Fattore determinante del buon adattamento dei figli alla separazione è ... genitori
e i Gruppi di parola destinati ai figli dei genitori separati, che offrono uno.
Psicologia e Giustizia Anno 13, numero 2 Giugno-Dicembre 2012
Sostegno e tutela dei legami familiari durante la separazione dentro e fuori le aule del tribunale Bruno Colombo*, Claudia Spettu** 1
Abstract Nell’ambito clinico e nell’ambito giuridico è stata ormai riconosciuta l’importanza di tutelare e sostenere il legame dei figli con ciascun genitore durante la transizione della separazione. Fattore determinante del buon adattamento dei figli alla separazione è proprio la continuità dei rapporti tra i figli e ciascuna figura genitoriale, possibile in presenza di modalità collaborative tra i genitori. Nel campo dell’intervento psico-sociale e giuridico, questo ha significato adoperarsi per attenuare il conflitto e per valorizzare le possibilità di cooperazione tra i genitori. Nel presente contributo vengono analizzate alcune delle forme di intervento che hanno ad oggetto il sostegno dei legami tra i membri della famiglia dopo la separazione.
Parole chiave: separazione coniugale, conflittualità genitoriale, relazione genitori-figli, sostegno alla genitorialità
Introduzione Nella complessa esperienza della separazione coniugale viene meno il legame della relazione di coppia e l’impegno reciproco di vivere insieme, ma, se dall’unione sono nati dei figli, permane il sottosistema genitoriale (Iafrate, Mombelli, 1995; Malagoli Togliatti, Lubrano Lavadera, 2002). Gli ex-partner devono rinegoziare i rapporti tra loro e con i figli e fare in modo che la qualità delle relazioni con questi ultimi dipenda sempre meno dalla qualità della relazione con l’ex-partner (Emery, 1994; Scabini, 1995; Cigoli, Gulotta, Santi, 1997). Solo quando entrambi hanno compiuto il processo di elaborazione della separazione possono impostare una relazione non confllittuale e cooperare nell’interesse dei figli (Dell’Antonio, 1993; Pazè, 1998; Cigoli, 2000).
* Psicologo, psicoterapeuta, CTU Tribunale ordinario e Tribunale per i Minorenni di Cagliari. E-mail:
[email protected] ** Psicologa, psicoterapeuta, Cagliari. E-mail:
[email protected]
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Psicologia e Giustizia Anno 13, numero 2 Giugno-Dicembre 2012 Le ricerche hanno mostrato l’alta correlazione tra la conflittualità dei genitori e lo scarso adattamento dei figli al divorzio e che la relazione tra i genitori dopo il divorzio è un fattore critico nel funzionamento della famiglia (Amato, Keith, 1991; Hetherington, Stanley-Hagan, 1999; Kelly, 2000; Harond, Murch, 2005). Gli studi hanno inoltre evidenziato la correlazione positiva tra buon adattamento dei figli alla separazione e mantenimento regolare dei rapporti con entrambe le figure genitoriali (Mombelli, 1997; Cigoli, 2000). Anche la cultura giuridica ha riconosciuto l’importanza della tutela del rapporto dei figli con entrambi i genitori, tanto che l’intervento giudiziario nei rapporti tra genitori e figli riguarda non i singoli componenti ma le relazioni che intercorrono tra loro (Pocar, Ronfani, 1998; Casaburi, De Filippis, 2001). Pensiamo alla recente modifica nella disciplina dell’affidamento dei figli (L.54/2006) che tutela il bisogno di continuità relazionale del minore e valorizza la responsabilità reciproca dei genitori nella cura dei figli (Patti, Rossi, 2006). Le diverse forme di intervento oggi disponibili per accompagnare la coppia e i membri delle famiglie separate, pur differenziandosi per tipologia di destinatari o per finalità, hanno come oggetto comune la cura dei legami familiari e si focalizzano in particolare sulla relazione genitoriale, cioè sull’anello più debole di tutto l’evento separativo e dal quale dipende la sana crecita dei figli (Montanari, 2007). L’offerta di risorse per la coppia o i componenti della famiglia separata è varia e comprende interventi di sostegno, tra i quali la mediazione familiare, il counseling e o la psicoterapia dei singoli e delle coppie, i gruppi di auto-mutuo aiuto, e interventi di valutazione e controllo sociale finalizzati a valutare i rischi e salvaguardare i legami, come la consulenza tecnica d’ufficio e il servizio dello Spazio Neutro (Malagoli Togliatti e Tafà, 2009). Recentemente, si stanno diffondendo i Gruppi di supporto per i genitori e i Gruppi di parola destinati ai figli dei genitori separati, che offrono uno spazio-tempo alternativo alla sede giudiziaria in cui diventa possibile fermarsi, elaborare e condividere l’esperienza della separazione all’interno dei gruppi (Marzotto, 2011).
