. Nella presente indagine abbiamo ritenuto di costruire gli indicatori, in ogni sottoprocesso, orientandoli verso due finalità principali: la capacità di conseguire un certo livello di ordine perfetto13, a sua volta esploso nelle sue specifiche componenti (puntualità, completezza, correttezza e difettosità negli ordini evasi), e la reattività nella risposta al cliente14, a sua volta esplosa in integrazione aziendale e tempestività di risposta al cliente, come illustrato in Figura 1. Il conseguimento delle due finalità, ordine perfetto e flessibilità di risposta, è condizione necessaria per il raggiungimento di un certo livello di servizio al cliente, da cui dipende la capacità dell’impresa di costruire e mantenere il vantaggio competitivo e quindi di creare valore15.

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Christopher Martin, op. cit., 1997; Franzelle E. H., Supply Chain Strategy, Logistics Management Library, McGraw Hill, New York, 2002. Kotler P., Armstrong G, Saunders J., Wong V., Principi di Marketing, Isedi, Torino, 1996; Kahn K.B., Mentzer J.T., “Logistics and interdipartimental integration”, International Journal of Physical Distribution & Logistics Management, Vol. 26, N. 8, 1996; Panati G., Golinelli G.M., Tecnica Economica industriale e commerciale, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1991; Galgano A., La Qualità Totale. Il Company Wide Quality Control come nuovo sistema manageriale, Il Sole24Ore Libri, Milano, 1990; Manzolini L., Soda G., Solari L., L’organizzazione snella: processi di cambiamento per innovare l’impresa, Etas Libri, Milano, 1994; Mason Jones R., Naylor B., Towill D. R., “Lean, agile or leagile? Matching your supply chain to the marketplace”, International Journal of Production Research, Vol. 38, 2000. Acka J.M., Keller P.J., Business Process Mapping. Improving customer satisfaction, John Wiley & Sons, Hoboken, 2002.

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ORDINE PERFETTO

CREAZ.

PUNTUALITA'

trasporto

proc. prod.

ciclo ordine

magaz.

fornitura

COMPLETEZZA

trasporto

proc. prod.

ciclo ordine

magaz.

fornitura

CORRETTEZZA consegne-fatture

trasporto

proc. prod.

ciclo ordine

magaz.

fornitura

DANNI E DIFETTOSITA'

trasporto

proc. prod.

ciclo ordine

magaz.

fornitura

integr interna

proc. prod.

fornitura

vendite

integr di SC

fornitori

distrib.

internal timeliness

proc. prod.

ciclo ordine

SC timeliness

fornitori

distrib.

LIVELLO

DI

DI

VALORE

SERVIZIO

INTEGRAZIONE

REATTIVITA'

TEMPESTIVITA' SOSTENIBILITA' PER L'AZIENDA

COSTO DEI PROCESSI

magaz.

Fig. 1: Diagramma “Finalità-Sottoprocessi” Fonte: ns elaborazione

Secondo tale approccio è possibile effettuare un’analisi di rischio: -

-

sulle fonti potenziali di rischio, in un’ottica statica, quali ad esempio le singole attività svolte, i livelli di controllo, ecc.; sulle relazioni causali dinamiche tra attività svolte, che possono generare rischi indipendentemente dalla natura delle attività singolarmente considerate, ad esempio nel casi di dipendenza reciproca tra lavorazioni soggette quindi doppiamente a determinati rischi; su obiettivi aziendali differenti, dato che un medesimo indicatore può rilevare condizioni di rischio alto o basso in relazione a specifici obiettivi aziendali.

Si è scelto di sintetizzare gli indicatori, calcolati nei singoli sottoprocessi, mediante moltiplicazione, secondo il metodo di calcolo utilizzato per l’indice di ordine perfetto che moltiplica tra loro, nella sua formulazione originaria, gli indici di puntualità, completezza e correttezza. La moltiplicazione consente infatti di apprezzare l’effetto combinato di rischi differenti. L’indice di rischio complessivo si definisce quindi in due fasi: dapprima si effettua la suddetta moltiplicazione tra gli n indicatori di rischio, determinando un indice t, dopodiché se ne calcola il complementare all’unità, calcolando cioè 1-t. La moltiplicazione tra n indici, infatti, genera un valore sintetico inferiore rispetto ai

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singoli fattori, e questo è tanto più vero quanto più alto è il numero dei fattori considerati16; quindi, poiché un indice di rischiosità esprime un livello di rischio tanto maggiore quanto più il valore dell’indice si avvicina all’unità, sarà necessario calcolare il complementare dell’indice sintetico t. Vale la pena considerare, infine, che ogni deviazione in senso negativo dal comportamento ottimale/atteso manifestatosi a valle di un processo, vanifica le performance realizzate negli step precedenti. Parallelamente, tanto più una deviazione (ad esempio un ritardo) si manifesta a monte di attività tra loro concatenate, tanto maggiore è il rischio che tale deviazione si ripercuota a valle della catena con effetto amplificato e distorto. E’ questo il motivo per cui l’analisi a ritroso, lungo le aree di indagine della Supply Chain, risulta essere particolarmente efficace e rappresentativa, soprattutto in riferimento all’ordine perfetto e alle sue componenti. Nei paragrafi successivi vengono quindi descritti dettagliatamente i singoli indicatori di rischio, riportati schematicamente nelle Tabelle riportante in fondo. 3. Ordine perfetto L’ordine perfetto rappresenta la capacità dell’impresa di offrire al cliente il livello di servizio promesso17. Esso viene quindi considerato come primo “sub obiettivo” di una Supply Chain, per due motivi: in primo luogo esso consente di monitorare la “capacità aziendale nell’evasione degli ordini”, da cui dipenderà la profittabilità aziendale di lungo periodo; in secondo luogo esso consente di verificare se sussiste il giusto allineamento tra gli impegni assunti nei confronti del cliente e la capacità dell’impresa di soddisfare tale aspettativa. Come noto l’ordine perfetto si calcola: (puntualità) x (completezza) x (assenza di danni e difetti), dove: Puntualità = (ordini evasi in tempo/ totali ordini ricevuti) x 100 Correttezza = (ordini evasi completi/ totale ordini evasi) x 100 Assenza di danni e difetti = (ordini evasi senza danni e difetti/ ordini evasi) x 100 16

