Francesco Piccolo: Amaldi ... Ho scelto il libro di Ugo Amaldi perché, essendo
uno dei più utilizzati, ero interessato a scoprirne ..... esercizi svolti come esempi.
Progetto Lauree Scientifiche 2005 Dipartimento di Fisica Università di Roma La Sapienza
RELAZIONI SUI LIBRI DI TESTO E UNITA` DIDATTICHE degli specializzandi della SSIS Lazio (corso Didattica della Fisica 2006-2008)
INDICE Relazioni sui libri di testo 1. Angelo Perla: Amaldi 2. Francesco Piccolo: Amaldi 3. Cecilia Cestellini: Caforio-Ferilli 4. Maria Corona, Cristiana Papalini: Caforio-Ferilli 5. Francesco Manzo, Raffaella Ostuni: Walker 6. Lavinia Nati: Walker
pag. 1 pag. 5 pag. 14 pag. 21 pag. 29 pag. 37
Unità didattiche 7. Tommaso Stasi, Silvia Ventura: Il bilancio termico della casa 8. Valentina Porretti: Il cambiamento climatico 9. Alvise Mattei: La Fisica in barca a vela 10. Rosario Iannone, Salvatore Silvestri: Il principio di conservazione dell’energia e la vita quotidiana
pag. 42 pag. 57 pag. 63 pag. 73
ANNO INTEGRATIVO Prof.: G. V. Pallottino Corso: Didattica della fisica Specializzando: Angelo Perla ANALISI DEL LIBRO DI TESTO: Titolo: “Fisica: idee ed esperimenti. Dal pendolo ai quark” Autore: Ugo Amaldi Casa editrice: Zanichelli Anno di edizione: Prima edizione: 2001, Ristampa: 2005 Volume: I° Unità didattica: I fluidi. Capitoli: 11 e 12. Argomenti: Gas e liquidi in equilibrio e Gas e liquidi in movimento.
INTRODUZIONE
Ho scelto il libro di Ugo Amaldi perché, essendo uno dei più utilizzati, ero interessato a scoprirne pregi e difetti. Per la scelta dell’unità didattica ho preferito optare per un argomento che non fosse troppo inflazionato e che fosse caratterizzato da un coefficiente di difficoltà medio alto sia dal punto di vista “dell’insegnamento” che da quello “dell’apprendimento”. Ritengo infatti che un buon libro si debba differenziare dagli altri proprio nella trattazione di quegli argomenti che risultano più ostici e meno apprezzati da docenti e studenti.
TEORIA
L’approccio é fondamentalmente definitorio, gli argomenti vengono introdotti quasi sempre tramite definizioni le quali non vengono supportate da alcun tipo di riferimento alla fenomenologia sperimentale; alle definizioni vengono fatte seguire le leggi e i metodi per ricavarle. La parte relativa ad esempi, esperimenti ed applicazioni viene per lo più riportata in un secondo tempo facendola apparire come qualcosa di superfluo e di poco importante. I paragrafi in cui non viene seguita questa linea di condotta sono davvero pochi, tra questi vi è quello in cui viene introdotto il concetto di pressione e quello in cui si tratta dei vasi comunicanti.. La tipologia d’impostazione si basa su un approccio descrittivo. Gli argomenti vengono trattati prevalentemente in maniera qualitativa. Nell’introdurre formule e dimostrazioni si utilizzano vie che lasciano poco spazio all’utilizzo dei formalismi matematici complessi il che rende la trattazione più semplice e più leggera per gli studenti. L’interazione con il lettore è quasi assente, infatti, eccezion fatta per alcuni quesiti che, assai raramente vengono posti dall’autore, non vi sono elementi che forniscano allo studente stimoli che lo portino ad operare una riflessione personale. Nei capitoli in questione il legame tra fisica e cultura è inesistente.
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I contenuti storico-epistemologici, così come le letture di approfondimento, sono del tutto assenti. I riferimenti ad elementi di fisica quotidiana, sebbene scarsi e privi di un’adeguata interpretazione teorica, sono presenti sia sotto forma di note a margine che all’interno del testo. Per quanto concerne i richiami alla tecnologia li troviamo quasi sempre sotto forma di una descrizione qualitativa poco approfondita (richiami alle pompe della benzina delle automobili, alla portanza delle ali di un aereo … ecc). L’unico riferimento tecnologico analizzato in maniera dettagliata è il funzionamento dei freni dell’automobile. Non viene fatto alcun cenno all’analisi di problemi fisici la cui soluzione abbia dei risvolti importanti per la società. Assai poco curata è anche la parte relativa alle attività di osservazione e sperimentazione la quale si riduce a discorsi assai elementari che, supportati da illustrazioni, hanno come obiettivo la verifica di effetti fisici descritti dalla teoria. Gli unici strumenti che il libro mette a disposizione dello studente, nei capitoli in esame, sono delle schede riassuntive costituite prevalentemente da richiami di teoria e in misura minore da osservazioni di carattere sperimentale. Allegato al libro c’è inoltre un cd-rom, contenente test interattivi e semplici esperimenti virtuali che andrebbero utilizzati come supporto didattico. Non sono inoltre presenti strumenti che possano favorire lo sviluppo di un metodo di risoluzione degli esercizi, (gli esercizi guidati sono pochi, e non vengono fornite tracce o suggerimenti per la risoluzione di problemi più complessi). Strumenti più sofisticati come le mappe semantiche o le mappe concettuali sono del tutto assenti.
APPARATI DI VERIFICA
La verifica di conoscenze e competenze è basata su test a risposta multipla, esercizi e problemi i quali sono riportati alla fine del libro. I test sono presenti sotto forma di domande alle quali è possibile rispondere scegliendo tra più opzioni. Per ogni serie di domande è sempre specificato il paragrafo di riferimento. Tali test hanno un’unica utilità, stabilire se lo studente ha memorizzato le nozioni portate alla sua attenzione. Gli esercizi di bassa e media difficoltà sono in numero sufficiente e coprono in maniera adeguata gli argomenti trattati. Risultano invece scarsi quei problemi, di complessità più elevata, che sarebbero utili a stimolare le eccellenze. Oltre agli esercizi standard, ve ne sono alcuni interattivi per i quali si fa riferimento al cd-rom allegato, utilizzando il quale è possibile realizzare anche alcuni esperimenti virtuali. Tutte le attività legate all’utilizzo del cd-rom vengono spiegate in maniera chiara e soddisfacente nel libro. A conclusione di ogni unità didattica c’è sempre una prova di autovalutazione divisa in blocchi ognuno dei quali ha come fine ultimo quello di verificare una data competenza. Ogni blocco è costituito da alcune domande a risposta multipla e da un esercizio.Le modalità di svolgimento e valutazione (tempi previsti, punteggi da attribuire ai vari quesiti), vengono specificate in maniera chiara. .
GIUDIZIO SINTETICO COMPLESSIVO
a) In merito alla correttezza scientifica non vi sono particolari questioni da porre, la trattazione dei vari argomenti, che può essere discussa dal punto di vista dell’approccio didattico, non può invece essere criticata dal punto di vista della correttezza dei contenuti. L’unico appunto che si può fare all’autore è legato alla presenza di alcune omissioni che sebbene volte a rendere più sintetica e mento pesante la trattazione, possono, in taluni casi, contribuire a ridurre la chiarezza degli argomenti esposti (come accade quando si parla della legge di Stivino applicata ai gas). Per quanto 2
concerne l’aggiornamento del testo, questo è quasi del tutto assente, specie per quanto riguarda i progressi fatti in campo scientifico. a1) Nei capitoli presi in esame la trattazione è fatta a compartimenti stagni, le connessioni tra i vari paragrafi sono scarse e ogni argomento sembra essere indipendente dagli altri. Risulta dunque assai difficile identificare il filo conduttore seguito dall’autore del libro. Le poche connessioni presenti sono relative ad argomenti appartenenti ad altri capitoli: viene richiamata la conservazione dell’energia in relazione al teorema di Bernoulli, si richiamano le leve meccaniche quando si discute del torchio idraulico…ecc ecc. a2) La mancanza di un filo conduttore che colleghi i vari paragrafi, si riflette anche sull’esposizione epistemologica che definirei tutt’altro che coerente. b) Dal punto di vista letterario il linguaggio è semplice e sintatticamente corretto mentre dal punto di vista scientifico è privo di ambiguità e mira alla semplicità e alla chiarezza. Ritengo dunque che il linguaggio utilizzato dall’autore sia adeguato al tipo di pubblico a cui è rivolto il libro. c) La struttura delle pagine che costituiscono i capitoli oggetto di analisi, permette, insieme all’adeguatezza del linguaggio utilizzato, una scorrevole e gradevole lettura. La presenza di frasi evidenziate, di commenti al margine che segnalano i concetti di maggior rilevanza e l’uso di strumenti grafici di vario tipo semplificano la fase di apprendimento. Particolarmente ben strutturate sono le parti descrittive relative agli esperimenti, la lettura delle quali credo possa contribuire ad aumentare il coinvolgimento dello studente. d) Fatta eccezione per la parte descrittiva relativa agli esperimenti, ritengo che il libro si presenti allo studente in maniera poco stimolante. Gli argomenti sono infatti introdotti a partire da definizioni alle quali non vengono affiancati elementi capaci di incrementare la curiosità dei lettori (si fa poco riferimento alla vita quotidiana e ai risvolti tecnologici derivanti dagli argomenti affrontati). e) I capitoli in questione e più in generale l’intero libro, si limitano a passare allo studente delle nozioni senza curarsi di inquadrarle in un contesto scientifico generale. A mio avviso, a partire dalla lettura di questo libro, lo studente si fa una immagine scorretta e distorta della scienza, che gli appare come un insieme di leggi e regole delle quali non è ben chiara l’utilità. La scienza e la fisica in particolare, andrebbero invece presentate in maniera tale da evidenziarne il carattere dinamico e problematico relazionandole ai risvolti tecnologici e sociali derivanti dalla loro evoluzione. Concludendo, la trattazione del moto dei liquidi reali può essere considerata soddisfacente per quanto concerne definizioni, formule e leggi ma non per quanto riguarda tutto il resto. I capitoli in questione sono infatti assai poveri di tutto ciò che potrebbe stimolare la curiosità e l’apprendimento. I contenuti, in quanto costituiti essenzialmente di concetti, non sono a mio avviso, se presi da soli, gli elementi adeguati per attivare i dinamismi della mente. Alle forme dinamiche della mente va offerto un “soccorso” che permetta di penetrare all’interno delle concettualizzazioni formali. Ad esempio, nell’unità didattica in questione, viene introdotto il concetto di viscosità ma non si fa alcun 3
riferimento a fenomeni ad esso legati (la perdita di energia in un fluido o la perdita di carico in un condotto); sono completamente assenti esempi reali e applicazioni relative al principio di Archimede e così via. Ritengo dunque di poter affermare che il libro in questione risulta essere un buon manuale solo se utilizzato da un docente capace, in grado di interessare alla materia gli studenti e di sopperire a tutte le lacune evidenziate nelle righe precedenti.
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Titolo: Fisica: idee ed esperimenti Autore: Ugo Amaldi Casa editrice: Zanichelli Anno di edizione: 2001
CAP. IV – Il modello dell’atomo di Rutherford-Bohr TEORIA
Approccio Tre tipi di approccio vengono usati nel corso del capitolo: Sperimentale è possibile notare, già all‟inizio del capitolo, che il paragrafo introduttivo (avente titolo „Gli urti danno informazioni‟), allo scopo di evidenziare l‟importanza che il concetto di urto ha avuto storicamente per la comprensione e la formulazione dei modelli atomici, propone l‟esperimento del lancio di palline di gomma contro oggetti molto più grandi di cui è sconosciuta la forma e che vengono posti all‟interno di una stanza buia. I lanci effettuati attraverso una porta aperta e sempre perpendicolarmente ad essa permettono di capire la forma degli oggetti semplicemente osservando la traiettoria con cui le palline rimbalzano dopo l‟urto con le pareti. Questo approccio sperimentale pone immediatamente il lettore a conoscenza del metodo che storicamente gli studiosi hanno dovuto adottare per conoscere la natura dell‟atomo: è necessario osservare l‟interazione tra luce (fotoni) e materia, oppure tra particelle singole e materia per arrivare a proporre un valido modello atomico. Storico il capitolo espone i 3 modelli atomici di Thomson, Rutherford e Bohr descrivendoli in ordine cronologico, rispettando in questo modo i tempi delle rispettive formulazioni e sottolineando come ogni modello proposto partisse da quello/i precedenti e ne risolvesse le contraddizioni rispetto alla teoria e all‟esperienza: l‟autore sottolinea infatti che il modello „a panettone‟ di Thomson non permetteva di spiegare il fatto che diverse particelle venivano deviate all‟indietro nell‟esperimento di Rutherford realizzato con una lamina d‟oro; inoltre nell‟esporre il modello „planetario‟ di Rutherford l‟autore evidenzia il fatto che ciascun elettrone, a causa dell‟attrazione esercitata dal nucleo, si troverebbe a descrivere una traiettoria a spirale finendo così per collassare su di esso. Non viene invece messa in evidenza dall‟autore l‟inadeguatezza del modello di Rutherford a spiegare lo spettro discreto degli atomi: lo spiraleggiare dell‟orbita produrrebbe radiazione emessa caratterizzata da una frequenza che cambia con continuità, ovvero da uno spettro continuo e non discreto come si osserva nella realtà. 5
Definitorio nel presentare il modello atomico di Bohr viene menzionato il principio di esclusione di Pauli come necessario per comprendere il diverso comportamento chimico degli atomi in riferimento alla loro collocazione all‟interno del sistema periodico. Ma non si aggiunge altro. Si tratta di un approccio definitorio, che introduce un concetto molto importante semplicemente riportandolo nel testo, in maniera del tutto scollegata rispetto al discorso tanto da compromettere una completa comprensione da parte del lettore.
Tipologia d’impostazione Due tipi di impostazione vengono sostanzialmente usati nel corso del capitolo: Descrittiva gli esperimenti realizzati da Rutherford e Millikan, nonché i modelli atomici proposti da Thomson, Rutherford e Bohr vengono descritti corredando il testo di figure alcune delle quali riproducono gli apparati sperimentali usati, mentre altre schematizzano graficamente l‟atomo sulla base dell‟idea di modello atomico proposta („a panettone‟ - Thomson -; „planetario‟ Rutherford -; modello ad orbite quantizzate - Bohr -) . I paragrafi fanno esplicito riferimento a tali figure che vengono a loro volta corredate di didascalie risultando in tal modo molto utili per la comprensione del testo. Legame della fisica con la vita comune trattandosi di modelli atomici, il ricorrere all‟esperienza comune per rendere più chiari i concetti non può essere certamente l‟impostazione privilegiata dall‟autore in questo capitolo. All‟interno della scheda di approfondimento dal titolo „L‟urto‟, viene comunque evidenziata l‟importanza del concetto di collisione attingendo ad esempi della realtà (pallina che rotola lanciata sui binari di un trenino giocattolo contro il getto d‟aria di un aspirapolvere; pianeta e sonda spaziale che si avvicina; cometa che cade su pianeta).
Contenuti - storia della scienza ed epistemologia: poco o nulla sufficiente abbondante (vengono sempre riportati gli anni in cui i vari esperimenti sono stati realizzati e pure gli anni della nascita e della morte degli scienziati che li hanno ideati, ma non si fa alcun cenno al periodo storico, né all‟epistemologia in cui tali esperimenti sono stati concepiti) - letture: poco o nulla sufficiente abbondante (non vengono proposte letture di approfondimento)
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- elementi di fisica quotidiana: poco o nulla sufficiente abbondante (trattandosi di modelli atomici, il ricorrere all‟esperienza comune per rendere più chiari i concetti non può essere certamente l‟impostazione privilegiata dall‟autore in questo capitolo) - richiami alla tecnologia: poco o nulla sufficiente abbondante - cenni a problemi d‟interesse per la società (energia, ambiente, ...) poco o nulla sufficiente abbondante - nel testo vengono proposte attività di osservazione e/o sperimentazione diretta: poco o nulla sufficiente abbondante (lancio di palline di gomma contro oggetti molto più grandi di cui è sconosciuta la forma e che vengono posti all‟interno di una stanza buia; pallina che rotola lanciata sui binari di un trenino giocattolo contro il getto d‟aria di un aspirapolvere)
Strumenti per lo studente nel testo base: Schede di carattere tecnologico NO
Schede legate alla vita quotidiana
NO
Schede di approfondimenti matematici SI’ (esempio numerico proposto per una maggiore comprensione dell‟esperimento di Millikan; esempio numerico proposto per il calcolo del raggio e dell‟energia relativi all‟orbita fondamentale dell‟atomo di idrogeno)
Schede storiche interdisciplinari
Schede di approfondimento SI’ (scheda „L‟urto‟ con approfondimenti sul concetto di collisione senza contatto con riferimento all‟esperienza comune – vd. sopra „legame della fisica con la vita comune‟ –)
Schede di sintesi SI’ (scheda molto utile dal titolo „Riassumendo‟ alla fine del capitolo che riporta gli argomenti trattati e le leggi fisiche esposte in modo sintetico e di rapida lettura)
NO
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APPARATI DI VERIFICA Esercizi e problemi: quantità: molti (pochi, adeguati, molti) Sia all‟interno del capitolo, sia alla fine vengono proposti numerosi esercizi e problemi Test a risposta multipla: test per la verifica in itinere del processo di apprendimento: no (sì, no)
Nel corso del capitolo vengono proposti esercizi per una maggiore comprensione degli argomenti trattati di cui viene fornita la soluzione, ma non test a risposta multipla
test per la verifica sommativa: sì
(sì, no)
Alla fine del capitolo, nella sezione „Esercitazioni‟ che si trova al termine del Modulo „L‟elettrostatica‟ di cui il capitolo fa parte, vengono proposti: 1. test a risposta multipla 2. test ed esercizi interattivi che prevedono l‟utilizzo del CD-ROM 3. esercizi – per la cui soluzione alcune volte viene offerto un suggerimento – 4. problemi 5. quesiti – si tratta di domande che prevedono risposte rapide e che quindi potrebbero essere rivolte all‟allievo in sede di esame – 6. prove di uscita – si tratta di 3 test a risposta multipla e di 1 esercizio che vengono proposti per l‟autovalutazione delle competenze dell‟alunno sulla base di un punteggio che viene attribuito ad ogni risposta esatta ed è diversificato per i test e per l‟esercizio –
Strumenti che agevolano l’acquisizione del metodo di risoluzione:
Esercizi introdotti da sintesi teoriche Esercizi guidati Mappe concettuali Tracce per la risoluzione di problemi complessi
no sì no sì
(sì, (sì, (sì, (sì,
no) no) no) no)
GIUDIZIO SINTETICO COMPLESSIVO a) Correttezza scientifica e livello di aggiornamento buono (sufficiente, buono, ottimo)
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a1)
a2)
a3)
C’è connessione tra i diversi argomenti trattati? sì (sì, no) Il legame tra i 3 modelli atomici di Thomson, Rutherford e Bohr è ben evidenziato in quanto viene sottolineato il fatto che ogni modello proposto parte da quello/i precedenti e ne risolve le contraddizioni rispetto alla teoria e all‟esperienza. Appare meno evidente, invece, la relazione tra l‟energia di legame dell‟atomo di idrogeno e il modello delle orbite quantizzate di Bohr. In generale, comunque, gli argomenti sono esposti secondo un ordine logico abbastanza facilmente identificabile dal lettore (idee centrali; punti chiave; concetti principali) Tale connessione evidenzia l’unità della fisica? sì (sì, no) La presentazione dei 3 modelli atomici, così come viene proposta nel capitolo, ripercorre le tappe della fisica in materia di comprensione del mondo microscopico e quindi ne evidenzia l‟unità e la continuità. C’è coerenza nell’esposizione epistemologica? non si hanno elementi Dal momento che non viene fatto alcun cenno al periodo storico, né all‟epistemologia in cui gli esperimenti alla base dei 3 modelli atomici sono stati concepiti, non è ravvisabile alcun tipo di incoerenza nell‟esposizione epistemologica.
b) Linguaggio usato sia dal punto di vista scientifico, sia letterario Il linguaggio usato è di facile comprensione: si utilizzano parole di uso comune e si evita l‟inglese. c) Gradevolezza e facilità di lettura buono (medio, buono, alto) Il testo è di facile lettura in quanto i periodi sono brevi e poche le proposizioni subordinate che appesantirebbero di gran lunga la lettura. Per mettere in evidenza i concetti cruciali si fa uso di simboli grafici a lato del testo: righe gialle per segnalare i punti più importanti di ciascun paragrafo; salvagenti sotto righe gialle per sottolineare i nodi concettuali indispensabili per la comprensione della materia; salvagenti posti accanto agli esercizi per segnalare gli esercizi base per una verifica dell‟apprendimento. Inoltre vengono utilizzate spesso ripetizioni e richiami per una maggiore comprensione del legame tra i vari argomenti trattati e vengono fatti collegamenti con paragrafi o capitoli precedenti così da fornire un quadro più generale. d) Capacità di suscitare l’interesse dei ragazzi, motivandoli allo studio medio (medio, buono, alto) Trattandosi di un capitolo sui modelli atomici nel quale il ricorrere all‟esperienza comune per rendere più chiari i concetti non è certamente l‟impostazione privilegiata dall‟autore, riteniamo che l‟interesse dei ragazzi non sia particolarmente stimolato.
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Titolo: Fisica Autore: Antonio Caforio, Aldo Ferilli Casa editrice: Le Monnier Anno di edizione: 2005
CAP. I – La carica elettrica e la legge di Coulomb TEORIA
Approccio Due tipi di approccio vengono sostanzialmente usati nel corso del capitolo: Sperimentale la maggior parte dei paragrafi all‟interno del capitolo trae spunto dall‟esperienza per introdurre nuovi argomenti o per spiegare determinati fenomeni. Si fa riferimento a situazioni ed eventi che fanno parte della vita quotidiana oppure si riportano esperimenti ideati nel corso della storia che hanno portato a nuove scoperte o nuove formulazioni. Storico il concetto di elettricità viene proposto a partire dal significato etimologico della parola, mentre quello di elettrizzazione viene introdotto come scoperta di Talete da Mileto (VII-VI sec. a.C.). Viene evidenziato che lo studio sistematico dell‟elettricità e del magnetismo ebbe inizio nel Rinascimento e che solo verso la fine del XIX secolo si arrivò ad una completa comprensione dei fenomeni elettromagnetici. Si fa inoltre cenno alle notizie più salienti della biografia e dell‟attività scientifica degli studiosi trattati, notizie che vengono inserite in tasselli disposti accanto ai paragrafi per essere evidenziate ed incuriosire il lettore. Sono riportate anche fotografie degli antichi strumenti (elettroscopio ad asta, bilancia di torsione, elettroforo di Volta) con cui esperimenti fondamentali sono stati realizzati. Comunicativo-culturale NON si fa riferimento al fatto che siamo sottoposti normalmente a campi elettrici e magnetici di origine naturale e anche artificiale, il che darebbe spunto a considerazioni più generali e a riflessioni sulla pericolosità di tali campi secondo un approccio comunicativo-culturale di maggior respiro rispetto a quello storico-sperimentale che viene privilegiato dagli autori in questo capitolo.
Tipologia d’impostazione Tre tipi di impostazione vengono sostanzialmente usati nel corso del capitolo:
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Descrittiva i concetti alla base delle leggi fondamentali dell‟elettromagnetismo vengono introdotti descrivendo degli esperimenti che possono essere realizzati senza dover ricorrere ad apparati complicati o sofisticati e che permettono di capire bene le grandezze e le forze coinvolte Legame della fisica con la vita comune si fa riferimento ad evidenze della vita quotidiana (per esempio la frequenza con cui si osservano fenomeni di elettrizzazione per sfregamento) per introdurre classificazioni (conduttori e isolanti, forze attrattive e forze repulsive), leggi fisiche (legge di Coulomb, legge di conservazione della carica elettrica).
Contenuti - storia della scienza ed epistemologia: poco o nulla sufficiente abbondante - letture: poco o nulla sufficiente abbondante (non vengono proposte letture di approfondimento) - elementi di fisica quotidiana: poco o nulla sufficiente abbondante - richiami alla tecnologia: poco o nulla sufficiente abbondante - cenni a problemi d‟interesse per la società (energia, ambiente, ...) poco o nulla sufficiente abbondante - nel testo vengono proposte attività di osservazione e/o sperimentazione diretta: poco o nulla sufficiente abbondante
Strumenti per lo studente nel testo base: Schede di carattere tecnologico NO
Schede legate alla vita quotidiana
NO
Schede di approfondimenti matematici SI’ (si tratta di schede dal titolo „Esempio‟ che sono inserite all‟interno dei vari paragrafi e che propongono problemi di cui viene data la soluzione, esemplificativi per la conoscenza di grandezze fisiche fondamentali – il
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Coulomb – o per il confronto tra leggi fisiche - forza di interazione elettrica e gravitazionale -)
Schede storiche interdisciplinari
NO
Schede di approfondimento SI’ (si tratta di schede dal titolo „Esempio concettuale‟ che sono inserite all‟interno dei vari paragrafi e che propongono una discussione per approfondire dei concetti anche con l‟ausilio di figure)
Schede di sintesi SI’ (scheda molto utile dal titolo „Riepilogo‟ alla fine del capitolo che riporta gli argomenti trattati e le leggi fisiche esposte in modo sintetico e di rapida lettura, servendosi anche di riquadri colorati per una più immediata classificazione dei concetti )
APPARATI DI VERIFICA Esercizi e problemi: quantità: molti
(pochi, adeguati, molti)
Test a risposta multipla: test per la verifica in itinere del processo di apprendimento: no (sì, no)
Nel corso del capitolo vengono proposti esercizi per una maggiore comprensione degli argomenti trattati di cui viene fornita la soluzione, ma non test a risposta multipla
test per la verifica sommativa: sì
(sì, no)
test a risposta multipla
esercizi – per la cui soluzione alcune volte viene offerto un suggerimento –
problemi – di cui è evidenziato il livello di difficoltà tra media e alta e che talvolta sono corredati di suggerimenti o guide per la risoluzione –
quesiti – si tratta di domande che potrebbero essere rivolte all‟allievo in sede di esame che vengono proposte a fianco del testo e quasi in tutti i paragrafi –
caccia all‟errore – si tratta domande rapide che prevedono risposta affermativa o negativa –
Strumenti che agevolano l’acquisizione del metodo di risoluzione: Esercizi introdotti da sintesi teoriche sì (sì, no) Esercizi guidati sì (sì, no)
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Mappe concettuali no Tracce per la risoluzione di problemi complessi sì
(sì, no) (sì, no)
GIUDIZIO SINTETICO COMPLESSIVO e) Correttezza scientifica e livello di aggiornamento buono (sufficiente, buono, ottimo) a1)
C’è connessione tra i diversi argomenti trattati? sì
(sì, no)
a2)
Tale connessione evidenzia l’unità della fisica? sì
(sì, no)
a3)
C’è coerenza nell’esposizione epistemologica? non si hanno elementi
f) Linguaggio usato sia dal punto di vista scientifico, sia letterario Il linguaggio usato è di facile comprensione: si utilizzano parole di uso comune e si evita l‟inglese. g) Gradevolezza e facilità di lettura medio (medio, buono, alto) Il testo è di non troppo facile lettura in quanto i periodi spesso sono lunghi e ricchi di subordinate che appesantiscono il discorso e talvolta non agevolano la comprensione. L‟ uso frequente che viene fatto di schemi e di figure aiuta nella lettura del testo che comunque risulta un po‟ prolisso e delle volte complesso. Non si ravvisa una spiccata capacità nel riassumere messaggi e/o concetti principali in un quadro sintetico. h) Capacità di suscitare l’interesse dei ragazzi, motivandoli allo studio medio (medio, buono, alto) Gli argomenti trattati nel capitolo sono particolarmente vicini ad evidenze della vita quotidiana e gli esperimenti che vengono descritti sono di facile realizzazione e comprensione. Per questi motivi riteniamo che l‟interesse dei ragazzi sia abbastanza stimolato; concludiamo quindi che se l‟alunno è invogliato alla lettura e allo studio di queste tematiche, non lo è per merito del testo, né del linguaggio usato (vd. sopra „Gradevolezza e facilità di lettura‟), piuttosto per lo specifico degli argomenti. In alcune parti si nota un eccesso di dettagli che non solo annoia il lettore, ma rischia di nascondere i concetti principali ed eventualmente di “bruciare” qualsiasi possibilità di discussione.
