LA FIGURA UMANA NELL'ARTE - Loescher Editore

346 downloads 150 Views 7MB Size Report
ternate nel corso della storia dell'arte: quella realistica, quella idealizzante e quella espressiva. ...... le quella dell'arte del Rinascimento rispetto alla tradizione.
LA FIGURA UMANA NELL’ARTE Conoscenze • la figura umana nelle opere d’arte • il corpo tra bellezza e deformità

Tra realismo, idealizzazione e deformazione espressiva La riproduzione del corpo dell’uomo ha sempre comportato notevoli difficoltà tecniche per gli artisti, poiché tale soggetto è caratterizzato da una grande varietà di forme, proporzioni e atteggiamenti. Per facilitare la rappresentazione della figura umana, gli artisti hanno elaborato griglie geometriche e canoni (insiemi di regole), in modo da individuare i rapporti matematici e proporzionali che legano tra loro le varie parti del corpo. Questi sistemi di rappresentazione rispecchiano le caratteristiche di fondo dello stile e della cultura del tempo in cui sono stati sviluppati. Di conseguenza, l’analisi di tali sistemi ci permette di comprendere come l’uomo in ogni epoca o cultura abbia considerato se stesso e il proprio ruolo nella storia.

1 Edgar Degas, Ballerina di quattordici anni, 1881, statua in bronzo con nastro e decorazione in tulle (Parigi, Musée d’Orsay).

Tra le infinite rielaborazioni della figura umana sperimentate dagli artisti, è possibile individuare almeno tre tendenze fondamentali che si sono alternate nel corso della storia dell’arte: quella realistica, quella idealizzante e quella espressiva.

2 Duane Hanson, Queenie, bronzo policromato e materiali misti, 1995 (Coll. privata).

Gli artisti che si rifanno alla tendenza realistica partono dall’osservazione della realtà, che cercano di riprodurre in modo fedele, evitando generalmente di abbellire o nobilitare i loro soggetti. La riproduzione esatta del vero, pur avendo costituito assai raramente un obiettivo per gli artisti, è stata raggiunta in epoche diverse con esiti particolarmente efficaci. Essa esprime generalmente l’intenzione di descrivere una particolare realtà sociale e culturale, come è avvenuto, ad esempio, nei dipinti di Caravaggio, di molti altri artisti del Seicento e nelle opere del naturalismo ottocentesco (fig. 1). Il massimo livello di fedeltà al vero è stato però raggiunto, a partire dagli anni Settanta del Novecento, dagli iperrealisti americani, che hanno realizzato sculture a tutto tondo raffiguranti esseri umani talmente simili al loro modello da risultare sconcertanti. In alcuni casi, tale perfetta imitazione della realtà ha voluto esprimere anche una forte critica alla società contemporanea (fig. 2).

1

Gli artisti, però, hanno spesso preferito rielaborare le forme e le proporzioni delle figure umane che potevano osservare nella quotidianità, al fine di esprimere la loro particolare concezione del mondo, piuttosto che riprodurle in modo fedele. Infatti, nelle opere riconducibili alla tendenza idealizzante, l’artista presta solitamente scarsa attenzione alle particolarità del singolo individuo o ai suoi caratteri somatici, e rappresenta figure schematiche, geometrizzate nelle forme e negli atteggiamenti, per comunicare attraverso di esse dei contenuti o dei significati simbolici. In alcune fasi della storia, il corpo umano è stato perciò rappresentato utilizzando degli schemi geometrici, atti anche a semplificare il lavoro del2

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

1

Risorse online l’artista: essi permettono, come nel caso dell’arte dell’antico Egitto e di quella bizantina e medievale, di costruire con facilità le figure, senza studiarne le proporzioni e le forme reali, e di esprimere così la loro lontananza dalla realtà quotidiana (fig. 3). In altre fasi della storia dell’arte, quali l’età classica greca (fig. 4), il Rinascimento italiano e il Neoclassicismo, gli artisti sono invece partiti dallo studio dei corpi reali per giungere alla rappresentazione di figure umane idealizzate grazie all’aiuto di canoni basati su rapporti proporzionali armonici. Queste figure, se da una parte sono caratterizzate dal naturalismo che deriva dall’osservazione diretta della realtà, dall’altra sono ricondotte a forme ideali, regolari, ottenute geometrizzando e perfezionando le forme presenti in natura. Artisti come Policleto, Fidia, Leonardo e Michelangelo (fig. 5) hanno infatti dato vita a opere caratterizzate da una forma di «naturalismo idealizzato», ossia da un grande equilibrio tra naturalismo e astrazione delle forme.