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Per tale motivo riteniamo opportuno evidenziare, per ogni indice sintetico i, il numero n di fattori che lo hanno generato, nella forma in. Parimenti, in caso di prodotto, ad esempio, tra due indici sintetici, il primo di n fattori ed il secondo di m fattori, sarà opportuno indicare l’indice risultante j nella forma Jnxm. Si sottolinea inoltre che la moltiplicazione degli indici comporta l’attribuzione di uguale peso ad ognuno di essi. Si potrebbe comunque scegliere di attribuire pesi differenti agli indicatori, in caso di prevalenza di un obiettivo sugli altri. Si sottolinea che effettuando, invece, la media tra gli indicatori non si potrebbe stimare l’effetto accrescitivo sul rischio derivante dalla combinazione di differenti condizioni di esposizione al rischio. Al contrario si andrebbe invece ad “appiattire” il giudizio medio di rischiosità, a scapito della rappresentatività dell’indicatore finale. Christopher M., op. cit., 1997.

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Per ogni componente di ordine perfetto si descrivono nel seguito i rispettivi indicatori. 3.1 Puntualità Nel presente paragrafo si descrivono nel dettaglio alcuni indicatori utili per descrivere il rischio di non puntualità all’interno dei sottoprocessi trasporto, processo produttivo, ciclo dell’ordine, magazzino e fornitura. Trasporto Il rischio di non puntualità, imputabile ai soli trasporti, a nostro giudizio potrebbe essere identificabile e misurabile mediante due indicatori. Il primo è dato dal rapporto: numero consegne fuori tempo pattuito/consegne totali. Tale indicatore si basa su un dato di prestazione, cioè sul risultato ottenuto dall’impresa nel periodo di riferimento (ad esempio, l’ultimo anno). Al numeratore si indica o il ritardo calcolato sul tempo pattuito con il cliente, nel caso in cui i trasporti siano gestiti direttamente dall’impresa industriale, oppure, come più probabile, il ritardo calcolato sul tempo di consegna pattuito con il vettore, in ipotesi di outsourcing del trasporto. Il secondo indicatore è: ritardi per eventi imprevisti/ritardi totali. Si ritiene infatti che la non prevedibilità dei ritardi, calcolata nel periodo di riferimento, rappresenti una componente accrescitiva del rischio in oggetto. I due indicatori descritti, moltiplicati tra loro, descrivono il rischio in oggetto con maggiore precisione rispetto all’indicatore “generico”: consegne in ritardo/consegne totali. Processo produttivo Il rischio di non puntualità imputabile al processo produttivo può essere innanzitutto misurato mediante l’analisi dei fermo-macchina. Si indica dunque l’indice n. fermo-macchine non programmati/fermo-macchine totali, espresso nell’unità di misura propria dell’intervento mediamente effettuato (ore, giorni, ecc.), e che rappresenta il rischio di incorrere in arresti non programmati della produzione, con ripercussioni negative sui tempi di produzione. Tale indice consente, indirettamente, di valutare anche l’adeguatezza del numero di interventi di manutenzione programmati. Altra possibile causa di non puntualità è l’errore nella previsione/programmazione della produzione. I due indicatori di rischio significativi sono: produzione ottenuta-produzione programmata/produzione programmata e vendite effettive-previsioni di vendita/previsioni di vendita, da computare sempre nel periodo di riferimento. Il primo indicatore consente di apprezzare l’adeguatezza dello strumento di programmazione, il secondo l’adeguatezza dello strumento di previsione, da cui emerge un collegamento con le problematiche di integrazione interfunzionale, precisamente con l’ufficio commerciale. I due indicatori esprimono maggiori livelli di rischio quanto maggiore è la forbice tra le due grandezze a

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numeratore, indipendentemente dal segno assunto. Per tale motivo il numeratore è espresso in valore assoluto. Due ulteriori fattori di rischio sono il grado di dipendenza reciproca delle lavorazioni (n. lavorazioni concatenate/n. lavorazioni totali) e la concentrazione di elevato valore in specifiche lavorazioni, racchiuso ad esempio nei materiali (n. lavorazioni ad elevato valore incorporato/n. lavorazioni totali). Il primo esprime infatti un possibile effetto “a catena”, in accrescimento, dei ritardi di produzione; il secondo evidenzia la presenza di fasi di lavorazione critiche, per questo più esposte a rischi di interruzione. Tali indicatori potrebbero essere sommati tra loro, mediante un approccio matematico; si ritiene tuttavia più opportuno considerarli separatamente, moltiplicandoli tra loro, in quanto possono verificarsi casi di lavorazioni che siano contemporaneamente ad elevato valore e tra loro concatenate, con conseguente incremento del livello di rischio. Il livello di monitoraggio e controllo delle fasi di lavorazione e dei materiali può favorire il contenimento del rischio di non puntualità, per questo si ritiene di proporre due indicatori: 1- (n. fasi di processo monitorate/ n. fasi di processo totali); 1- (n. materie e semilavorati monitorati/ n. materie e semilavorati totali). Tanto maggiore, infatti, è l’attività di monitoraggio e tanto migliore è, potenzialmente, la prevenzione dei ritardi: per tale motivo si considera il complementare del rapporto tra attività monitorate e attività totali. La percentuale di produzione destinata ad ordini promozionali rappresenta un ulteriore indicatore di esposizione al rischio di non puntualità. Le consegne per tali ordini, infatti, presentano mediamente tempi più stretti ed una difficile programmazione. Tale rischio ci appare di conseguenza descrivibile mediante due indicatori: ordini da promozioni/ordini totali; tempo medio di consegna accettato per promozione/tempo medio di consegna generico. Oltre ai rischi di natura manageriale si ritiene di dover considerare anche alcuni rischi fisici18, in particolare quelli gravanti sulle strutture direttamente interessate dall’attività produttiva. Si considera pertanto in questa sede il grado di sicurezza dello stabilimento. Tale grandezza viene generalmente stimata mediante perizie, ad opera di consulenti esterni, sul grado di esposizione delle strutture produttive ai rischi fisici. Nel presente lavoro si adotta a tal fine l’indice di sinistralità, espresso dal rapporto entità dei danni/valore dell’unità di rischio, intendendo per unità di rischio il valore degli stabilimenti. Ciclo dell’ordine Il rischio di non puntualità imputabile al ciclo dell’ordine può essere identificato e misurato mediante il numero di ordini evasi in ritardo, espresso dall’indice ordini evasi in ritardo/ordini consegnati totali. Vale la pena ricordare che 18