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SSIS IX CICLO – anno 2007/2008 I anno – II semestre Tesina per il corso di Didattica della Fisica Docente: Prof. Pallottino Specializzanda: Cestellini Cecilia
ANALISI DEL LIBRO DI TESTO: Titolo: “Fisica 2” Autore: Antonio Caforio e Aldo Ferilli Casa editrice: Le Monnier Anno di edizione: anno di edizione 2004. Capitoli scelti: 1° “Moto ondulatorio”, 3° “La luce”
Motivazione della scelta Ho scelto questi due capitoli del Caforio-Ferilli perché riguardano gli argomenti che ho trattato durante l’esperienza di tirocinio attivo: 20 ore di lezione sulle onde (in generale meccaniche e con qualche accenno all’onda elettromagnetica) divise in due quarte del liceo scientifico “Talete” (zona Prati). L’esperienza è stata ancora più interessante e significativa per il fatto che il testo adottato dall’insegnante per queste classi è stato proprio il Caforio-Ferilli. In questo modo ho potuto avere un riscontro diretto della “bontà” del libro in termini di contenuto, esposizione, approccio didattico, materiale di approfondimento e verifica, e soprattutto sulla capacità di suscitare interrogativi e di interessare i ragazzi al fenomeno delle onde. Il libro Il Caforio-Ferilli è un testo che viene adottato nei licei da almeno 20 anni, questa relazione riguarda l’edizione del 2004. Il secondo volume è organizzato in due moduli: il primo modulo riguarda le onde ed è organizzato in 5 unità, il secondo modulo riguarda la termodinamica e comprende 6 unità. All’interno delle unità, oltre alla trattazione teorica, ci sono delle schede di approfondimento ed esercizi svolti come esempi. Alla fine di ogni unità c’è il riepilogo dove sono riportati le definizioni, i concetti e le formule trattati nell’unità ma in maniera molto più sintetica, e la parte dedicata agli esercizi che possono essere e domande a risposta multipla o problemi. L’organizzazione e la presentazione degli argomenti è molto lineare: si capisce bene il percorso fatto dall’autore, gli argomenti sono facilmente reperibili e quindi consultabili. Questo aiuta molto l’insegnante a valutare il percorso proposto nel libro ed eventualmente modificarlo secondo la propria sensibilità e secondo i propri obiettivi didattici. Anche l’impaginazione (il rapporto tra le parti scritte, le foto, le figure, le schede di approfondimento, gli esercizi …) è chiara ed ordinata, elemento che potrebbe aiutare i ragazzi
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nello studio e nell’apprendimento dei contenuti, inoltre è fatta in modo tale da lasciare spesso colonne bianche ai lati delle pagine molto utili per prendere appunti durante le spiegazioni. Pochi sono i riferimenti e gli approfondimenti legati alla vita quotidiana o ad applicazioni tecnologiche. TEORIA Contenuto L’unità “Moto ondulatorio” è il primo capitolo del libro. Questo unità riguarda: l’introduzione al concetto di vibrazione e di onda distinzione tra onde meccaniche e onde elettromagnetiche, onde trasversali e longitudinali: natura e generazione il concetto di fronte d’onda e di raggio le grandezze caratteristiche dell’onda armonica (lunghezza d’onda, ampiezza, periodo, frequenza, velocità di propagazione) energia trasportata dall’onda armonica equazione dell’onda armonica. Il principio di Huygens Leggi della riflessione e della rifrazione, la diffrazione delle onde il principio di sovrapposizione e l’interferenza tra due onde le onde stazionarie. In questa unità c’è una scheda di approfondimento sul moto oscillatorio smorzato. Alcuni esercizi vengono proposti come esempi. L’unità “La luce” è il terzo capitolo del libro. Essa riguarda: introduzione al solo spettro visibile e al concetto di propagazione rettilinea della luce la velocità della luce: definizione e misura grandezze che caratterizzano la luce dal punto di vista energetico (flusso di potenza, intensità di radiazione, irraggiamento) Riflessione e rifrazione della luce (in particolare la rifrazione in una lastra a facce piane parallele e nel prisma ottico) Esempi di fenomeni di rifrazione presi dal quotidiano Dispersione della luce In questo capitolo c’è una schede di approfondimento storico che riguarda i vari tentativi fatti per misurare la velocità della luce, una scheda di laboratorio che spiega come misurare le grandezze fotometriche in laboratorio , una scheda di approfondimento sul principio di Fermat applicato alla riflessione della luce e sui colori dei corpi e del cielo. Gli esercizi proposti nel capitolo sono a volte usati come esempi altre volte sono più concettuali Carenze di argomenti disciplinari Nella prima unità Descrizione di che cosa è una onda . Nel primo paragrafo si dice che per “onda si intende una qualsiasi perturbazione prodotta da una sorgente che si propaga in tutti i punti contigui dello spazio” ma che cosa si 15
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intende per perturbazione, che cosa viene perturbato e soprattutto come si propaga l’onda non viene affrontato in maniera chiara. Non si sottolinea il fatto che l’onda è una funzione dello spazio e del tempo. Si fa l’esempio delle onde create su molle ma non si dice che posso studiare un’onda fissando il tempo e vedendo quali sono le posizioni che assumono le parti della molla in quell’istante rispetto alla posizione di equilibrio. Posso riportare gli spostamenti rispetto all’equilibrio su un grafico in funzione della posizione a tempo fissato e discutere come esso varia in istanti diversi; viceversa posso grafitarli in funzione del tempo per diverse posizioni. Non si sottolinea in maniera chiara che la perturbazione può essere una diversa grandezza fisica a seconda del tipo di onda: posizione delle particelle che costituiscono il mezzo in cui l’onda si propaga (es. onda di una molla), la pressione esercitata sulle particelle che costituiscono il mezzo (onda sonora), il campo elettrico e magnetico (onda elettromagnetica). Una volta fatta una breve introduzione sulle onde si studiano approfonditamente le onde sinusoidali (armoniche) ma non si motiva la scelta e non si capisce perché queste dovrebbero essere più importanti di altri tipi di onde. Non si parla delle onde sinusoidali come una schematizzazione che pur tuttavia è adeguata a descrivere con sufficiente approssimazione molti fenomeni come la propagazione del suono in un fluido o le onde meccaniche in una corda tesa o in un solido; non si accenna nemmeno al Teorema di Fourier che permetterebbe di comprendere (anche solo a livello qualitativo) come una qualunque onda possa essere espressa come somma di onde armoniche. Questo approccio porta i ragazzi a concepire le onde sempre come sinusoidali e nel momento in cui si prova a disegnare un’ onda diversa alla lavagna subito intervengono dicendo “perché non disegniamo un’onda normale?” Definizione dell’intensità di un’onda. Credo che il concetto di intensità di un’onda sia importante da affrontare primo perché è una grandezza che si definisce allo stesso modo per tutte le onde (mentre l’energia che viene descritta per le onde armoniche nella 1° unità, paragrafo 2, sottoparagrafo 2.2 è diversa a seconda del tipo di onde) e poi soprattutto per le applicazioni nel quotidiano: per esempio l’intensità serve per distinguere i suoni dai rumori in rapporto alle sensazioni uditive, si parla si intensità luminosa di una sorgente (stella, lampadina …) Diffrazione La diffrazione è affrontata in modo qualitativo e senza nessun esempio legato al quotidiano (ritorna il solito ondoscopio) risulta perciò impossibile attirare l’attenzione e l’interesse dello studente su questo fenomeno. Inoltre ci sono due errori che dimostrano la mancanza del concetto di fondo: la diffrazione è un particolare caso di interferenza. Il primo errore è dovuto al fatto che la diffrazione viene trattata prima dell’interferenza. Il secondo errore sta nella descrizione della diffrazione da singolo foro: per come è presentata, tramite il principio di Huygens, sembra che si abbia diffrazione solo quando si è in presenza di un’ unica sorgente concetto esattamente contrario alla realtà. Nella seconda unità Si dà per scontato che la luce è un’onda elettromagnetica senza una introduzione sul tema: il tema viene affrontato nella quinta unità. Ciò nonostante si parla di spettro elettromagnetico e successivamente di dispersione. Sarebbe molto più istruttivo esordire introducendo qualitativamente la natura ondulatoria della luce e descrivendo le ipotesi dell’ottica geometrica: approssimazione dell’ottica fisica quando le distanze della sorgente e le dimensioni dei corpi investiti dalla radiazione sono molto maggiori della lunghezza d’onda.
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Una cosa che a mio avviso non è una carenza disciplinare ma proprio un errore concettuale è quello di mettere nel primo capitolo una scheda di approfondimento sul moto oscillatorio smorzato che non ha alcuna attinenza con le onde. Approccio La teoria in entrambe le unità viene presentata attraverso concetti e definizioni (il concetto di onda, di fronte d’onda nel primo, le grandezze fotometriche nel secondo) per poi ampliare il discorso e chiarirlo meglio con esempi ed esperienze che possono essere realizzate facilmente in laboratorio. L’ impostazione è molto descrittiva, quasi a dare per scontato un’ esposizione di tipo frontale da parte dell’insegnate che utilizzerà questo testo: l’approccio è definitorio più che osservativo sperimentale. Il formalismo matematico è praticamente inesistente. Nella prima unità si parla di interferenza dando le condizioni di interferenza tra due onde ma senza usare formule e passaggi matematici per giustificarle (si affronta la dimostrazione matematica in un esercizio messo come esempio che potrebbe passare del tutto inosservato). Si descrive la diffrazione a livello qualitativo, senza nessuna formula matematica ma solo con fotografie e con una immagine molto semplificata e imprecisa del fenomeno (come descritto sopra). Nella terza unità si parla di prisma ottico descrivendone tutti gli angoli caratteristici e poi il calcolo dell’indice di rifrazione di un prisma ottico si rimanda ad un esercizio di esempio. Dall’esperienza in classe ho notato che i ragazzi sicuramente apprezzano molto l’approccio poco formale a livello matematico e la trattazione molto più qualitativa del fenomeno accompagnato da esempi concreti. Quando si passa al formalismo matematico (ho provato a dimostrare in classe la condizione di interferenza costruttiva e distruttiva di due onde perché con pochi e semplici passaggi si riesce a giustificare determinati comportamenti) la loro attenzione cala notevolmente. Ho notato però che, quando i calcoli non sono complessi, considerando che questo è un testo adottato spesso nei licei scientifici dove un approccio anche formale non deve essere tralasciato, se in un primo momento l’attenzione cala viene poi recuperata quando si raggiunge il risultato finale che da un senso alle relazioni che si scrivono. Affrontare in un testo dimostrazioni matematiche non complicate può essere un modo per rendere lo studente autonomo dallo sforzo di memoria e renderlo invece in grado di ricavarsi certe relazioni anche a distanza di tempo. In generale pochi sono i legami degli argomenti trattati con la vita comune e soprattutto con le esperienze quotidiane dei ragazzi. Nel primo capitolo le onde sono prodotte da molle, ondoscopi, funi attaccate ad una estremità o a due estremità e nel caso di onde stazionarie non si citano nemmeno le corde di una chitarra e come le frequenze prodotte possono cambiare variando la lunghezza della corda di chitarra con il capotasto. I fenomeni di diffrazione sono generati in un ondoscopio senza far nessun riferimento a casi quotidiani di diffrazione (esempi: diffrazione che si ha guardando tra il pollice e l’indice accostati o attraversando in macchina il Golden Gate con la radio accesa). Quando mai capiterà ad un ragazzo di avere a che fare con ondoscopi o con molle attaccate alle pareti nel suo quotidiano? Indicativo per esempio è anche il fatto che pochissime sono le fotografie e molti invece i grafici e i disegni per spiegare certi fenomeni o certi apparati sperimentali, per cui tutto è ricostruito e poco è preso direttamente dalla realtà. Si pone l’attenzione solo sull’energia trasportata da un’onda armonica: si evidenzia la dipendenza dalla frequenza e dall’ampiezza dell’onda e non si fa nessun parallelo con lo spettro 17
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elettromagnetico (né nel primo capitolo né nel terzo) per far riflettere i ragazzi sul perché si dice che i raggi ultravioletti o i raggi X sono pericolosi se assorbiti in grandi quantità, mentre questi sono argomenti che li riguardano tutti i giorni. Nel terzo capitolo invece diciamo che c’è un maggiore sforzo da parte dell’autore nel trovare esempi che riportino l’esposizione teorica a esempi concreti alla portata dei ragazzi: per esempio per la rifrazione della luce si affronta il tema dei miraggi, il fenomeno della fata morgana, il bastoncino che immerso nell’acqua appare spezzato. C’è un esempio anche di applicazione tecnologica: le fibre ottiche. Mancano completamente esempi presi dal reale o di applicazione tecnologica riguardo la riflessione, esempi che invece a fine spiegazione sono stati subito richiesti dalla classe. Per questo motivo ho integrato la mia spiegazione con del materiale riguardante l’eco, i radar, i sonar, l’ecografo. Ho visto che queste sono le parti che interessano di più e soprattutto dove i ragazzi danno un senso a tutto quello che stanno studiando; un buon libro di testo per superiori dovrebbe dare spazio, tramite paragrafi dedicati o schede di approfondimento a questi temi. Sono scarsi gli approfondimenti storici ed e del tutto assenti quelli epistemologici (anche sotto forma di schede). Credo che in generale la nostra cultura tenda sempre a separare e distinguere la storia della scienza e del pensiero scientifico (che viene spesso invece trattata in filosofia) dalla scienza vera e propria: non è strano quindi ritrovarlo anche nei libri di testo. Credo invece che far conoscere ai ragazzi gli sforzi che certe persone hanno fatto, quali sono stati i travagli di certe scoperte scientifiche e quali cambiamenti hanno portato nel concepire il rapporto tra l’uomo e la natura potrebbe aiutare a sviluppare una cultura scientifica, apprezzare meglio l’importanza di certi argomenti e a contestualizzare una materia che troppo spesso è considerata asettica e atemporale. Considerando poi che in una classe tante sono le personalità e le sensibilità alcune schede di approfondimento storico o epistemologico potrebbero far apprezzare la fisica anche agli amanti delle materie umanistiche. Non dimentichiamo che ci sarebbe anche il vantaggio di rendere consapevole lo studente che certi nomi di fenomeni o leggi sono nomi di persone realmente vissute!! Gli strumenti Come in parte già detto sopra gli approfondimenti o schede di carattere tecnologico mancano completamente sia nel primo che nel terzo capitolo. Molto poche sono quelle di carattere storicointerdisciplinare e di laboratorio: nessuna nel primo capitolo, una di tipo storico e una di laboratorio nel terzo. Altri strumenti messi a disposizione dello studente sono le schede di riepilogo. Nel riepilogo si riportano i concetti e le formule fondamentali del capitolo. Ho notato che questo può avere i suoi aspetti positivi e negativi: da un parte aiuta gli studenti a riassumere tutto quello che è stato studiato nel capitolo e avere una visione “compatta” dei contenuti, dall’altra può portare lo studente a studiare solo il riepilogo e considerarlo sufficiente per una comprensione completa degli argomenti trattati.
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APPARATI DI VERIFICA Alla fine di ogni unità sono riportati test di verifica (domande a risposta multipla) e problemi specifici di ogni paragrafo e poi esercizi generali che toccano tutti gli argomenti del capitolo, per finire poi con una sezione intitolata “caccia all’errore” dove si prevede la risposta vero o falso. L’idea di proporre diverse tipologie di esercizi a mio parere è molto buona perché abitua i ragazzi ad affrontare diversi tipi di prove di verifica. Trovo buone le domande a risposta multipla perché toccano i principali contenuti trattati nell’unità. I problemi invece sono, a mio parere, troppo banali e ripetitivi: richiedono semplicemente l’applicazione della formula senza un minimo studio ed interpretazione della situazione e delle condizioni che vengono presentate: sono tutti risolvibili leggendo la scheda di riepilogo del capitolo. Questo tipo di esercizi presenta la fisica come una scienza che si può sapere solo attraverso formule da imparare più o meno mnemonicamente, non sviluppa l’approccio critico e di analisi della situazione. Per questo motivo sono stata costretta ad integrarli con esercizi presi da altri testi e mi sono resa conto che i ragazzi trovano molta difficoltà quando si trovano davanti ad un esercizio che non richiede semplicemente l’applicazione del calcolo ma una vera e propria interpretazione della situazione, richiamando a raccolta tute le conoscenze acquisite. Molto buone le domande vero o falso perché permettono di poter discutere sui fenomeni e più facilmente aprono un dibattito in classe utile a chiarire certi concetti e ad allargare il discorso affrontato durante la spiegazione. Alcuni esercizi presentano dei suggerimenti per la soluzione quando si vuol ricordare alcune caratteristiche fondamentali del fenomeno, altri una guida alla soluzione quando l’autore vuol porre l’attenzione dello studente su alcuni passaggi critici, altri ancora la soluzione quando ci sono diversi passaggi matematici da fare o tener conto di alcune proprietà geometriche che magari non sono state tratta in maniera approfondita nell’unità. Questa mi sembra una buona impostazione tesa a stimolare/aiutare lo studente in diversi modi e a diversi livelli così da non trovare sempre tutto risolto.
CONCLUSIONI Il Caforio-Ferilli, a mio parere, è un libro che fornisce una visione della fisica molto didascalica: ogni argomento viene introdotto con scarsa contestualizzazione e scarsa connessione con gli altri argomenti. Il linguaggio è semplice e facilmente comprensibile da parte degli studenti di scuola superiore, la lettura risulta accessibile anche ai ragazzi che trovano più difficoltà in questa materia. Dall’esperienza di tirocinio ho notato che l’impostazione del libro troppo nozionistica e con esempi troppo “da laboratorio”, nonostante sia apprezzata dagli insegnanti, non attira invece l’interesse dei ragazzi che lo vedono come un libro noioso e quasi una versione più approfondita del manuale di fisica tascabile. I ragazzi sono abituati a viaggiare su internet dove colori, immagini, animazioni sono molto accattivanti, uno sforzo quindi per rendere più interessante il testo anche da un punto di vista grafico e quindi visivo andrebbe fatto. Una mancanza di questo testo è la completa assenza di schede o approfondimenti con applicazioni tecnologiche. Questi argomenti interessano molto i ragazzi soprattutto perché viviamo immersi nella tecnologia e quando si affrontano questi temi si nota che gli studenti vedono la fisica come una materia alla loro portata, non solo un insieme di formule, e si sentono chiamati in causa ad esprimere i loro dubbi, i loro pareri, le loro conoscenze. Si aprono in questo 19
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modo interessanti e animate discussioni in classe che aiutano i ragazzi a dare una senso a quello che studiano e che suscitano l’interesse anche dei più “sospettosi” verso questa materia. Il libro non dà nemmeno una visione della fisica come scienza sperimentale: le esperienza di laboratorio sono appena descritte a supporto della teoria, un vero e proprio accessorio. Non ci sono schede di laboratorio che danno dei suggerimenti, delle proposte e aiutano il ragazzo a organizzare le esperienze, a stabilire le grandezze da misurare, ad organizzare la presa dati e l’analisi, per trarre poi delle conclusioni. Risultato è che i ragazzi prendono le ore di laboratorio (soprattutto nei licei) come ore di pseudo lezione o addirittura “sotto-lezione” dove passare un po’ di tempo ad assistere all’esperimento, tanto poi sarà tutto ripreso in classe con spiegazione alla lavagna.
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Scuola di Specializzazione all’Insegnamento Secondario del Lazio VIII ciclo, I anno Anno Accademico 2006/2007
Analisi delle Unità didattiche 7 e 9 del libro “Fisica 1” di Antonio Caforio e Aldo Ferilli
RELAZIONE PER IL CORSO DI DIDATTICA DELLA FISICA TENUTO DAL PROF. GIOVANNI PALLOTTINO
di: Maria Corona e Cristina Papalini 21
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Analisi delle Unità didattiche 7 e 9 del libro “Fisica 1” di Antonio Caforio e Aldo Ferilli Le Monnier 2004
Un primo sguardo Ogni Unità didattica viene presentata con una foto a colori a tutta pagina, bella, significativa, con un piccolo pensiero che, suscitando curiosità e stimolando lo studente a pensare, introduce agli argomenti che verranno trattati. In molte pagine ci sono zone laterali vuote che alleggeriscono il tutto e contemporaneamente possono risultare utili per chi voglia annotare pensieri, dubbi o integrare il testo in qualche punto. A tale proposito viene in mente la celebre frase di Pierre de Fermat: “Ho scoperto una mirabile dimostrazione di questo teorema che questo margine è troppo piccolo da contenere”, e, ricordando che ciò ha provocato un ritardo di secoli nel dimostrare il teorema, non possiamo fare a meno di ritenere valida l’idea di spazi vuoti in un testo di Fisica. L’approccio visivo risulta sufficientemente chiaro, con uno standard grafico che evidenzia parole chiave in neretto e concetti fondamentali in azzurro; ogni pagina ha un triangoletto in alto, al centro, colorato differentemente per distinguere se si tratti di pagina di teoria, di esercizi o di laboratorio. La numerazione delle pagine, in alto al centro, rende meno rapida la consultazione del testo rispetto a quando è laterale. Sono rare le foto all’interno delle varie Unità e ciò può indurre l’idea di una Fisica staccata dalla vita reale e può risultare poco coinvolgente per i ragazzi. Stando attenti ad evitare un’eccessiva frammentazione dei contenuti, che rischia di distogliere gli alunni dal messaggio principale, sarebbe opportuno inserire più foto appropriate, perché le foto incuriosiscono e perché la memoria visiva aiuta a ricordare. Nel libro sono presenti schede di approfondimento di contenuti e di matematica e schede con richiami storici. In alcune Unità sono presenti piccole sezioni, evidenziate anche nell’indice, nelle quali vengono suggerite “Strategie per la risoluzione dei problemi”. Alla fine di ogni paragrafo vengono proposti alcuni quesiti per far sì che i ragazzi focalizzino la loro attenzione sugli obiettivi del paragrafo.
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Al termine di ogni Unità vengono distinte pagine di riepilogo e di esercizi con un test di verifica suddiviso per argomenti e problemi. Questi ultimi vengono presentati con le relative soluzioni numeriche distinguendoli in difficili e di media difficoltà e raggruppandoli per argomenti. Tra di essi ci sono esercizi evidenziati in grigio che presentano o una guida alla soluzione, o un suggerimento, o la soluzione dettagliata. Ogni Unità si conclude con un esercizio del tipo “Caccia all’errore” senza soluzioni. Il testo presenta un indice generale all’inizio e un indice analitico alla fine; entrambi sono ben strutturati e sufficientemente approfonditi. Il libro termina presentando pagine con fattori di conversione, costanti e grandezze fondamentali.
Analisi dei contenuti Unità 7: “I Principi della Dinamica” La foto scelta per questa unità non sembra esemplificativa, perché in primo luogo non c’è alcuna chiarezza sul fatto che gli elefanti non si muovano esercitando l’uno sull’altro forze di uguale intensità e verso opposto, e in secondo luogo lascia intendere che ci sia una volontà soggettiva nel principio di azione e reazione. È logico pensare infatti che i due elefanti stiano lottando e che quindi ci sia una “scelta di reazione” reciproca. I principi della dinamica non vengono presentati come una struttura portante perfetta e ovvia da sempre e viene sottolineata la difficoltà e il tempo che hanno richiesto per essere concepiti, mettendo a fuoco e riconoscendo l’importanza dei vari percorsi di pensiero sviluppati da Aristotele, Galileo e Newton. Tale atteggiamento didattico è molto valido. Sottolineare che non tutto è stato immediato e dare il senso della difficoltà aiuta a non scoraggiarsi, ad andare avanti e a capire che la conoscenza è un processo difficile, evolutivo, faticoso e continuo ed è spesso soggetta alla possibilità di essere perfezionata. Trasferire questo messaggio in modo sottile e non esplicito o plateale come potrebbe essere fatto con un’introduzione ad inizio libro, risulta efficace in un’ottica di prendere per mano i nostri ragazzi aiutandoli e rafforzandoli nel loro processo di crescita. È molto stimolante l’idea di contestualizzare, riportando brani scritti dai personaggi dei quali si parla. Tali brani talvolta non sono semplici e richiedono un aiuto integrativo per la comprensione. Ciò potrebbe essere sia uno stimolo per lo studente ad interagire con il professore, sia uno stimolo per il docente ad approfondire e proporre approfondimenti. L’esempio raffigurato in figura 1 “Pendolo di Galileo”, del paragrafo 2, non dà un’immagine chiara ed immediata del primo principio della dinamica poiché, con il perno al centro a modificare il moto, 23
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risulta troppo elaborato per ragazzi di un terzo superiore; è invece più idoneo e comunicativo l’esempio di fig. 2 “Piano inclinato di Galileo”, sempre nello stesso paragrafo. In entrambi i casi però gli autori, con correttezza scientifica, illustrano il ruolo dell’attrito nella realtà. Il secondo esempio inoltre marca l’importanza di analizzare i casi limite fino a spingersi, con la discussione intorno alla frase “la velocità non è l’effetto di una forza costante”, a fornire un punto focale per la comprensione e l’introduzione al secondo principio. L’esposizione procede con gradualità evidenziando l’unitarietà della Fisica. Le frasi sono spesso ricche di contenuti e significati che non emergono ad una prima analisi e richiedono ulteriori riflessioni ed elaborazioni. In generale sembra che il contenuto didattico sia valido e sufficientemente approfondito, anche se a volte non è di facile e immediata comprensione e richiede assolutamente il supporto del docente. Ciò si nota ad esempio nel paragrafo 2.3 “I sistemi inerziali”, dove vengono esposti sia il concetto di sistema inerziale che di sistema non inerziale, ma la descrizione di una macchina che in un primo momento è un sistema inerziale e poi, frenando, diventa un sistema di riferimento non inerziale non risulta molto chiara. Si potrebbe sottilizzare inoltre che nella definizione di sistema inerziale non è stato sottolineato che le stelle fisse in realtà non lo sono. Buona la definizione dei primi due principi della dinamica, mentre il terzo principio riportato nella sua formulazione classica data da Newton, “A ogni azione corrisponde sempre una reazione uguale e contraria, agente sulla stessa retta”, sembra troppo sintetico per ragazzi al primo approccio con la Meccanica. Meglio la formulazione “quando un oggetto A esercita una forza su un oggetto B, anche B esercita una forza su A; le due forze hanno la stessa direzione e lo stesso modulo, ma versi opposti”, riportata nella Fisica di Amaldi, Idee ed esperimenti (vol. 1 pag. 274 edizione 2007), anche se, pur chiamandolo Principio di Azione e Reazione, non è poi chiaro cos’è che viene chiamato “azione” o cosa invece “reazione”, a differenza del Caforio che, all’inizio del relativo paragrafo, sottolinea il significato delle due parole. Nel testo non c’è alcun cenno alla formulazione del terzo principio tramite la quantità di moto e cioè nella forma: “In un sistema isolato si conserva la quantità di moto totale”, che evidenzierebbe il legame profondo tra quantità di moto e terzo principio. Tale formulazione richiederebbe un’impostazione didattica diversa rispetto a quella comunemente utilizzata nei libri per le scuole superiori, nei quali il concetto di quantità di moto viene introdotto successivamente alla esposizione dei principi. Appropriato, nel paragrafo 5, l’inserimento dell’esempio del cavallo che tira la pietra descritto da Newton nella sua opera Philosophiae naturalis principia matematica; sembra però che gli autori 24
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perdano un’occasione importante per porre l’accento sul fatto che “è l’attrito fra il piede e il terreno che impedisce al piede di scivolare e permette di avanzare” (Fisica di Amaldi, Idee ed esperimenti, vol. 1 pag. 276). Opportuna l’idea di dedicare tutto il paragrafo 4 a sottolineare la differenza tra massa e peso, giacché molto spesso i ragazzi non hanno chiara tale differenza, anche perché troppi libri della scuola media inferiore continuano a parlare di peso misurandolo in kg e in multipli e sottomultipli del kg. Per quanto riguarda gli esempi e gli esercizi sviluppati è facile notare che i dati risultano coerenti rispetto alle cifre significative, anche se non viene mai riportato l’entità dell’errore di misura sulle cifre significative, né viene mai specificato con precisione il criterio che viene adottato nel testo per riportare i dati, neppure nell’impostazione iniziale quando nell’Unità 2 si parla degli errori nelle misure.