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Psicologia e Giustizia Anno 13, numero 2 Giugno-Dicembre 2012 1. La ricerca psico-sociale sulla separazione Nel corso degli anni, la riflessione e la ricerca sul tema della famiglia separata ha spostato l’attenzione dall’individuo alle reti relazionali e, nella comprensione dei fenomeni familiari, è passata da una spiegazione lineare in termini di causa ed effetto, ad un’ottica invece sistemica, centrata cioè sui processi interattivi tra le persone. Questo è in sintonia con la ricerca familiare che considera la famiglia un sistema che nasce dalla costruzione di storie di relazioni (Fruggeri, 2005; Mazzoni, Tafà, 2007). Quindi, non è tanto la struttura della famiglia di appartenenza, quanto invece la qualità delle dinamiche e dei processi che in essa si realizzano, ad incidere sugli esiti dello sviluppo degli individui (Taurino, Bastianoni, 2008). L’attività di ricerca riconosce la complessità dell’esperienza della separazione, che è un problema individuale, di coppia, familiare, intergenerazionale e sociale (Iafrate, Mombelli, 1995; Cigoli, 2000). Inoltre, la separazione è un processo che si estende nel tempo, che dipende dagli stadi di sviluppo individuali, dalle differenti fasi del ciclo di vita familiare in cui si verifica l’impatto dell’evento e dalla fase del processo di separazione in cui si colloca la famiglia (Malagoli Togliatti, Lubrano Lavadera, 2002). Se la separazione è un processo evolutivo che richiede una nuova negoziazione dei rapporti, ne consegue che gli effetti esercitati dalla disgregazione familiare non risalgono tanto alla separazione in sé, quanto alla riuscita del processo di riorganizzazione familiare (Emery, 1998; Iafrate, Mombelli, 1997; Cigoli, 2000). Da qui l’interesse degli studiosi a conoscere quali fattori contribuiscono a determinare il successo o il fallimento di questo processo di transizione. In particolare, l’attenzione è rivolta agli aspetti di risorsa presenti nella separazione piuttosto che ai rischi potenziali perché gli esiti della separazione possono essere diversi a seconda delle risorse presenti nell’ambiente relazionale della famiglia e della sua capacità di attivarle (Malagoli Togliatti, Lubrano Lavadera, 2002). La ricca letteratura internazionale sugli effetti della separazione esercitati sui figli documenta che il processo di conflittualità tra gli ex-coniugi costituisce una delle variabili più significative in grado di generare conseguenze negative sui figli e incidere negativamente sulla qualità della riorganizzazione delle relazioni familiari (Amato e Keith, 1991; Kelly, 2000; Harond, Murch, 2005). La conflittualità esercita i suoi effetti negativi sul benessere dei figli sia direttamente, quando i figli assistono ai litigi dei
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Psicologia e Giustizia Anno 13, numero 2 Giugno-Dicembre 2012 genitori o vi prendono parte, sia indirettamente, perché i genitori impegnati nel conflitto sono meno sensibili e attenti ai loro bisogni (Harold et al., 1997; Fincham, 1998). Rispetto a questo, la recente ricerca sul tema evidenzia che gli effetti sui figli dipendono anche dal modo con cui questi percepiscono il conflitto rispetto a se stessi e ai componenti della famiglia (Grych et al., 2000; Ebling et al., 2009). L’esperienza clinica mostra che i figli sono parti attive nelle relazioni con gli adulti e contribuire ad aumentare o diminuire la conflittualità nei rapporti tra i genitori (Malagoli Togliatti, Lubrano Lavadera, 2002) Per esempio, il bambino può preferire ed accettare il legame con uno solo di essi, per fuggire ad una situazione di confusione in cui non riuscirebbe a tollerare la presenza contemporanea di due verità opposte (Dell’Antonio, 1993), oppure può intervenire nel conflitto alleandosi con un genitore contro l’altro (Emery, 1994; Malagoli Togliatti e al 2006; Marzotto, 2011). Di contro, la gestione del conflitto improntata alla cooperazione è una premessa