Borghesi A., Timidei A., La gestione dei rischi nelle imprese minori, Cedam, Padova, 1998. I rischi fisici derivano dall’esposizione di determinate strutture ad azioni irregolari di forze fisiche e naturali, quali, ad esempio, fulmini, incendi o inondazioni. Essi si distinguono quindi dai rischi manageriali o speculativi, derivanti invece dall’assunzione di scelte di carattere manageriale o imprenditoriale.

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i ritardi imputabili alla fase di evasione degli ordini si ripercuotono direttamente sul cliente finale vanificando le performance delle fasi precedenti. Si ritiene che due ulteriori indici siano in grado di descrivere altre cause del rischio di non puntualità imputabile al ciclo dell’ordine: fasi del ciclo dell’ordine informatizzate/totale fasi del ciclo dell’ordine e numero dati errati immessi nel ciclo dell’ordine/totale dati inseriti. Gli ultimi due indici consentono di apprezzare il rischio potenziale derivabile da inefficienze o errori nell’utilizzo dello strumento informatico di supporto alla gestione degli ordini. Magazzino Il rischio di non puntualità imputabile al magazzino può essere innanzitutto valutato mediante la stima delle probabili rotture di stock, di cui si calcola il numero ed il tempo medio. Il primo indicatore è: 1- (tempo verticale/tempo orizzontale), che esprime il complemento del rapporto tra il tempo medio di giacenza materie prime e semilavorati (tempo non a valore aggiunto) rispetto ai tempi del processo produttivo (tempo a valore aggiunto). Tale rapporto, tradizionalmente utilizzato come segnale di efficienza ed economicità dei processi, nell’analisi del rischio di non puntualità viene invece letto “al contrario”. Tanto maggiore, infatti, è tale rapporto e tanto più l’azienda si cautela dal rischio di stock out, con benefico effetto sul relativo rischio sopportato. Per questo motivo, il complementare del rapporto viene scelto quale indicatore di rischio. Si trascura in questa sede la valutazione delle condizioni di efficienza ed economicità, in base alle quali tanto maggiore è il rapporto e tanto più costoso è il processo. Un secondo indicatore scelto potrebbe essere il n. fermo macchina per assenza di materiali/ n. fermo macchina totali, che misura il numero di fermo macchina, durante il processo produttivo, imputabile ad assenza di materiali in magazzino. Il rischio di non puntualità deriva inoltre dalla presenza e gestione della merce danneggiata o difettosa presente in magazzino. Ad essa sono imputabili possibili rallentamenti in produzione; inoltre, tale merce figura a magazzino, erroneamente, come giacenza di materie da immettere nel processo produttivo, creando quindi un ulteriore rischio di stock-out. I due indicatori scelti a riguardo sono: n. fermo macchine per materiali difettosi/ n. fermo macchine totali e merce danneggiata/merce movimentata. Il secondo indice esprime in particolare la percentuale di materiali difettosi presenti a magazzino, la cui rilevazione avviene tipicamente in fase di movimentazione anzichè durante lo stato di giacenza. Altri due indicatori ritenuti significativi sono, rispettivamente, tempi di handling/tempi di processo, che esprime il rischio di rallentamento dei tempi di processo dovuto allo stoccaggio dei materiali in posizioni scomode, e il grado di sicurezza del magazzino che, come nel caso del grado di sicurezza dello stabilimento produttivo, viene stimato mediante l’indice di sinistralità calcolato sul magazzino. Quest’ultimo si esprime in entità dei danni/valore dell’unità di rischio, dove per unità di rischio si intende il valore del magazzino.