Unità 9: “Le trasformazioni di Galileo e il moto relativo” Il fatto di dedicare un’intera Unità alle trasformazioni galileiane, cosa inusuale nei più comuni libri di testo, è una scelta valida che ben sottolinea l’importanza dell’argomento. La foto di introduzione all’Unità è adeguata all’argomento trattato, ma non focalizza l’argomento principale delle trasformazioni di Galileo che riguardano esclusivamente sistemi in moto rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro. La grafica utilizzata per descrivere le trasformazioni galileiane non è molto immediata ad una prima visione e sarebbe stato più efficace mettere le equazioni a sistema. Anche la schematizzazione di due sistemi inerziali in moto l’uno rispetto all’altro in figura 1 nel paragrafo 1, “Le trasformazioni Galileiane”, non risulta molto chiara e potrebbe indurre a credere che due sistemi inerziali si muovono l’uno rispetto all’altro con velocità costante ma diretta lungo uno degli assi. Gli autori introducono i concetti di grandezze invarianti e covarianti per trasformazioni galileiane, molto utili per chi vuole procedere nella comprensione della Fisica ed è bene che vengano conosciuti al più presto. Viene ben sottolineato che, in Fisica Classica, massa e tempo sono invarianti per trasformazioni galileiane. Particolarmente significativo è l’esempio 1 “una grandezza invariante” del paragrafo 1, che dimostra l’invarianza per trasformazioni galileiane della distanza tra due punti, ma sarebbe stato opportuno anticipare questo risultato nella trattazione e non solo come esempio. Nel paragrafo 2, gli autori entrano nel dettaglio soffermandosi a descrivere il moto visto da due sistemi di riferimento inerziali, focalizzando l’attenzione sulle leggi di composizione degli spostamenti, delle velocità e delle accelerazioni e sottolineando opportunamente che il punto materiale ha la stessa accelerazione in tutti i sistemi inerziali. Tale modo di procedere insegna allo
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studente ad esaminare e descrivere situazioni, aiutandolo a sviluppare un mentalità scientifica. Sono interessanti gli esempi proposti in quanto tratti dalla vita reale e ben conosciuti da i ragazzi. La scheda di approfondimento proposta sull’accelerazione di Coriolis è ricca di spunti con esempi tratti dalla realtà, ma necessita senz’altro di un aiuto alla comprensione; il commento alle figure, inoltre, non si diversifica dal testo, causando confusione ad una prima lettura. Negli esempi 5 e 6 del paragrafo 4.1, in entrambi i disegni relativi alla situazione a, sarebbe stato opportuno aggiungere un’immagine dell’uomo sul carrello relativa all’istante in cui cade la palla, evidenziando così la posizione effettiva in cui cade. Nell’esempio di figura 5, situazione a, lo studente guardando l’immagine può essere indotto a credere che la palla cada sui piedi dell’uomo sul carrello, mentre nell’esempio 6, situazione a, può essere indotto a credere che la palla cada sul carrello. La trattazione svolta nel paragrafo 4.2 non risulta molto chiara, poiché è descrittiva e contemporaneamente puntigliosa con l’effetto di risultare un paragrafo di difficile comprensione. A tale proposito viene in mente la frase di Voltaire “Il segreto di annoiare la gente consiste nel dire tutto”. Riteniamo infatti, che in una trattazione per studenti di liceo l’efficacia di un testo didattico dipenda dal fatto che gli argomenti vengano trattati in un ordine logico chiaramente identificabile, soprattutto se si tratta di studenti al primo approccio con la materia. L’eccesso di dettagli non solo annoia, ma rischia di nascondere i messaggi principali. Nel paragrafo in esame la parte grafica, non focalizzando i concetti chiave, non aiuta alla comprensione del messaggio principale. Nel complesso l’Unità risulta ben dettagliata e adeguatamente supportata da esempi interessanti. Gli esercizi proposti sono sviluppati in modo graduale, fornendo idee per ogni argomento trattato.
Giudizio complessivo In generale possiamo concludere che il testo affronta con una buona correttezza scientifica i vari argomenti esaminati anche se a volte, nel tentativo di essere preciso e rigoroso, risulta poco chiaro e di difficile lettura per studenti di Liceo. Ci sono alcune imprecisioni che abbiamo evidenziato nella sezione precedente. I diversi argomenti vengono trattati evidenziando l’unità della Fisica con numerosi richiami. Le problematiche principali vengono inquadrate nel contesto storico con sufficiente coerenza nell’esposizione epistemologica.
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Sono numerosi gli esempi di supporto alla teoria, in genere ben strutturati, con figure appropriate che favoriscono una migliore comprensione. Raramente si verifica che gli esempi non siano adeguatamente descritti come nel caso del disco a ghiaccio secco citato a pag. 225 a fine paragrafo 2.1 Ottima l’idea di inserire, alla fine di ogni Unità, pagine di riepilogo per sottolineare i concetti chiave; tali pagine sono ben fatte e presentano anche piccoli schemi ma mancano mappe concettuali. Gli esercizi a fine capitolo sono sufficienti e seguono opportunamente una logica di gradualità evidente nei problemi che vengono distinti per argomento e per grado di difficoltà, partendo da quelli di media difficoltà fino ad arrivare a quelli difficili. Nelle Unità da noi esaminate non viene mai affrontata, neppure negli esercizi, un’analisi degli ordini di grandezza o dimensionale che invece potrebbe aiutare lo sviluppo di una mentalità scientifica. In generale gli esercizi proposti sono di impostazione classica, non risultano particolarmente fantasiosi e accattivanti, né lunghi. Qust’ultima particolarità, però, può risultare efficiente per non scoraggiare i ragazzi nello studio della materia. Gli studenti di oggi tendenzialmente vogliono tutto e subito e non è facile abituarli a seguire percorsi complicati. Per quanto riguarda il livello di aggiornamento del testo non ci sono accenni ad una didattica multimediale e nelle Unità da noi analizzate non ci sono riferimenti di tipo tecnologico. I contenuti del testo propongono un’immagine della Fisica come qualcosa che evolve nella conoscenza e via via si perfeziona ma contemporaneamente tale immagine, almeno nel primo dei tre volumi, è lontana dal fornire agganci con le moderne tecnologie o con problematiche legate alla fisica quotidiana. Vista l’evoluzione tecnologica che circonda i ragazzi di oggi e considerando il tempo che essi trascorrono al computer, al fine di rendere più accattivante lo studio della materia, sarebbe opportuno fornire loro del materiale multimediale di facile comprensione, interattivo, e collegamenti a siti validi e interessanti. Il testo è anche carente nell’offrire supporto ad esperienze didattiche di laboratorio. Ci sono rare pagine, individuate dalla dicitura in alto “laboratorio”, con proposte di attività di osservazione o sperimentazione diretta. Le Unità da noi analizzate ne sono prive. Va certamente rilevato che la modalità di stesura del testo risente della problematica sviluppatasi a partire dagli anni Sessanta negli Stati Uniti relativa alle riforme dei curricola scientifici. Dal punto di vista della didattica in un clima di rinnovamento culturale volto ad incrementare l’alfabetizzazione scientifica nacquero per le scuole superiori (hight school), in particolare per la Fisica, da un lato il PSSC (Physical Science Study Committee), un corso progettato da J. Zacharias del MIT, fortemente innovativo, che proponeva per la prima volta un laboratorio di sperimentazione dove a lavorare fossero gli allievi, dall’altro, l’HPP (Harvard Project Physics), con orientamento storico. Benché questi progetti non abbiano mai avuto una grande diffusione nelle scuole superiori italiane, per limiti 27
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S.S.I.S Lazio – VIII Ciclo
strutturali (poche ore di insegnamento della fisica, possibilità di attività di laboratorio assai ridotte, docenti non sempre preparati ad affrontare sia il laboratorio sia l’approccio storico), hanno segnato anche da noi una svolta epocale nella didattica della fisica. Tale libro si rifà maggiormente all’impostazione del HPP. Probabilmente la didattica migliore è quella che si colloca a metà, perché se è vero che sperimentare è fondamentale per comprendere, è altrettanto vero che studiare l’evoluzione del pensiero scientifico aiuta a costruire percorsi mentali di comprensione degli argomenti. Fondamentale è però l’ausilio del docente e la precisione della didattica nel libro che deve essere in grado di sottolineare ciò che è cambiato nel pensiero scientifico.
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oSSIS IX CICLO – anno 2007/2008 I anno – II semestre Tesina per il corso di Didattica della Fisica Docente: Prof. Pallottino Specializzandi: Francesco Manzo e Raffaella Ostuni
ANALISI DEL LIBRO DI TESTO: Titolo: “Fisica - Volume primo Meccanica” Autore: James S. Walker Casa editrice: Zanichelli Anno di edizione: Prima edizione gennaio 2004, ristampa 2008
Capitoli 10, 11 Argomenti (titoli dei capitoli) Cinematica ed energia di rotazione
Pagine dedicate 30 pagine
Dinamica rotazionale ed equilibrio statico
40 pagine
INTRODUZIONE Motivazioni della scelta Abbiamo scelto di analizzare i due capitoli in oggetto perché questo ci dava l’occasione di completare l’esperienza offerta dal tirocinio attivo, discutendo e portando a sintesi quanto sperimentato. Uno di noi ha infatti trattato questo argomento presso il Liceo scientifico Righi, il che ha permesso di valutare l’efficacia didattica di alcune scelte del testo e di rilevare alcuni punti nodali nella presentazione fatta dal Walker. L’argomento, di per se non particolarmente stimolante per gli studenti, offre all’insegnante molti spunti interessanti, quali la rilettura del significato matematico e fisico della legge di Newton, la discussione dei limiti della meccanica del punto materiale, l’universalità del principio di conservazione dell’energia, il legame tra leggi di conservazione e proprietà di simmetria. Anche la parte propriamente cinematica, alla luce di una nuova consapevolezza di cosa sia la meccanica, si presta benissimo ad un approfondimento e ad una sistemazione logica delle nozioni già acquisite dagli studenti. L’analisi delle scelte espositive del Walker, rivela molto sull’impostazione logica del testo, e ci offre molti spunti di discussione.
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La struttura del libro Il Walker è un libro relativamente recente, essendo la sua prima edizione del gennaio 2004. Il volume dal quale abbiamo tratto i due capitoli in esame è il primo dei tre che coprono tutto il programma di una scuola superiore. È scomposto in 14 unità che vanno da una introduzione alla fisica (cap. 1) ai fluidi (cap. 14), passando per la cinematica (cap. 2, 3, 4), le leggi del moto di Newton (cap. 5, 6) lavoro ed energia cinetica (cap. 7), energia potenziale e forze conservative (cap. 8), quantità di moto ed urti (cap. 9), cinematica e dinamica rotazionale (cap. 10, 11), la gravitazione (cap. 12), oscillazioni intorno all’equilibrio (cap. 13). Il volume si conclude con 5 appendici su: strumenti matematici di base; valori tipici (tabella); dati relativi al sistema solare; tavola periodica degli elementi; proprietà di alcuni isotopi. Il sommario si trova all’inizio del libro. L’ultima pagina del sommario è dedicata alla “Fisica quotidiana” dove vengono richiamate le pagine con le proposte in tal senso (all’interno di ciascun capitolo): si nota subito, a colpo d’occhio, come queste diventino mediamente più numerose col progredire dei capitoli. Alla fine di ogni capitolo si trovano delle pagine dedicate, in ordine, a “Definizioni, leggi, equazioni”, “Test di verifica delle competenze”, “Domande sui concetti”, e, infine, ai “Problemi”. Il testo è corredato da molte fotografie, illustrazioni e schemi. Non è proposto nessun supporto interattivo per completezza né schede guidate di laboratorio. TEORIA Contenuto e approccio Il capitolo 10 è dedicato all’introduzione della cinematica rotazionale (piana) e al calcolo dell’energia cinetica. Una prima parte si occupa di definire la velocità e l’accelerazione angolare, l’accelerazione tangenziale e i legami tra grandezze lineari e rotazionali. Non utilizza la notazione di prodotto vettoriale (non avendola introdotta nel cap. 3 quando definisce i vettori) e non pone molta attenzione al rigore delle dimostrazioni. Presenta molti esercizi guidati, che spesso si riferiscono a situazioni reali, per introdurre gli argomenti in oggetto. L’idea è sicuramente vincente, ma una certa confusione logica e una propensione al calcolo rendono difficile agli studenti la sistemazione delle nozioni. Una seconda parte del capitolo si occupa della cinematica del moto di rotolamento, argomento un po’ secondario ma di grande presa sugli studenti (almeno per l’esperienza vissuta durante il tirocinio). La presentazione è descrittiva e non chiarisce che i risultati vengono derivati all’interno del modello per poi essere verificati sperimentalmente e non viceversa. La terza parte del capitolo è chiaramente fuori posto, avendo come oggetto il calcolo dell’energia cinetica di rotazione. La cosa non sarebbe tanto grave se non venisse assunta qui come principio la conservazione dell’energia, in maniera del tutto surrettizia, non essendo isolato il sistema. Il capitolo 11 riparte dalla definizione di momento torcente, su giustificazione sperimentale. Passa poi ad analizzare il modello del pendolo con la notazione delle grandezze rotazionali e deriva in questo modo la “2a legge di Newton rotazionale”, che viene automaticamente assunta come fatto generale. Viene discusso il parallelo tra leggi lineari e rotazionali, che potrebbe essere approfondito meglio. Una seconda parte si occupa del problema dell’equilibrio statico, con grande chiarezza e buoni riferimenti a situazioni reali. L’inconveniente di questa sistemazione è che quando l’insegnante prova a seguirla si trova la statica nel bel mezzo di un capitolo di dinamica, e perde un po’ il filo. L’ultima parte parla del momento della quantità di moto e della sua conservazione, senza derivarla dal terzo principio, ma assumendola in maniera poco trasparente. Da ultima viene introdotta la notazione di prodotto vettoriale, cosa che poteva essere fatta ben prima, accennando alle rotazioni nello spazio. 30
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Il vero punto di forza di questo libro, è il riferimento continuo a problemi reali, che rendono le tematiche immediatamente comprensibili agli studenti. Questi problemi, come osservato anche durante il tirocinio, offrono agli studenti utili chiavi di lettura per comprendere i fenomeni fisici, anche se troppo spesso le spiegazioni piovono dall’alto in modo confuso. Il formalismo matematico è in generale appena sufficiente e mai si dà spazio alla discussione dei problemi matematici. È un’occasione persa, perché con pochi aneddoti storici si potrebbe benissimo rendere la potenza degli strumenti a disposizione dello sforzo che è servito per arrivare a formalizzare la teoria. Ad esempio, qui gli studenti incontrano un’equazione che già hanno visto in relazione ad un fenomeno fisico diverso. È chiaro che questa somiglianza già da sola suggerisce la potenza dell’apparato matematico a disposizione, e un accenno storico in una nota a margine non costerebbe molto. Sono del tutto assenti approfondimenti storici ed epistemologici. Ci sembra evidente che il libro di testo non può addentrarsi troppo in questi argomenti, perché non è quello il suo scopo. Tuttavia una lettura o una scheda, per quanto sintetiche, potrebbero essere un elemento di stimolo e di riflessione in grado di avvicinare alla mentalità scientifica anche i ragazzi che hanno una propensione naturale per gli studi di tipo umanistico. La nostra impressione è che i ragazzi siano sempre molto affascinati dalla storia delle scoperte e dall’evoluzione del pensiero dietro tali scoperte, perché vedono un percorso stratificato, fatto di intuizioni, di errori e di correzioni, di aneddoti a volte divertenti, di connessioni, che una concezione scolastica lineare della scienza elimina completamente, e che rende il percorso di studio delle materie scientifiche asettico ed innaturale. A margine sono invece presenti note che richiamano a situazioni reali o ad applicazioni tecnologiche (poche), che aiutano lo studente ad inquadrare l’argomento. Gli esercizi guidati sono l’autentico asse portante del testo, e tradiscono una impostazione volta più al calcolo che allo sviluppo di una sistemazione teorica. Il vantaggio di questa scelta è quello di trasmettere la percezione della fisica come strumento, una scelta più vicina all’approccio ingegneristico che non a quello fisico. Gli strumenti Il libro offre, alla fine di ciascun capitolo, una scheda riassuntiva, che costituisce un riepilogo di riferimento di facile consultazione. Lo scopo è quello di riepilogare sinteticamente i concetti, richiamando a volte anche le osservazioni sperimentali più rilevanti. Questo sussidio potrebbe essere un arma a doppio taglio: da un lato può aiutare gli studenti a riorganizzare rapidamente i contenuti trattati nel capitolo o a ripassare velocemente i concetti fondamentali (quindi può essere un aiuto in una seconda lettura del testo o come strumento per affrontare un capitolo); dall’altro può impigrire gli studenti, facendo loro ritenere di potersi rifare ad esso come strumento sufficiente di studio e comprensione. Per utilizzare le schede come strumenti di costruzione del metodo di studio e di ragionamento, potrebbe essere utile affiancargli una mappa concettuale, che aiuti a visualizzare le connessioni tra i concetti principali e faciliti la costruzione di schemi interpretativi. Infatti le mappe concettuali agevolano l’individuazione dei percorsi che legano argomenti differenti e il passaggio da modelli semplici a descrizioni più complesse. Nei due capitoli sono presenti molti esercizi. Alcuni, generalmente accompagnati da una figura, sono usati come guida e presentano la strategia risolutiva prima della risoluzione guidata; altri sono semplicemente accompagnati dalle soluzioni. Molti esercizi del primo tipo riguardano esempi di fisica quotidiana. Ne contiamo 5 nel capitolo 10 e 3 nel capitolo 11.
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Inoltre ci sono 5 “verifiche di concetti” nel capitolo 10 e 4 nel capitolo 11. Le verifiche di concetti sono una via di mezzo tra domande ed esercizi; sono una sorta di punto fermo tra un concetto e l’altro all’interno dei vari paragrafi di ogni capitolo, che aiutano a riorganizzare le idee e sedimentare i concetti prima di passare ai concetti successivi. Forse per gli studenti sarebbe più utile non trovare la soluzione troppo a portata di mano, perché la sistemazione delle nozioni passa anche per la capacità di riconoscere gli argomenti e trovarli nel libro di testo. Come già detto, non vengono proposte schede di approfondimento, richiami storici o schede di laboratorio, che offrirebbero maggiori spunti per gli insegnanti e, conseguentemente, uno stimolo maggiore per gli studenti. Carenze di argomenti disciplinari Abbiamo rilevato una sola vera inesattezza (di cui discuteremo sotto), ma il difetto complessivo è la carenza nella presentazione logica degli argomenti, in particolare del rapporto tra teoria ed esperimenti. Soprattutto nel primo approccio alla fisica, è di fondamentale importanza presentare un quadro metodologico trasparente, in cui il metodo sperimentale sia presentato senza confondere esperienza, modellizzazione, analisi teorica e verifica sperimentale. Anche la scelta degli esercizi è spesso infelice: troppi esercizi vengono risolti sul modello senza preoccuparsi che questo descriva effettivamente la realtà (ad es., a pag. 335 un pesce si muove di moto uniformemente accelerato per un tempo indefinito, a pag. 150 un freno esercita una forza costante fino al completo arresto ecc.). Proprio perché non si può assumere un tono troppo formale, né angustiare gli studenti con questioni troppo filosofiche, devono essere il docente e il libro di testo a presentare la fisica in maniera da non dare adito a confusione. Il libro soffre invece di una impostazione volta a fornire una serie di formule pronte all’uso, con il risultato che è praticamente impossibile capire quando i risultati sono dedotti teoricamente e quando si assumono nuove ipotesi, per estendere il quadro teorico, in risposta a nuove evidenze sperimentali. Non si tratta di essere rigorosi nella derivazione matematica, ma di esserlo nella presentazione logica. Poche note di carattere storico-epistemologico, basterebbero a chiarire i punti nodali e presentare la fisica come scienza sperimentale invece che come descrizione fenomenologica. Questa soluzione salverebbe il taglio operativo del testo senza con questo passare idee sbagliate. Nella nostra società, è evidente la difficoltà di comunicazione che hanno gli scienziati a distinguersi dai ciarlatani. Uno dei motivi è che non viene percepito affatto il rigore metodologico: sembra che chiunque abbia il diritto di affermare qualsiasi cosa senza bisogno di supportarla con evidenze sperimentali o con spiegazioni teoriche. Nascono così concezioni pseudo-scientifiche che parlano dell’elettrosmog come la principale causa di tumori, dell’energia nucleare, degli OGM, della mucca pazza, l’aviaria o il millenium bug come minacce di catastrofi incombenti, senza alcuna attenzione ai dati sperimentali. Il fatto stesso che ogni canale televisivo si senta in dovere di proporre il suo oroscopo senza nemmeno verificare che il sole sia effettivamente nella posizione che dicono gli astrologi, è forse l’esempio più eclatante non solo della superstizione, ma anche della completa mancanza di rigore scientifico che pervadono la nostra società. I due capitoli analizzati presentano troppe inesattezze concettuali, che lasciano gli studenti con la sensazione di non possedere la materia. 32
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Nella descrizione cinematica, ogni decomposizione del moto in una rototraslazione è lecita, ma quando si passa alla dinamica (cosa che di fatto avviene quando si introduce la massa), interessano praticamente solo le rotazioni intorno al baricentro e quelle intorno al centro istantaneo di rotazione. Questo fatto deve portare ad evidenziare attentamente il ruolo del centro di rotazione. Nel testo viceversa questo aspetto viene in pratica ignorato, con risultati drammatici quando viene calcolata l’energia cinetica di un disco che rotola, senza menzionare se il centro di massa coincide con il baricentro geometrico del disco. La frase “il moto di rotolamento è una combinazione di due moti: rotazione e traslazione. Ne segue che l’energia cinetica di un oggetto che rotola è la somma dell’energia cinetica di traslazione, ½mv 2, e dell’energia cinetica di rotazione, ½Iω” lascia viceversa intendere che la decomposizione K=½ mv2 + ½ Iω2 valga per qualsiasi rototraslazione. Ammesso di dover accennare a questa decomposizione, la cosa più corretta sarebbe enunciare il teorema di König. In linea con la sottovalutazione del ruolo del centro di rotazione, la tabella a pagina 289 riporta i momenti d’inerzia di vari oggetti senza esplicitare il punto rispetto al quale sono calcolati, rendendo difficilissimo agli studenti cogliere il senso di quello che stanno facendo (non hanno i mezzi tecnici per calcolare i momenti d’inerzia in maniera autonoma). Ancora nel capitolo 10, la relazione tra accelerazione angolare ed accelerazione tangenziale è trattata in modo oscuro. Altri problemi si evidenziano negli esercizi: senza aver fatto nessuna menzione alle rotazioni in tre dimensioni, molti esercizi vertono sul rotolamento di sfere; colmo della sfortuna, alcuni si basano sulla conservazione dell’energia, senza considerare che la sfera può ruotare anche intorno all’asse verticale. Nonostante gli studenti di liceo non abbiano la nozione di vincolo integrabile, non è affatto impossibile che qualcuno noti il problema e che rimanga insoddisfatto della soluzione proposta. Il principio di conservazione dell’energia è esteso al moto rotazionale senza una parola sul fatto che il sistema non è isolato. Dopo una presa di posizione così netta, ci si aspetterebbe che la dinamica rotazionale, oggetto del capitolo 11, venisse derivata dalla conservazione dell’energia. Invece si riparte su base fenomenologica, ponendo l’attenzione sul momento torcente. Per il modello di pendolo ideale viene ricavata l’equazione del moto in termini delle variabili angolari, che viene generalizzata senza tanti complimenti. Alla generalizzazione, viene dato il nome di “seconda equazione di Newton rotazionale”, rafforzando l’impressione che si tratti solo di una riformulazione di una legge già nota (nell’esperienza di tirocinio, questo fatto ha reso difficile agli studenti capire che la quantità di moto e il momento angolare sono indipendenti). Il parallelo tra la dinamica delle rotazioni e quella delle traslazioni potrebbe essere sviluppato meglio, anche per sottolineare la potenza dell’apparato matematico che le descrive. I paragrafi riguardanti la statica sono molto semplici e diretti. Fanno riferimento a situazioni familiari e chiariscono bene il concetto di momento torcente. Leggermente meno lacunoso che in precedenza, il riferimento al centro di rotazione. Sarebbe stato forse meglio fare la statica prima della dinamica. Dopo questa parentesi, si torna alla dinamica esaminando la conservazione della quantità di moto. Ancora una volta, la derivazione è piuttosto carente, e non riesce a mettere in luce la generalità di questa legge di conservazione. Nessuna menzione è fatta al legame tra leggi di conservazione e 33
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simmetrie. Il capitolo termina con un paragrafo sul lavoro (che dovrebbe essere spostato subito dopo l’introduzione del momento torcente) e uno sulla notazione vettoriale.
APPARATI DI VERIFICA Ogni capitolo termina con una gran varietà di esercizi, divisi per tipologia in “test di verifica delle competenze”, “Domande sui concetti”, “Problemi”. La quantità e varietà dei quesiti sono ottime, leggermente imprecisa la formulazione. Eccellenti per qualità le sezioni di verifica dei concetti, che evidenziano in maniera egregia alcuni punti nodali. Nelle altre sezioni, prevale l’attitudine al calcolo, a scapito di esercizi articolati. Questo taglio ha il vantaggio di offrire formule di immediata applicazione, ma limita molto l’autonomia di analisi appena le cose si fanno più complicate. Inoltre passa l’idea che lo studio di un fenomeno fisico debba coinvolgere poca matematica. Il difetto maggiore che riscontriamo negli esercizi è che in molti problemi si presentano situazioni in cui il modello non descrive bene la realtà. Lo studente applica la formuletta, trova il risultato, ma capisce benissimo che teoria e pratica non coincidono. Problemi di questo tipo andrebbero accuratamente evitati. L’uso delle cifre significative è un altro punto debole. L’esempio del problema 5 a pag. 320 è esplicativo di questa situazione: “Una persona mantiene il suo braccio disteso, […]. La lunghezza [del braccio] è 0,740 m. Trova l’accelerazione angolare iniziale”. L’esercizio è risolto approssimando il braccio come una sbarra omogenea per calcolarne il momento d’inerzia. In tutti i passaggi, i risultati vengono dati con ben tre cifre significative. È chiaro che errori di questo tipo hanno un impatto devastante per uno studente che sta ancora cercando di sistemare il concetto di errore sperimentale. In alcuni esercizi si passa dalle due alle tre dimensioni. Sarebbe opportuno farlo in una scheda o in un esercizio guidato. Particolarmente infelici gli esercizi sulle sfere che rotolano. La qualità complessiva risulta comunque buona, se si eccettuano queste cadute di livello. Il tema si presterebbe bene ad alcuni esercizi creativi, in cui lo studente può essere invitato ad inventare macchine semplici che facciano determinate cose. La tipologia principale di esercizi è invece il test a risposta chiusa, che soffoca molto la creatività degli studenti. Le soluzioni non sono date per tutti gli esercizi, scelta che riteniamo utile ed intelligente, come quella di posizionarle alla fine del libro e non di immediata consultazione tra parentesi alla fine della formulazione degli esercizi.
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IN SINTESI:
Teoria Approccio: sperimentale: appena accennato, descrittivo definitorio: elevato storico: assente comunicativo: buono Tipologia d’impostazione: descrittiva:sì interattiva: no molto formalismo matematico: no legame della fisica con la cultura: no legame della fisica con la vita comune: sì Contenuti: storia della scienza ed epistemologia: poco o nulla × sufficiente abbondante letture: poco o nulla × sufficiente abbondante elementi di fisica quotidiana: poco o nulla sufficiente abbondante × richiami alla tecnologia: poco o nulla sufficiente abbondante × cenni a problemi di interesse per la società: poco o nulla × sufficiente abbondante nel testo vengono proposte attività di osservazione e/o sperimentazione diretta: poco o nulla sufficiente abbondante × Ulteriori strumenti per lo studente nel testo base: schede di carattere tecnologico: no schede legate alla vita quotidiana: sì schede di approfondimento matematico: no schede storiche interdisciplinari: no Apparati di verifica Esercizi e problemi: quantità: ottima Test a risposta multipla: test per la verifica in itinere del processo di apprendimento: sì test per la verifica complessiva: sì Il testo propone strumenti che agevolano l’acquisizione del metodo di risoluzione?: si esercizi introdotti da sintesi teoriche: no esempi ed esercizi guidati: sì mappe concettuali: no tracce per la risoluzione di problemi complessi: sì
CONCLUSIONI Il Walker è un libro che fornisce una visione “semi-ingegneristica” della fisica, che porta l’attenzione sulla fenomenologia quotidiana. Forse potrebbe incrementare lo spazio dedicato a quella prettamente tecnologica. È di gradevole lettura e suscita, nei ragazzi, interesse nella materia (per la nostra esperienza di tirocinio). La carenza principale, a nostro parere, è relativa alla scarsa attenzione alle attività che potrebbero essere effettuate in laboratorio. L’attività di laboratorio è più coinvolgente per i ragazzi, perché 35
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devono progettare l’attività, costruire piccoli apparati, maneggiare fisicamente degli strumenti, raccogliere dati ed analizzarli con strumenti semplici (in molti casi office è più che sufficiente); devono trarre conclusioni, scrivere una piccola relazione in cui utilizzare il linguaggio appropriato. Un processo lungo e completo che va acquisito con l’esperienza e permette di rielaborare le conoscenze acquisite nelle lezioni teoriche e di calarle in una realtà molto differente (passare dalla progettazione di un esperimento alla sua realizzazione implica una serie di riflessioni relative alla scelta delle grandezze significative, delle approssimazioni da fare, delle difficoltà inerenti alla precisione, sensibilità, errore, rumore, ecc.). Ancora una volta, si rischia di passare un messaggio fuorviante sul metodo scientifico. Questo libro fa emergere una visione scolastica, statica, legata al sovrapporsi di nozioni e “regole”, legata più all’uso delle leggi piuttosto che ad una loro scoperta e interpretazione. Anche gli agganci con le applicazioni tecnologiche potrebbero essere sviluppati meglio. Questo tipo di collegamento è fondamentale per motivare allo studio, per sottolineare gli aspetti creativi dello sviluppo umano e per ragioni culturali. La scuola ha, secondo noi, la precisa responsabilità di offrire gli strumenti interpretativi per comprendere la realtà in mutamento, che sempre più coinvolge aspetti tecnologici. Anche dal punto di vista della politica educativa, un paese con nessuna risorsa naturale e poche risorse industriali è condannato se non punta ad un alto livello di istruzione scientifica volta a sviluppare innovazioni tecnologiche.