3

3 Micerino tra la dea Hathor e un'altra divinità, IV dinastia, scisto grigio, h 92,5 cm (Il Cairo, Museo Egizio).

4 Bronzo di Riace, Guerriero B, 450 a.C., bronzo, h 198 cm (Reggio Calabria, Museo Archeologico Nazionale).

5 Michelangelo, Bacco e giovane satiro, 1496-97, marmo, h 2,03 m con la base (Firenze, Museo Nazionale del Bargello). 2

4

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

5

LA FIGURA UMANA NELL’ARTE

L’uomo, considerato l’elemento centrale della cultura classica e rinascimentale, è divenuto un modello della perfezione dell’universo, un microcosmo simbolo del macrocosmo. La tendenza espressiva, anch’essa presente in diverse epoche storiche, si manifesta attraverso l’indagine dei gesti e delle espressioni delle figure rappresentate, ma soprattutto attraverso la deformazione dei corpi, che vengono allungati, distorti, disintegrati, disarticolati, alterati nelle loro proporzioni. Tale tendenza si è sviluppata soprattutto nel corso del Novecento, quando i canoni classici di bellezza hanno perso importanza e la rappresentazione della realtà è divenuta più soggettiva. Le distorsioni e le deformazioni della figura umana sono state utilizzate in particolare dagli espressionisti, ai quali sono servite per comunicare sentimenti e pensieri personali (fig. 6); ma sono state compiute anche da molti altri artisti, come Modigliani, Picasso (fig. 7) e Giacometti (fig. 8).

7

6

6 Egon Schiele, Autoritratto nudo, 1910, gouache, acquarello, matita e bianco coprente, 55,8x36,9 cm (Vienna, Graphische Sammlung Albertina). La mancanza di sfondo fa risaltare i contorni spigolosi della figura, che non è più una riproduzione del vero,

bensì l’espressione dei sentimenti e delle sensazioni dell’artista. Nel 1911 Schiele scrisse in una lettera: «Quando mi guardo, mi sento costretto a guardarmi anche interiormente e a scoprire che cosa voglio, che cosa avviene in me».

7 Pablo Picasso, Testa di donna, 1932 (New York, Museum of Modern Art). 8 Alberto Giacometti, Venezia II, 1956, bronzo (Anversa, Middelheimmuseum). Le figure umane di Giacometti sono caratterizzate da una forma estremamente allungata. 8

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

3

Risorse online Attraverso le opere d’arte

La figura umana idealizzata nell’arte egizia Per realizzare dipinti e statue dalle sembianze umane, gli artisti dell’antico Egitto seguivano regole compositive piuttosto schematiche. Le figure così rappresentate avevano una funzione magico-religiosa.