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Fornitura Il rischio di non puntualità derivante dall’approvvigionamento dipende innanzitutto dal livello di servizio offerto dal fornitore, misurabile mediante le variabili dell’ordine perfetto, computate questa volta sulle prestazioni del fornitore. Si andranno a calcolare quindi i tre indicatori: 1- (consegne in tempo/consegne totali); 1- (consegne complete/consegne totali); 1- (consegne corrette/consegne totali). Il rischio di non puntualità può dipendere inoltre dalla tipologia di ordini oggetto di negoziazione con il fornitore, espresso dal rapporto numero di ordini urgenti/ numero totale di ordini. Tanto maggiore, infatti, è la percentuale di ordini urgenti inoltrati ai fornitori, tanto maggiore è la rilevanza delle prestazioni non programmate, con effetto accrescitivo sul rischio di non puntualità. In tal senso è significativo considerare, nel periodo di riferimento, il complementare del tasso di sostituibilità dei fornitori, 1- (numero nuovi fornitori/totale fornitori), che esprime il livello di adattamento del parco fornitori alle specifiche esigenze di approvvigionamento, con presumibile effetto positivo sul rischio di non puntualità. Un ultimo indicatore di rischio può derivare dall’analisi dello scambio di informazioni di natura informatizzata con i fornitori, espressione del coordinamento tempestivo tra gli attori e per questo potenzialmente in grado di ridurre il rischio di non puntualità. L’indice da misurare è pertanto 1- (numero dati scambiati elettronicamente/totali dati scambiati). Si rimanda al paragrafo relativo alla reattività per la valutazione completa del grado di integrazione con i fornitori. 3.2 Completezza Il rischio di non completezza, misurabile in modo generico mediante l’indice ordini evasi incompleti/ordini evasi totali, deve essere valutato, in modo più approfondito, da due punti di vista. La non completezza può derivare infatti da un errore o da una scelta precisa aziendale: se, ad esempio, alcuni prodotti, oggetto di un ordine, non sono disponibili (ad esempio per ritardi di produzione), l’ufficio commerciale può compiere la scelta di evadere un ordine incompleto, spedendo cioè al cliente solo i prodotti effettivamente disponibili, anziché ritardare la spedizione completa. La scelta dovrà opportunamente dipendere dalla valutazione del grado di sensibilità del cliente alle diverse componenti del servizio19. Trovandosi in condizione di dover evadere un ordine “non perfetto”, l’impresa deve dunque scegliere, più o meno consapevolmente, se dare un disservizio in termini di nonpuntualità o di non-completezza. Nel seguito, si propongono alcuni indicatori utili per esprimere il rischio di evasione incompleta dell’ordine dovuto ad errori, imputabile al solo ciclo dell’ordine, ed il rischio di evasione incompleta volontaria, imputabile al processo produttivo, al magazzino ed alla fornitura.

19

Aufreuter N.N., Karch S., Smith C., “The Engine of Success in Retailing”, McKinsey Quarterly, N. 3, 1993.

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a) Incompletezza – per errori Ciclo dell’ordine Il rischio di evasione incompleta per errori imputabili al ciclo dell’ordine può essere rappresentato indicativamente mediante un’analisi storica dei dati errati gestiti dall’azienda: numero dati errati inseriti in ordine/numero dati totali inseriti in ordine. b) Incompletezza – volontaria Processo produttivo Il rischio di evasione incompleta volontaria, per indisponibilità del prodotto imputabile al processo produttivo, può essere stimato dal rapporto: numero ordini incompleti per ritardo di produzione/totale ordini incompleti. Magazzino Il rischio di evasione incompleta volontaria, imputabile al magazzino, può essere invece definito mediante due indicatori: numero ordini incompleti per ritardo di magazzino/totale ordini incompleti e numero ordini incompleti per assenza prodotti finiti/totale ordini incompleti. Fornitura Il rischio di evasione incompleta volontaria, imputabile all’approvvigionamento viene invece descritto mediante l’indicatore: numero ordini incompleti per ritardo di fornitura/totale ordini incompleti. 3.3 Correttezza Il rischio di non correttezza viene valutato in duplice modo: il rischio di non correttezza da fatturazione, imputabile al ciclo dell’ordine, ed il rischio di non correttezza da consegna, imputabile ai trasporti e al ciclo dell’ordine. La sintesi degli indicatori proposti permette una valutazione di rischio più approfondita rispetto al generico rapporto numero ordini non corretti /ordini totali evasi. a) Non correttezza – da fatturazione Ciclo dell’ordine Il rischio di non correttezza da fatturazione può essere espresso dai indici: numero ordini evasi con errori di fatturazione/ordini consegnati totali e numero ordini evasi con errori su cliente o quantità /ordini consegnati totali. b) Non correttezza – da consegna Trasporti Il rischio di non correttezza da consegna si ritiene che derivi dai possibili errori commessi dal vettore, nel caso di scarico della merce presso un cliente sbagliato. Si propone quindi il rapporto: numero consegne errate per errore del vettore/ordini consegnati totali.

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Ciclo dell’ordine Il rischio di non correttezza da consegna derivante da un errore di “processazione” dell’ordine, può essere descritto dai due indicatori: numero ordini con errore sui dati di consegna/ordini consegnati totali e numero consegne errate per errore su anagrafica cliente/ordini consegnati totali. La natura dell’errore, infatti, può riguardare le quantità di prodotto o la gestione dell’anagrafica cliente. 3.4 Merce danneggiata e difettosa Il rischio di consegna di merce danneggiata e difettosa viene di seguito valutato, più dettagliatamente, mediante alcuni indicatori afferenti i diversi sottoprocessi, anziché mediante il solo indice generico numero consegne con merce danneggiata o difettosa/consegne totali. Trasporto Il rischio di merce danneggiata e difettosa imputabile al trasporto può essere stimato in: merce danneggiata durante il viaggio/consegne totali. Mediante tale indicatore si intende calcolare l’esposizione dell’impresa a rischi di danneggiamento durante la fase di consegna. Le relative considerazioni sulla responsabilità derivante dai danni generati in fase di trasporto devono essere fatte distinguendo l’ipotesi di gestione interna o di outsourcing dei trasporti, come specificato nel paragrafo 2.1.1. Processo produttivo Il rischio di merce danneggiata-difettosa imputabile al processo produttivo deriva innanzitutto dall’adeguatezza degli impianti produttivi. Si ritiene di poter misurare tale rischio mediante l’indice prodotti difettosi per fasi di lavorazione/produzione realizzata, che esprime l’incidenza degli output difettosi sul totale della produzione derivante dal processo produttivo. Il monitoraggio della produzione, inoltre, può concorrere positivamente alla riduzione del rischio di merce danneggiata-difettosa. Se ne ricava pertanto l’indicatore 1- (produzione scartata in controllo qualità/produzione realizzata). Il rapporto in esso presente, di cui si considera il complementare per apprezzare la componente di rischio, rileva l’entità e la significatività del controllo qualità, che contribuisce ad abbattere il rischio di consegna al cliente di merce difettosa. Gli imballi spediti danneggiati possono rappresentare, infine, un elemento rilevante di incidenza sul rischio di merce danneggiata-difettosa. Si propone pertanto l’indice imballi rotti/imballi spediti, che indica il grado di esposizione al rischi di danneggiamento della merce a causa di imballi inadeguati e difettosi. Magazzino Il rischio di merce danneggiata-difettosa relativa al magazzino può identificarsi in primo luogo mediante il grado di obsolescenza degli stock a magazzino, misurato dal rapporto prodotti obsoleti a magazzino / totale prodotti a magazzino. Un secondo indicatore proposto è dato dal rapporto merce danneggiata/merce