APPENDICE: In appendice vogliamo riportare il risultato di un mini-test proposto ai ragazzi alla fine del tirocinio in classe, sul loro sul libro di testo. I risultati sembrano commisurati all’età dei ragazzi, ma sono comunque indicativi e in linea con gli aspetti da noi analizzati. Pregi libro Esempi/esercizi (15): Esempi Esercizi Chiarezza espositiva (6): Chiaro Dettagliato Preciso Schemi (1): Schematizzazione
xxxx xxxxx xxxxx x xxx xx x x
Difetti libro Nessuno (3): Nessuno xxx Esempi/esercizi (4): Soluzioni accennate xx Esempi assurdi x Numeri non interi x Teoria (11) Teoria xx Complica cose facili xxxx Poco comprensibile xx Difficile x Noioso x Notazione x Approfondimenti (2): Non approfondisce x Mancano spunti storici x 36
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SSIS VIII ciclo Specializzando: Lavinia Nati Titolo: Fisica Autore: Walker Casa editrice: Zanichelli Anno di edizione: 2004 Unità didattica: Relatività ●
Carenze di argomenti disciplinari ritenuti irrinunciabili:
Si, sotto due punti di vista: - a livello di percorso didattico, ritengo inopportuno proporre la teoria della relatività in quarto scientifico, quando ancora non è stato trattato l'elettromagnetismo, perché non permette di collocare l'argomento né storicamente né scientificamente al posto giusto, non permette di spiegare l'introduzione della costante c, non permette di giustificare molti passaggi che vengono effettuati e non rende possibile introdurre la teoria con argomenti adeguati. - a livello di trattazione dell'argomento, ritengo una grave carenza non introdurre in alcun modo le trasformazioni di Lorentz (non vengono nemmeno citate), che a cascata provoca l'effetto di proporre argomenti come la dilatazione dei tempi e la contrazione delle lunghezze senza gli adeguati strumenti, così come mi pare una grave carenza non introdurre in alcun modo l'invariante relativistico ds^2, rinunciando così a far ragionare gli studenti su concetti come la conservazione e l'invarianza. ●
Teoria:
Approccio: Sperimentale, Definitorio Tipologia d’impostazione: - descrittiva: si - interattiva: si, alla fine di ciascun paragrafo ci sono sempre delle verifiche dei concetti e/o degli esempi svolti - molto formalismo matematico: in questo caso addirittura invece direi troppo poco (mentre risponderei di si per la stessa unità didattica trattata nell'Amaldi) ●
Legame della fisica con la cultura:
direi si e no, nel senso che manca del tutto qualunque possibile riferimento agli aspetti storico-filosofici di cui è invece ricco questo argomento, come in fondo tanti altri della fisica. Quando mi sono
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ritrovata a dover effettuare le lezioni di tirocinio a scuola su questa unità didattica mi sono trovata in difficoltà rispetto a questo libro di testo, e alla fine ho deciso di discostarmi dall'approccio iniziale che ha, e l'ho integrato nella mia prima lezione con riferimenti ad Aristotele, i quattro elementi e l'etere, e a Galileo, la rivoluzione scientifica e il nuovo concetto di scienziato e di fare scienza. Questo per riprendere le trasformazioni di Galileo e far capire come queste siano valide in gran parte della vita quotidiana, per poi correggerle con le corrette trasformazioni di Lorentz, valide per ogni velocità. Manca in questo testo l'attenzione allo sviluppo della fisica nel tempo, allo sviluppo del pensiero scientifico e alla sua trasformazione; mentre è abbondante il richiamo alla cultura intesa come sviluppo tecnologico e vita quotidiana. ●
Legame della fisica con la vita comune:
direi di si, nel senso che, nonostante l'argomento in sé non si applichi in generale alla vita quotidiana, in cui a tutti gli effetti vale la meccanica classica, ci sono esempi e richiami a tutto ciò che riguarda la relatività nella vita comune, come le centrali nucleari e la tomografia elettrone-positrone, o nell'universo, come il sole, le lenti gravitazionali, i buchi neri, le onde gravitazionali. Inoltre tali punti vengono evidenziati con delle frecce al lato dei paragrafi che ne facilitano l'individuazione attraverso il testo. Altro: manca completamente l'aspetto metodologico: le formule vengono date senza fare il minimo sforzo per giustificarle, senza la minima cura nel far ragionare i ragazzi e far capire loro le connessioni, senza attenzione insomma all'aspetto deduttivo e soprattutto anche intuitivo che, a mio giudizio, è fondamentale. ●
● Contenuti: - storia della scienza ed epistemologia: poco o nulla - letture: poco o nulla – elementi di fisica quotidiana: questo aspetto direi che sia abbondante, anche andando attraverso il testo negli altri capitoli. Questo è sicuramente molto positivo, gli studenti sono molto attratti da questi aspetti concreti legati alle teorie che studiano. – richiami alla tecnologia: anche questi sono abbondanti, io stessa sono stata contenta di incontrare nel testo la spiegazione, seppur sommaria, di come funzionasse la PET, la tomografia elettrone-positrone usata in medicina. ● Cenni a problemi d’interesse per la società (per esempio: energia, ambiente, ...): qui forse risponderei sufficiente, almeno sempre per quanto concerne questa unità didattica. Ad esempio, le centrali nucleari
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sono citate ma forse si sarebbe potuto dedicare più spazio a tale argomento. ●
nel testo vengono proposte attività di osservazione e/o sperimentazione diretta: poco o nulla, ma forse questo a causa dell'argomento specifico che non permette applicazioni dirette in laboratorio.
Ulteriori strumenti per lo studente nel testo base: • Schede di carattere tecnologico: direi di no, piuttosto gli argomenti tecnologici vengono introdotti e spiegati all'interno del testo, dopo l'esposizione dei contenuti. • Schede legate alla vita quotidiana: si, molti esempi svolti o guidati fanno riferimento a fenomeni di vita quotidiana • Schede di approfondimenti matematici: si • Schede storiche interdisciplinari: poche APPARATI DI VERIFICA Esercizi e problemi: • quantità : molti Test a risposta multipla: • test per la verifica in itinere del processo di apprendimento : si • test per la verifica sommativa: si Il testo propone strumenti che agevolano l’acquisizione del metodo di risoluzione?: • Esercizi introdotti da sintesi teoriche si • Esercizi guidati si • Mappe concettuali no • Tracce per la risoluzione di problemi complessi si GIUDIZIO SINTETICO COMPLESSIVO a) correttezza scientifica e livello di aggiornamento (con indicazione di eventuali imprecisioni) Il livello di aggiornamento mi sembra alto: ad esempio nell'ultima parte che concerne la relatività generale, dopo aver parlato delle onde gravitazionali, viene anche abbondantemente citato l'esperimento LIGO, l'interferometro per la ricerca delle onde gravitazionali. Anche se mi piacerebbe capire in base a cosa viene deciso di citare o anche dare grande spazio ad un esperimento piuttosto che un altro, visto che di esperimenti di questo tipo ce ne sono tanti, e visto che l'immagine della scienza che prende forma nell'immaginario degli studenti è strettamente legato alle informazioni che passano attraverso questi libri di testo. a1) c’è connessione tra i diversi argomenti trattati, evidenziando l’unità della fisica? 39
Direi di no. E questa è una delle maggiori lacune di questo testo. a2) c’è coerenza nella esposizione epistemologica? La coerenza è piuttosto nella carenza un po' dappertutto di un esposizione epistemologica. b) linguaggio usato sia dal punto di vista scientifico che letterario Il linguaggio utilizzato è sicuramente aggiornato, non come tanti libri di testo dove si incontrano ancora parole vetuste e in disuso. Anche dal punto di vista scientifico non c'è quell'appesantimento che si rileva in alcuni libri di testo, in cui la fisica sa di 'vecchio', e il richiamo continuo ad aspetti della vita comune e alla tecnologia ringiovanisce e aggiorna i contenuti. c) gradevolezza e facilità di lettura Il mio giudizio riguardo questo aspetto è piuttosto negativo: la lettura è tutt'altro che scorrevole, le frasi sono spesso criptiche e più volte trae delle conclusioni che non sono per nulla ovvie. Io stessa ho trovato delle difficoltà nel comprendere, in alcuni passaggi, il filo del discorso, il perché di alcune deduzioni. E ho avuto conferma di questo quando, in classe, alcuni ragazzi sono venuti a chiedermi chiarificazioni proprio su questi passaggi. E' come se non avessero prestato particolare cura alla costruzione delle frasi, cosa invece, a mio parere, fondamentale. Nonostante abbia di positivo l'abbondanza di figure con didascalie esplicative, una di queste che ho incontrato nella mia unità didattica l'ho trovata quantomeno sviante: un fascio di luce nel sistema di riferimento in cui è fermo viene riflesso su uno specchio e torna indietro; per necessità grafiche o forse di comprensione i due raggi vengono disegnati non sovrapposti, e la figura che ne viene fuori è un triangolo, ma da nessuna parte viene spiegato che in realtà i due fasci di luce dovrebbero essere sovrapposti, ingannando così il lettore medio, perché poi da tale figura viene dedotta una formula in cui, giustamente, non compaiono angoli (che sembrerebbero invece formarsi dal disegno). La struttura e l'impaginazione, invece, facilitano la comprensione, permettendo di percorrere il testo attraverso una lettura guidata, con figure supportate da didascalie non scarne, in modo da quasi costringere lo studente a guardarle e capirle, quando invece spesso l'alunno tende a non guardarle o saltarle. Gli esempi svolti sono evidenziati da uno sfondo colorato e la soluzione è spiegata dettagliatamente, esplicitando i vari passaggi. Inoltre alcuni esempi sono guidati passo passo, c'è un primo momento di descrizione dell'esercizio, poi una parte in cui si definisce la strategia che si vuole seguire, e infine la soluzione, in modo che lo studente può
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provare a svolgerlo scegliendo quanto 'sbirciare' e quanto, invece, provare a risolverlo da solo. Alla fine di molti paragrafi c'è poi una parte di 'verifica dei concetti', in cui si applica la teoria esposta ad un esempio concreto e si discute cosa succede in termini di quanto appena studiato, il che permette di capire subito se si è compresa la teoria; inoltre, la pronta applicazione e discussione di un problema concreto tende a far fissare meglio i concetti analizzati. d) capacità di suscitare l’interesse dei ragazzi, motivandoli allo studio? Ritengo che la ricchezza di immagini e riferimenti al quotidiano e alla tecnologia sia molto accattivante per gli studenti, così come gli esempi guidati e gli esercizi svolti facilitino la comprensione. Tuttavia ho trovato spesso poco chiara e poco curata l'esposizione dei contenuti in sé, così come ho trovato poco curata e spesso assente l'attenzione all'inquadramento storico degli argomenti introdotti, che invece ritengo interessante ed esplicativa di come si sia evoluta e si evolva la fisica e la scienza nel tempo. e) quale immagine della scienza e della tecnologia, e in particolare della fisica, i contenuti del testo propongono ai ragazzi? L'immagine della scienza e della tecnologia che passa attraverso questo libro è positiva, nel senso che da nessuna parte si respira in queste pagine quell'aria vetusta che in alcuni testi permea le discipline scientifiche, e soprattutto la fisica. Questo libro è invece ricco di immagini, foto e spiegazioni di fenomeni del quotidiano e di applicazioni tecnologiche. E questo è sicuramente il punto di forza di questo testo, visto che gli studenti di oggi vengono bombardati da stimoli esterni, la cui componente principale è proprio tecnologica. Inoltre il livello di aggiornamento e gli esempi tratti dal quotidiano rendono molto gradevole il testo. Tuttavia ritengo che ci siano gravi carenze riguardanti altri aspetti altrettanto fondamentali, come l'attenzione alla continuità della fisica, al non ridurre la fisica ad una disciplina studiata a capitoli, a settori, a comparti stagni. L'approccio sperimentale, il metodo scientifico, ovvero il modo di 'fare fisica' non mi pare esca fuori da queste pagine, che è invece il legante di tutti gli aspetti trattati e che crea la continuità e l'unità della fisica. Inoltre, inquadrare l'argomento trattato nel giusto contesto storico e sociale arricchisce il contenuto, rendendolo più umano e meno distaccato dalla realtà, oltre a suscitare magari un interesse maggiore in chi legge.
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PROGETTO DI UNITÀ DIDATTICA Silvia Ventura Tommaso Stasi Argomento: Il bilancio termico della casa Destinatari: studenti di IV liceo scientifico Prerequisiti: Temperatura e sua misura. Quantità di calore, calore specifico. Fenomeni di propagazione del calore: irraggiamento, conduzione e convezione. Obiettivi: L'unità didattica tratterà dei fenomeni fisici che regolano gli scambi di calore di un edificio con l'ambiente esterno. L'obiettivo strettamente disciplinare è quello di consolidare la conoscenza dei fenomeni di conduzione, irraggiamento e convezione illustrando la loro applicazione in un problema concreto quale il bilancio termico di una abitazione. Un obiettivo trasversale è quello di sensibilizzare gli studenti riguardo il problema delle risorse energetiche e del loro ottimale sfruttamento. Infatti è desiderabile che una casa sia fresca d'estate e calda d'inverno. Attualmente, nella maggior parte dei casi, ciò si realizza consumando notevoli quantità di energia sia in estate, con climatizzatori, sia in inverno, con impianti di riscaldamento; è però possibile ridurre tale consumo grazie ad una accorta progettazione delle abitazioni. Mostreremo dunque come alcune “semplici” considerazioni sulla fisica di tali fenomeni permettano di indirizzare le scelte costruttive. SCHEMA DELL'UNITA' DIDATTICA Prima lezione (2 ore): Richiameremo brevemente i concetti chiave contenuti nei prerequisiti, facendo riferimenti a situazioni pratiche che si possano analizzare in breve tempo e che assicurino la comprensione degli argomenti. Alcuni esempi potrebbero essere: i diversi tempi che impiega un cubetto di ghiaccio per sciogliersi quando è posto a contatto con materiali diversi. Questo esempio permette di capire il concetto di conducibilità termica ed ha il vantaggio di poter essere sperimentato in aula. l'analisi del fenomeno “riscaldamento dell'acqua in una pentola”, che può essere usata per richiamare i concetti di conduzione (il materiale e la forma della pentola influenzano il processo) e di convezione (spostamenti di masse di acqua nella pentola); il riscaldamento di un oggetto esposto alla luce diretta del Sole, che è un esempio di irraggiamento che risulta essere molto familiare; Seconda lezione (2 ore): Una volta specificato come i fenomeni di propagazione del calore intervengano nel nostro modello di abitazione, la prima ora sarà dedicata ad un excursus di esempi per mostrare agli studenti principi di progettazione bioclimatica usati nel passato, dalle caverne alle torri iraniane. Tale excursus ha il fine di sensibilizzare i ragazzi sullo spreco delle risorse energetiche. Nella seconda ora verranno introdotte le caratteristiche del modello “casa” in relazione al bilancio termico con l'esterno. In particolare saranno specificati i parametri rilevanti relativi all'edificio e ai fattori esterni che 42
contribuiscono al suo bilancio termico. Terza lezione (2 ore): Ci occuperemo di sistemi solari, ovvero di una serie di tecnologie atte a sfruttare l’energia irradiata dal Sole passivamente ed attivamente. Ci soffermeremo in particolare su stime della quantità di energia solare che raggiunge la Terra e di quanta di essa possa essere sfruttata in ambito domestico. Un obiettivo trasversale è quello di rendere coscienti gli studenti del fatto che anche le scelte operate da individui o da singole famiglie influiscano sul bilancio energetico mondiale.
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Prima lezione: richiami di calorimetria e propagazione del calore Dopo aver richiamato brevemente i concetti fondamentali della calorimetria (temperatura, calore e relative dimensioni fisiche e unità di misura), ci addentriamo nell'analisi di alcuni fenomeni fisici che useremo per ripassare i meccanismi di propagazione del calore. CONDUZIONE: Il primo esempio, scelto per illustrare il fenomeno della conduzione del calore, sarà sperimentato in classe e riguarderà lo scioglimento di cubetti di ghiaccio “identici” appoggiati su materiali a diversa conducibilità termica; di seguito riportiamo uno schema per la realizzazione in classe dell’esperimento. Materiale 1 tavoletta di legno 1 piastra di alluminio Cubetti di ghiaccio aventi stessa massa e forma. 1 cronometro. Esecuzione Si posizionano contemporaneamente i cubetti di ghiaccio sulle rispettive superfici e si fa partire il cronometro. La misura del tempo di fusione è affetta da un'incertezza molto elevata in quanto è difficile stabilire in quale istante la fusione venga completata; tuttavia ci aspettiamo che i tempi misurati siano abbastanza diversi tra loro da poter comunque rendere significative le differenze. Analisi del fenomeno Il metallo, ottimo conduttore termico, riesce a prelevare calore dall’ambiente circostante (aria e piano d’appoggio) attraverso la propria superficie; è come se il cubetto scambiasse calore attraverso una superficie pari a quella della piastra. Al contrario, il legno, che ha bassa conducibilità termica, isola dal piano d'appoggio il cubetto, il quale scambierà calore solo con l'aria. Ci aspettiamo quindi che la fusione sia immediatamente osservabile sui metalli e più lenta sul legno. Durante il processo di fusione sul metallo, quindi, l’assorbimento di calore dall’aria circostante da parte del ghiaccio risulta trascurabile, mentre, nel caso del legno, costituisce il principale contributo allo scambio di calore. Dopo una prima fase in cui lo scioglimento ha un andamento circa lineare, si crea uno strato di acqua che isola il cubetto dalla superficie metallica per cui ci aspettiamo un rallentamento del processo di fusione, essendo l'acqua un conduttore peggiore del metallo (infatti le conducibilità termiche dei materiali in gioco sono: Alluminio 237 W/ m °K, Acqua 0,6 W/ m °K, Legno 0,1-0,2 W/ m°K , a seconda del tipo di legno). Per verificare che la presenza dello strato di acqua contribuisce ad aumentare il tempo di scioglimento del cubetto sul metallo, possiamo ripetere l’esperimento con la sola piastra di alluminio inclinata in modo da far fluire via l’acqua, e vedremo che il cubetto impiegherà minor tempo per sciogliersi. Lo scioglimento sarà comunque più rapido rispetto al caso della piastra di legno anche in presenza dello strato di acqua. Quello che ci aspettiamo è che il cubetto sulla piastra di alluminio si scioglierà in un tempo dell'ordine di pochi minuti, mentre il cubetto sul legno impiegherà un tempo dell'ordine di qualche decina di minuti. Tali tempi dipendono dalla temperatura esterna, dalla forma e dal volume delle piastre di metallo (quelle del legno contano poco in quanto isolante), e dalle dimensioni del cubetto di ghiaccio. 44
La seconda parte della lezione sarà utilizzata per spiegare i fenomeni della convezione e dell'irraggiamento. CONVEZIONE: Per illustrare agli studenti il fenomeno della convezione faremo riferimento al processo di riscaldamento dell'acqua in una pentola posta su un fornello acceso. L'acqua direttamente a contatto con la superficie della pentola si scalda per conduzione; se questo fosse l'unico meccanismo di propagazione del calore l'acqua lontana dalle pareti si scalderebbe molto lentamente. Il fatto che ciò non accada è la prova dell'esistenza di un altro meccanismo, la convezione. Si ha convezione quando un fluido entra in contatto con un corpo la cui temperatura è diversa, ad esempio più caldo. Aumentando di temperatura, il fluido si espande e diminuisce di densità e tende a muoversi verso l’alto, generando moti interni circolari in cui il fluido caldo sale verso l'alto e quello freddo scende verso il basso. Tali moti sono detti convettivi. Se al posto dell'acqua immaginiamo di voler cuocere della crema pasticciera non potremo contare sulla convezione per ottenere una temperatura uniforme, in quanto la viscosità della crema ostacola i moti convettivi, saremo quindi costretti a “dare una mano” mescolando continuamente la crema. Questo esempio può essere utile anche per mostrare le proprietà termiche dei materiali e di come questi siano scelti per costruire padelle e pentole. Infatti alcune pentole, pur essendo di acciaio, hanno nel fondo uno strato in rame. Questa particolare struttura permette di sfruttare le proprietà di conduzione del rame, che si occupa di distribuire il calore su tutto il fondo e non solo nella zona vicina alla fiamma, mentre l'acciaio, molto più economico del rame, ha anche un calore specifico superiore a quello del rame (5 kJ/kg contro 4kJ/Kg), per cui è più indicato per fornire massa termica. Ovviamente ciò non rappresenta un vantaggio significativo nel caso di una pentola colma d'acqua, ma è importante nel caso il cibo cuocia per contatto diretto con la pentola.
IRRAGGIAMENTO: Il calore può passare da un corpo a temperatura più elevata ad un corpo a temperatura più bassa anche senza l'intervento di mezzi materiali che lo conducano o lo trasportino con moto convettivo. Che esista un terzo meccanismo di trasmissione del calore è evidente in quanto è esperienza comune che un corpo si può scaldare tramite la sola esposizione ai raggi solari. Questo metodo di trasmissione, detto irraggiamento, avviene cioè mediante radiazioni emesse da una sorgente calda. Faremo riferimento al bilancio energetico del corpo umano a temperatura ambiente. Una stima della quantità di calore rilasciata da un corpo (approssimato con un corpo nero) attraverso una superficie A per unità di tempo è data dalla legge di Stefan-Boltzmann: ∆Q / ∆t = A × e × σ ×T 4 45
Dove e è il coefficiente di emissione della superficie e σ è la costante di Boltzmann σ = 5.67x10-8 W/(m2K4). Nell'ipotesi di corpo nero, il coefficiente di emissione è assunto pari a 1, dunque secondo tale legge il flusso di radiazione emesso da un uomo di superficie A=1.5 m2, alla temperatura di 37 °C (310°K) è circa 750 W (cediamo calore anche attraverso gli altri meccanismi che regolano gli scambi termici, per conduzione tra la cute e i vestiti e per convezione). Dall’ambiente circostante alla temperatura di 20 °C (293°K), la cute riceve un flusso di radiazioni pari a 650 W; Anche assumendo che esso venga assorbito per intero (cioè ponendo uguale a 1 il coefficiente di assorbimento dell'uomo), il calore che riceviamo per radiazione è minore di quello che noi stessi cediamo all’ambiente in quanto corpi radianti. Di conseguenza devono essere forniti (750–650)=100 W che in 24 ore corrispondono a circa 8500 kJ. Questo deficit energetico è colmato dall’energia immagazzinata attraverso il cibo. Bisogna far notare agli studenti come questo calcolo non tenga conto di fattori anche abbastanza importanti come il calore ceduto per evaporazione del sudore e la possibilità di isolare il corpo tramite abbigliamento.
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SECONDA LEZIONE: modello-casa In questa lezione vogliamo illustrare i meccanismi di propagazione del calore in relazione al bilancio termico di una abitazione. Ci sembra utile riportare gli argomenti precedentemente introdotti tramite lezioni teoriche ed esperimenti a un caso concreto in modo che ogni allievo possa rendersi conto di come la fisica faccia parte della sua vita di tutti i giorni. Per prima cosa occorrerà far riflettere gli studenti sul fatto che i tre meccanismi di trasmissione del calore entrano in gioco nel bilancio termico di una abitazione. In particolare:
Nella conduzione rientra tutto quello che è passaggio di calore attraverso l’involucro dell’edificio, muri, tetto, pavimento e finestre, quando è mantenuto chiuso;
Nella convezione rientra tutto quello che è ventilazione degli ambienti; inoltre essa rappresenta il principale meccanismo coinvolto nei sistemi di riscaldamento convenzionali (termosifoni, ventilconvettori)
Nell’irraggiamento rientrano i contributi della radiazione solare o degli occupanti di un edificio al riscaldamento dell’edificio stesso; inoltre è il sistema adoperato nei sistemi di riscaldamento moderni (pannelli e pavimenti radianti)
Verranno elencati alcuni esempi di tecniche costruttive per mostrare come da sempre l’uomo abbia cercato di tener conto dei meccanismi di propagazione del calore per la progettazione e la costruzione di edifici e di come si fossero sviluppate tecniche “intelligenti” i cui principi possono essere tuttora applicati. Riteniamo questo excursus molto utile infatti esso ha lo scopo di mostrare agli studenti come non sia necessario l’uso continuo di condizionatori d’aria per mantenere il fresco o impianti di riscaldamento perennemente in funzione per mantenere il caldo. Al contrario, le condizioni di comfort possono essere raggiunte adottando vari accorgimenti e sistemi che da una parte minimizzino il consumo e le dispersioni degli edifici, riducendone il fabbisogno energetico, e dall’altra ottimizzino le potenzialità dei materiali di costruzione e dell’ambiente nel quale sorge l’edificio. Questo approccio, che oggi viene chiamato “progettazione bioclimatica”, era già presente nell’antichità ed è andato perduto con il diffondersi dell’uso delle fonti energetiche non rinnovabili.
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Gli insediamenti primitivi sfruttavano la conformazione del territorio (in figura un esempio in cui le abitazioni vengono protette dalle radiazioni dirette nelle ore più calde) con lo scopo di raggiungere lo stato di “confort” termico. In particolare si sono diffusi due modelli di abitazione. Il primo modello, il cui archetipo è la caverna, è caratterizzato da masse murarie di grosso spessore che conferiscono all'edificio un'elevata inerzia termica, proteggendo l'interno dagli sbalzi termici stagionali; Un dammuso dell’isola di Pantelleria, dove l’esigenza principale è evitare l’eccessivo riscaldamento, è costruito pareti molto spesse; che conferiscono inerzia termica all’abitazione: di giorno assorbe il calore ricevuto attraverso l’irradiazione solare e di notte lo rende disponibile all’interno dell’edificio, livellando le escursioni di temperatura. Il tetto viene realizzato con volte in pietra, coperto da uno strato di terra, che serve per livellare le superfici, dove si stende un impasto di calce e tufo. Tutto ciò serve a renderlo impermeabile, ma permette all'umidità interna al dammuso di traspirare. In tutto si ha uno spessore di circa 40 cm e contribuisce insieme ai muri a valorizzare al massimo l'isolamento termico. I trulli della Puglia sfruttano lo stesso principio per quanto riguarda le pareti, mentre il tetto è più sottile, per cui adottano un ulteriore accorgimento, ovvero un foro in cima al cono per consentire la fuoriuscita dell’aria calda. Il secondo modello, che può essere detto il modello della capanna, cerca di sfruttare le masse d'aria per asportare il calore in eccesso e/o rinfrescare gli ambienti per evaporazione. Il tepee (la classica tenda degli indiani d'America delle grandi pianure) ha due falde riportate, che restano sporgenti in alto e possono essere tenute aperte, per l'uscita del fumo e per l'aerazione o chiuse, spostando i due pali ai quali sono appese, per riparare dalla pioggia e dal freddo. I pali possono essere spostati anche per posizionare l'apertura sottovento, in modo tale da favorire la fuoriuscita del fumo. In inverno, attorno alla tenda si colloca una barriera circolare fatta di sterpaglia, per protezione contro i venti freddi. D'estate, le pelli sono sollevate nella parte inferiore, per ventilare lo spazio interno. La ventilazione “naturale” è stata sfruttata in modi anche sofisticati. L'esempio più 48
paradigmatico è rappresentato da un'architettura del mondo animale: il termitaio, una complessa costruzione in sabbia, lavorata dalle termiti operaie, all'interno del quale la temperatura è pressoché costante per tutto l'anno, grazie al metabolismo delle termiti e ad una rete di condotti di ventilazione, che sono aperti o chiusi per regolare i flussi d'aria. La cresta, la parte più esposta all'irraggiamento solare, è massiva e priva d'abitacoli, in modo tale da attenuare le oscillazioni termiche interne. Essa è attraversata, inoltre, da un condotto in grado di favorire la fuoriuscita dell'aria viziata Le torri del vento iraniane sono elementi autonomi integrati nell'edificio con la funzione di generare un movimento d'aria al loro interno e costituiscono una indicazione efficace per il raffreddamento degli edifici in climi caldi aridi. Nel suo funzionamento notturno la torre si raffredda poiché la sua massa muraria cede calore all'aria (in essa contenuta) che si riscalda. Si genera quindi, un moto ascensionale dell'aria che, richiamata da aperture poste alla base dell'edificio, favorisce il raffreddamento dell'edificio e soprattutto della torre stessa che funge da accumulo di freddo. Di giorno, l'aria calda esterna, venendo a contatto con la massa muraria della torre, si raffredda ed aumentando di conseguenza la sua densità, scende verso il basso, entrando nell'edificio e provocandone il raffreddamento. Un altro esempio è costituito dalle ville di Costozza in Veneto, costruite a partire del 1550, in cui un interessantissimo sistema di raffrescamento sfrutta l'aria fredda proveniente da grandi cavità sotterranei ("covoli") situate all'interno delle colline in cui sorgono le ville.