9 Il faraone Chefren, 2540 a.C. circa, diorite, visione frontale (a) e laterale (b) (Il Cairo, Museo Egizio).

9b 9a

4

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

LA FIGURA UMANA NELL’ARTE

Il faraone Chefren La statua qui analizzata raffigura il faraone Chefren seduto in trono e risale al periodo dell’Antico Regno (2540-2505 a.C.). Alta 168 cm, quindi di dimensioni pressoché naturali, fu realizzata con una pietra molto dura, la diorite, secondo la tecnica della «scultura a togliere». 1. In quale atteggiamento è rappresentato il faraone? L’atteggiamento del faraone non tradisce alcuna emozione e il suo sguardo, rivolto lontano, esprime la sicurezza fondata sulla propria potenza e superiorità. Egli non è rappresentato come un uomo qualunque: il suo ritratto, pur risultando riconoscibile dai suoi sudditi, appare idealizzato, cioè reso perfetto nelle forme, privato di difetti, irregolarità e dettagli (come, ad esempio, le rughe e le pupille). 2. In che modo è impostata la composizione e che tipo di modellato descrive le forme del soggetto? Vista di fronte, la statua è perfettamente simmetrica rispetto all’asse verticale (fig. 10); i piedi e le gambe sono allineati, le braccia aderiscono al corpo e si piegano poggiando sulle gambe. La figura, che appare immobile, è realizzata con volumi massicci e compatti, piuttosto squadrati e dalla superficie perfettamente levigata. 3. Quali elementi simbolici si possono individuare? Questa scultura, apparentemente semplicissima, è in realtà ricca di attributi simbolici. Ad esempio, il nemes, copricapo ti-

pico dei faraoni, permette di individuare il rango del soggetto raffigurato, mentre il motivo sul fianco del trono simboleggia l’unione dell’Alto e del Basso Egitto. Sulle spalle del sovrano, inoltre, è scolpito il falco, simbolo del dio Horus, che con le ali aperte protegge Chefren: la testa del dio sovrasta leggermente quella del faraone, ma questo particolare si nota solo se la visione non è perfettamente frontale.

La rappresentazione del potere La statua del faraone era anticamente collocata in un ambiente chiuso, all’interno di un tempio che faceva parte del complesso funerario della piramide di Chefren (fig. 11). Un lucernario, posto esattamente sopra la scultura, faceva piovere dall’alto la luce, che si rifletteva sul pavimento lucido di alabastro creando un effetto scenografico molto suggestivo. L’immagine idealizzata del sovrano, rappresentato come una divinità più che come un uomo, doveva essere per i sudditi come un’apparizione miracolosa. L’aspetto complessivo di quest’opera, come di molte altre statue raffiguranti i faraoni, intendeva produrre nell’osservatore un senso di soggezione e doveva dargli l’impressione di trovarsi di fronte a un essere superiore, la cui autorità fosse eterna e immutabile: gli artisti egizi rappresentavano proprio questo immenso potere capace di andare persino oltre la morte. Anche le regole della rappresentazione dovevano perciò essere immutabili ed eliminare qualsiasi riferimento a un momento preciso del tempo.

10

10 Il disegno evidenzia l’asse di simmetria della statua.

11 La grande sfinge fatta erigere a Giza dal faraone Chefren davanti alla sua piramide. 11

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

5

Risorse online Attraverso le opere d’arte La funzione magico-religiosa delle immagini Molte statue egizie, originariamente collocate nelle tombe, ci forniscono ritratti abbastanza fedeli degli antichi proprietari. La somiglianza era importante, in quanto queste raffigurazioni dovevano essere riconosciute dall’anima del defunto: nella concezione egizia, infatti, per poter vivere nell’aldilà, l’anima doveva ricongiungersi al proprio corpo o a una sua immagine. Per conservare i corpi fu perfezionato nel tempo il complicato procedimento dell’imbalsamazione. La mummia, sul cui volto veniva posta una maschera che ne riproduceva i lineamenti, era collocata in un sarcofago. Spesso si ponevano più sarcofagi uno dentro l’altro, interamente ornati di iscrizioni e raffigurazioni, che formavano preghiere per aiutare il passaggio all’altra vita. Se nonostante tutti gli accorgimenti il corpo non si fosse conservato, il ritratto del defunto lo avrebbe sostituito.