fondamentale, anche se non l’unica, per il benessere dei figli (Ahrons, 1981; Maccoby at al.,1990; Whiteside, 1998; Kelly, 2007; Adamsons, Pasley, 2005). Inoltre, influenza positivamente la frequenza dei contatti tra genitori non residenti e figli (Whiteside, Becker, 2000; Adamson, Pasley, 2005). La mancanza di collaborazione comporta, invece, il minore coinvolgimento dei padri nella vita dei propri figli, difficoltà nella relazione tra loro, fino al deterioramento del rapporto (Ahrons, Tanner, 2003; Pruett et al., 2003). È ben documentata la correlazione positiva tra cogenitorialità e mantenimento regolare dei rapporti dei figli con le figure genitoriali e tra questo e l’adattamento dei figli alla separazione (Cigoli, 2000; Emery, 1998).
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Lo scenario normativo In linea con le teorie psicologiche che, già da tempo, affermano l’importanza della
tutela dei rapporti dei figli con entrambe le figure genitoriali e le rispettive famiglie d’origine, la cultura giuridica ha identificato l’interesse del minore nel mantenimento dei suoi rapporti con entrambi i genitori (Dell’Antonio, Vincenzi Amato, 1992; Malagoli Togliatti, 1999; Quadri, 2001). Il riconoscimento della natura relazionale dell’interesse del minore ha orientato il compito del giudice a salvaguardare la continuità delle relazioni del figli (Moro, 1995). In questa prospettiva, la contrapposizione tra interessi dei minori e interessi dei genitori
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Psicologia e Giustizia Anno 13, numero 2 Giugno-Dicembre 2012 perde valore nel momento in cui la famiglia viene considerata come un sistema complesso, costituito da sottosistemi che interagiscono e si influenzano reciprocamente (Gulotta, 1997, Casaburi, De Filippis, 2001). Non a caso, l’accesso del figlio all’altro genitore, cioè la disponibilità di ciascun genitore di permettere all’altro di mantenere la relazione con il figlio anche dopo la separazione, è stato e continua ad essere considerato uno dei criteri decisivi nella valutazione delle capacità genitoriali (Gulotta, 1997; Cigoli, Galimberti, Mombelli, 1988). La normativa sull’affido condiviso (L.54/2006) ha preso atto del bisogno di appartenenza familiare riconoscendo il diritto del minore a mantenere un “rapporto equilibrato e continuativo” con ciascuno dei genitori, a ricevere cura ed educazione da entrambi e conservare rapporti significativi con le rispettive famiglie d’origine (art. 155, comma 1, c.c.). Introducendo l’affido condiviso come modalità ordinaria e l’affidamento esclusivo come una situazione residuale, ha permesso una inversione di tendenza nelle prassi dei tribunali. Oggi l’affidamento esclusivo alla madre riguarda il 12,2% delle separazioni e quello esclusivo al padre l’1,1,%. Anche se nel 2009, le separazioni con figli in affido condiviso sono state l’86,2% (ISTAT, 2011), il 20% dei padri vede meno di una volta all’anno i figli, il 20% meno di una volta al mese e un altro 20% meno di una volta alla settimana. Il dibattito sull’effettiva applicabilità di questo regime di affidamento è quanto mai attuale. Una delle critiche sollevate riguarda la possibilità che questa formula, nei casi di maggior tensione nella coppia genitoriale, possa alimentare la lite (AIAF, 2006; Marino, 2006). Secondo Osler (2008), la conflittualità tra i genitori si mantiene bassa nel momento iniziale del procedimento per poi esprimersi dopo, nel concreto svolgersi della genitorialità. Certamente, perché questo sistema trovi un esito positivo è necessaria una buona cooperazione tra genitori (Asprea, 2006)2, ma questo non significa che la conflittualità dei genitori costituisca da solo un criterio sufficiente per escludere l’affidamento condiviso (Gulotta, 2011)
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In questo senso si è espressa parte della giurisprudenza. Si veda la recente sentenza della Corte di Cassazione n.17191/2011 in www.diritto24.ilsole24ore.com.