Dopo la scoperta dell'energia elettrica, tutti questi principi sono andati perduti. Oggi sono i problemi legati soprattutto all'inquinamento ambientale quelli che ci costringono a ripensare il modo in cui usiamo le risorse energetiche. Basti pensare che la quota di emissioni di Co2 della Unione Europea legata al settore edilizio è di circa il 20% (dato del 2002); percentuale maggiore di quella dell'intero settore industriale.
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MODELLO CASA Descriviamo tramite modelli semplificati gli scambi di calore tra la casa e l’esterno. Considerando la casa come un cubo cavo chiuso, l’unico meccanismo per gli scambi di calore è la conduzione attraverso le pareti. In quest’ottica saranno importanti solo i materiali, la struttura (spessore, presenza di camere d’aria) delle pareti. Data una parete di un certo spessore, d, sia T A la temperatura esterna e T B quella interna, il flusso di calore che attraversa verso l’esterno l’unità di superficie nell’unità di tempo è dato da: F = H(TA - TB) dove H è un parametro caratteristico della parete detto conduttanza. Questa legge, che va sotto il nome di legge di Fourier, afferma che la quantità di calore che attraversa in un secondo l’unità di superficie è direttamente proporzionale (la conduttanza è la costante di proporzionalità) al gradiente di temperatura prima e dopo la superficie di scambio e che il calore fluisce dalla zona a temperatura maggiore a quella a temperatura minore. Se la parete è costituita da diversi strati, ognuno con la sua conduttanza, la conduttanza totale sarà data da: Htot = (H1-1 + H2-1 + ... + Hn-1) -1 Gli studenti, esercitandosi con questa formula, potranno comprendere come la presenza anche di un solo strato isolante renda l’intera parete un isolante. Naturalmente una casa avrà un certo numero di finestre e porte, e anche queste contribuiscono alla dispersione di calore per conduzione. Infine bisogna considerare separatamente il tetto in quanto non è assimilabile alle pareti laterali. MURI Per quanto riguarda i muri, il modello mostrato in figura rappresenta una buona scelta per la struttura di una parete esterna. Infatti lo strato di cemento è necessario per la stabilità dell’edificio, specie se costruito su più piani, lo strato isolante, che può essere una semplice camera d’aria oppure costituito da materiali a bassissima conducibilità termica, ha un’ovvia funzione, infine lo strato in mattoni, più spesso, fornisce inerzia termica alla struttura FINESTRE 50
Ai fini della stima del bilancio termico, una finestra chiusa (approssimata con una lastra di vetro saldata al muro) differisce da una parete per due motivi: il primo è che il vetro comune ha una conducibilità termica diversa, il secondo è che non è completamente opaco alle radiazioni elettromagnetiche. La conducibilità termica del vetro è pari a circa 0.35 W/m °K, molto maggiore di quella di un muro “ben costruito”. Sebbene gli studenti non abbiano ancora studiato la fisica delle onde elettromagnetiche, sarà possibile introdurre almeno a livello superficiale il concetto di onda elettromagnetica come portatrice di energia dotata di una certa lunghezza d’onda facendo perno sul fatto che lo stesso linguaggio comune preveda l’utilizzo di termini come raggi ultravioletti, infrarosso, microonde e onde radio. Una volta consolidata l’idea della “parentela” tra tutte le onde elettromagnetiche, gli studenti saranno in grado di accettare il fatto che il vetro sia trasparente al visibile e all’ultravioletto mentre è opaco per l’infrarosso; questo comportamento è responsabile del cosiddetto “effetto serra”: la radiazione emessa dagli oggetti interni alla casa, alla temperatura di circa 300 °K, è tutta infrarossa e quindi viene intrappolata all’interno. Di conseguenza il flusso di radiazione entrante è sempre maggiore di quello uscente. Una soluzione che tiene conto di entrambi i fattori è la cosiddetta vetrata isolante (doppio vetro o anche triplo). Esso è costituito da due strati di vetro separati da una intercapedine di gas (inizialmente aria disidratata, attualmente gas come l’Argon, il Kripton, lo Xenon e l’Esafluoruro di zolfo) che, avendo una conducibilità molto inferiore a quella del vetro, aumenta la resistenza termica complessiva, abbassando in modo consistente la trasmittanza globale, praticamente dimezzandola. L’entità della radiazione trasmessa può essere modificata trattando il vetro in modo da creare un deposito molecolare di ossidi e metalli particolarmente selettivi in grado, cioè, di riflettere la radiazione puramente termica. In questo modo si hanno i cosiddetti vetri bassoemissivi. PORTE La superficie coperta dalle porte è generalmente inferiore a quella coperta dalle finestre per cui il contributo delle porte alla dispersione risulta inferiore; tuttavia gli accorgimenti adottati per le finestre possono trasferirsi alle porte a vetri mentre per quelle opache si possono inserire materiali isolanti come per i muri. TETTO Il tetto è uno dei punti più delicati della casa, perché il calore tende a salire e, quindi, se non incontra sufficiente resistenza, si perde all'esterno. Da un buon isolamento termico della copertura dipende gran parte dell'equilibrio termico di tutto l'edificio. Anche in questo caso l’isolamento può essere ottenuto tramite strati di appositi materiali.
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TERZA LEZIONE: SISTEMI SOLARI PASSIVI E ATTIVI In questa lezione vogliamo illustrare come l’adozione di opportuni accorgimenti e sistemi tecnologicamente innovativi consentano di realizzare le condizioni di comfort interne utilizzando anche apporti energetici gratuiti come la radiazione solare. Quest’approccio richiede una conoscenza più approfondita delle condizioni climatiche del luogo ove sarà costruito l’edificio. In primo luogo è molto importante che l’edificio abbia una buona esposizione ai raggi solari. Ad esempio una finestra orientata a Sud, fornita d’aggetto, lascia libero transito, come evidenziato in figura, alle radiazioni solari (maggiormente inclinate) durante la stagione invernale, mentre scherma le stesse (meno inclinate) durante la stagione estiva. I sistemi solari passivi sono impiegati per raggiungere due principali obiettivi:
riscaldamento solare passivo, soprattutto nei climi freddi, attraverso l'accumulo, la distribuzione e la conservazione dell'energia termica solare. Al fine di raggiungere questo scopo, le principali tecniche passive prevedono l'impiego di muri termoaccumulatori, di un ottimo isolamento, di masse notevoli per realizzare accumuli termici, di sistemi di preriscaldamento dell'aria, utilizzo di superfici vetrate esposte a Sud, di vere e proprie serre addossate all'edificio etc.
raffrescamento naturale, grazie alla ventilazione naturale, alla schermatura e all'espulsione del calore indesiderato verso l’esterno. Le principali tecniche impiegate in questo caso prevedono l'utilizzo di condotte d'aria interrate, di camini solari, di una buona massa termica, della ventilazione indotta, di protezioni dall'irraggiamento diretto e di sistemi per la deumidificazione o per l'evaporazione dell'acqua.
I sistemi solari passivi sono classificabili in due fondamentali categorie: Nei sistemi di guadagno diretto, il raggio solare entra direttamente nell’ambiente da climatizzare attraverso opportune superfici vetrate. Nei sistemi di guadagno indiretto vi è invece un elemento, un componente edilizio particolare, uno specifico ambiente, interposto tra lo spazio abitato e la fonte solare Due esempi di sistemi a guadagno indiretto sono rappresentati dal muro termico e dal muro di Trombe. Abbiamo esposto nella precedente lezione i singoli principi fisici su cui si basano; qui vogliamo mostrare come una combinazione degli stessi accorgimenti nell’attuale contesto tecnologico possano rappresentare una valida alternativa ai sistemi a bruta forza elettrica. Nel muro termico l'accumulo è determinato da una parete di consistente massa termica esposta a Sud e protetta da una superficie vetrata per ridurre le dispersioni termiche. Il calore assorbito dalla parete viene trasmesso attraverso la parete per conduzione e ceduto all’interno con un certo ritardo (per convezione ed irraggiamento). 52
Il muro Trombe si differenzia per la presenza di aperture poste in alto ed in basso sulla parete. Quando il Sole riscalda il volume d'aria tra muro e vetro il calore accumulato è ceduto gradualmente all'ambiente interno attraverso i moti convettivi dell'aria riscaldata. L'aria calda leggera entra dalla bocchetta superiore e l'aria interna più fredda viene richiamata dalla bocchetta inferiore nell'intercapedine tra muro e vetro. D'estate può essere schermato o aperto per ventilare l’intercapedine con aria esterna al fine di evitare surriscaldamento. Nei cosiddetti sistemi “ad incremento isolato” la superficie di captazione è separata dall'accumulo termico, il trasferimento del calore avviene in buona misura per convezione naturale come nel sistema BarraCostantini illustrato nella figura accanto. L'aria riscaldata dal collettore viene convogliata in condotti posti nel soffitto che riscaldano la struttura. Si viene, quindi, a determinare una termocircolazione naturale (loop convettivo) con conseguente trasferimento del calore dalla captazione (collettore) all’accumulo (soffitto) e all’ambiente interno. Infine la serra è un collettore solare che combina guadagno diretto ed indiretto. In inverno l'energia solare penetra all'interno della serra e viene accumulata dalle masse termiche presenti (parete di fondo, pavimento e aria). Il calore così catturato può essere trasferito mediante un sistema di ventilazione anche ad altri dispositivi d'accumulo, come vespai di pietra arida posti sotto il piano di calpestio a piano terra o solai.
In estate, anche in assenza di vento, il "camino solare" (ovvero un’apertura posta nella parte più alta dell’edificio, secondo il modello illustrato nella precedente lezione) consente di creare un flusso continuo di aria che consente un raffrescamento naturale dell'edificio. L'aria surriscaldata della serra esce per le aperture nella parte alta e richiama aria fredda da una finestra della parete Nord. Anche in questo sistema, a maggior ragione, conviene prevedere anche sistemi di schermatura della serra durante i mesi estivi.
SISTEMI SOLARI ATTIVI: Ogni momento il Sole irradia su una sfera del raggio dell'orbita terrestre oltre 1000 W/m2. Infatti la potenza irradiata dal Sole, secondo la legge di Stefan-Boltzmann, è data da: Ps = x Ss x Ts4 53
dove = 5,67 x 10-8 W/m2°K4, Ss = 4Rs2, Rs = 6.96 x 108m, Ts = 5750 °K. Ne segue che il flusso di energia attraverso un metro quadro posto alla distanza d = 1,5 x 10 11m, è pari a F = Ps / 4d2 ≈ 1360 W/m2 Per stimare la potenza della radiazione a cui è esposta la Terra, si può considerare una “superficie equivalente” Seq pari a quella di un cerchio di raggio pari al raggio terrestre (RT= 6,35 x 106 m) disposto ortogonalmente alla radiazione: PT = F x Seq = F x x RT2 = 1,73 x 1017 W (un GW è l'energia prodotta a pieno regime da una grande centrale elettrica a gasolio o nucleare che sia). La quantità di energia solare che arriva sul suolo terrestre, anche rivedendo la stima al ribasso per via del filtro atmosferico, è quindi enorme, di gran lunga superiore a tutta l'energia usata dall'umanità nel suo complesso. Tale energia solare può essere almeno in parte utilizzata per generare elettricità (fotovoltaico) oppure per generare calore (solare termico). In questa lezione tratteremo solo i pannelli solari termici. I pannelli solari termici consentono di trasformare l'energia luminosa dei raggi solari in energia termica. Il principio di funzionamento di un pannello solare termico è piuttosto semplice. Il pannello vero e proprio è costituito da una piastra nera, per massimizzare l'assorbimento dell'energia solare, a cui sono fissati o integrati alcuni tubi che contengono un fluido che trasporta il calore dalla piastra verso un accumulatore di acqua calda. La piastra è racchiusa da un vetro dalla duplice funzione di racchiudere l’aria calda all’interno del collettore e di intrappolare la radiazione infrarossa emessa dalla piastra. Dunque si sfrutta il fenomeno dell’effetto serra già spiegato nella precedente lezione. Come per le finestre anche il vetro del pannello può essere trattato con una pellicola bassoemissiva. Le altre pareti del pannello sono chiuse da materiali termoisolanti. Il calore viene trasmesso dal tubo all'acqua contenuta nell'accumulatore tramite una serpentina.
Un’interessante esercitazione da proporre agli studenti potrebbe essere una stima della quantità di calore accumulabile da un pannello solare. Il flusso di energia irradiata dal Sole sulla superficie della Terra è stimato in F=1000 W/m2. Consideriamo un pannello solare di area S=1m2 e indichiamo con R il suo rendimento “efficace”, nel senso che R tiene conto del rendimento intrinseco del pannello e della variazione dell’angolo di incidenza della radiazione sul pannello nell’arco della giornata; alle nostre latitudini una stima del valore di R potrebbe essere di circa il 20% in una giornata d’estate. Il pannello è collegato ad un serbatoio contenente 50 litri d’acqua inizialmente a temperatura ambiente (293 °K). Supponendo il serbatoio termicamente isolato, calcolare la temperatura finale Tf raggiunta alla fine di un dì di t=14 ore. 54
L’energia assorbita dal pannello sarà: E= F x R x S x t T = E / (c x M) Dove c è il calore specifico dell’acqua e M e la massa di acqua scaldata. c= 4,186 x 103J/kg °K M= 50 kg t= (60 x 60 x 14) s= 50400 s Dunque da cui
E= (1000 x 0,2 x 1 x 50400) J = 1,01 x 107 J T=(1.01/(4,186 x 50) x 107/103) °K ≈ 48°K Tf=(293+48)°K =341°K
Che in gradi centigradi corrisponde a una temperatura finale di circa 70°C. Come esercizio gli studenti possono ripetere il calcolo per una giornata invernale in cui diminuisce il tempo di esposizione, la temperatura iniziale e il rendimento “efficace” del pannello. A questo punto della lezione sarà possibile discutere circa l’utilità dei pannelli solari termici: in inverno la temperatura raggiunta dall’acqua non è sufficiente per gli usi sanitari e nemmeno per un impianto di riscaldamento tradizionale; infatti esso prevede dei diffusori ad alta temperatura che scaldino per convezione gli ambienti abitativi; tale temperatura (circa 60°C) è lontana da quella raggiungibile con un impianto solare domestico (35-40°C), tuttavia quest’ultima è comunque maggiore della temperatura confortevole per un ambiente abitato (18-22°C), si tratta solo di adoperare diffusori con superficie molto maggiore: gli impianti di riscaldamento a pavimento (pavimenti radianti) costituiscono una valida alternativa a quelli tradizionali. L’acqua calda, proveniente dall’impianto solare o da una caldaia, scorre all’interno di una serpentina distribuita sotto il pavimento. I tubi sono separati dal pavimento da un massetto che ha la funzione di accumulare e distribuire il calore uniformemente.
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Inoltre, come illustrato nelle figure seguenti, i sistemi di riscaldamento a pavimenti radianti offrono una distribuzione della temperatura più omogenea e confortevole.
BIBLIOGRAFIA C. Mencuccini, V. Silvestrini, “Fisica I, Meccanica - Termodinamica”; G. Battimelli, R. Stilli, “Le vie della fisica”, Editore Laterza; A. Giangrande “Cenni di architettura bioclimatica”, Università degli Studi di Roma Tre; G. V. Pallottino, http://www.roma1.infn.it/rog/pallottino/bacheca/Sole%20e%20rinnovabili.pdf; A. Merella, P. Sanna, S. Tatti, ”La casa solare”, http://www.archilink.it; www.wikipedia.org .
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Valentina Porretti, SSIS Lazio IX Ciclo. Esame di didattica della fisica.
Il cambiamento climatico Questa unit` a didattica `e pensata per studenti del quarto anno del liceo scientifico che hanno completato lo studio della termodinamica (pi` u in specifico: temperatura di equilibrio, conservazione dell’energia, propagazione del calore, cambiamenti di fase, corpo nero). Sono anche di aiuto, ma eventualmente facilmente integrabili nell’unit` a stessa, alcuni concetti di geografia astronomica (moto della Terra, attivit` a solare), fluidostatica (principio di Archimede) e interazione radiazione-materia. Per la matematica, la conoscenza delle derivate e della funzione esponenziale permette una comprensione pi` u profonda di alcuni aspetti (stabilit` a del sistema, uso degli isotopi radioattivi). Data la vastit` a della materia, sono stati selezionati solo alcuni degli argomenti di fisica pertinenti, cercando di dare un’idea della complessit` a del sistema climatico nel suo insieme, pi` u che una descrizione dettagliata dei singoli fattori. La scelta dell’argomento `e stata motivata dalla trasversalit` a dei contenuti, che permette di collocare diversi argomenti di fisica in un contesto concreto, e dal fatto che si tratta di una tematica attuale e dibattuta, che dovrebbe risultare interessante per gli studenti e dare loro alcuni elementi utili per farsi un’opinione.
1
Introduzione
Il clima `e l’insieme delle condizioni atmosferiche (temperatura, umidit`a, pressione, venti...) medie che caratterizzano una regione geografica su periodi di tempo lunghi (almeno 30 anni). Oggi si parla molto di riscaldamento globale e si indicano come responsabili le emissioni di gas serra dovute alle attivit` a umane. In particolare la concentrazione atmosferica di biossido di carbonio, prodotta principalmente dal consumo di combustibili fossili, ha raggiunto livelli senza precedenti ed `e in continuo aumento. Non mancano tuttavia voci fuori dal coro che minimizzano l’entit`a del fenomeno o lo ascrivono a cause naturali. Un dato di fatto `e che la temperatura media dell’aria in prossimit`a della superficie terrestre `e aumentata di circa 0.7◦ C dal 1905 al 2005 [1]. ` tanto o poco? Una delle minacce pi` E u immediate che porta l’aumento della temperatura `e lo scioglimento delle calotte polari con il conseguente innalzamento del livello del mare che potrebbe sommergere regioni densamente popolate. Ma ci`o che sconsiglia di trascurare il problema `e anche il fatto che il clima `e determinato da un’interazione estremamente complessa di atmosfera, biosfera, ` un sistema oceani e fattori astronomici, e non risponde in modo proporzionale alle perturbazioni. E instabile: alterazioni piccole possono causare cambiamenti climatici importanti. Il rischio non `e solo teorico, basta pensare che un pianeta simile alla Terra come Venere ha un clima infernale, a cui ha probabilmente contribuito un circolo vizioso che ha innescato un impressionante effetto serra, o che la Terra stessa ha avuto diversi periodi di glaciazione. Anche se ci limitiamo al passato pi` u recente, sappiamo che ci sono state alterazioni del clima non inferiori a quella attuale, e certamente non dovute a fattori antropogenici. Nel Medioevo la temperatura media era superiore a quella attuale di 1-2◦ C, il che per esempio favor`ı secondo gli storici l’espansione dei vichinghi, che arrivarono in Groenlandia e la chiamarono appunto Terra Verde. Tra il 1600 e il 1800 la temperatura invece scese fino a valori di circa 1,5◦ C inferiori a quelli attuali, causando inverni molto rigidi in Europa. Non `e pensabile un modello analitico che possa descrivere un sistema cos`ı complesso. Nelle previsioni climatiche si usano modelli numerici in cui l’atmosfera `e suddivisa in “scatole”. Si immette nel calcolatore lo stato presente del sistema cos`ı quadrettato e lo si fa evolvere secondo le leggi della fisica a intervalli di tempo discreti. La variazione di ogni parametro climatico in una data scatola soddisfa un’equazione di continuit` a (variazione = flusso netto entrante o uscente) che garantisce la conservazione dell’energia, della massa e della quantit`a di moto globali. Per quanto siano potenti i calcolatori, c’`e sempre un margine piuttosto ampio di incertezza perch´e l’instabilit`a del sistema pu`o amplificare notevolmente gli errori di descrizione dello stato iniziale. Questo `e uno dei motivi della vivacit` a del dibattito sul cambiamento climatico in atto. 57
1
Nei paragrafi successivi, impostiamo un modello climatico estremamente semplificato, trattando solo alcuni dei fattori che entrano in gioco ma vedremo come gi`a in questo caso si pu`o generare una situazione di instabilit` a. ESERCIZIO A proposito di innalzamento del livello del mare Dalla fine degli anni 70, mentre le calotte polari artiche si riducono in estensione per effetto dell’aumento di temperatura, si `e osservato un trend opposto nella regiona antartica [2]. Per l’innalzamento del livello del mare, `e pi` u pericoloso lo scioglimento dei ghiacci al Polo Nord o al Polo Sud? Immagina di avere un cubetto di ghiaccio di acqua dolce in un bicchiere di acqua salata: come si pu` o calcolare la variazione del livello di acqua nel bicchiere dopo lo scioglimento del cubetto?
2
Il bilancio energetico della Terra I
Iniziamo con il calcolo della temperatura della superficie terrestre, trascurando l’atmosfera. All’equilibrio termico, l’energia entrante per unit`a di tempo e superficie (flusso) deve essere uguale a quella uscente. L’energia entrante proviene dalla radiazione solare. Dato che l’orbita terrestre `e quasi circolare e la potenza emessa dal Sole varia poco nel tempo, il flusso di energia entrante `e approssimabile a Fin = (1 − α)πR2 S
con
S = 1365 W m−2
(1)
dove S, detta costante solare, `e l’energia solare per unit`a di tempo e superficie che arriva sulla Terra, πR2 `e la superficie dell’emisfero esposto al Sole proiettato perpendicolarmente alla radiazione incidente e (1 − α) `e la parte di energia non riflessa, cio`e effettivamente assorbita dalla Terra; α `e detto coefficiente di albedo e varia a seconda del tipo di superficie. In media per la superficie terrestre, α = 0.3. Supponiamo che la Terra si comporti come un corpo nero e calcoliamo con la legge di StefanBoltzmann il flusso di energia emesso dalla supeficie terrestre: Fout = 4πR2 σT 4
con
σ = 5.67 · 10−8 W m−2 K−4 .
(2)
Uguagliando i flussi Fin e Fout ricaviamo la temperatura di equilibrio della Terra prevista da questo semplice modello, ovvero 255 K ∼ - 18◦ C. Questa `e la temperatura che avremmo sulla Terra se non ci fosse l’effetto serra. APPROFONDIMENTO Le variazioni della “costante” solare L’energia solare che arriva sulla Terra dipende dai cicli di variazione dall’attivit` a solare (principalmente il ciclo delle macchie solari, che dura 11 anni) e del moto terrestre. L’asse terrestre compie un ciclo di precessione ogni 26 000 anni, l’orbita ellittica ruota compiendo un ciclo ogni 22 000 anni e l’angolo tra l’asse terrestre e la normale del piano orbitale varia tra 21,5◦ e 24,5◦ con un periodo di 41 000 anni. Gli effetti collettivi delle variazioni dei moti della Terra sul clima sono detti cicli di Milankovitch e hanno una periodict` a di circa 100 000 anni. Le variazioni della costante solare potrebbero avere avuto un ruolo decisivo nelle ere glaciali, ma negli ultimi 300 anni l’effetto non `e stato probabilmente abbastanza significativo (∼ 0.3%) per avere un ruolo nell’attuale riscaldamento globale.
3
L’effetto dell’atmosfera
L’approssimazione pi` u discutibile nel calcolo appena fatto, `e aver trascurato la presenza dell’atmosfera, trattenuta intorno alla Terra dall’azione gravitazionale. Una trattazione completa dell’atmosfera deve tenere conto della composizione chimica, delle nuvole, del gradiente di pressione e temperatura, dei venti, dei moti convettivi verticali, delle reazioni chimiche e nucleari che avvengono negli strati pi` u alti. L’aspetto che ci interessa maggiormente per il bilancio energetico `e che l’atmosfera si comporta come una serra, trattenendo al suo interno la radiazione infrarossa emessa dalla Terra e innalzando cos`ı la temperatura media superficiale fino a circa 15◦ C. Per capire il funzionamento del cosiddetto effetto serra, `e necessario considerare la distribuzione spettrale dei flussi di energia assorbiti ed emessi dalla Terra. Secondo la legge di Wien, la lunghezza d’onda del picco di emissione di un corpo nero `e inversamente proporzionale alla sua temperatura: λmax T = 2.90 · 10−3 m K .
(3) 58
2
Figura 1: Il bilancio termico globale della terra e l’effetto serra [3]. Tutti i numeri sono in W m−2 e alcuni hanno un’incertezza che raggiunge ± 20% Poich´e le temperature medie superificiali del Sole e della Terra sono rispettivamente di 5780 K e 288 K, risulta che il picco della radiazione solare `e a 0.5-0.6 µm, nella banda visibile (colore giallo-verde), mentre la radiazione emessa dalla Terra `e centrata nell’infrarosso, intorno a 10-11 µm. L’atmosfera nel suo complesso lascia passare gran parte dell’energia solare a corta lunghezza d’onda, ma blocca la radiazione infrarossa emessa dalla superficie terrestre, che viene assorbita e riemessa in buona parte in direzione della Terra, contribuendo al suo riscaldamento (fig.1). I principali responsabili di questo comportamento sono alcune molecole presenti nell’atmosfera, in primo luogo vapor acqueo e biossido di carbonio, che assorbono con grande efficienza la radiazione infrarossa e sono detti per questo motivo gas serra. APPROFONDIMENTO L’assorbimento molecolare Le molecole assorbono radiazione elettromagnetica a lunghezze d’onda caratteristiche che eccitano uno o pi` u livelli energetici elettronici, rotazionali o vibrazionali. Per assorbire radiazione infrarossa le molecole devono avere una distribuzione di carica asimmetrica (pi` u precisamente un momento di dipolo non nullo) intrinseca o indotta dal moto vibrorotazionale. Molecole biatomiche lineari come ossigeno, O2 , e azoto, N2 , le componenti principali dell’atmosfera, oscillano in modo simmetrico, senza cambiare il loro momento di dipolo e quindi non assorbono la radiazione infrarossa. Invece, il biossido di carbonio, CO2 , e il vapor acqueo, H2 O, presentano uno spettro di assorbimento nell’infrarosso dovuto alle transizioni tra stati vibrazionali (specialmente tra 11 e 18 µm, vicino al picco dell’emissione terrestre), corrispondenti ai livelli di energia di un oscillatore armonico discreto. Per misurare gli spettri di assorbimento, i ricercatori illuminano con radiazione a determinate lunghezze d’onda un tubo riempito di gas che simula lo strato atmosferico (il cammino ottico `e moltiplicato ponendo degli specchi alle estremit` a del tubo). Si tratta di misure spettroscopiche ad alta risoluzione che richiedono una tecnologia all’avanguardia. Fino alla met` a del secolo scorso, gli spettrometri usati potevano risolvere solo bande di lunghezza d’onda piuttosto larghe. Gli spettri di assorbimento di vapor acqueo e biossido di carbonio sembravano coincidere e questo port` o a concludere che l’effetto serra del biossido di carbonio era del tutto trascurabile in quanto il vapor acqueo, molto pi` u abbondante, poteva assorbire da solo tutta la radiazione infrarossa disponibile. Oggi si riescono a risolvere con precisione le posizioni delle singole linee di assorbimento delle molecole, ma `e ancora difficile quantificarne esattamente l’ampiezza, e quindi l’entit` a dell’assorbimento.