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movimentata, che esprime l’esposizione al rischio di merce danneggiata-difettosa in quanto misura indicativamente il numero di materie danneggiate a magazzino che potrebbero generare prodotti finiti a loro volta difettosi. Tale indicatore è presente anche in riferimento al rischio di non puntualità, nel paragrafo 2.1.1, dove rappresenta invece il rischio di avere in stock prodotti realmente non utilizzabili in produzione ma comunque rilevati a magazzino, da cui dipende il rischio di incorrere in stock out “invisibili”. Ciò dimostra come il medesimo indice possa e debba essere misurato, interpretato e pesato in modo differente a seconda dei diversi obiettivi di analisi. Questo stesso indicatore, infatti, potrebbe essere utile anche per un’analisi economico-reddituale, propria di una fase successiva di valutazione della sostenibilità dei processi, misurando il costo intrinseco della giacenza e degli scarti di magazzino. Fornitura Il rischio di merce danneggiata-difettosa può dipendere anche dalla qualità delle materie prime e dei semilavorati acquistati dai fornitori. Materie prime difettose, infatti, possono causare difettosità dei prodotti finiti, indipendentemente dalle fasi di lavorazione interne. Si propongono quindi i seguenti indicatori di rischio: input sottoposti a controlli qualità/input avviati in magazzino e produzione e input risultati difettosi/totale input sottoposti a controllo qualità. Si ricorda che la qualità delle materie prime in entrata incide significativamente non solo sulla difettosità del prodotto finito ma anche, potenzialmente, sulla puntualità di consegna. 4. Reattività Il secondo sub-obiettivo aziendale è rappresentato dalla reattività, intesa come capacità dell’impresa di rispondere flessibilmente alla varietà e variabilità20 che caratterizzano il contesto competitivo con cui le imprese generalmente si confrontano. La reattività21 deriva dalla combinazione ottimale di due requisiti aziendali: strutture e processi definibili lean, cioè snelli, integrati e lineari; ed una condizione di agility22, intesa come capacità dell’impresa di confrontarsi con delivery time sempre più brevi e con ambienti sempre meno prevedibili. Per questo motivo l’analisi del rischio di non reattività, illustrata nel seguito, si focalizza su due aspetti, ovvero due sub-obiettivi aziendali: l’integrazione intra ed inter-aziendale e la tempestività di risposta al mercato. Ogni impresa reattiva è in grado di rispondere efficacemente e tempestivamente al mercato; questa attitudine e, simultaneamente, la capacità di conseguire un certo livello di ordine perfetto, 20 21 22

Panati G., Golinelli G.M., op. cit., 1994. Mason Jones R., Naylor B., Towill D. R., op. cit., 2000. Christopher M., “The Agile Supply chain: Competing in Volatile Markets”, Industrial Marketing Management, Vol. 29, 2000; Mason-Jones R., Naylor B., Towill D.R., op. cit., 2000.

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rappresentano le condizioni necessarie per poter offrire un adeguato livello di servizio al cliente. 4.1 Integrazione interna L’integrazione interna tra le funzioni aziendali rappresenta il primo livello di integrazione logistica, riferito alla gestione ed armonizzazione della supply chain che esiste naturalmente all’interno di ogni impresa (“internal supply chain”). L’integrazione interna è pertanto requisito imprescindibile alla realizzazione di un approccio efficace di Supply Chain Management. Nel seguito si propongono alcuni indicatori di rischio di non integrazione interna, misurabile in integrazione tra processo produttivo, ufficio commerciale e ufficio acquisti. Si è scelto di esprimere i seguenti indicatori di rischio quali complementari di opportuni indici di integrazione. Produzione Il rischio di non integrazione interna imputabile al processo produttivo si ritiene possa essere valutato attraverso l’entità delle informazioni scambiate elettronicamente, che consente di apprezzare il grado di integrazione interna mediante lo strumento informatico, e l’entità delle informazioni condivise tra le singole funzioni. I tre indicatori proposti sono: 1- (numero di informazioni di produzione scambiate elettronicamente /totale informazioni di produzione scambiate); 1- (numero di informazioni di produzione condivise con gli approvvigionamenti/totale informazioni di produzione scambiate); 1- (numero di informazioni di produzione condivise con il commerciale/totale informazioni di produzione scambiate). Approvvigionamenti Si ritiene di poter considerare gli stessi indicatori significativi per il processo produttivo, trasferendoli sull’ufficio acquisti: 1- (numero di informazioni di approvvigionamento scambiate elettronicamente /totale informazioni di approvvigionamento scambiate); 1- (numero di informazioni di approvvigionamento condivise con la produzione/totale informazioni di approvvigionamento scambiate); 1- (numero di informazioni di approvvigionamento condivise con il commerciale/totale informazioni di approvvigionamento scambiate). Vendite Si identificano per l’ufficio commerciale, seguendo la logica precedente, i tre indicatori: 1- (numero di informazioni commerciali scambiate elettronicamente /totale informazioni commerciali scambiate); 1- (numero di informazioni commerciali condivise con la produzione/totale informazioni commerciali scambiate); 1- (numero di informazioni commerciali condivise con l’approvvigionamento/totale informazioni commerciali scambiate).