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Psicologia e Giustizia Anno 13, numero 2 Giugno-Dicembre 2012 Ancora oggi si continuano a cercare soluzioni normative in grado di assicurare una piena bigenitorialità che non sia solo teorica ma realmente vissuta nel quotidiano, come dimostrano i recenti progetti di riforma sul c.d. affido condiviso bis 3 . Al di là della formula di affidamento, la quale non risulta associata necessariamente ad una continuità del rapporto genitoriale funzionale, o ad una minore conflittualità (Mazza Galanti, 2006; Maglietta, 2010), è importante che la cultura della bigenitorialità venga innanzitutto recepita dai genitori e da tutte le figure professionali coinvolte (Buttiglione, 2011). Questo è ancora più vero se si considera che ancora oggi la condivisione non è un principio così diffuso sia nelle famiglie separate quanto in quelle intatte perché i ruoli risultano ancora stereotipati, nonostante ci siano cambiamenti, soprattutto tra coppie più giovani (Saraceno, 2006).
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Dentro le aule di giustizia: strumenti e risorse La consapevolezza dell’importanza e della necessità di sostenere il legame
genitoriale in occasione della separazione o del divorzio, ha indirizzato l’intervento psico-sociale alla ricerca di interventi rivolti alla coppia genitoriale finalizzati a costruire o integrare le capacità di risoluzione del conflitto e esercitare congiuntamente le funzioni genitoriali (Malagoli Togliatti et al., 2006). È sempre più condivisa l’idea che anche le famiglie caratterizzate da modelli di relazione altamente conflittuale possono comunque far emergere una disposizione alla collaborazione (Gargano, Lubrano Lavadera, 2006). Intervenire sul conflitto non significa quindi eliminarlo ma adottare una diversa modalità di gestione della conflittualità, per esempio basata sulla collaborazione anziché sulla logica antagonistica, con la finalità di offrire maggiori garanzie affinché i genitori mantengano una comune genitorialità rispetto ai compiti di cura e di educazione dei figli (Guida, 2006; Baccolini, 2006). Adoperarsi in questo senso è diventato un imperativo soprattutto per gli operatori giuridici. Si tenga presente che nel nostro paese e nella nostra cultura, la separazione ha
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Il D.d.l. 957 “Modifiche al codice civile e al codice di procedura civile in materia di affidamento condiviso” presentato al Senato nel 2008 e il D.d.l. 2454/2010 introduce il concetto di doppio riferimento abitativo, prevede che il minore permanga per un tempo comparabile, tendenzialmente ma non rigidamente paritetico, con entrambi i genitori e che questi ultimi mantengano direttamente i figli, ciascuno per i capitoli di spesa che gli sono assegnati.