L’effetto serra `e modulato da una serie di reazioni positive (cio`e che tendono ad aumentare l’effetto e quindi il riscaldamento globale) e negative (che tendono a opporsi alla sollecitazione, stabilizzando il sistema). Un esempio di reazione positiva `e la diminuzione della solubilit`a del biossido di carbonio atmosferico nell’acqua degli oceani all’aumentare della temperatura. Su scale di tempo geologiche, anche il biossido di carbonio disciolto nell’acqua si accumula nei sedimenti oceanici sotto forma di carbonati e prima o poi torna nell’atmosfera attraverso l’attivit`a vulcanica. Ma questo processo `e rilevante solo su scale di tempo geologiche. Un’altra reazione positiva `e dovuta al fatto che il riscaldamento causa una maggiore evaporazione di vapor acqueo, che `e il gas serra pi` u efficiente. Inoltre ad alte temperature l’atmosfera ne pu`o contenere concentrazioni maggiori. Un 59
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esempio di reazione negativa `e invece l’aumento delle reazioni di fotosintesi da parte delle piante all’aumentare della temperatura. In questo modo una maggior quantit`a di biossido di carbonio viene trasformato in ossigeno, riducendo l’effetto serra.1 Concludiamo questa sezione, notando che nell’atmosfera `e presente anche l’aerosol atmosferico, costituito da particelle in sospensione di natura chimica diversa. Queste polveri aumentano significativamente l’albedo planetaria perch´e riflettono la radiazione solare principalmente nella direzione di incidenza. In questo modo tendono a raffreddare la Terra, compensando in parte l’effetto serra. Nel 1991 la sola emissione di polvere seguita all’eruzione del vulcano Pinatubo nelle Filippine ha ` anche possibile che il calo della temperatura media abbassato la temperatura globale di 0,1◦ C. E globale registrato intorno alla met` a del secolo scorso sia stato almeno in parte causato dall’aumento dei solfati emessi nella combustione di combustibili fossili. ESERCIZIO
L’impatto dei gas serra
Per valutare l’impatto di un gas serra sul clima `e necessario conoscere la sua concentrazione nell’atmosfera, il suo contributo al riscaldamento globale e il suo tempo di permanenza in atmosfera. Come si potrebbe costruire un indice di impatto climatico dei gas serra che tenga conto di questi fattori? Che valori assume per i gas riportati nella tabella che segue? gas serra biossido di carbonio CO2 metano CH4 ossido di diazoto N2 O ozono troposferico O3
concentrazione (ppm) 365 1.75 0.31 0.04
contributo al riscaldamento (W m−2 ) 1.3-1.5 0.5-.7 0.1-0.2 0.25-0.75
tempo di permanenza > 100 anni 10 anni 100 anni 10-100 giorni
ESPERIMENTO L’effetto serra in barattolo Prova a mettere due comuni termometri da ambiente al sole. Controlla che misurino la stessa temperatura; quindi mettine uno in un barattolo di vetro chiudendo il coperchio. Verifica che dopo qualche minuto il termometro all’interno del barattolo segna una temperatura pi` u alta. Perch´e?
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Il bilancio energetico della Terra II
L’atmosfera quindi `e determinante per la temperatura terrestre. Il bilancio energetico `e molto pi` u raffinato del nostro primo tentativo e dovr`a essere applicato a ogni strato atmosferico, tenendo conto della composizione chimica, della latitudine, dei venti, della presenza di nuvole. . . Il risultato `e che il comportamento emissivo della Terra si discosta notevolmente da quello di un corpo nero ideale, dato dall’espressione in eq.(2). Il flusso uscente dall’atmosfera dipende solo linearmente dalla temperatura della superficie terrestre secondo la formula semi-empirica [4] Fout = A + B T .
(4)
Le costanti A e B possono essere determinate sperimentalmente. IN INTERNET Simulazione del clima Nel sito http://www.geo.utexas.edu/courses/387H/p7 05.htm del Dipartimento di Scienze Geologiche dell’Universit` a di Austin si pu` o scaricare l’articolo di Budyko [4] (in inglese) dove viene ricavata la formula (4). Nello stesso sito `e possibile simulare un bilancio energetico globale impostando in input i coefficienti A e B in eq.(4), il coefficiete di albedo, la nuvolosit` a e la costante solare. Il programma d` a in uscita tabella e grafico della temperatura in funzione della latitudine.
Apportiamo una correzione anche all’espressione per il flusso entrante di eq.(1). Sostituiamo al coefficiente medio di albedo, una funzione della temperatura α(T ). Quando fa freddo, l’estensione dei ghiacci aumenta e quindi aumenta anche il coefficiente di riflessione: meno radiazione arriva a terra, far`a ancora pi` u freddo, i ghiacci aumenteranno ulteriormente e cos`ı via. Al contrario, se inizia a fare pi` u caldo, i ghiacci si sciolgono, gli oceani occupano pi` u superficie ed assorbono pi` u radiazione 1 Il processo ` e efficiente solo per foreste giovani; foreste mature sono in equilibrio: in media rilasciano tanto biossido di carbonio quanto ne assorbono.
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riscaldando il pianeta. Si tratta quindi di una reazione positiva, che tende a destabilizzare il sistema. Il coefficiente di albedo sar` a quindi grande e costante quando fa cos`ı freddo che tutta la Terra `e coperta dai ghiacci. Al crescere della temperatura, i ghiacci si sciolgono e il coefficiente diminuisce in modo approssimatamente lineare, finch´e non restano pi` u ghiacci e il coefficiente si stabilizza su un valore piccolo. Il bilancio energetico si ottiene uguagliando il flusso uscente in presenza di atmosfera, eq.(4), al flusso entrante, eq.(1), dove il coefficiente di albedo α dipende dalla temperatura come descritto. Graficamente, la temperatura di equilibrio `e data dall’intersezione tra i grafici dei due flussi in funzione della temperatura, rappresentati qualitativamente in figura 2. La posizione esatta delle intersezioni dipende dal valore delle costanti A e B.
Fin Fout
T1
T2
T3
Figura 2: Grafico qualitativo del flusso di energia entrante e uscente in funzione della temperatura. Notiamo due novit` a importanti rispetto al modello base da cui eravamo partiti: - esistono in generale pi` u soluzioni possibili (tre in questo caso); - a causa della reazione positiva dovuta all’albedo, non tutte le soluzioni sono stabili. Se per esempio la Terra si trova a temperatura T2 e per effetto di una piccola perturbazione si riscalda leggermente, tender` a a riscaldarsi ulteriormente fino a raggiungere T3 , che invece `e una soluzione stabile: sottosposto a piccole perturbazioni, il sistema tende a riassestarsi su T3 . ESERCIZIO Soluzioni stabili e instabili Prova a disegnare un grafico qualitativo del flusso netto entrante Fin − Fout , cio`e la differenza dei due grafici in figura 2. Le soluzioni dove si trovano adesso sul grafico? Supponi di trovarti nella soluzione T3 . Una piccola perturbazione diminuisce leggermente la temperatura. In corrispondenza di questa temperatura la derivata (pendenza) del flusso netto entrante `e positiva o negativa? Spiega perch´e questo tende a riportare il sistema in T3 . Partendo da T2 cosa sarebbe successo?
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La relazione tra temperatura e gas serra
La correlazione tra la temperatura e la concentrazione di alcuni gas serra, tra cui il biossido di carbonio, sembra un fatto assodato. Misurazione dirette e sistematiche della concentrazione di biossido di carbonio nell’atmosfera sono disponibili dal 1958, ma la paleoclimatologia ha permesso di verificare la correlazione fino a pi` u di 400 000 anni fa. Il punto per`o `e che l’andamento della concentrazione di biossido di carbonio tende a seguire con un ritardo di circa 1000 anni quello della temperatura e non viceversa, come si vede in fig.3 [5]. Inoltre se il riscaldamento fosse causato principalmente dall’effetto serra, la troposfera dovrebbe riscaldarsi pi` u velocemente della superficie terrestre. Attualmente lo stato delle misure `e controverso e non permette di confermare questa ipotesi. Dunque l’effetto serra `e una causa o una conseguenza del riscaldamento globale? Probabilmente nel caso dei cambiamenti climatici di migliaia di anni fa, comprese le glaciazioni, la variazione iniziale di temperatura `e stata causata da alterazioni di parametri orbitali o di correnti oceaniche, a loro volta originate da movimenti tettonici o da instabilit`a intrinseche della circolazione termoalina. L’entit` a del cambiamento climatico che ne `e conseguito sarebbe per`o in larga parte dovuta all’instaurarsi di reazioni positive tra la variazione di temperatura e la concentrazione del biossido di carbonio e di altri gas serra. Per quanto riguarda invece il riscaldamento globale attuale, sembra che l’eccesso di carbonio atmosferico non sia stato prodotto dall’aumento della temperatura tramite reazioni positive naturali, 61
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ma sia riconducibile all’attivit` a umana. Misurazioni della concentrazione relativa degli isotopi del carbonio confermano questa ipotesi: il carbonio atmosferico di origine naturale contiene una percentuale caratteristica di 14 C, un isotopo instabile generato continuamente dalla cattura di neutroni termici da parte dell’azoto in alta atmosfera. Si `e trovato che invece il carbonio atmosferico in eccesso `e costituito da soli isotopi stabili e quindi `e plausibile che provenga dai combustibili fossili (petrolio, carbone, gas naturale), dove il 14 C, che ha un tempo di dimezzamento di 5730 anni, `e pressoch´e assente. APPROFONDIMENTO Le carote di ghiaccio Come si pu` o conoscere la temperatura e la concentrazione di biossido di azoto presente sulla Terra migliaia di anni fa? Una delle tecniche pi` u precise si basa sulla misure ottenute su campioni di ghiaccio estratti da trivellazioni di oltre tre chilometri di profondit` a, che raggiungono strati formatisi 900 000 anni fa. La concentrazione del biossido di carbonio si ricava dalle bolle d’aria intrappolate nel ghiaccio. Per la temperatura invece ci si basa sulla composizione isotopica del ghiaccio. Le molecole d’acqua isotopicamente pesanti (con almeno un atomo di deuterio o di 18 O) hanno una pressione di vapore minore e condensano a temperature maggiori. Quindi la fase condensata `e isotopicamente arricchita rispetto al vapore da cui si forma. Durante il ciclo dell’acqua i valori degli isotopi pesanti diminuiscono dalle zone tropicali (dove si forma la maggior parte del vapore acqueo) verso i poli, a causa dei successivi fenomeni di condensazione. Minore la temperatura, maggiori sono i fenomeni di condensazione, che lasciano la massa di vapore originaria sempre pi` u impoverita di isotopi pesanti. La concentrazione di isotopi pesanti nella neve che si deposita sulle calotte polari `e quindi una funzione crescente della temperatura.
Vostok ice core record (Temp, CH4, CO2)
Figura 3: Concentrazione di biossido di carbonio (ppm), temperatura e concentrazione di metano (ppb) in funzione della distanza temporale da oggi (a sinistra: presente; a destra: 400 000 anni fa [5]). I quattro minimi pi` u accentuati corrispondono alle ere glaciali. Circa 10 000 anni fa (estremit`a sinistra) si nota un improvviso addolcimento climatico, che ha permesso la nascita delle prime civit`a agricole stanziali e che perdura tuttora.
Bibliografia 1 Summary for Policymakers (PDF). Climate Change 2007: The Physical Science Basis. Contribution of Working Group I to the Fourth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change. Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). (2007-02-05). 2 Cavalieri, D.J., C.L. Parkinson, and K.Y. Vinnikov. (2003). 30-year satellite record reveals contrasting Arctic and Antarctic decadal sea ice variability. Geophysical Research Letters30(18). 3 Kiehl, J. T. e Trenberth, K. E. (1997). Earth’s annual global mean energy budget. Bull. Amer. Meteor. Soc., 78:197-208. 4 Budyko, M.I. (1969). The effect of solar radiation on the climate of the earth, Tellus, 21, 611-619; W.P. Sellers, A global climate model based on the energy balance of the Earth-athmosphere system, J. Appl. Meteorol., 8 (1969), pp. 392-400; http://www.geo.utexas.edu/courses/387H/p7 05.htm. 5 Petit J.R. et al. (1999). Climate and atmospheric history of the past 420,000 years from the Vostok ice core, Antarctica. Nature 399: 429-436.
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Corso G. V. Pallottino: didattica della Fisica
La Fisica in barca a vela Alvise Mattei
Lascerei il par. 4 nel materiale per i ragazzi, senza dedicarvi una lezione, ma giusto chiarendo con degli esempi che in assenza di una qualsiasi forma di resistenza allo scivolamento trasversale, sarebbe impossibile avanzare in una direzione diversa da quella in cui ci spinge il vento.
Destinatario: classi di scuola superiore in cui si stia insegnando idrostatica. Si pu`o anche pensare come filo conduttore che accompagni gli alunni durante un anno di insegnamento. Nel liceo dove attualmente insegno sono stati organizzati dei corsi di vela, e questo pu`o essere un interessante argomento multidisciplinare con l’educazione fisica.
La quarta lezione, sulla somma vettoriale, pone alcuni problemi. Purtroppo in un liceo scientifico si spiega in quarto in matematica, alla fine della trigonometria, e invece quasi all’inizio del terzo in fisica. Se non si `e fatto prima, e se il laboratorio della scuola `e fornito, si possono portare i ragazzi a fare l’esperimento sulla composizione delle forze usando un paio di dinamometri. Poi bisogna convincere i ragazzi che la stessa legge `e valida per la somma di tutti i vettori. Buona parte di questi argomenti sono stati assegnati come prerequisiti. Si potrebbe approfittare per spiegare il teorema di Carnot, se si ritiene opportuno. Invece la comprensione della differenza tra vento apparente e vento reale fornisce qualche spunto per comprendere cosa accade cambiando sistema di riferimento.
Obiettivi: riconoscere l’utilit`a della Fisica e della Matematica, presentandone alcuni aspetti concreti e applicativi. Apprendere concetti fondamentali come il punto di applicazione di una forza ed elementi di calcolo dimensionale. Apprendere piccoli elementi di progettazione. Comprendere elementi essenziali di fluidodinamica, materia spesso completamente ignorata. Prerequisiti: dimestichezza con il concetto di forza, conoscenza del momento di una forza, eventualmente del prodotto vettoriale. Punti di applicazione di una forza. Baricentro. La legge di composizione delle forze. Somma vettoriale. Attrito. Conservazione dell’energia. Rapporto tra leggi e dimensioni fisiche. Trigonometria: seni, coseni e tangenti, regole principali.
La quinta lezione, sulle onde, potrebbe essere facoltativa.
Ore di intervento: cinque o sei. Si potrebbe prevedere un’introduzione con un questionario o una serie di domande durante la lezione, per cercare di capire che idea hanno i ragazzi di come funzioni una barca a vela.
Buona parte delle figure sono state realizzate con CABRI, e potrebbero essere utilizzate dai ragazzi, ove possibile, per manipolare un po’ la fisica esposta. Infine si potrebbe prevedere una prova per l’eccellenza che consista nella progettazione di un piccolo scafo a vela (individuazione delle dimensioni, del peso, della superficie velica, . . . )
Poi procedere con tre o quattro lezioni frontali. Organizzazione delle lezioni La prima lezione frontale, sul principio di Archimede a bordo, potrebbe avvenire subito dopo le prime lezioni sull’idrostatica.
Introduzione
La seconda lezione, sulle leve, potrebbe essere considerata un ripasso del momento di una forza. Per costruire una buona barca occorre conoscere eleLa terza lezione, sulla portanza, potrebbe esse- menti di aerodinamica, di statica, di meccanica, inre organizzata sotto forma di proiezione di alcuni somma di un bel po’ di Fisica di tutti i tipi. Quefilmati della galleria del vento, per illustrare qual- sti argomenti devono essere ben digeriti non solo dal che elemento di fluidodinamica. Oppure la stessa costruttore della barca (che una volta era il maestro lezione si potrebbe introdurre realizzando in clas- d’ascia, mentre ora `e un ingegnere), ma anche da chi se una serie di aeroplani di carta con propriet`a la vuole utilizzare. Infatti non basta l’esperienza sviluppata negli anni al timone: c`apita di trovarsi in congeometriche diverse. 1
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dizioni estreme e di essere costretti a riparazioni di lunghezza della barca `e circa 25 m, mentre la larghezfortuna. In pi` u di un caso il sapere salva la vita. za massima `e 4.30 m, quale sar`a l’altezza media al galleggiamento?2 Potremmo chiederci a questo punto quando `e che una barca di questo tipo affonda. Se nello scafo entra dell’acqua, il peso complessivo della barca aumenta, o meglio dobbiamo escludere dal conto del volume sommerso la parte interna allo scafo che contiene acqua. In altre parole, l’eq. (1) contiene due densit` a: quella dell’oggetto immerso (m = ρbarca Vbarca ) e quella del fluido. Se ρbarca aumenta (sostituisco l’aria con l’acqua, oppure aggiungo persone a bordo), l’equilibrio avverr`a a volume sommerso sempre maggiore: 0 = −ρbarca Vbarca g + ρV g Vbarca ρ = V ρbarca
(3)
La barca affonda quando la sua stazza Vbarca `e inferiore al volume sommerso. Ci viene un dubbio per`o: se la situazione a bordo si fa molto difficile, possiamo rendere la barca inaffondabile? Esistono due tecniche: suddividere lo scafo in compartimenti stagni, oppure realizzare alcune zone dello scafo con un materiale molto meno denso dell’acqua. Il volume complessivo di queste zone nel nostro caso dovrebbe essere sempre pari ai soliti 25 m3 . Siccome in barca a vela si vuole andare il pi` u veloce possibile, generalmente a bordo `e presente un natante gonfiabile inaffondabile, e non delle costose e pesanti zone stagne.
Figura 1: Altair `a la Nioulargue, foto di Philip Plisson
1
(2)
Il principio di Archimede
Partiamo dagli elementi fondamentali: una barca deve galleggiare. Ovviamente `e il principio di Archimede a stabilire quali sono i limiti sulla dimensione della barca. La stazza `e il volume occupato dalla barca, mentre il dislocamento `e l’equivalente di massa d’acqua spostata dalla barca, dunque per il principio di Archimede corrisponde al peso della barca. La forza che agisce sul baricentro, ovverosia la spinta idrostatica FA `e dunque Esercizi • Realizzare un natante di peso 10 kg con 10 comFA = −mg + ρV g (1) partimenti stagni di uguale volume. Verificare se con due persone a bordo e quattro compartimenti essendo m la massa della barca, ρ la densit`a del fluido stagni rotti pu`o ancora galleggiare. Verificare che in cui `e immersa, V il volume della parte immersa, g il volume totale della barca sia ragionevole. l’accelerazione di gravit`a. Il galleggiamento si verifica quando la suddetta forza si annulla, cio`e siamo in • Quanta acqua pu`o imbarcare Luna Rossa prima condizioni di equilibrio. di affondare? Prendiamo i dati su Luna Rossa1 : • Lunghezza: 25.15 m
2
Le leve
• Larghezza: 4.30 m
Una volta che la barca galleggia, `e opportuno che non si ribalti quando montiamo a bordo. E’ esperienza • Dislocamento: 25000 kg comune che, quando si monta su una barchetta, c’`e Per poter galleggiare, significa che il volume sommer- l’effetto altalena (la barca sbanda). Questo effetto `e u accentuato quanto pi` u la barca `e leggera, e so della barca sposta una quantit`a d’acqua pari a 25 tanto pi` 3 dipende anche dalla forma dello scafo. Se montiamo tonnellate. 1 m d’acqua pesa 1 tonnellata, dunque la 3 parte sommersa di Luna Rossa `e proprio 25 m . La 2 1
L’altezza h al galleggiamento sar` a circa il volume sommerso diviso la lunghezza e la larghezza, approssimando con un V parallelepipedo: h ∼ ∼ 25 cm. LL
http://www.nautica.it/americas-cup/lunarossa-plan.
htm
2
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con troppa foga su una barchetta, la ribaltiamo (scuffiamo). Una barca ribaltata diventa molto complicata da raddrizzare. Sono in gioco delle oscillazioni, e tutti quanti, istintivamente, in una situazione di mancanza di equilibrio, cerchiamo di fare contrappeso. Allora le condizioni di equilibrio di uno scafo possono essere simili a quelle di un’altalena. Se la barca `e simmetrica e ben equilibrata, ci aspettiamo che il fulcro di questa altalena sia l’asse centrale dello scafo. In barca questo fulcro si chiama centro di carena. Allora se c’`e una persona di 100 chili da una parte, dovremo metterne due da cinquanta dall’altra parte, oppure far sedere il nostro amico grosso un po’ pi` u al centro. Se aggiungiamo l’albero e le vele questo problema diventa ancora pi` u complesso. La pressione del vento esercita una forza direttamente proporzionale alla superficie delle vele: F = p · S. Questa forza pu`o essere rappresentata come se fosse applicata nel centro velico, che `e pi` u o meno il baricentro della superficie velica. Se si approssimano le due vele con due triangoli, si possono calcolarne i baricentri. A ciascuno dei due punti cos`ı ottenuti si assegna come valore l’area della rispettiva vela. Il centro velico `e situato nel baricentro tra questi due punti. In figura 2 ci sono un paio di esempi. Si pu`o notare che l’altezza del centro velico `e circa 1/3 di quella dell’albero.
quelle di una densit`a di energia, cio`e E [P ] = V
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e, considerando l’energia cinetica delle particelle d’aria di massa ma e velocit`a va , E = 12 ma va2 , risulta che la pressione esercitata dalle particelle d’aria `e circa 1 P ' ρa va2 2
(5)
essendo ρa = 1.225 kg m−3 la densit`a dell’aria. Se consideriamo un vento di 20 nodi, dunque all’incirca va = 10 m/s, troviamo che la pressione esercitata sulle vele `e all’incirca P ∼ 60 Pa. La superficie velica di Luna Rossa nelle andature di bolina `e 364 m2 , dunque Fv ∼ 2.2 · 104 N. Questa forza `e applicata ad un distanza dal centro di carena a ' 10 m, corrispondente alla quota del centro velico di Luna Rossa, il cui albero misura 32 metri. Se non ci sono contrappesi sulla barca, ogni refolo di vento la farebbe ribaltare. Per dirla meglio, c’`e una coppia (sbandante) data dalla forza del vento sulle vele moltiplicata per la distanza tra il centro velico e il centro di carena. Il momento di questa forza `e ~ v = ~a × F~v M
Mv = aFv sin α
(6)
con α angolo indicato in fig. 3. Per bilanciarla abbiamo a disposizione la forza di gravit`a. Potremmo mettere delle persone sullo stesso bordo da cui arriva il vento (zavorra mobile) oppure cercare di mettere massa sullo stesso asse, ma sotto il mare (in chiglia), cio`e dobbiamo inserire una coppia raddrizzante. Le grandi barche a vela devono funzionare indipendentemente dalla posizione dell’equipaggio, che deve essere libero di manovrare. Dunque la seconda configurazione `e auspicabile. Per avere maggiore efficacia nel contrappeso, dobbiamo far s`ı che la maggior parte del peso sia concentrato nel bulbo. Il bulbo `e una specie di siluro che pu`o essere posto in fondo alla chiglia, o costituire un’appendice di essa3 . A volte tra bulbo e chiglia c’`e la deriva, cio`e una specie di coltello che fende l’acqua verticalmente. In generale a bordo si tende a chiamare chiglia tutto ci`o che sta sotto la linea di galleggiamento. Per di pi` u, dato che la stazza (dunque il volume totale) della barca `e fissata dalle regole della classe velica, conviene che il volume di questa zavorra sia minimo,
Figura 2: Un’applicazione con CABRI per calcolare il baricentro tra due triangoli affiancati. Sono riportati un paio di esempi. La prua `e a sinistra. I valori sono in centimetri, come forniti da CABRI, ma possono facilmente essere scalati a dimensioni maggiori. In questa applicazione si pu`o modificare l’area e la forma delle vele e l’altezza dell’albero. Il programma inserisce anche la deriva.
3
Le imbarcazioni antiche non avevano zavorra a bordo, e dunque era fondamentale una buona disposizione del carico nella stiva. Pi` u di un naufragio `e avvenuto a causa di un improvvido stivaggio.
La pressione pu`o essere stimata: ricordando che le dimensioni fisiche della pressione corrispondono a 3
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quindi si usa il piombo o addirittura materiali pi` u pesanti. La forza di gravit`a esercitata sul bulbo sar`a bilanciata dallo stesso principio di Archimede, dunque la forza applicata al bulbo sar`a Fb = mb g − ρVb g.
diventa sempre pi` u piccolo. Infatti al tendere di α a ~ b . Questo significa che in π, bFb sin α → 0 e prevale M teoria una barca con chiglia opportunamente zavorrata non scuffia mai, o almeno si raddrizza in fretta. In realt`a, quando le vele toccano l’acqua, o addirittura affondano sotto l’acqua, la forza esercitata sulle vele `e pari alla massa d’acqua che giace sulle vele per l’accelerazione gravitazionale. Cos`ı diventa molto difficile raddrizzarla. Un buon marinaio deve sempre conoscere i limiti della propria barca, e opportunamente ridurre la superficie velica quando le condizioni del vento lo impongono. In questa maniera diminuisce la forza del vento sulle vele e l’inclinazione dello scafo. Per lo stesso motivo `e opportuno che qualcuno tenga sempre in mano la scotta della randa: in caso di raffica molto forte, si pu`o salvare la barca semplicemente mollando un po’ di scotta, e dunque allagando la vela, e lasciar passare il vento.
(7)
con mb e Vb massa e volume del bulbo. Si lascia al lettore la dimostrazione che, se il bulbo `e fatto di piombo, la spinta idrostatica `e trascurabile. Comunque per quanto riguarda Luna Rossa, la scelta del costruttore `e stata di un bulbo con mb ∼ 104 kg. Il momento di questa forza sar`a il prodotto vettoriale del vettore ~b, che unisce bulbo e centro di carena, e della forza peso del bulbo F~b , con β indicato in fig. 3 ~ b = ~b × F~b M
Mb = bFb sin β.
(8)
3π Come si vede dalla figura 3, β = − α, dunque pos2 siamo sperare di trovare un angolo di equilibrio prima che la barca si rovesci4 . In particolare la coppia `e ~ v = −M ~ b , ossia bilanciata quando M tan α = −
bFb aFv
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Questo significa che l’angolo α cos`ı ricavato rappresenta il punto di equilibrio tra le due forze. La forza di gravit`a applicata al bulbo di Luna Rossa vale circa mb · g ∼ 105 N, mentre b ∼ 4 m. Se andiamo a sostituire tutti i valori ottenuti per Luna Rossa, otteniamo Figura 3: Un’altra applicazione CABRI: la barca a (10) vela vista da poppa o da prua. Le due forze sono applicate rispettivamente nel centro di massa della bulbo che significa α dell’ordine di 120◦ . Ma attenzione ai e nel centro velico. Pi` u la barca s’inclina e pi` u diventa calcoli!5 efficace la reazione della forza peso del bulbo. NelL’inclinazione della barca corrisponde all’angolo i = l’applicazione si pu`o variare l’inclinazione dello scafo π α − e dunque sar`a intorno a 30◦ . Risulta chiaro che e vedere cosa accade alle forze in gioco. 2 una barca con molto peso sul fondo della chiglia o nel bulbo pu`o sopportare un vento pi` u forte senza incliQuando si procede di poppa, e in generale con le narsi pericolosamente, dunque pu`o raggiungere veloandature portanti (vento proveniente dalla parte pocit` a maggiori. A parit`a di peso, conviene allungare la steriore della barca), la componente della forza traderiva e spostare il bulbo, aumentando cos`ı il nostro b. Non si pu`o per`o allungare la deriva a piacere, per sversale allo scafo `e minima, e la chiglia perde la sua via della resistenza che oppone allo scorrere dell’acqua, funzione equilibrante. L’opposizione alla forza eserciche dunque rallenter`a lo scafo. Bisogner`a cercare allo- tata sul centro velico `e nuovamente dovuta al principio ra un giusto compromesso tra inclinazione della barca di Archimede: aumentando il volume sommerso della barca immergendo ulteriormente la prua, la forza (1) e lunghezza della deriva. Come si pu`o osservare dalla fig. 3, se la barca s’incli- si squilibra a favore del secondo termine e risulta una na molto, il momento della forza esercitata sulle vele spinta verso l’alto. E’ un po’ quello che accade quando si cerca di tenere un pallone sott’acqua. 4 Per calcolare questo angolo si pu` o fare uso della relazione Se il vento `e molto forte rispetto al peso della sin β = − cos α barca, nelle andature portanti la poppa si solleva 5 La calcolatrice dar` a -61◦ , ma ci aspettiamo degli angoli com◦ ◦ presi tra 90 e 180 , come da fig. 3. La tangente ha periodicit` a leggermente. Nei multiscafi (catamarani e trimarani ) si sfrutta π, dunque la soluzione che ha senso fisico `e -61◦ +180◦ = 129◦ . tan α = −
4m × 105 N ∼ −1.8 10m × 2.2 · 104 N
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il principio di Archimede anche nelle andature di traverso (vento pi` u o meno perpendicolare alla direzione della barca) e di bolina (vento proveniente dalla prua): lo scafo sottovento, cio`e dalla parte da dove non viene il vento, spinge verso l’alto e compensa il momento della forza esercitata sulle vele, sfruttando come braccio la distanza dall’asse di simmetria della barca.
si diffuse rapidamente nel Mediterraneo intorno al IX secolo per mano degli Arabi. Come `e possibile che con questo semplice accorgimento una barca sia in grado di risalire il vento? E’ un effetto di fluidodinamica, che accomuna tutte le vele, dagli aquiloni ai paracadute. Le particelle d’aria che vengono separate da una vela, da un profilo alare, o da qualunque cosa si opponga al vento, seguono traiettorie particolari. Le particelle che passano dalla parte esterna della vela, cio`e sottovento, sono molto pi` u veloci di quelle che passano dalla parte interna. Questa differenza di velocit`a a livello macroscopico diventa una differenza di pressione tra l’interno e l’esterno della vela (o tra la parte superiore e la parte inferiore dell’ala). La differenza di pressione fa si che la vela, l’ala e tutto quanto vi `e attaccato venga tirato verso l’avanti o verso l’alto7 . La forza cos`ı sviluppata si chiama di solito portanza, Figura 4: Un trimarano alla NOKIA OOP CUP. Cosa e la sua origine qualitativa `e mostrata in fig. 5. sta accadendo ai momenti delle forze di cui abbiamo F_p parlato?