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4.2 Integrazione di SCM Il rischio di non integrazione esterna, nei confronti cioè degli attori direttamente collegati all’impresa (“extended supply chain”), può essere espresso mediante alcuni indicatori, riferiti ai fornitori e alla distribuzione. Fornitori Il rischio di non integrazione esterna con i fornitori può essere misurato mediante la stima del livello di integrazione dei fornitori nel medio periodo. Si propongono a tale scopo due indicatori, da calcolare nel periodo di riferimento: 1(numero fornitori integrati con accordo esplicito/ numero fornitori stabili) e 1- (tasso di conservazione dei fornitori). Va sottolineato che il turnover di fornitori nell’unità di tempo, nonché l’intensità delle informazioni scambiate, sono due indicatori rilevati anche per il rischio di non puntualità. In quel caso, tuttavia la prospettiva di analisi è differente, per due motivi: da un lato, in quella sede, si considerano i fornitori come “area approvvigionamenti”, cioè come funzione aziendale e non come insieme di attori esterni con cui integrarsi; in secondo luogo gli indicatori presentano pesi e significati diversi se finalizzati ad obiettivi diversi, quali la puntualità di evasione dell’ordine e la flessibilità di risposta al cliente. Si considera inoltre la rilevanza degli ordini non programmati inoltrati ai fornitori rispetto a quelli concordati. I due indicatori di rischio proposti derivano dal complementare, rispettivamente, di due rapporti, volti a misurare la flessibilità di risposta dei propri fornitori ed il ricorso a fornitori estemporanei, quali elementi che riducono il rischio di non integrazione. Gli indicatori sono: 1- (ordini non programmati evasi da propri fornitori/totale ordini non programmati); 1- (ordini non programmati evasi/totale ordini evasi). Un ulteriore indicatore proposto misura il complementare del livello di coordinamento con i fornitori: 1- (numero fornitori per cui ho visibilità dell’ordine/numero fornitori totali). Tale coordinamento è espresso infatti dal livello di condivisione, da parte del fornitore, delle informazioni interne aziendali che consente di sincronizzare tempestivamente le azioni dei due attori non appena si genera un ordine. Si valuta infine il grado di penetrazione del fornitore nel processo interno. I due indicatori di rischio proposti sono costruiti quali complementari dei rispettivi rapporti di integrazione. Il primo indicatore, 1- (valore dei beni in entrata senza ordine/valore ordini di acquisto) è il complementare del rapporto esprimente l’entità dei flussi di materiale gestiti autonomamente da parte del fornitore. Il secondo indicatore, 1- (numero componenti di produzione in coprogettazione/numero totali di componenti realizzate), è il complementare del livello di consulenza e collaborazione del fornitore nella progettazione dei componenti, finalizzate alla realizzazione di soluzioni più efficienti ed efficaci, sia in termini di prodotto che di servizio.

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Distribuzione Il rischio di non integrazione viene misurato anche in relazione al rapporto con gli attori della distribuzione. Nel caso in cui, ad esempio, l’impresa industriale fosse direttamente collegata con un centro distributivo o piattaforma logistica, e non direttamente con le imprese commerciali finali, si andrebbe a considerare l’interazione solo con il primo anello della catena. Lo stesso approccio è stato infatti adottato anche per i fornitori, considerando solo le imprese con le quali si effettua approvvigionamento direttoed escludendo invece gli eventuali sub-fornitori. Il rischio di non integrazione con la distribuzione può essere misurato innanzitutto mediante la stima del livello di condivisione delle informazioni, da cui si propone l’indicatore di rischio 1- (numero di informazioni di processo trasmesse alla distribuzione/totale informazioni di processo). Altro aspetto fondamentale da valutare è l’intensità e l’oggetto delle trattative in atto con la distribuzione, relative ad iniziative da porre in essere a valle della filiera. Si propongono a tal fine due indicatori: 1- (iniziative di trade marketing condivise/iniziative di trade marketing totali) e 1- (innovazioni di prodotto condivisi/ innovazioni di prodotto totali). Mediante i due indicatori si intende valutare indicativamente il grado di collaborazione con la distribuzione su due aspetti chiave, i benefit da riconoscere agli attori a valle della catena e i piani di miglioramento dei prodotti; il grado di condivisione di tali iniziative può rappresentare infatti un elemento di abbattimento del rischio di non integrazione e per questo motivo se ne considera il complementare. Gli ultimi due indicatori proposti sono: numero di rinegoziazioni sulle condizioni di vendita/totale negoziazioni, e margine alla distribuzione/margine totale. Essi possono rilevare una possibile concentrazione di potere contrattuale a valle della filiera, sintomatica tendenzialmente della prevalenza di relazioni contrattuali-conflittuali anziché collaborative. 4.3 Tempestività interna La seconda componente della reattività è rappresentata dalla tempestività, ovvero la capacità dell’impresa di rispondere in modo tempestivo alle richieste del mercato. Anche in questo ambito si adotta una duplice prospettiva di analisi: quella relativa alla “internal supply chain” e quella relativa alla “external supply chain”. Si ritiene di misurare l’efficacia nello svolgimento delle attività mediante lo scostamento tra i tempi effettivi delle prestazioni aziendali ed i tempi ritenuti ottimali, fissati mediante standard interni. Il rispetto di tali standard evidenzia la bontà delle scelte aziendali relative alla distribuzione dei carichi di lavoro ed alla gestione dei processi. Lo scostamento dagli standard, per eccesso o per difetto, viene quindi assunto come parametro per valutare il rischio aziendale di non poter osservare tempestivamente gli impegni assunti. In tutti gli indici proposti si considera pertanto a numeratore il valore assoluto dello scostamento tra valori attesi e valori effettivi.