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Psicologia e Giustizia Anno 13, numero 2 Giugno-Dicembre 2012 inizio nel contesto giudiziario dato che le famiglie che intendono separarsi si rivolgono in prima istanza all’avvocato piuttosto che alle agenzie psicosociali di aiuto. In questi ultimi anni, nella cultura giuridica si sta diffondendo sempre più l’idea che il processo di separazione debba condurre verso un nuovo progetto esistenziale, il più possibile condiviso dai suoi protagonisti. In quest’ottica, una risorsa sempre più diffusa per i genitori che hanno deciso di separarsi è la mediazione familiare. Secondo Carrà (2010), la mediazione è un percorso che non si limita ad impedire o contenere il conflitto, ma lavora per rigenerare i legami all’interno della famiglia. Per raggiungere questo obiettivo, i genitori sono aiutati a comprendere il senso di quanto è loro accaduto, a riconoscere le proprie responsabilità, a investire le proprie risorse nella relazione con l’altro, affinché si diano loro stessi delle regole e partecipino alle decisioni che riguardano i loro legami. Per supportare le relazioni familiari nel conflitto si sta sviluppando una sempre maggiore collaborazione tra gli operatori del diritto e gli psicologi. A questo proposito, è esemplificativa l’iniziativa del Tribunale di Genova che, in collaborazione con l’Ordine degli Psicologi della Liguria e della ASL di Genova, ha previsto la possibilità, durante la fase presidenziale, di proporre l’accesso ad un percorso di sensibilizzazione alla genitorialità alle coppie separande, libere di accettare o rifiutare, finalizzato a raggiungere accordi rispetto all’affidamento e alla regolamentazione dei rapporti con i figli (Mazza Galanti, 2006). Sempre riguardo agli interventi psico-giuridici nell’ambito dei conflitti familiari, vi è un altro tipo di lavoro che può essere prezioso: la Consulenza Tecnica d’Ufficio. Il ruolo del consulente è di particolare rilievo in quanto interagisce con la coppia genitoriale e i minori in un contesto diverso da quello processuale e perché, oltre a costutire un aiuto per il giudice ai fini dei provvedimenti da adottare, può porre le basi, unitamente alle capacità delle parti a collaborare, per un lavoro costruttivo (Malagoli Togliatti, 2011). Questo lavoro psicologico può rappresentare per la famiglia coinvolta un momento in cui acquisire consapevolezza del cambiamento in atto nel proprio sistema familiare e permettere ai genitori di evidenziare e valorizzare ciò che entrambi possono dare ai figli e di avere maggiore consapevolezza dei vissuti e delle esigenze di questi ultimi e predisporsi quindi ad una ristrutturazione del proprio equilibrio che permetta la
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Psicologia e Giustizia Anno 13, numero 2 Giugno-Dicembre 2012 salvaguardia dei legami generazionali (Cigoli, 2000). Condizione questa che rende più probabile l’applicazione e il rispetto dei provvedimenti adottati dal giudice, che, da soli, non garantiscono il mantenimento delle relazioni familiari dopo la fine della convivenza (Galizia Danovi, Denti, 2000; Gargano, Lubrano Lavadera, 2006). Inoltre, lavorando sulla rielaborazione delle dinamiche familiari post-separazione e quindi sulla realtà in evoluzione, la consulenza può fungere da ponte di passaggio ad altri tipi di intervento più approfonditi e specialistici (richieste di revisione, inviti ai genitori e ai minori a proseguire attraverso interventi terapeutici o di mediazione esterni al contesto giudiziario). Nel corso degli ultimi anni, la CTU si è modificata. Oggi, si delinea sempre più come un intervento psicogiuridico di cura dei legami, non nel senso di risolvere i problemi ma di occuparsi del legame, e orientato più alla comprensione dei vissuti familiari che alla loro descrizione (Cigoli, Gulotta, Santi, 1998; De Bernard et al., 1999; Malagoli Togliatti, 2011; Macrì, Zoli, 2011). La consulenza è diventata sempre più un intervento di sostegno alla genitorialità: il consulente è consapevole che non esiste un genitore buono ed uno cattivo e che il bambino ha bisogno di mantenere la relazione con ciascuno di essi e per questo aiuta i genitori ad attivare le risorse per superare la conflittualità distruttiva (Malagoli Togliatti et al., 2006). Non è un caso che negli ultimi tempi, la CTU, considerato un adeguato strumento a tutela dell’interesse del minore. sia oggetto di contributi e ricerche finalizzate a migliorarne l’efficacia e la qualità. In quest’ottica si pone anche la ricerca4, a cura di chi scrive e promossa dalla Regione Autonoma della Sardegna, finalizzata ad individuare gli aspetti di forza e di debolezza della CTU, rilevando il punto di vista dei diversi protagonisti della vicenda giudiziaria (genitori, giudici, avvocati, consulenti tecnici). Tra i domumenti che offrono delle valide indicazioni per definire il ruolo e il compito dello psicologo che opera nel contesto forense, il Protocollo di Milano, elaborato dal gruppo di lavoro interdisciplinare coordinato da Guglielmo Gulotta (2012)5, indica le Linee guida per la consulenza tecnica in materia di affidamento dei 4
