Provincia di Ancona. VIOLENZA DI GENERE CONTRO LE DONNE E I MINORI.
METODOLOGIA DI INTERVENTO E RISPOSTE DELLE ISTITUZIONI. A cura di ...
Provincia di Ancona
VIOLENZA DI GENERE CONTRO LE DONNE E I MINORI. METODOLOGIA DI INTERVENTO E RISPOSTE DELLE ISTITUZIONI A cura di Pina Ferraro Numerose sono le raccomandazioni e le norme internazionali che nel corso degli ultimi cinquanta anni, a partire dalle conferenze mondiali delle donne, hanno ribadito che i diritti delle donne e delle bambine sono parte integrante, inalienabile e indivisibile
dei diritti umani universali, come recita la
risoluzione della Conferenza di Vienna del 1993. Potrebbe sembrare un concetto apparentemente ovvio, ma ci sono voluti quasi cinquanta anni dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, perché esso venisse formulato con chiarezza. In Italia per definire i diritti universali degli esseri umani, tanti usano ancora l’espressione diritti dell’uomo, come se le donne fossero solo una sottocategoria della categoria umana principale, declinata al maschile. La scelta di utilizzare un punto di vista di genere nel dibattito sui diritti umani, e soprattutto nell’azione per applicarli, nasce proprio in risposta a questi interrogativi, e per andare oltre. L'uguaglianza è il fondamento di ogni società che aspiri alla democrazia, alla giustizia sociale e ai diritti umani. Tuttavia, nella realtà in tutte le società e in tutti gli ambiti di attività, le donne sono soggette a disuguaglianze giuridiche ma, soprattutto, di fatto. Questa situazione è causata e aggravata dall'esistenza di discriminazioni all'interno della famiglia, delle comunità e dei luoghi di lavoro. Se le cause e le conseguenze variano da paese a paese, la discriminazione nei confronti delle donne è, comunque, largamente diffusa ed è perpetuata dalla sopravvivenza di stereotipi e tradizioni che tendono a riprodursi. Uno degli aspetti più rilevanti della discriminazione di genere, riguarda la violenza di genere, così come definita dall’ONU nel 1993, che è l’oggetto di studio della presente tesi. Lo studio e l’analisi del fenomeno della violenza sulle donne, nonché delle sue conseguenze, ha raggiunto in Italia un’elevata attenzione da parte della comunità scientifica, delle istituzioni e, soprattutto, da parte di soggetti più direttamente coinvolti (Centri antiviolenza e case di accoglienza). Nel corso degli ultimi dieci anni, infatti, numerose sono state le indagini statistiche (in particolare dell’Istat) e le ricerche nazionali che hanno definito un quadro chiaro sull’entità del fenomeno e sulle sue conseguenze, per le stesse vittime, per i loro figli e, in generale, per l’intera società, su cui grava l’onere di fronteggiare un fenomeno che mette in crisi l’organizzazione tradizionale dei servizi e la preparazione del personale ivi operante. La violenza contro le donne è un fenomeno multidimensionale e necessita, per un’adeguata presa in carico, di una formazione specializzata, che implica l’assunzione
di un approccio di genere ma,
soprattutto, una modalità organizzativa che metta in primo piano il lavoro di rete e la sua specifica modalità di intervento.
Provincia di Ancona Una donna che subisce violenza, secondo quanto ci dicono le analisi fornite dai centri antiviolenza, prima che si decida a chiedere aiuto all’esterno, mediamente fa passare sette anni. In questo periodo, la vittima prova di tutto per far cessare la violenza (a volte anche la separazione, senza successo e, spesso, piuttosto con un aumento della violenza subita), chiedendo aiuto alla rete familiare, agli amici e talora anche agli avvocati o all’ufficio denunce. A volte, però, le risposte ricevute hanno l’effetto opposto di ricacciarla nel maltrattamento per varie ragioni: perché non ottiene le informazioni necessarie sull’iter da compiere e sulle risorse cui può attingere, prima fra tutti la presenza di un centro antiviolenza nel proprio territorio; perché non è stata messa in condizione di usufruire dei propri diritti o magari perché non è stata creduta. Nei casi “più fortunati” trova un’operatrice molto pragmatica che, mettendo in campo tutte le energie a sua disposizione, le trova un alloggio in una struttura di ospitalità (che però quasi sempre accoglie donne con problemi di ogni genere – tossicodipendenti, malate di mente, prostitute, ecc.), allontanandola dal proprio maltrattante con l’idea che ciò possa essere risolutivo della situazione problematica. Ciò che avviene nella quasi totalità dei casi, però, è che queste donne, nell’arco di qualche giorno, ricontattano il marito chiedendogli di voler ritornare a casa (magari di nascosto), rendendo vano il tentativo di sottrarsi ad altri maltrattamenti e mettendo sempre più a rischio la propria credibilità e, ancor peggio, la propria vita. Che cosa succede a queste donne? Dobbiamo veramente definirle masochiste? E l’operatrice che ha messo in campo ogni energia come reagirà alla prossima richiesta di aiuto e come si sentirà rispetto alla propria dimensione professionale? Inoltre, qual è l’approccio più idoneo a supportare le donne vittime di violenza di genere e i propri figli? Qual è il modello organizzativo che meglio risponde a tale esigenza e che può produrre un netto calo della violenza contro le donne, attraverso