Esercizio Se Luna Rossa scuffia e le vele si coprono d’acqua, `e sufficiente il peso del bulbo per raddrizzarla? Valutare questa possibilit`a per uno spessore d’acqua sopra le vele di 1 cm, ricordando che la superficie velica `e 400 m2 e il centro velico resta immutato. Prendere ρacqua = 1 kg/dm3
3
Figura 5: Lo sviluppo della portanza su di un profilo alare
Portanza
Per molti secoli la navigazione a vela procedeva meglio col vento in poppa. Le vele usate erano grossi lembi rettangolari appesi all’albero, perpendicolarmente all’asse della barca. Le navi costruite con questo sistema per`o non potevano andare ovunque, e specialmente dove soffiano venti di direzione costante, come gli alisei6 , era un problema enorme. Intorno al primo secolo avanti Cristo tra Africa e Medio Oriente ci fu la prima intuizione che port`o alla nascita della vela latina (etimologia a la trina, triangolare), cio`e una vela messa parallelamente all’asse della barca, che consentiva di sfruttare anche venti avversi. Il passaggio dalla vela quadra alla vela latina fu probabilmente graduale, passando per forme trapezoidali. Questo tipo di vela
La portanza `e funzione della densit`a del mezzo (in aria 1.225 kg m−3 ) ρa , della velocit`a della vela v e della superficie della vela S. Ovviamente vi sar`a un fattore Cp , adimensionale, che terr`a conto della conformazione 7
Spesso si fa riferimento al principio di Bernoulli, dicendo che le molecole separate dal profilo alare o velico si ritrovano insieme alla fine della vela, e dunque quella che fa maggiore strada `e pi` u veloce. Questa differenza di velocit` a produce una differenza di pressione tra un lato e l’altro della vela e dunque una forza. Questo dipende essenzialmente dalla conservazione della densit` a di energia DE di un fluido, che pu` o essere scritta, in funzione della pressione p, della densit` a ρ e della velocit` a v del fluido DE = p +
1 2 ρv . 2
(11)
Si osserva allora che, dato un fluido inizialmente in uno stato (p0 , ρ0 , v0 ), se ne aumento la velocit` a e mantengo costante la densit` a, allora sto diminuendone la pressione. In realt` a questa condizione `e necessaria, ma non sufficiente a fornire la portanza osservata. Di fatto le particelle esterne arrivano molto prima di quelle interne.
6
Gli alisei soffiano nella zona tropicale sempre da est verso ovest, per la precisione da nordest nell’emisfero boreale e da sudest nell’emisfero australe. Questo `e il motivo per cui le circumnavigazioni del globo avvenivano sempre in direzione ovest.
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geometrica della vela o dell’ala: 1 Fp = ρa Sv 2 Cp . 2
(12)
Vale la pena notare che l’ordine di grandezza di questa forza `e lo stesso che abbiamo stimato per Fv dall’eq. (5) Bisogna fare attenzione perch´e la conformazione dell’oggetto `e cruciale per stabilire se la portanza `e efficace o se domina la resistenza, cio`e l’opposizione del fluido al moto. La resistenza pu`o essere scritta esattamente come la portanza, salvo che avr`a un coefficiente Cr diverso, sempre dipendente da fattori geometrici. Pi` u un oggetto `e aerodinamico (e veloce) e pi` u la portanza funziona, cio`e Cp Cr . Basta pensare alle vetture da corsa, che hanno bisogno di alettoni anteriori e posteriori orientati in maniera tale da sviluppare una forza contraria alla portanza. Altrimenti le Ferrari decollerebbero! Questo tipo di problema si presenta in maniera minore nelle moto, che hanno una forma completamente diversa e pur raggiungendo le stesse velocit` a, necessitano di minor carico aerodinamico, che sarebbe proprio la forza opposta alla portanza. Comunque `e opportuno ricordare sempre che resistenza e portanza sono sempre presenti quando un corpo si muove in un fluido. Vale la pena anche di ricordare che se il moto dell’oggetto rispetto al fluido avviene a basse velocit`a, prevale l’attrito viscoso, e la resistenza sar`a Fr = βv, con β coefficiente dipendente sia dalla geometria dell’oggetto che dalla viscosit`a del fluido. Sulle andature strette, cio`e la bolina, la portanza ha una direzione pi` u o meno a 45◦ rispetto alla velocit`a 8 della barca . Questo significa che una parte di questa forza serve all’avanzamento Fa , l’altra `e proprio la componente Fv dell’eq. (6) e costringe la barca ad inclinarsi (sbandare), come in figura 6. Nelle barche da regata come nelle piccole imbarcazioni da diporto di solito vi sono due vele, una di prua (il fiocco o genoa) e una di poppa (la randa). Nelle andature portanti la vela di prua viene sostituita da una vela molto pi` u ampia (lo spinnaker o il jennaker, leggermente pi` u piccolo), grazie al fatto che l’equilibrio della barca `e assicurato dal principio di Archimede, come osservato nel par. 2. Nelle barche come Luna Rossa le vele sono dotate di sensori piezoelettrici, cio`e di misuratori di pressione, che vogliono mappare l’efficacia di una vela punto per punto. Questi dati vengono sfruttati per capire dove apportare miglioramenti. In genere nella progettazione e realizzazione di profili di vele e scafi si preferisce l’ottimizzazione per via empirica, dentro la galleria del
Figura 6: La composizione delle forze viste dall’alto. La portanza si divide in due contributi che possono essere pensati applicati nel centro velico. Una `e la forza di avanzamento, l’altra `e la forza che inclina la barca. Nel disegno si `e inserita la scomposizione della portanza per ciascuna delle vele.
vento oppure con dei prototipi a grandezza naturale, a seconda della capacit`a economica.
4
Sotto la linea di galleggiamento
Importantissima `e la presenza di un’ala sotto la barca: la deriva. Questa serve essenzialmente a impedire che la barca scorra nella stessa direzione del vento quando si va di bolina (scarroccio). Il punto dove lo scafo si unisce alla deriva corrisponde all’incirca al centro di carena di cui abbiamo parlato prima. In questo punto deve essere dunque applicata una reazione vincolare ~ d che impedisca alla barca di scivolare lungo la direR zione della portanza, e dunque sia uguale e contraria alla forza F~v . La deriva funziona bene quando la barca si muove, altrimenti serve solo per opporre una piccola resistenza al rollio dello scafo. Quando si progetta uno scafo, per decidere dove posizionare la deriva occorre conoscere anche dove si situa il centro velico. Per avere una barca bene equilibrata occorre che il centro velico cada all’incirca sopra la deriva, come in fig. 2, altrimenti si crea un momento torcente tra la forza esercitata sulle vele e la reazione vincolare della deriva. Per esempio se il centro velico cade a poppa della deriva, la barca avr`a una tendenza a orzare. L’applicazione di piccole ali orizzontali alla deriva permette di alleggerire la barca quando si procede a buona velocit`a. E’ il caso di alcune piccole imbarcazioni, gli skiff, che appena guadagnano un po’ di velocit` a, si trovano praticamente sospesi e toccano l’acqua solo 8 Questo valore varia da scafo a scafo e consiste nella capacit` a con l’ultima parte della deriva e una piccola parte di timone. di stringere il vento, cio`e di andare controvento 6
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Figura 7: Antigua Classics, foto di Rick Tomlinson http://www.rick-tomlinson.com/H2OGallery/ Classic/Classics.htm
In alcune barche, la deriva `e assente e il suo ruolo viene preso dal profilo inferiore della chiglia oppure direttamente dal timone. Anche il timone sfrutta effetti di fluidodinamica, sempre parenti della portanza, per spingere la barca nella direzione voluta. Un vecchio detto da marinaio recita: barca ferma non governa, il che significa che il timone funziona solo se la barca si muove. Per non parlare dei rimandi e delle carrucole che si mettono se si ha un timone a ruota... La lunghezza della barca alla linea di galleggiamento `e importantissima anche per motivi di idrodinamica. Infatti pi` u la barca `e lunga e meglio scivola sull’acqua, come vedremo fra poco.
Figura 8: Un’altra applicazione CABRI: la composizione delle velocit`a in barca. La velocit`a del vento reale va sommata vettorialmente all’opposto della velocit`a della barca. Ci si pu`o convincere del perch´e occorra fare questo: se si procede a velocit`a v in completa assenza di vento, si percepisce un vento apparente v in direzione contraria a quella del moto. Per sommare due vettori si pu`o utilizzare la formula di Carnot. Sono riportate quattro andature della barca: bolina, traverso, giardinetto, poppa. La curiosit`a `e che l’andatura al 5 Composizione delle velocit` a giardinetto prendeva il nome dalla posizione nei galeoIn regata, ma anche nella normale navigazione da di- ni dell’orticello per il sostentamento, che solitamente porto, si cerca sempre di ottimizzare il tempo di per- era nello specchio di poppa. correnza. Le variabili da tenere in considerazione sono: la direzione del vento, il nostro punto d’arrivo e la velocit`a della barca. Per un ulteriore miglioramento dunque NNW. A questo punto la barca risente del nuobisogner`a considerare la corrente marina e eventuali vo vento, di intensit`a maggiore, e dunque tender` a ad variazioni della direzione e dell’intensit`a del vento. accelerare. Questo aggiustarsi di velocit`a arriva a un L’elemento pi` u interessante da considerare nella vemassimo e poi cala quando la direzione di provenienla moderna `e il fatto che nelle andature strette (di za del vento non diventa troppo stretta e la portanza bolina o traverso) al vento reale si aggiunge il vento diminuisce. apparente, dovuto al moto della barca. Il vento risulSe invece si procede in favore di vento, la compositante avr`a dunque maggiore intensit`a di quello reale, zione delle velocit`a fa si che il vento percepito a bore la sua direzione in generale pi` u stretta, come si vede do sia inferiore (perci`o quando si procede di poppa fa in figura 8. Questa pu`o essere considerata come una molto pi` u caldo), e anche le vele risentano di questo. reazione positiva. E’ come se andando in macchina la Cos`ı le vele, pur avendo una superficie molto maggiore, benzina aumentasse... hanno una portanza inferiore. Facciamo un esempio quantitativo: se il vento proviene da Nord ed ha un’intensit`a di 12 nodi e la barca si dirige verso Ovest a 7 nodi. Possiamo usare il teore- Esercizi ma di Pitagora:√il vento apparente che insiste sulle vele • Se mi sto muovendo verso Nord a una velocit` a avr` a intensit`a 72 + 122 = 13.9 nodi e la sua direziov0 = 10 nodi e il vento soffia da Nord a una ve7 ne sar`a deviata di arctan ' 30◦ verso Ovest, e locit`a vv = 20 nodi, qual `e la direzione α0 e la 12 7
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velocit`a vapp del vento apparente che osservo a bordo?
Il mare mosso
Spesso in barca ci si pu`o confrontare con condizioni • Se mi sto muovendo verso Est a una velocit`a v0 = meteorologiche difficili. Il vento molto forte pu` o esse10 nodi e il vento soffia da Sud Est a una velocit`a re controllato entro certi limiti riducendo la superficie vv = 20 nodi, qual `e la direzione α0 e la velocit`a velica. Le onde invece causano oscillazioni della barvapp del vento apparente che osservo a bordo? ca che possono diventare pericolose. Dei due modi Suggerimento: trovare l’angolo α tra le direzioni principali di oscillazione di una barca, il rollio `e quello Ovest e Sud Est (perch´e?), poi usare la formula di trasversale, mentre il beccheggio `e quello longitudinale. Carnot per ricavare la velocit` a del vento: vapp = L’energia, e dunque la pericolosit`a delle onde marine, p v02 + vv2 + 2v0 vv cos α. Per l’angolo α0 `e un po’ dipende ovviamente dalla loro ampiezza. Per` o non `e pi` u complicato... ma almeno si pu` o stimare per sufficiente. Occorre anche che la distanza tra due crevia grafica! ste (la lunghezza d’onda) sia anche confrontabile con la lunghezza (o la larghezza) dello scafo (fig. 9). Per Ogni barca a vela ha la sua velocit`a migliore (VMG, esempio una barca di 15 metri soffrir`a molto onde fronvelocity made good ) in funzione della direzione relati- tali della lunghezza di una decina di metri, mentre una va del vento rispetto a dove deve andare. In questa piccola barca da diporto di 4 metri non avrebbe alcun velocit`a occorre tener anche conto di eventuali cor- problema, perch´e scivolerebbe sulle onde. La stessa renti marine che provocano lo scarroccio, ovverosia lo barca di 15 metri soffrirebbe meno mettendosi in diascivolare della barca lungo la corrente. gonale o trasversalmente rispetto alla provenienza delLe forze agenti nella direzione del moto sono quella le onde. Dunque esiste un modo migliore di prendere di avanzamento, esito della scomposizione della por- le onde. tanza, e quella di attrito, direttamente proporzionale alla velocit`a: ma = Fa − βv (13) il fattore β dipende dalla geometria dello scafo. L’attrito dell’acqua `e principalmente dovuto all’opposizione diretta contro la prua che apre l’acqua. Il resto dello scafo passa quasi gratuitamente. Questo `e il motivo per cui le barche pi` u lunghe vanno anche pi` u veloci: possono avere maggior peso e maggior superficie velica, insomma tutto di pi` u, pagando praticamente lo stesso prezzo all’attrito. Se si ragiona sull’eq. (13), ci si rende conto che ogni barca ha la sua velocit`a limite: infatti all’accelerare della barca, aumenta anche la velocit`a, che per`o contribuisce negativamente all’eq. 13. La velocit`a limite si realizza quando non c’`e pi` u accelerazione, e dunque sar` a vlim = Fa /β. Ovviamente in condizioni reali, Fa varia continuamente, perch´e dipende dal vento, dunque questa velocit`a limite cambia molto spesso.
Figura 9: Onde pericolose e onde meno pericolose
La barca a vela per`o ha un vantaggio rispetto alle barche a motore: il rollio `e quasi assente, perch´e la presenza delle vele e della chiglia ha una funzione stabilizzatrice e ammortizza gli impatti delle onde sullo scafo. Per di pi` u, di solito il vento e le onde provengono dalla stessa direzione. In questo caso le onde incidono sulla barca con un angolo maggiore di 40◦ rispetto alla direzione di navigazione. Questo significa che di bolina la barca fende le onde in una maniera innocua. Purtroppo non sono infrequenti i casi di onde discordi dal vento (quando il vento gira dopo una tempesta), e sono le condizioni pi` u pericolose per uno scafo a vela. Condizioni simili si possono trovare nei pressi dello stretto di Magellano, l`a dove si incontrano l’Oceano Pacifico e l’Atlantico. Da quelle parti si possono trovare, oltre agli iceberg, le temibili onde piramidali.
Esercizi • Realizzare un foglio di calcolo per rendersi conto di come funziona l’eq. 13. Utilizzare dei valori verosimili di Fa e β, compatibili con Luna Rossa, in maniera da ottenere una velocit`a limite di 15 nodi ∼ 27 km/h
E’ importante anche sapere che non sempre il posto pi` u sicuro `e sotto costa. Infatti le onde marine si • Quando la barca ha raggiunto una sua velocit`a di diffrangono e una piccola rotazione del vento pu` o far regime, quali sono le forze che agiscono su di essa? s`ı che le onde girino intorno alla punta dietro cui ci E quale deve essere la loro risultante? siamo nascosti e ci sorprendano vicini agli scogli. 8
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Ancora Fisica a bordo
7.3
Strumenti, carteggio, meteorologia e altro
C’`e ancora un sacco di Fisica a bordo di una barca a Richiede nozioni di Fisica anche l’utilizzo di molti struvela. menti di bordo, come il radar o il profondimetro. Poi pu`o essere interessante sapere come funziona il GPS, o gli altri metodi di rilevazione del punto nave. In 7.1 L’` ancora assenza di strumenti di bordo, si pu`o usare ancora la L’` ancora deve essere di peso non inferiore a un deci- trigonometria per ricavare la distanza della barca da mo del peso della barca. Il gioco delle forze `e tra la terra. forza di deriva, esercitata dalla corrente marina sulOvviamente `e indispensabile avere una bussola, che lo scafo e proporzionale al peso della barca, e la forza sfrutta il campo magnetico terrestre. d’attrito esercitata dall’ancora sul fondo, proporzionaMolto interessanti sono anche le tecniche di cartegle al peso dell’ancora. Per aumentare l’attrito si usano gio, cio`e la costruzione delle rotte. Le carte nautiche forme particolari di `ancora, che la fanno affondare nel- di solito riportano le principali informazioni sul mala sabbia. Il problema `e che la barca ancorata oscilla re e sulle coste, comprese le correnti. Se si naviga (bandeggia) e pu`o far saltellare l’ancora, per questo senza GPS, occorre tenere ben conto dello spazio persi usano molti metri di catena, in maniera da tenere corso e della direzione tenuta per poter essere pi` u o gli ultimi metri prima dell’ancora sempre radenti al meno consapevoli di dove si `e. Se poi si `e particolarfondo. mente avventurosi, si possono intraprendere delle rotte transoceaniche. Qui bisogna tener conto che la terra `e sferica e tenere sempre una direzione di bussola non si7.2 L’albero gnifica necessariamente arrivare dove si desidera. Per L’albero di una barca `e un parafulmine fantastico. Di convincersene basta pensare che se tutti puntano verso solito c’`e una messa a terra tra l’albero e una parte Nord, si ritrovano nello stesso punto. Una parte fondamentale della navigazione `e la conometallica che va in acqua, per esempio l’albero motore. scenza della meteorologia. Per navigare bene, occorre Bisogna curarsi di tenerla pulita. Inoltre, essendo di solito l’albero di alluminio, risul- tenersi aggiornati sulle condizioni meteomarine. Bita particolarmente soggetto alle correnti galvaniche. sogna cercare il vento, ma che non sia troppo. Inutile Bisogna stare molto attenti a non fare riparazioni in dire che le tecniche da vecchi marinai funzionano anche rame o altri metalli con propriet`a elettriche simili. In- meglio delle previsioni radio. Specialmente quando si fatti si osserverebbe in breve tempo un logoramento dorme in rada, cio`e in una baia, bisogna stare attenti: o ruodella struttura di alluminio o il cedimento della ripa- il vento, al passaggio di una perturbazione, pu` ◦ e ci si pu` tare di molti gradi, spesso di 180 o ritrovare razione. Questo perch´e l’albero `e perennemente umido e si formano delle microcorrenti elettrolitiche, rinforza- in difficolt`a, con vento e mare che spingono verso gli te dalla presenza del sale marino. Questo significa che scogli. Si pu`o ancora sfruttare la Fisica per avere l’acqua se abbiamo un pezzetto di rame sull’albero questo funzioner`a da elettrolito e attirer`a particelle di alluminio calda a bordo (la doccia solare) o un po’ di energia dell’albero circostante, logorandolo. E’ esattamente elettrica (palette eoliche). ci` o che accade nelle batterie: ci sono due metalli (in questo caso rame e alluminio) posti in una soluzione 8 Glossario elettrolitica (in questo caso acqua con sale) e si forma una corrente continua. Se si hanno materiali diversi, bolina: andatura con il vento proveniente dal settore per conoscere quale si corrode bisogna andare a legdi prua gere la serie galvanica, cio`e un elenco di metalli che o stabilisce quale dei due si dovrebbe corrodere prima in bulbo: zona della chiglia che contiene la zavorra, pu` trovarsi anche all’estremit` a della deriva una data soluzione elettrolitica. Si trover`a per esempio che in acqua marina sul fondo della scala c’`e lo cazzare: tendere o tesare le cime, le scotte o le drizze zinco9 . Per questo lo zinco `e usato per ricoprire le parti di alluminio: in questo caso lo zinco si comporta cima: corda generica di bordo sempre da anodo (di sacrificio) consumandosi al posto del metallo sottostante. Negli alberi di carbonio, pi` u chiglia: parte dello scafo sotto la linea di galleggiamento. Se si tratta di equilibrio della barca, dire costosi, questo problema `e quasi assente. far chiglia o mettere chiglia significa aggiungere 9 peso sul fondo della barca http://en.wikipedia.org/wiki/Galvanic_series 9
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coperta: parte superiore dello scafo, dove avvengono traverso: andatura con il vento proveniente all’incirca perpendicolarmente alla direzione di la maggior parte delle manovre. marcia deriva: 1) ala o lama disposta sotto la chiglia in maniera da limitarne lo scarroccio; 2) piccola Riferimenti bibliografici imbarcazione a vela a deriva estraibile dislocamento: peso totale della barca
[1] Le cours des Gl`enans, 6eme edition, ed. Seuil
drizza: cima destinata all’issare le vele
[2] Corso di FISICA I, Mencuccini Silvestrini Liguori editore
fiocco o genoa: vela di prua nelle imbarcazioni moderne. Da ricordare che le prime tele genovesi con cui si fecero i jeans erano proprio pezzi di vele rotte
[3] Wikipedia, http://en.wikipedia.org/wiki/ Lift_%28force%29
giardinetto: parti laterali della poppa
[4] Ancient Sailing and Navigation //nabataea.net/sailing.html
http:
lasco: andatura con vento di poppa nodi: 1) abilit`a indispensabile del marinaio. 2) velocit`a di una barca, corrispondente ad un miglio marino per ora (circa 1.8 km/h, ovvero circa 0.5 m/s) orzare: spostare la prua verso la direzione del vento poggiare: spostare la poppa verso la direzione del vento, ossia assecondare il vento poppa: parte posteriore della barca prua: parte anteriore della barca randa: forse dal veneziano: vela granda, vela di poppa nelle imbarcazioni moderne sbandare: inclinare la barca scarroccio: lo scadere o scivolare della barca rispetto alla direzione scelta, pu`o avvenire sia per via della corrente sia per via del vento scotta: cima che regola le vele orizzontalmente scuffiare: ribaltare la barca finch´e l’albero tocca il mare o addirittura non si immerge. sopravvento: lato della barca dalla parte della direzione di provenienza del vento sottovento: lato della barca dalla parte opposta della direzione di provenienza del vento stazza: volume totale occupato dalla barca stringere il vento: capacit`a della barca di avanzare contro la direzione del vento timone: ala o lama disposta generalmente sotto la poppa per regolare la direzione della barca, pu`o essere governato da una barra o da una ruota. 10
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Università del Lazio La Sapienza – Tor Vergata – Roma Tre – IUSM – La Tuscia – Cassino – LUMSA
Scuola di Specializzazione all’Insegnamento Secondario Relazione per il corso di Didattica della Fisica
Il principio di conservazione dell'energia e la vita quotidiana
Docente:
Specializzandi:
Prof. Giovanni Vittorio Pallottino
Salvatore Silvestri Rosario Iannone
Anno Accademico 2007/2008
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La legge di conservazione dell'energia e la vita quotidiana
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Introduzione, target e prerequisiti La presente relazione è stata realizzata pensando a delle lezioni frontali in una V classe di un Liceo Scientifico. Si ipotizza l’ausilio di un PC o di un proiettore con il quale mostrare le diverse figure presenti in questo lavoro in modo da suscitare la curiosità dei ragazzi e mantenerne desto l’interesse. Inoltre, abbiamo cercato di rendere graduali i vari passaggi, concentrando l’attenzione su argomenti di interesse generale e che, nel contempo, possano risultare coinvolgenti per gli studenti: in particolare, trattandosi di adolescenti, abbiamo posto l’attenzione su aspetti inerenti interessi e desideri tipici della loro età, verso i quali, quindi, i ragazzi risultano essere molto sensibili (come ad esempio la musica e il rapporto con il loro peso corporeo). Ancora, la presente relazione presenta molte domande che si possono porre agli studenti con il fine di suscitare un dibattito costruttivo che consenta di: •
Riflettere sull’importanza del principio di conservazione dell’energia
•
Stimolare le capacità di astrazione e generalizzazione
•
Riflettere sulle possibili interpretazioni dei fenomeni quotidiani alla luce del principio di conservazione dell’energia
•
Promuovere le capacità di transfer e problem solving
•
Favorire scelte decisionali finalizzate ad un utilizzo equilibrato delle risorse energetiche a disposizione.
Inoltre, le note presenti nel testo hanno lo scopo di puntualizzare quegli aspetti che, nell’ambito delle lezioni, abbiamo ritenuto maggiormente delicati o per i quali si è ipotizzata la necessità di ulteriori chiarimenti. Per quanto concerne i prerequisiti è auspicabile che gli studenti conoscano bene: •
i concetti di energia, lavoro, potenza e rendimento;
•
il teorema di conservazione dell’energia meccanica (sia in caso di forze conservative che dissipative);
•
il primo e secondo principio della termodinamica (in particolare l’equivalenza tra calore e lavoro);
•
la legge di Fourier per la trasmissione del calore;
•
le leggi di Wien e di Stefan‐Boltzmann
•
i circuiti elettrici passivi con memoria e le equazione che li descrivono;
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Relazione per il corso di Didattica della Fisica
SSIS ‐ IX Ciclo
Il Principio di conservazione dell’energia e la vita quotidiana
Nella nostra vita quotidiana, anche se spesso non ce ne accorgiamo, ci imbattiamo continuamente in fenomeni che possono essere agevolmente interpretati (almeno in prima approssimazione) alla luce del principio di conservazione dell’energia (PCE). Molte volte addirittura, in modo più o meno consapevole, utilizziamo tale principio per eseguire veri e propri bilanci energetici grazie ai quali riusciamo a decidere se una data soluzione sia quella che fa al caso nostro o meno. Proprio qualche giorno fa, ad esempio, Salvatore ha deciso di comprare un nuovo sistema audio per la sua auto e si è rivolto ad un negozio specializzato dove ha trovato una grande varietà di autoradio, amplificatori, altoparlanti ecc.: ma come farà a scegliere in modo adeguato tra le possibili soluzioni? Quale autoradio? Quali altoparlanti? Sarà necessario aggiungere un amplificatore? E la batteria dell’auto sarà capace di fornire l’energia necessaria o ne servirà una più “grande”? È evidente che, a parte la scelta puramente estetica e funzionale, tale problema si traduce in una valutazione delle potenze in gioco e quindi in un bilancio energetico. A ben vedere, le considerazioni sui bilanci energetici condizionano costantemente le scelte che facciamo nella nostra vita quotidiana: quando acquistiamo un elettrodomestico siamo soliti considerare prima di tutto la classe energetica; nella scelta di infissi e serramenti per la nostra abitazione ricerchiamo materiali e soluzioni che ci assicurino un buon isolamento termico con l’esterno; accendendo un condizionatore chiudiamo sempre le finestre ed eventualmente le porte della camera; quando dobbiamo uscire ci assicuriamo che le batterie del nostro cellulare, del lettore o del portatile abbiano sufficiente carica. Inoltre, se facciamo un’analisi più approfondita, ci rendiamo conto che addirittura il nostro aspetto fisico è condizionato dal principio di conservazione dell’energia. Quante volte infatti sentiamo persone che si lamentano del fatto che pur mangiando poco non riescono a perdere peso, a differenza di altre che pur mangiando senza ritegno non riescono a metter su alcun kg. Come mai accade ciò? Quale potrebbe essere una semplice spiegazione per queste differenze? Quali sono i principali fattori energetici che entrano in gioco in queste situazioni? Questi sono solo alcuni degli innumerevoli esempi in cui il principio di conservazione dell’energia trova una sua espressione: ma cosa afferma tale principio?