Nelle tombe venivano poste anche statuette raffiguranti artigiani, pescatori, contadini, soldati e scribi, intenti a compiere i gesti semplici e naturali dei lavori quotidiani (fig. 12). Queste figure sono realistiche e perciò molto distanti dalle statue-ritratto dell’arte ufficiale e celebrativa. Le loro posizioni, infatti, non sono statiche e rigide, e le loro forme non appaiono geometrizzate. Soggetti e temi tratti dalla vita di tutti i giorni erano rappresentati anche nei bassorilievi e nei dipinti che decoravano le pareti delle tombe. Il defunto e i suoi familiari vi erano ritratti ora di fronte a cibo e bevande, ora intenti a sorvegliare i loro servi, ora durante la pesca o la caccia (fig. 13). Nella tomba doveva essere raffigurato tutto ciò che serviva normalmente nella vita quotidiana, compresi servi e schiavi. Gli Egizi pensavano infatti che, attraverso la rappresentazione della vita, se ne assicurasse il perpetuarsi nell’aldilà. Le immagini avevano quindi una funzione magica.

12 Statuetta raffigurante uno schiavo che macina i cereali (Firenze, Museo Archeologico).

12

14

13 Nemabon a caccia di uccelli,

14 Statua del faraone Sesostris

dipinto realizzato sulla parete di una tomba presso Tebe, 1400 a.C. circa (Londra, British Museum).

in trono, 1971-29 a.C. (Il Cairo, Museo Egizio). La figura è statica e in posizione simmetrica.

13

6

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

LA FIGURA UMANA NELL’ARTE

Le regole per la rappresentazione della figura umana Confrontando la statua di Chefren con quella di Sesostris (fig. 14) è possibile notare che sono molto simili, sebbene tra queste opere intercorrano centinaia di anni. Il modo di raffigurare il faraone, infatti, segue regole fisse e quasi immutabili: la composizione è normalmente simmetrica e statica e, quando la figura è in piedi, l’unico accenno di movimento è la gamba sinistra spostata in avanti. Gli artisti utilizzavano generalmente un blocco di pietra a forma di parallelepipedo e, dopo avere tracciato sopra di esso una griglia quadrettata, procedevano prima al disegno del soggetto sulle varie facce, poi alla scultura vera e propria. È possibile individuare anche le convenzioni, ossia le regole, a cui gli artisti si attenevano per rappresentare la realtà nei dipinti e nei rilievi. Osservando, ad esempio, il rilievo raffigurante il faraone Akhenaton con la sua famiglia (fig. 15), si può notare che la figura più grande è quella più importante (il faraone), mentre i suoi familiari hanno dimensioni via via più piccole. Nell’arte egizia le dimensioni delle figure variavano quindi in base a un ordine gerarchico, cioè in ordine di importanza sociale. A causa del valore magico dell’immagine, la preoccupazione principale degli artisti era quella di rappresentare tutte le par-

ti del corpo nel modo più completo e caratteristico. Per questo motivo la testa veniva riprodotta di profilo e l’occhio era raffigurato di fronte; anche le spalle erano viste di fronte, per evitare il problema dello scorcio e per poter disegnare entrambe le braccia; le gambe, invece, erano disegnate di profilo in modo da rappresentare agevolmente i piedi e il movimento attraverso passi più o meno ampi (fig. 16). Inoltre, la pelle delle figure femminili veniva spesso colorata con una tinta più chiara rispetto al rosso bruno utilizzato per gli uomini. Per dare le giuste proporzioni alle varie parti del corpo, gli artisti si servivano di schemi quadrettati (fig. 17). L’altezza corrispondeva generalmente a 22 quadretti. Le dimensioni di ogni parte del corpo (braccia, gambe e così via) erano stabilite moltiplicando per un determinato numero di volte il modulo, ossia il quadretto di base. I pittori non erano interessati alla riproduzione fedele del vero: generalmente, infatti, utilizzavano campiture di colori piatti (senza chiaroscuro), ben definiti da una linea di contorno. Inoltre non rappresentavano mai cose lontane insieme ad altre più vicine: tutto era sullo stesso piano di profondità. Le regole e gli schemi riguardavano il disegno della figura umana ed erano applicati sia alle opere celebrative sia a quelle di carattere privato. Le rappresentazioni dell’ambiente e degli animali erano invece assai vivaci e realistiche, al punto di poterne ancora oggi distinguere con facilità le specie.

15

17

15 Frammento di un rilievo a incavo raffigurante il faraone Akhenaton e la sua famiglia, XVIII dinastia (Il Cairo, Museo Egizio).