un’azione preventiva e coordinata? Queste sono le domande che faranno da cornice di riferimento a questo lavoro di riflessione e analisi. Riflessione che parte dalla mia esperienza personale e professionale nell’attività di contrasto alla violenza contro le donne e i minori, attraverso la partecipazione alle due indagini nazionali del Progetto Pilota “Rete Antiviolenza tra le città Urban d’Italia” (1999-2001 e 2003-2004), l’ideazione e l’attivazione del centro antiviolenza Thamaia, la successiva gestione della casa rifugio ad indirizzo segreto “Casa Miral”, l’implementazione della rete antiviolenza, sorta con il progetto prima citato, oggi rete antiviolenza del distretto socio sanitario D16 e del Comune di Randazzo - che mi ha vista impegnata in qualità di referente locale - l’attività di formazione specializzata fornita agli operatori e alle operatrici territoriali e, infine, non meno importante l’esperienza professionale, in qualità di assistente sociale coordinatrice, presso la Questura di Catania, ove ho tenacemente voluto e contribuito alla progettazione e creazione di
Provincia di Ancona un servizio specializzato - “Servizio Sociale Professionale” - al fine di rispondere in maniera più adeguata e multidisciplinare alle richieste di aiuto che pervengono agli uffici di polizia, in particolar modo da parte delle donne vittime di violenza di genere. In tutti questi anni, attraverso l’esperienza sul campo e il confronto con altre realtà, sia nazionali sia internazionali, e le ricerche finora condotte ciò che emerge con estrema chiarezza è la necessità di lavorare in un’ottica di rete, se si vuole contrastare efficacemente la violenza di genere contro le donne. Tutte le raccomandazioni europee, ma anche quelle internazionali, indicano come approccio adeguato alla lotta contro la violenza di genere, quello della condivisione dei percorsi di fuori uscita dalla violenza: il lavoro di rete. Del resto, il progetto pilota prima citato, poneva come base per qualunque azione da porre in atto, proprio la rete antiviolenza definendone, in tal senso, anche il nome del progetto stesso (Rete antiviolenza tra le città Urban d’Italia). Tale progetto pilota ha rappresentato un vero punto di svolta nell’acquisizione di strumenti di conoscenza sulla genesi e il retroterra del fenomeno della violenza contro le donne. La ricerca coniugava l’aspetto conoscitivo con la necessità di dare rilevanza sociale al fenomeno della violenza sulle donne. L’obiettivo era focalizzato sull’acquisizione di strumenti di conoscenza e di definizione di indicatori orientati dalle culture di genere, per la rilevazione delle fenomenologie della violenza sulle donne e nella famiglia, al fine di programmare interventi locali. Inoltre, il progetto aveva come obiettivo la promozione della cultura di rete locale tra servizi, come metodologia di lavoro sui temi della violenza verso le donne. La Rete antiviolenza costituisce un input, che permette di osservare il contesto sociale di appartenenza e progettare nuove tattiche per il contrasto della violenza contro le donne. Le esperienze di molte realtà locali e la letteratura degli ultimi anni hanno messo in luce come una funzione essenziale dei servizi socio-assistenziali – e in particolar modo dei servizi specializzati sulla violenza di genere – debba essere la promozione di una “rete” di soggetti e risorse, che possono interagire con i problemi del territorio e con le persone in difficoltà. Questo è il terreno di azione in cui deve sapersi esprimere il lavoro professionale degli operatori e delle operatrici del territorio, nel momento in cui ci si prende carico di una situazione di violenza contro le donne ed i minori. Offrire alla società una nuova lettura del fenomeno è un compito arduo affidato alle operatrici del centro antiviolenza che, mediante il lavoro di rete, pongono in essere nuove tipologie di azione finalizzate alla presa di coscienza sociale della violenza, che non è assimilabile ai fenomeni di devianza e povertà, ma è il frutto estremo di uno squilibrio tra i sessi. Di fronte a questo crimine sociale la Rete, coadiuvata dalle varie istituzioni che la compongono, mette in atto azioni coordinate e condivise volte alla tutela sociale della donna, al fine di ricreare un
Provincia di Ancona ulteriore reticolo di relazioni positive per garantire, dopo un percorso ad hoc, un suo reinserimento sociale. Ciò che si vuole far emergere con chiarezza è che la sfida da assumere in tema di lotta alla violenza di genere non può essere che l’approccio di rete, già sperimentato con successo in molte città italiane e non solo. Nessuna donna sceglie la violenza. Essere costrette ad affrontare il trauma o le sventure che la vita ci pone innanzi richiede un enorme investimento di energie e induce ad acrobazie impensate a tutti i livelli. Il fatto che esiste una “rete” - di cui il centro antiviolenza rappresenta una risorsa di fondamentale importanza – su cui poter fare affidamento, può produrre una differenza importante, può impedire talvolta che una situazione di violenza si trasformi in una morte annunciata, più o meno tempestivamente1.
1
Creazzo G., Affrontare la violenza alle radici. 15 anni di storia della casa delle donne contro la Violenza di Modena”, 2010, Editografica.