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Classe: A38-A49
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Relazione per il corso di Didattica della Fisica
SSIS ‐ IX Ciclo
La frase di Lavoisier (Parigi, 26 agosto1743 – Parigi, 8 maggio 1794), “Niente si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”, può aiutarci a capire e a tenere in mente l’essenza del “nostro” principio1. Questa affermazione, in particolare, sancisce che l’energia posseduta da un sistema, la quale com’è ben noto è pari alla somma delle diverse forme di energia possedute dallo stesso, non può variare nel tempo ma deve necessariamente mantenersi costante, ossia:
Si pensi ad esempio ad un corpo lanciato in aria in assenza di forze dissipative: al momento del lancio il corpo possiede un’energia cinetica massima e pari a
(dove vi è la
velocità iniziale del corpo), mentre quando raggiunge il suo punto di massima elevazione non possiede più alcuna energia cinetica, ma solo energia potenziale di valore ∆ , in cui Δh è la differenza tra la quota massima raggiunta e quella di partenza. L’energia cinetica iniziale, tuttavia, non si è distrutta, si è semplicemente trasformata in energia potenziale, tant’è vero che il corpo ricomincerà a muoversi verso il basso per avere, una volta raggiunta la quota iniziale, la stessa energia cinetica posseduta inizialmente; in altri termini, in assenza di forze dissipative, l’energia posseduta da questo corpo resterà sempre la stessa … ma dove ha preso questa energia il corpo? Ipotizzando che siamo stati noi a lanciarlo in aria, potremmo affermare che tale energia proviene da noi … ma noi, da dove l’abbiamo presa? Indubbiamente dal cibo che mangiamo, il quale a sua volta potrebbe averla presa, ad esempio, dalla terra, dall’acqua, dal sole e così via. D’altro canto, sappiamo che i fenomeni che esistono in natura sono generalmente dissipativi, quindi quota parte dell’energia in gioco viene sempre dissipata … ma che fine fa questa energia? Coerentemente con il PCE essa non sparisce, ma viene ceduta al sistema sotto forma di calore, che a sua volta contribuisce a riscaldare l’aria e di conseguenza noi, le piante e così via. In altri termini, possiamo affermare che esiste sempre una lunga “catena” (generalmente chiusa) di trasmissione e trasformazioni dell’energia, attraverso le quali essa viene “riutilizzata”: si potrebbe dire che dell’energia non si butta mai niente2 (Fig. 1).
1
Fino alla formulazione della Teoria della Relatività ristretta (1905) di Einstein, energia e massa erano considerate due quantità distinte, per ciascuna delle quali valeva un distinto principio di conservazione (della massa e dell’energia, , a sancire l’equivalenza tra massa ed energia appunto). Fu proprio tale teoria infatti, con la famosa formula e a riunirle in un unico principio di conservazione: pertanto, le parole “niente”, “nulla e “tutto” pronunciate da Lavoisier sono da considerarsi in relazione all’insieme energia‐massa. 2 Qui sarebbe bene porre agli studenti la domanda: “l’energia è sempre riutilizzabile?”. A tal proposito si potrebbe accennare ai concetti di “exergia” e “anergia”, utilizzati dagli ingegneri in termodinamica.
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Classe: A38-A49
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Relazione per il corso di Didattica della Fisica
Si può discutere questo schema semplificato con gli studenti: chi fornisce energia al sole? L’uomo fornisce energia al cibo? Se si, che tipo di energia è e che fine fa? Se l’uomo non mangia questo cibo, la sua energia sarà persa? Perché è mostrata una freccia rossa (energia dissipata) dal cibo verso l’ambiente? Se il cibo fosse lasciato a marcire che fine farebbe
Sole
Cibo Ambiente
SSIS ‐ IX Ciclo
Figura 1
L’essere umano, quindi, acquisisce energia principalmente dal cibo che mangia: si può notare, infatti, che sulla confezione di ogni alimento che acquistiamo è sempre riportata l’energia che questo ci fornisce (di solito fornita in kcal o kJ per ogni 100 g di prodotto)3. Orientativamente, un uomo assume circa 2000 kcal al giorno pari a 8400 kJ, ossia4 2.3 kWh (che equivale all’energia utilizzata da un normale phon acceso per circa 2 ore). Ma dove si trova questa energia? Essa è immagazzinata nei legami chimici delle molecole che costituiscono i cibi: ad esempio 1 g di proteine immagazzina 4 kcal, 1 g di zuccheri 3.9 kcal, 1 g di grassi 9 kcal. Per estrarre questa energia, il corpo umano “brucia” i cibi rompendo i legami molecolari: si tratta di un vero e proprio processo di combustione, simile a quello che ha luogo nel motore di un automobile5. Una volta estratta, parte di questa energia viene dissipata nello svolgimento delle normali attività fisiche umane: camminare, salire le scale, lavorare, fare sport, muoversi in generale, ecc.: indichiamo questa quota parte con Eaf (energia per l’attività fisica). È bene sottolineare ancora una volta che le attività fisiche non comportano la distruzione di energia, ma solo la trasformazione di essa in energia cinetica (movimenti del corpo, delle sue parti, di altri oggetti ecc.), potenziale (modifica dello stato del corpo, delle sue parti o di altri oggetti) e dissipata (ossia trasmessa all’ambiente circostante sotto forma di calore). Tutto qui? No: il corpo umano, infatti, “soltanto” per rimanere in vita e mantenere attivi tutti i processi biologici dissipa una certa quantità di energia per il cosiddetto Metabolismo Basale: indichiamo tale quota parte con Emb. È grazie a questa energia che ad esempio il nostro cuore è in grado di battere e pompare il sangue che scorrerà nelle vene ed arterie raggiungendo tutte le cellule del corpo, i polmoni possono riempirsi e svuotarsi di aria sotto l’azione dei muscoli respiratori, le cellule possono a loro volta produrre energia attraverso la respirazione 3
Ricordiamo che una kcal corrisponde a 4.186 kJ. Si invitano gli studenti ad eseguire i calcoli per verificare questi valori. 5 Si può qui creare un collegamento con l’insegnamento di chimica e/o di biologia per una spiegazione più corretta e dettagliata dei fenomeni oltre che per fornire agli studenti la possibilità di ragionare in modo trasversale alle diverse materie e comprenderne in modo più completo e definito i vari concetti. 4
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cellulare e così via. Non va inoltre dimenticato che l’organismo umano è anche composto da un’articolata “rete elettronica”, costituita dal nostro sistema nervoso centrale e da quello periferico, il quale trasmette continuamente impulsi elettrici (ossia nervosi) e anche tale apparato utilizza una certa energia. Tutta questa energia è dissipata sotto forma di calore e contribuisce a mantenere costantemente la temperatura del nostro corpo ad un valore di riferimento di circa 37°C. Riepilogando, quindi, ogni essere umano acquisisce energia dall’esterno (Ein) principalmente dai cibi che mangia e dissipa energia per sopravvivere e svolgere le normali attività fisiche, energia questa che viene ceduta all’ambiente sotto forma di calore. Ciò si può schematizzare con la figura seguente (Fig. 2):
Attività fisiche
Eaf Ein Emb
Cibo Metabolismo basale
Ambiente
Figura 2
Tuttavia, non è detto che tutta l’energia acquisita venga utilizzata per le attività fisiche e/o per il metabolismo basale, o viceversa che essa risulti sufficiente per tali attività. Si possono allora distinguere i tre casi: a) b) c)
Concentriamoci su primo di questi: che fine fa l’energia che eccede? Indubbiamente si trasforma in energia potenziale: ma di che tipo? Parte di essa contribuisce all’energia potenziale gravitazionale posseduta dal corpo, un’altra parte rimane in circolo sotto forma di zuccheri per l’utilizzo immediato, un’altra parte viene invece convertita in energie di riserva , ossia i grassi6. Senza entrare troppo nello specifico, dovrebbe quindi risultare chiaro che la prima condizione è quella che favorisce l’accumulo di grassi in un individuo, la seconda invece porta ad un dimagrimento (almeno in prima approssimazione), mentre la terza porta ad un equilibrio energetico. 6
Tutte queste possono essere considerate energie potenziali.
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Le energie accumulate (Eacc), quindi, sono date dalla differenza tra energie acquisite ed energie dissipate, cioè: 1
Questo altro non è se non un’altra espressione del nostro PCE, riferito in questo caso al sistema cibo+essere umano+ambiente che stiamo considerando: infatti, la quantità totale di energia posseduta da tale sistema rimane costante, non si crea ne si distrugge nulla, ma si verificano solo trasformazioni di energia da potenziale contenuta nel cibo a potenziale contenuta nell’individuo sotto forma di grassi e/o zuccheri, a meccanica (attività fisiche), ad energia dissipata nell’ambiente (calore sprigionato per attività fisica, per metabolismo basale, per trasformazioni chimiche) e così via. In base a tale modello, quindi, se ad esempio Luigi ha un metabolismo basale giornaliero di 1 kWh7 e nell’arco della giornata compie lavoro per 3 kWh, qual è (indicativamente) l’apporto energetico massimo che può assumere Luigi durante la giornata per lavorare senza correre il rischio di ingrassare8? A questo punto gli studenti dovrebbero essere in grado di capire perché, a “parità” di attività fisica e di cibo mangiato, esistono persone che ingrassano più facilmente di altre9: naturalmente la risposta risiede nel metabolismo del singolo individuo, che nelle prime risulta essere più basso. Il modello proposto, inoltre, mostra come le uniche alternative che abbiamo per smaltire i grassi in eccesso o per acquistarne di nuovi siano, ipotizzando che il metabolismo di un individuo non vari nel tempo (nota 6), quella di modificare l’apporto nutrizionale (cibi con meno/più calorie10) e/o variare l’attività fisica praticata.
Quanto finora esposto, proprio in quanto riferito ad un teorema di indubbia generalità, può essere agevolmente applicato per rispondere alle domande di Salvatore sull’acquisto di un nuovo sistema audio per la sua auto: in particolare, sapendo che 7
Espresso volutamente in kWh per far esercitare sui cambi di unità di misura (kJ, kcal) e avere un’idea sui diversi ordini di grandezza. 8 Va notato che i processi esposti in questa relazione contengono molte semplificazioni, è quindi bene dare un’idea agli studenti del fatto che l’organismo ha una forte capacità di adattamento, per cui si tende ad abituarsi all’apporto energetico che riceve e si adatta nei consumi (con conseguente senso di stanchezza), per questo, ad esempio, nelle diete si consiglia sempre un giorno settimanale di break in cui mangiare in modo normale. Sicuramente questo può essere un argomento di competenza dell’insegnamento di biologia. 9 Anche questa è una semplificazione, in quanto non tutti assimiliamo allo stesso modo gli apporti nutrizionali dei cibi, così come esistono ricerche svedesi che portano a pensare che ogni essere umano sia dotato di un determinato numero di cellule grasse (adipociti) stabilite nell’infanzia e che resta costante per tutta la vita: queste si si comportano come sacche che possono svuotarsi o riempirsi, ma mai distrutte. 10 In realtà esistono anche teorie che oltre all’apporto energetico guardano al tipo di alimenti ingeriti (diete dissociate, diete a zone, fruttosio in sostituzione del glucosio ecc), ma ciò esula dai fini del presente lavoro, anche se è bene tener presente queste considerazioni qualora qualche studente ponga la questione.
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¾ ¾ ¾ ¾
tutte le autoradio in commercio nel negozio forniscono una potenza di uscita pari a 50X4 W 11; Salvatore ha acquistato anche 4 altoparlanti da 150 W12 ed un amplificatore13 da 120X4 W; l’auto ha in dotazione una batteria da 12 V e 60Ah; sia l’autoradio che l’amplificatore dissipano circa 1 W ciascuno;
stabilire qual è la potenza massima che può essere assorbita dal sistema autoradio + amplificatore + casse dalla batteria e quale quella dissipata. (fare riferimento alla Fig. 3, dove le connessioni dell’alimentazione sono riportate in rosso e quelle relative ai segnali audio in blu) 150 W
150 W
120X4 W
50X4 W
F1
F2
150 W
150 W
Figura 3
Determinare inoltre, come devono essere dimensionati i fusibili collegati all’autoradio e all’amplificatore14? A macchina spenta e sistema audio alla “massimo potenza”, dopo quanto tempo la batteria si esaurirà? Infine, qual è il rendimento del sistema in queste condizioni? Passiamo ora ad un livello di astrazione maggiore. È bene notare l’analogia tra il modello del sistema audio analizzato e il modello proposto per il bilancio energetico di un essere umano: entrambi infatti possono essere rappresentati con lo schema seguente15 (Fig. 4)
11
Si spiega che si intende che possono essere collegate 4 altoparlanti, ad ognuno dei quali può fornire al massimo una potenza di 50 W 12 Ossia che possono ricevere al massimo 150 W ognuna 13 Si spiega agli studenti che l’amplificatore audio riceve agli ingressi le uscite dell’autoradio (con un’impedenza che possiamo supporre infinita) e può fornire alle sue uscite gli stessi segnali ma con una potenza fino a 120 W. 14 Si ricorda agli studenti che un fusibile è un dispositivo che interrompe il collegamento se la corrente che lo attraversa oltrepassa un dato limite (appunto il valore da determinare) 15 Lo schema sarà prima discusso con gli studenti.
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Sistema isolato Sottosistema considerato Sorgente
Energia dissipata
Energia entrante
Ambiente
Lavoro
Figura 4
Come si vede, è sempre presente una sorgente da cui arriva l’energia necessaria e un ambiente verso cui confluisce l’energia dissipata. Tra questi è collocato il nostro sottosistema, il quale composto da più moduli che insieme provvedono a produrre l’“effetto desiderato”, ossia il lavoro. Considerando il nostro sistema audio alla luce di tale schema, possiamo affermare che la batteria è sicuramente16 la nostra sorgente, mentre il sottosistema può essere pensato come composto dall’autoradio, dagli altoparlanti e dall’amplificatore (anche qui vale quanto detto nella nota 11). Ma qual è il lavoro prodotto dal nostro sottosistema? Si tratta naturalmente di energia acustica17. Per quanto concerne infine l’ambiente esterno, possiamo pensare che questo sia identificato da tutto ciò che rimane. Nel caso del modello per il bilancio energetico dell’essere umano, invece, la sorgente è rappresentata dal cibo, il nostro sottosistema di interesse dallo stesso essere umano e il lavoro prodotto da qualunque attività stiamo considerando. Anche qui l’ambiente esterno è rappresentato da tutto il resto e l’energia è dissipata sotto forma di calore. Ma fermiamoci a ragionare su quest’ultimo punto e ricordiamo che questi sistemi (come tutti quelli reali) per funzionare producono necessariamente del calore: i muscoli, ad esempio, sono soggetti ad attrito, come anche il sangue, le cellule sprigionano energia nella respirazione cellulare, il passaggio di corrente elettrica in un conduttore produce calore per effetto joule e così via. Ma cosa succederebbe se i due sistemi non cedessero del calore all’esterno? La temperatura salirebbe indefinitamente, fino alla rottura del sistema stesso. Questa trasmissione del calore all’ambiente esterno è quindi molto importante al fine di mantenere la temperatura del sistema entro certi limiti, basti pensare che ad esempio molti apparati elettronici sono provvisti di dissipatori termici (alette di raffreddamento, ventole di 16
Il concetto di sorgente è in realtà più complesso, basti pensare che a seconda delle grandezze di interesse si può pensare di scegliere il sistema che ci fa più comodo come sorgente: magari questo è un aspetto da far notare agli studenti una volta che hanno assimilato quanto illustrato in questa relazione. 17 Qui confidiamo che gli studenti siano consapevoli dell’equivalenza tra lavoro, energia e calore (il primo principio della termodinamica è uno dei prerequisiti).
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raffreddamento dei processori ecc), come anche i motori delle automobili (raffreddamento a liquido e radiatori), i frigoriferi ecc.. L’organismo umano, addirittura, possiede un intero sistema appositamente dedicato a questa mansione noto con il nome di sistema termoregolatore. Semplificando la (1), il PCE ci dice che l’energia dissipata deve essere pari alla differenza tra l’energia acquisita e quella accumulata: 2
D’altro canto, l’energia trasmessa all’ambiente sotto forma di calore dipende dalla temperatura del sistema, dalla temperatura dell’ambiente esterno, dalla resistenza termica tra il sistema e l’ambiente e da altri fattori, come ad esempio il tasso di umidità dell’ambiente. Concentriamo la nostra attenzione sul corpo umano. La trasmissione del calore avviene sia per conduzione termica che per irraggiamento e per convezione. Di questi ultimi due, com’è noto, l’irraggiamento dipende principalmente dalla temperatura del corpo considerato, mentre la convezione dipende dalle caratteristiche del fluido che circonda il corpo (l’aria!). Sulla prima, quindi, non possiamo agire, mentre sulla seconda può intervenire (entro certi limiti) sia il nostro sistema termoregolatore attraverso strategie quali ad esempio la sudorazione, sia noi stessi utilizzando ad esempio ventilatori/ventagli i quali hanno la funzione di agevolare la rimozione dello strato di vapore che si crea sulla pelle durante la sudorazione stessa agevolandone l’evaporazione18. L’aspetto su cui invece possiamo sicuramente intervenire è la trasmissione per conduzione. Ricordiamo qui che questa è regolata dalla legge di Fourier:
Ι
S
S Q T2
T1
∆
·
·
ΔV
R
L
In cui Q è il calore che fluisce da una faccia del corpo a temperatura T2 ad un’altra a temperatura T1, S la superficie di tali facce, Δt l’intervallo di tempo considerato, L lo spessore del corpo (ossia la distanza tra le due facce) e K la conducibilità termica del corpo stesso. ΔV Notiamo l’analogia tra questa relazione e la legge di Ohm ( I = ). R
18
Solo su tali argomenti si potrebbe discutere a lungo.
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Relazione per il corso di Didattica della Fisica
Dalla relazione di Fourier19 appare evidente come il calore trasmesso aumenta all’aumentare della superficie di contatto. A proposito, come può essere interpretata la sensazione di Ecco perché quando abbiamo freddo tendiamo a freddo o caldo? Si potrebbe rannicchiarci: cerchiamo di ridurre la superficie di scambio legare alla quantità di calore con l’esterno. Inoltre Q diminuisce al diminuire della che viene scambiata istante conducibilità termica (o in modo equivalente all’aumentare per istante (potenza termica). della resistenza termica, che è pari all’inverso di K) allo stesso modo in cui aumentando la resistenza del circuito in figura diminuisce la corrente elettrica che vi circola: questo è ciò che avviene quando abbiamo freddo e indossiamo ad esempio un maglione di lana (Fig. 5).
Riserve energetiche
Eris
Corpo (intervento del Sistema Termoregolatore)
Maglia
Eout
Ediss
di T1
lana
T2
Ambiente esterno Eest
Figura 5
In altri termini, la lana aumenta la resistenza termica tra noi e l’ambiente esterno (che si trova a temperatura più bassa rispetto a noi), quindi la quantità che viene prelevata dal corpo a causa della bassa temperatura esterna si riduce ed il sistema termoregolatore può continuare a svolgere le sue funzione entro i limiti di energia di cui può disporre (Eris).
Quali sono le strategie del nostro sistema termoregolatore per incrementare o ridurre la quantità di calore prodotto e agevolarne o meno la
Il punto cruciale di questo discorso è che il sistema termoregolatore può aumentare la quantità di calore prodotto solo entro certi limiti, che prevedono strategie come aumento del battito cardiaco, accelerazione della velocità sanguigna, vasocostrizione, movimenti involontari dei muscoli (infatti tremiamo e battiamo i denti), oltre i quali non può più nulla. Quindi, quello che facciamo in questi casi è di diminuire la quantità di calore che ci viene prelevata dall’ambiente esterno in modo che il nostro sistema termoregolatore possa mantenere costante la temperatura corporea senza eccessiva fatica. Certo, un’altra soluzione consiste nel ricercare calore dall’esterno (rappresentato nello schema da Eest), cercando di aumentare la temperatura. Ma quali sono le forme di energia solitamente utilizzate per produrre energia 19
In realtà gli scambi termici tra corpo umano e ambiente coinvolgono anche fenomeni di irraggiamento e moti convettivi: di questo si può accennare qualcosa agli studenti, ma esula dai fini di questa relazione.
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termica? Sono principalmente quella chimica che viene liberata con i processi di combustione di combustibili quali legna, gas, gasolio ecc. e quella elettrica convertita in termica per effetto Joule: ·
·
Dove R è la resistenza elettrica dell’apparecchio utilizzato. A tal proposito, quant’è la corrente che attraversa una stufetta elettrica da 1.5 kW? Quanta energia consuma questa stufetta accesa per un’ora? Quanta energia termica produce in kcal? Confrontarla con l’energia giornaliera consumata in media da un essere umano (2000 kcal). Quanto gas servirebbe per ottenere lo stesso effetto? Dato il potere calorifico del metano calcolare il volume di gas necessario e poi fare un confronto tra i costi del riscaldamento elettrico e di quello a gas20. Si può fare una riflessione sul perché in Italia non è conveniente usare il riscaldamento elettrico (nemmeno per cucinare) mentre lo è in altre nazioni (Francia, Germania, ecc…). Per il PCE, quindi, l’energia del sistema “isolato” (possiamo pensare ad esempio ad una stanza comprendente anche il combustibile, ad esempio un camino o una stufa a gas) dovrebbe rimanere costante: l’energia chimica del combustibile si trasforma in calore che contribuisce ad incrementare la temperatura dell’ambiente e quindi anche l’energia interna dell’aria contenuta in essa. Tuttavia, è esperienza di tutti il fatto che se spegniamo la stufa la temperatura della stanza inizia a decrescere, mentre per il PCE la temperatura dovrebbe restare costante: allora, cosa non sta funzionando? Semplicemente il nostro sistema stanza non è un sistema isolato: infatti le pareti, le finestre, le porte ecc. possiedono una certa conduttività, quindi scambiano calore con l’esterno. Semplificando quanto possibile possiamo descrivere il sistema con21: •
Una stanza di capacità termica Ct;
•
Una capacità termica esterna Ce praticamente infinita (cosa significa considerare Ce infinita?);
•
Una temperatura interna T(t) (variabile nel tempo), ed una temperatura esterna supposta costante Te;
•
Finestre e pareti con una certa resistenza termica Rt;
•
Le sorgenti di calore (noi, stufa a gas/camino ecc) che forniscono una potenza p(t);
20
Alcuni dati indicativi ricavati dalle bollette di gas e elettricità: Potere calorifico superiore convenzionale del gas 39.81 MJ/m3; costo del gas (ricavarlo da una bolletta non è proprio banale per la grande quantità di voci inserite) 1 €/ m3; costo (solo la parte variabile) dell’energia elettrica 0,19 €/kWh. 21 Dalle dispense del corso di Didattica della Fisica,del prof. Pallottino, “Le analogie in Fisica”, pag. 4.
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Il bilancio termico dell’ambiente si può esprimere come segue:
Analizzando questa relazione ci si può rendere conto che essa descrive il circuito elettrico riportato nella figura seguente (nota 21): T(t)
Sorgenti di calore: generatore di corrente
Rt p(t)
Ct
Text
Temperatura esterna: generatore di tensione
Figura 6
Da cosa è rappresentata l’energia dispersa verso l’esterno? Dalla corrente I sulla resistenza Rt. Cosa si può fare per risparmiare energia? Tenere più bassa possibile Ti (indossando un buon maglione per non avere freddo…) o aumentare Rt, migliorando l’isolamento termico: doppie finestre, materiali costruttivi più isolanti, muri con intercapedini, pavimenti isolanti ecc. E quando fa caldo? La situazione è quella opposta, cioè il nostro organismo non riesce a smaltire il calore che produce e pertanto si innescano meccanismi quali la sudorazione (perché la sudorazione ci aiuta ad abbassare la temperatura corporea?), la vasodilatazione, l’abbassamento del battito cardiaco ecc. In questi casi l’uso del ventilatore può aiutarci … ma solo entro certi limiti: questo, infatti, non fa altro che “muovere l’aria” contribuendo ad incrementare i moti convettivi dell’aria e di conseguenza a rimuovere costantemente quello strato di vapore che si forma sulla pelle durante la sudorazione (perché il vapore ci aiuta a “smaltire” il calore in eccesso?). Supponiamo ora di essere in una stanza e che fuori faccia molto caldo. Possiamo ancora usare il circuito di Fig. 6, con le dovute precauzioni: il generatore di corrente in questo caso siamo noi e Te>Ti(t). Cosa succede allora in questo caso? Esiste quindi un flusso di calore (ossia di corrente, riferito al circuito) dall’esterno della stanza verso l’interno ed un altro da noi verso l’esterno del nostro corpo: di conseguenza Ti tende ad aumentare verso Te. Cosa possiamo fare allora per raffreddare la stanza? Una soluzione consiste nel sottrarre calore dalla stanza (a temperatura Ti) e dirigerlo verso l’esterno, ma ciò, per il II principio della termodinamica, implica un certo lavoro da compiere, ossia l’utilizzo di ulteriore energia: è proprio questo che fanno i condizionatori, ossia sottraggono calore dalla stanza e lo riversano
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all’esterno utilizzando l’energia elettrica fornita dalla rete domestica. Il circuito in questo caso potrebbe essere il seguente: Condizionatore: generatore di corrente
pc(t) T(t) Rt Sorgenti di calore: generatore di corrente
p(t)
Figura 7
Ct
Temperatura esterna: generatore di tensione
Text
Naturalmente, il condizionatore sottraendo energia alla stanza consente di ottenere Temperature interne inferiori di quelle esterne, di conseguenza attraverso i muri, le finestre ecc. (Rt) il calore tende sempre a confluire verso la stanza e l’isolamento di tali strutture, anche in questo caso, è essenziale. Ma cosa succede all’esterno? L’energia sottratta (Pc) alla stanza va a sommarsi all’energia dell’ambiente esterno: tale energia per il PCE è pari al lavoro effettuato dal condizionatore, ossia è pari all’energia sottratta dalla rete elettrica (considerando che i condizionatori hanno solitamente il motore esterno rispetto all’ambiente domestico, che ruolo gioco il rendimento energetico in tale situazione?) più l’energia prodotta all’interno della stanza dalle varie sorgenti e l’energia che dall’esterno confluisce verso l’ambiente interno attraverso i muri e le pareti22. Ciò, naturalmente, tende ad aumentare la temperatura esterna dell’ambiente23 (soprattutto se si considerano città altamente “popolate” da condizionatori e afflitte da una cappa di smog che tende ad ostacolare la “dispersione” del calore) e porta noi stessi, in una vera e propria controreazione positiva, a caricare di maggior lavoro il condizionatore che quindi riverserà ancora più energia sull’ambiente esterno24. Una buona prassi, quindi, per evitare di danneggiare l’ambiente (e anche le nostre tasche) consiste ad esempio nel progettare edifici sufficientemente isolati (o sostituire quantomeno infissi e serramenti in case già esistenti), chiudere tutte le finestre e le porte durante il
22
Considerando il funzionamento a regime ed ipotizzando che il condizionatore sia in grado di mantenere l’ambiente in cui si trova alla temperatura fissata. 23 Qui si può richiamare il caso analogo del frigorifero aperto in una stanza e riflettere sull’andamento della temperatura della stanza. 24 Si potrebbe qui discutere sul fenomeno delle isole termiche cittadine, zone circoscritte in cui la densità di energia risulta essere, a causa di diversi fattori (compresi quelli che abbiamo accennato), molto superiore alla media.
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funzionamento del dispositivo (anche per evitare che lo stesso non sia in grado di eseguire il suo lavoro e quindi si danneggi25), ridurre le sorgenti di calore nelle stanze. Per questo ultimo punto, va considerato ad esempio che una normale lampada ad incandescenza ha un rendimento luminoso che non supera in media il 5%, quindi gran parte dell’energia che assorbe va “persa” sotto forma di calore senza per questo averne benefici consistenti in termini di luminosità. Se ad esempio consideriamo una lampada da 100W, questa produce 5 W associati a luce visibile e 95 W per radiazioni di cui al nostro occhio non può interessare di meno (principalmente nel range dell’infrarosso e, per percentuali trascurabili, nell’ultravioletto). A tal proposito, si ricorda che coerentemente alla legge di Stefan‐Boltzmann la potenza irradiata da una sorgente a temperatura T è pari a · · in cui è la costante di Boltzmann ed è l’emissività; inoltre, per la legge di Wienn la relazione tra lunghezza d’onda del picco di un'emissione da parte di un corpo nero e la sua temperatura è data da pari a circa: 2.89 · 10
con b costante e
· .
Quindi, se si considera che in una lampadina Range del visibile ad incandescenza il tungsteno raggiunge temperature ci circa 2700 K, si vede che il picco di energia trasmessa si ha per lunghezze d’onda pari a 1.05 · 10 , cioè nel campo dell’infrarosso. La luce visibile, invece, ha lunghezze d’onda che variano tra i 400 e i 700 nanometri: se analizziamo quindi la distribuzione della potenza irradiata in funzione della lunghezza d’onda (Fig. 8) ci rendiamo subito conto che la potenza emessa Figura 8 nel range del visibile è realmente poca, quasi trascurabile rispetto a quella emessa nell’infrarosso che ne rappresenta quasi la totalità, il che spiega il basso rendimento luminoso delle lampadine al tungsteno ed il conseguente eccessivo riscaldamento. Una soluzione adeguata a questo problema consiste sicuramente nell’impiego di lampade di diverso tipo: in particolare le lampade a scarica che hanno un’efficienza luminosa del 25%, oppure quelle a LED che superano anche il 50 % di rendimento26.
25
Sarà bene dire agli studenti che il condizionatore è controreazionato sulla temperatura che misura nell’ambiente in cui è posto. 26 Riferimento: http://it.wikipedia.org/wiki/Lampadina.
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