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Produzione Si considera innanzitutto l’indicatore durata media del processo produttivo durata ottimale del processo produttivo/durata ottimale del processo produttivo, ritenuto idoneo a rappresentare il rischio di ritardo del processo produttivo. In secondo luogo si propone l’analisi dell’integrazione informatica in tempo reale, il cui complementare si ritiene possa esprimere il rischio di ritardo e, quindi, di non tempestività della gestione informatica: 1 – (numero informazioni di produzione gestite dal data base in tempo reale/ totale informazioni di produzione informatizzate). Ciclo dell’ordine Il rischio di non tempestività interna imputabile al ciclo dell’ordine è leggibile attraverso il rapporto durata media del ciclo dell’ordine - durata ottimale del ciclo dell’ordine / durata ottimale del ciclo dell’ordine, quale possibile misura del rischio di inosservanza dello standard interno; si calcola inoltre il complementare dell’indice di penetrazione del sistema informatico, 1 – (numero di fasi del ciclo dell’ordine informatizzate/totale fasi del ciclo dell’ordine). Magazzino Anche in questo caso si propone lo scostamento dallo standard interno quale indicatore di rischio, mediante il rapporto durata media del magazzino - durata ottimale del magazzino /durata ottimale del magazzino; si determina inoltre il complementare dell’indice di informatizzazione in tempo reale, 1 – (informazioni di magazzino informatizzate in tempo reale/totale informazioni di magazzino informatizzate), quale indicatore del rischio di non tempestività della gestione informatica di magazzino. Si propongono inoltre due indicatori: il primo, 1- (materie generiche/materie speciali), definisce la proporzione tra materie altamente flessibili e materie dedicate per specifiche lavorazioni23, esprimendo quindi un rischio di rigidità e di ritardo24; il secondo, tempo del componente più lento/tempo medio del magazzino, rileva il rischio di rallentamenti nelle operazioni di magazzino imputabili ad un determinato materiale, in particolare quello con processo più lento. Approvvigionamenti Per l’area approvvigionamento si propone un solo indicatore, ovvero il complementare del grado di informatizzazione in tempo reale, 1 – (informazioni da fornitori informatizzate in tempo reale/totale informazioni da fornitori informatizzate). Si osservi che in quest’area si considera il livello di informatizzazione in tempo reale tra ufficio acquisti e le altre aree interne aziendali, senza indagare il livello di informatizzazione in tempo reale con i fornitori esterni. 23 24

Christopher M., op. cit., 1997 La gestione dei componenti generici consente di spostare sempre più a valle la customizzazione del prodotto, con conseguente miglioramento del lead time complessivo e della reattività nella risposta al mercato.

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Parimenti non si considera in questa sede l’indicatore di scostamento dallo standard sui tempi di fornitura, che rappresenta invece un indice di rischio di non tempestività esterna. Vendite Si propone, quale indicatore di rischio di non tempestività per l’ufficio commerciale, il complementare del grado di informatizzazione in tempo reale rispetto alle altre funzioni aziendali: 1 – (informazioni sulle vendite informatizzate in tempo reale/totale informazioni sulle vendite informatizzate). 4.4 Tempestività esterna Si indicano di seguito alcuni indicatori ritenuti opportuni per rappresentare il rischio di non tempestività esterna, riferito ai fornitori e agli attori della distribuzione. Fornitori I due indicatori di rischio proposti sono: il complementare del grado di informatizzazione in tempo reale sulle vendite trasmesse ai fornitori, 1 – (numero informazioni sulle vendite trasmesse in tempo reale a fornitori/totale informazioni sulle vendite trasmesse a fornitori), e l’indice di rischio espresso dalla deviazione dei tempi di fornitura rispetto allo standard dell’impresa: tempi medi di fornitura tempi ottimali/tempi ottimali. Distribuzione Per la distribuzione si ritiene di valutare il rischio di non tempestività esterna mediante il complementare del grado di informatizzazione in tempo reale, 1(numero informazioni sulle vendite trasmesse in tempo reale alla distribuzione /totale informazioni sulle vendite trasmesse alla distribuzione). Si ritiene che tale indicatore sia infatti sufficiente, nell’ambito del presente paragrafo, a fornire una rappresentazione di massima del rischio in oggetto. Da ultimo, giova sottolineare che, talvolta, alcuni indici considerati nell’analisi di reattività sono stati proposti anche nell’analisi relativa all’ordine perfetto. Tuttavia, il significato specifico di ogni indicatore, ed il suo peso in termini di rischiosità, varia di caso in caso, in relazione all’obiettivo finale del processo specifico.

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LIVELLO DI SERVIZIO - ORDINE PERFETTO: puntualità indice sintetico: consegne in ritardo/consegne totali TRASPORTO n. consegne fuori tempo pattuito col vettore/ consegne totali (outsourcing) ritardi per eventi imprevisti/ ritardi totali PROCESSO PRODUTTIVO n. fermo macchine non programmati/ fermo macchine totali Ivendite effettive - previsioni di venditaI / previsioni di vendita n. di lavorazioni a elevato valore incorporato/ n. lavorazioni totali 1- n. fasi di processo monitorate/ n. fasi di processo totali ordini da promozioni/ ordini totali indice di sinistralità dello stabilimento

n. consegne fuori tempo pattuito col cliente/ consegne totali (no outsourcing)

Iproduzione ottenuta - produzione programmataI/ produzione programmata

n. di lavorazioni concatenate/ n. lavorazioni totali 1- Q. materie e semilavorati monitorati/ Q. materie e semilavorati totali tempo medio di consegna accolto per promozione/

tempo medio di consegna generico

CICLO DELL'ORDINE ordini evasi in ritardo/ ordini consegnati totali n. dati errati immessi nel ciclo dell'ordine/ totale dati inseriti nel ciclo dell'ordine MAGAZZINO tempo verticale/ 1tempo orizzontale n. fermo macchine per materiali difettosi / n. fermo macchine totali tempi di handling/ tempi di processo FORNITURA consegne in tempo/ 1consegne totali 1consegne corrette/ consegne totali n. di nuovi fornitori/ 1n. totale fornitori

fasi del ciclo dell'ordine infirmatizzate/ totale fasi del ciclo dell'ordine

n. fermo macchine per assenza di materiali / n.fermo macchine totali merce danneggiata/ merce movimentata indice di sinistralità del magazzino consegne complete/ consegne totali n. ordini urgenti/ n. totale ordini 1- n. dati scambiati elettronicamente / totale dati scambiati