16 Il dipinto, ritrovato

17 Schema per

in una tomba, raffigura il faraone Ramses III.

la rappresentazione della figura umana.

16

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

7

Risorse online Attraverso le opere d’arte

L’uomo, il protagonista assoluto dell’arte greca A partire dalla fine del VII secolo a.C. furono scolpite dagli artisti greci numerose statue a tutto tondo che rappresentavano giovani uomini dal fisico atletico. Tali raffigurazioni subirono notevoli trasformazioni nell’arco di circa tre secoli.

18

19

20

18 Koúros del Sunio, 610 a.C.,

19 Koúros dell’Attica, Aristodikos,

20 Policleto, Doriforo, 450 a.C.

statua in marmo a tutto tondo, h 340 cm (Atene, Museo Archeologico Nazionale).

500 a.C., statua in marmo a tutto tondo, h 195 cm (Atene, Museo Archeologico Nazionale).

circa, copia romana in marmo di un originale in bronzo, h 212 cm (Napoli, Museo Nazionale).

8

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

LA FIGURA UMANA NELL’ARTE

Koúros del Sunio

Il Doriforo di Policleto

1. Che cosa rappresenta questa statua? La statua rappresenta un soggetto tipico della statuaria greca arcaica, un koúros, ossia un giovane ignudo. Si tratta di una statua votiva, offerta alla divinità in segno di devozione.

1. Che cosa rappresenta questa statua? L’opera è una copia romana del Doriforo o «portatore di lancia». L’arma, che si trovava nella mano sinistra, è andata perduta. Grazie a una serie di documenti conosciamo anche il nome dell’autore: si tratta di Policleto di Argo, un importante scultore dell’età classica. La statua è divenuta il simbolo stesso di quest’epoca, poiché costituisce una perfetta sintesi degli ideali classici.

2. La composizione appare simmetrica? La statua vista di fronte è perfettamente simmetrica rispetto all’asse verticale; le braccia aderiscono al corpo, mentre una gamba è leggermente avanzata rispetto all’altra secondo l’antico modello egizio. 3. Che tipo di modellato definisce le forme del corpo? Le forme sono semplificate, volumetriche, nettamente definite da solchi ben evidenti, ad esempio sul busto, dove disegnano un rombo che ha il centro nell’ombelico. L’artista ha rinunciato a modellare la muscolatura, geometrizzando i volumi e dando importanza alla linea che demarca le masse del corpo. La testa, grande e triangolare, ha occhi dallo sguardo fisso, la capigliatura è formata da ciocche disposte in riccioli regolari e simmetrici, mentre gli angoli della bocca leggermente sollevati formano il tipico sorriso delle statue arcaiche. 3. La statua appare spontanea e naturale nell’atteggiamento? L’essenzialità dei volumi e la simmetria compositiva conferiscono alla statua un aspetto astratto e un senso di immobilità innaturale.

Koúros dell’Attica 1. Che cosa rappresenta questa statua? La statua, risalente alla fine del periodo arcaico, rappresenta un koúros, come l’opera precedente. Tuttavia un’iscrizione con il nome Aristodikos ci permette di dedurre che, in questo caso, si tratta probabilmente della statua funeraria di un giovane di famiglia nobile. 2. La composizione appare simmetrica? La composizione è simmetrica rispetto all’asse verticale, anche se, rispetto al Koúros del Sunio, il giovane uomo possiede una maggiore naturalezza suggerita dalla posizione della braccia, leggermente piegate e staccate dal busto, e dalle forme del corpo, ispirate a modelli reali. 3. Che tipo di modellato definisce le forme del corpo? La figura appare ben tornita e modellata; le linee incise sul corpo sono scomparse per lasciare il posto alla modellazione plastica dei volumi. Confrontando, ad esempio, le ginocchia con quelle della figura 18, appare evidente che nel Koúros dell’Attica gli studi anatomici hanno permesso di riprodurre la rotula e i muscoli ad essa collegati in modo più realistico. La testa è piuttosto piccola e ovale. 4. La statua appare spontanea e naturale nell’atteggiamento? La figura appare più slanciata ed elegante, più naturale e viva della precedente, anche se è ancora schematica e rigida.