Borsa di ricerca co-finanziata con fondi a valere sul PO Sardegna 2007/2013 sulla L.R. 7/2007 Promozione della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica in Sardegna, Ente ospitante: Società Insight srl., Cagliari. 5 Il documento è stato realizzato a seguito di un importante convegno organizzato dalla Fondazione Guglielmo Gulotta dall'Ordine degli Avvocati di Milano e dall'AIAF Lombardia, con il patrocinio del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia, del Centro per la Riforma del Diritto di Famiglia e della Camera Minorile di Milano. Vedi in www.fondazionegulotta.org
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Psicologia e Giustizia Anno 13, numero 2 Giugno-Dicembre 2012 figli a seguito di separazione dei genitori: contributi psico-forensi, rappresentando un prezioso riferimento per il consulente tecnico che valuta le condizioni per l’affidamento dei figli. Infine, tra i diversi interventi finalizzati al mantenimento o alla ricostruzione della relazione tra genitori e figli riportiamo l’esperienza degli Spazi Neutri d’incontro, che permettono il riavvicinamento relazionale ed emotivo tra genitori, o adulti di riferimento, e figli che hanno subito un’interruzione del rapporto, a seguito di separazione, divorzio conflittuale e altre vicende di grave e profonda crisi familiare (Cigoli, 2000; Dallanegra, 2005). Un servizio importante se si pensa che è proprio in occasione dell’incontro che le maggiori manipolazioni dei genitori sui figli e viceversa hanno luogo (Ardone, 1999).
4. Nuove risorse basate sulla gruppalità Nella fase di transizione della separazione, emergono i punti di debolezza e di forza della famiglia e la capacità della società di supportare le relazioni familiari (Rossi, 2010). Tra le risorse cui il sistema familiare può attingere nel momento di crisi sono sempre più importanti quelle provenienti dal contesto sociale in cui è inserita. Il sostegno sociale consiste nell’aiuto materiale ed emotivo che si può dare e ricevere attraverso le reti informali (rapporti parentali, amicali, di vicinato) e le reti formali (servizi sociali e politiche socio-economiche attuate nel contesto sociale di appartenenza) (Francescato, 2002). Come sostengono Marzotto e Bonadonna (2011), oggi è un punto condiviso che genitori e figli non devono restare soli durante questa transizione e che andrebbero loro offerte risorse adeguate da parte sia delle reti formali che delle reti informali. Per quanto riguarda i figli, alcune ricerche segnalano in particolare come uno dei bisogni sia quello di poter essere informati in modo adeguato sul divorzio, sui cambiamenti dell’organizzazione familiare e di avere la possibilità di parlare dei sentimenti e delle paure specifiche di questa transizione (Malagoli Togliatti, Lubrano Lavadera, 2002). Risulta invece che la maggioranza dei genitori non ha parlato con i figli in merito al divorzio (Kelly, Emery, 2003). In questo senso, e in un ottica preventiva della sofferenza dei figli, si stanno diffondendo, in alcune regioni italiane, i
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Psicologia e Giustizia Anno 13, numero 2 Giugno-Dicembre 2012 Gruppi di parola (Malagoli Togliatti, 2011; Marzotto, Bonadonna, 2011), cioè percorsi rivolti a bambini e ragazzi al fine di condividere l’esperienza della separazione con chi si trova in situazioni analoghe e trovare una rete di scambio e sostegno tra coetanei. Per gli adulti che affrontano la separazione, sono previsti i Gruppi di supporto gestiti da operatori (Montanari, 2007). Sempre in tema di gruppalità, rimane invece una realtà marginale quella dei gruppi di Auto-Mutuo-Aiuto (Cigoli, 2000; Montanari, 2007). Un fenomeno che sta assumendo un ruolo ed uno spazio sempre più rilevante nell’erogazione dei servizi per la famiglia, ma poco trattato dalla letteratura, è quello delle associazioni di “genitori separati” (Rossi; 2010). Si tratta di una tipologia del terzo settore che mette al centro la relazione familiare e i suoi bisogni specifici (Giordano, 2004) . Molte associazioni offrono, oltre alla possibilità di scambio e condivisione delle esperienze, un servizio informativo e di supporto attraverso consulenze psicologiche e legali.