1-

Tab. 1: “Ordine perfetto-puntualità” (segue)

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LIVELLO DI SERVIZIO - ORDINE PERFETTO: completezza indice sintetico: ordini evasi incompleti/ordini evasi totali INCOMPLETEZZA PER ERRORE

INCOMPLETEZZA VOLONTARIA

CICLO DELL'ORDINE n. dati errati inseriti in ordine/ n. dati totali inseriti in ordine

PROCESSO PRODUTTIVO n. ordini incompleti per ritardo di produzione/ totale ordini incompleti MAGAZZINO n. ordini incompleti per ritardo di magazzino/ totale ordini incompleti n. ordini incompleti per assenza prod. finiti/

totale ordini incompleti FORNITURA n. ordini incompleti per ritardo di fornitura/ totale ordini incompleti LIVELLO DI SERVIZIO - ORDINE PERFETTO: correttezza indice sintetico: numero ordini non corretti /ordini evasi totali CORRETTEZZA ORDINE-DA FATTURAZ. CICLO DELL'ORDINE n. ordini con errore di fatturazione/ ordini consegnati totali n. ordini con errore su cliente o quantità/ ordini consegnati totali

CORRETTEZZA ORDINE - DA CONSEGNA TRASPORTO n. consegne errate per errore del vettore/ ordini consegnati totali CICLO DELL'ORDINE n. ordini con errore sui dati di consegna/ ordini consegnati totali n.consegne con errore su anagrafica cliente/ ordini consegnati totali

LIVELLO DI SERVIZIO - ORDINE PERFETTO:danni e difetti indice sintetico: consegne con merce danneggiata o difettosa/ consegne totali TRASPORTO merce danneggiata durante il viaggio/ consegne totali PROCESSO PRODUTTIVO prodotti difettosi per difetti di lavorazione/ produzione realizzata imballi rotti/ imballi spediti MAGAZZINO prodotti obsoleti a magazzino/ totale prodotti a magazzino FORNITURA input sottoposti a controlli qualità / input avviati in magazzino e produzione

1 - produzione scartata in controllo qualità/ produzione realizzata

merce danneggiata/ merce movimentata input risultati difettosi/ input sottoposti a controlli qualità

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LIVELLO DI SERVIZIO - REATTIVITA': integrazione INTEGRAZIONE INTERNA: PRODUZIONE 1- n. inf. di prod. scambiate elettronicamente/ totale informazioni di prod. scambiate n. inf. condivise con il commerciale/ 1totale informazioni di prod. scambiate APPROVVIGIONAMENTI 1- n. inf. di approvv. scamb. elettronicamente/ totale informazioni di approvv. scambiate n. inf. condivise con il commerciale/ 1totale informazioni di approvv. scambiate VENDITE 1- n. inf. comm.li scambiate elettronicamente/ totale informazioni comm.li scambiate n. inf. comm.li condivise con prod./ 1totale informazioni comm.li scambiate INTEGRAZIONE DI SCM: FORNITORI 1- n. fornitori integrati, con accordo esplicito/ n. fornitori stabili 1- n. ordini non program. evasi da propri forn./ n. ordini totali non programmati ordini non programmati evasi/ 1ordini evasi valore in entrata senza ordine/ 1valore ordini di acquisto DISTRIBUZIONE n. inf. di processo trasmesse alla distr./ 1totale informazioni di processo innovazioni di prodotto condivise/ 1innovazioni di prodotto totali margine alla distribuzione/ margine totale

1- n. inf. di prod. condivise con approvv./ totale informazioni di prod. scambiate

n. inf. condivise con la produzione/ 1totale informazioni di approvv. scambiate

1- n. inf. comm.li condivise con approvv./ totale informazioni comm.li scambiate

1-

tasso di conservazione dei fornitori

n. fornitori per cui ho visibilità dell'ordine/ n. fornitori totali 1- n. componenti di prod. in co-progettazione/ n. componenti totali di prod. realizzate

1-

iniziative di trade mktg condivise/ iniziative totali di trade mktg n. di rinegoziazioni sulle condiz. di vendita/ totale negoziazioni

1-

Tab. 2: “Reattività” (segue)

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LIVELLO DI SERVIZIO - REATT IVITA': tempestività TEMPEST IVIT A' INTERNA: PRODUZIONE Idurata m edia del proc.-durata ottim ale del proc.I/ durata ottim ale del processo produttivo

1-

n. inf. di prod inform atizzate in tem po reale/ totale inform azioni di produzione inform atizzate

CICLO DELL'ORDINE Idurata m edia del ciclo-durata ottim ale del cicloI / durata ottim ale del ciclo dell'ordine

1- n. fasi del ciclo dell'ordine inform atizzate/ n. totale fasi del ciclo dell'ordine

MAGAZZINO

1-

Idurata m edia m ag.-durata ottim ale m ag.I/ durata ottim ale del m agazzino m aterie generiche/ m aterie speciali

1- n. inf. di m ag. inform atizzate in tem po reale/ totale inform azioni di m ag. inform atizzate tem po del com ponente più lento/ tem po totale della catena

APPROVVIGIONAMENTI 1- n. inf. da fornit. inform atizzate in tem po reale/ totale inform azioni da fornit. inform atizzate

VENDITE 1- n. inf. sulle vendite inform atiz. in tem po reale/ totale inform azioni sulle vendite inform atizzate

TEMPEST IVIT A' DI SCM: FORNIT ORI 1-

n. inf. su vendite trasf. a forn. in tem po reale/ totale inform azioni su vendite trasferite a fornitori

Item pi m edi di fornitura - tem pi ottim ali di fornituraI/ tem pi ottim ali di fornitura

DIST RIBUZIONE 1-

n. inf. su vendite trasf. a distr. in tem po reale/ totale inform azioni su vendite trasferite a distr.

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