2. La composizione appare simmetrica? La composizione è molto equilibrata, anche se non è rigidamente simmetrica, poiché Policleto, partendo dall’osservazione diretta della realtà, ha rappresentato il suo soggetto con il peso del corpo appoggiato su una sola gamba. La gamba sinistra rimane così a riposo, leggermente arretrata e piegata, mentre la destra è in tensione. Il braccio sinistro sopporta il peso della lancia, mentre il destro è a riposo in un rapporto inverso a quello delle gambe. Lo spostamento del peso su una sola gamba provoca una naturale inclinazione del bacino, che a sua volta determina l’incurvarsi della colonna vertebrale e l’inclinazione delle spalle. Anche la testa, leggermente ruotata verso destra, contribuisce ad accentuare la naturalezza e il senso di movimento della figura. Questa particolare posizione del corpo, detta «ponderazione» (ponderatio), suggerisce un forte senso di equilibrio dinamico, non statico come quello generato dalla simmetria. 3. Che tipo di modellato definisce le forme del corpo? Le forme sono ben modellate e dettagliate. La statua nel suo complesso appare molto naturale. Policleto studiò le proporzioni del corpo umano, ossia le dimensioni delle singole parti (testa, naso, dita, mani, piedi e così via) rispetto al corpo nel suo insieme. Egli quindi prese la testa come unità di misura (che secondo i suoi studi doveva essere pari a un ottavo dell’altezza complessiva della figura) e ricavò un canone proporzionale, ossia una serie di rapporti matematici che, in base alla grandezza della testa, stabilivano le dimensioni del corpo intero e delle sue parti. 4. La statua appare spontanea e naturale nell’atteggiamento? Questa statua, che pare incedere con passo regolare, appare decisamente più naturale e viva delle precedenti, grazie alla ponderazione, al corretto studio delle proporzioni e alla perfetta modellazione del corpo.

La rappresentazione dei corpi atletici A partire dall’età arcaica gli artisti non intesero ritrarre i singoli individui, ma figure umane – generalmente giovani ignudi dai corpi atletici – che costituivano un modello di perfezione, di bellezza e di regolarità. Anche nella vita quotidiana i giovani appartenenti alle classi sociali benestanti venivano educati alla pratica della palestra. In questo modo il loro cor-

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

9

Risorse online Attraverso le opere d’arte po veniva non solo preparato per le gare atletiche e rafforzato in vista dei combattimenti, ma anche modellato in forme armoniche, simili a quelle raffigurate dagli scultori. Gli atleti migliori avevano il diritto di far erigere statue che li rappresentavano nei santuari presso i quali avevano conseguito la vittoria: essi erano considerati veri e propri eroi, apprezzati, oltre che per la loro capacità fisica, per la loro intelligenza, una dote considerata indispensabile per prevalere sugli avversari. Gli artisti greci utilizzavano sempre le stesse regole compositive e proporzionali (canoni), sia che rappresentassero le divinità, i defunti, gli eroi o gli atleti vincitori. I soggetti delle opere venivano ulteriormente generalizzati attraverso la nudità (fig. 21), a differenza di quanto avveniva nelle civiltà coeve, dove abiti, copricapi e ogni altro elemento riprodotto caratterizzavano l’individuo rappresentato, o almeno permettevano di riconoscerne il ruolo politico, religioso e militare, oppure la classe sociale di appartenenza. La donna, che aveva un ruolo inferiore nella società ed era esclusa dai diritti civili, veniva rappresentata anch’essa giovane e stante, ma vestita con una lunga tunica, il peplo, che nella maggior parte dei casi lasciava intravedere le forme perfette e armoniose del suo corpo (fig. 22).