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Verso prospettive nuove: il lavoro di rete e il protagonismo delle famiglie La necessità di offrire un sostegno adeguato alla famiglia durante la transizione
della separazione al fine di promuovere il mantenimento dei legami rappresenta ormai un dato assodato. Nonostante la sempre maggiore attenzione alle relazioni familiari, nel nostro Paese, a parte singole e sporadiche realtà locali, non risultano interventi coordinati a livello nazionale rispetto all’accompagnamento delle coppie che decidono di separarsi. Alcune delle esperienze qui illustrate hanno interessato solo alcuni territori in modo più evidente e altri in modo ancora approssimativo. Anche la stessa mediazione familiare, nonostante il richiamo legislativo (art. 155 sexies, comma 2 c.c.) e la sempre maggiore diffusione6, non è ancora omogeneamente distribuita sul territorio. Perché però si possa costruire questo “benessere relazionale” occorre coinvolgere le famiglie nella progettazione e nella realizzazione dei servizi e degli interventi (Rossi, 2010; Donati, 2011). La direzione indicata oggi per le politiche sociali della famiglia è quella di promuovere l’attivazione di entrambi i genitori alle decisioni che li riguardano, sviluppare la loro autonomia e non limitarsi a servizi sostitutivi e assistenzialistici. Con 6
In Italia, i servizi privati di mediazione sono meno diffusi rispetto a quelli pubblici (Cigoli, 2000). Sono infatti sempre più numerose i protocolli di intesa tra tribunali, centri di mediazione e ordini professionali degli avvocati circa l’utilizzo di questo servizi. Iniziative in questo senso sono state sperimentate per es. a Reggio Emilia (www.spaziomef.it), Campobasso e Messina (www.aimef.it), Cagliari (www.sardegnasociale.it).
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Psicologia e Giustizia Anno 13, numero 2 Giugno-Dicembre 2012 questo, non si vuole sottovalutare la necessità di offrire anche un supporto di tipo materiale soprattutto nel periodo immediatamente successivo alla separazione, quando tutti i soggetti coinvolti si trovano ad affrontare molteplici cambiamenti derivanti dalla riorganizzazione familiare. Oggi la rottura della coppia rappresenta una delle cause più diffuse di povertà che si ripercuote su tutti i componenti del nucleo familiare, in particolare sui padri, e ha poi un impatto nella cura e nel benessere dei figli (Eurispes, Rapporto 2011). Si cerca oggi di valorizzare la capacità delle famiglie di rispondere ai propri bisogni, mettendosi in rete con le altre famiglie con cui condividere risorse e competenze (Rossi, 2010). Per questo motivo, probabilmente, la partecipazione delle famiglie al privato sociale, quindi alle varie forme di associazionismo e ad interventi basati sulla gruppalità, è in continua crescita. Infatti, queste forme di tutela e sostegno non solo rappresentano un mezzo che restituisce protagonismo alle famiglie, ma permettono anche la “ritualizzazione del divorzio” (Cigoli, 2000; Montanari, 2007), assente nel contesto giudiziario che è diventato “un luogo di registrazione burocratica di un fatto già avvenuto o di un tentativo generico di accordo tra le parti” (Cigoli, 2000, p. 103). La partecipazione di gruppo, fatta di rituali e norme che offrono sostegno e chiarimenti, renderebbe meno difficile e oscura la transizione del divorzio. Ancora molto lavoro deve essere compiuto per garantire una rete di sostegno in grado di promuovere e sviluppare le competenze genitoriali. Perché questo si realizzi, è auspicabile che ciascuna professionalità che entra a far parte della vicenda separativa si impegni a promuovere una cultura della responsabilità genitoriale, a prescindere dalla fine del legame coniugale, che tuteli l’accesso dei figli ad entrambi i genitori e soprattutto eviti che il minore divenga oggetto di contesa, diretta o indiretta, tra i genitori.
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