Il corpo idealizzato: dimostrazione di armonia ed equilibrio I canoni elaborati dagli scultori per rappresentare la bellezza ideale del corpo umano si modificarono nel corso del tempo ad opera delle diverse personalità artistiche. Partendo dalle ricerche degli scultori dell’età arcaica, Policleto, Fidia e altri artisti dell’età classica raggiunsero un mirabile equilibrio tra le forme astratte e geometriche più antiche e quelle naturalistiche derivanti dall’osservazione diretta della realtà. In tal modo diedero vita a statue che ancora oggi si distinguono per il grande senso della misura, per la perfezione del modellato, per l’armonia e la vitalità della composizione. Per realizzare opere raffiguranti uomini ideali, perfetti, gli scultori greci fusero insieme diverse parti che, in natura, avevano osservato in corpi differenti, e con ciò ottennero immagini che erano il chiaro esempio dell’ordine e dell’armonia dell’universo. Anche le espressioni dei volti si modificarono e passarono dal sorriso tipico delle statue dell’età arcaica alle espressioni serene e imperturbabili dell’età classica, descritte con grande efficacia nell’Ottocento da Winckelmann: «Come gli abissi

fare fondo bianco

21 Calamide

22 Kóre n. 675,

(attribuito a), Zeus o Poseidon di capo Artemision, 460 a.C. circa, bronzo, h 209 cm (Atene, Museo Archeologico Nazionale).

520 a.C. circa, marmo (Atene, Museo dell’Acropoli). Il nudo era riservato all’uomo, considerato molto più importante della donna, mentre le statue di soggetto femminile, le kórai, erano sempre raffigurate vestite. Le statue di marmo venivano generalmente vivacizzate con l’uso dei colori.

21

10

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

22

LA FIGURA UMANA NELL’ARTE

del mare rimangono calmi per quanto sia agitata la superficie, così nelle figure greche l’espressione, anche nel tumulto delle passioni, manifesta un’anima grande e imperturbabile» (fig. 23). Le opere di Fidia, modellate con forme plastiche vive e armoniose, sono quelle che meglio rappresentano il netto distacco della scultura classica dai volumi rigidi, semplici e geometrizzati delle statue arcaiche (fig. 24).

L’uomo al centro della cultura greca classica Nella cultura greca l’arte, la letteratura e la filosofia posero sempre l’uomo al centro delle loro ricerche. Anche le divinità erano antropomorfe, avevano cioè forma umana, ed erano simili all’uomo per le loro debolezze, le loro paure e i loro amori. D’altra parte gli uomini, anche se mortali, possedevano qualità quali l’intelligenza e il coraggio che li avvicinava-

no alle divinità. La comunità degli dèi, che nei racconti mitologici abitava sull’Olimpo (il monte più alto della Grecia), costituiva un mondo ideale a cui doveva ispirarsi tutta la società greca. L’umanità creata dalle menti di poeti, filosofi e artisti, fatta di uomini perfetti e ideali, ma nello stesso tempo simile a quella reale, costituiva il modello a cui ogni mortale doveva tendere. La bellezza ideale delle statue dell’età classica non fu solo il frutto delle ricerche degli artisti, ma anche il prodotto della situazione particolarmente felice in cui versava la civiltà greca tra il V e il IV secolo a.C. In quel periodo, infatti, fiorirono le attività economiche e si svilupparono le polis, città-stato in cui gli uomini liberi discutevano, mediante pubblici dibattiti, questioni di interesse generale. In questo contesto il ruolo degli artisti, incaricati dalle polis di realizzare opere per l’intera cittadinanza, fu di trasmettere gli ideali di equilibrio, armonia e razionalità sui quali si basava lo sviluppo politico della società greca.

23

23 Testa di Apollo tipo Kassel,

24 Fidia, particolare del fregio

secolo, copia romana in marmo di un originale greco del V secolo (Parigi, Musée du Louvre).

del Partenone con la processione delle Panatenee, 440 a.C. (Atene, Museo dell’Acropoli).

II

24

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

11

Risorse online Attraverso le opere d’arte

Il progressivo interesse per il naturalismo nella pittura medievale Tra il Duecento e il Trecento l’uomo fu uno dei soggetti principali della pittura e della scultura. Gli artisti, grazie all’osservazione diretta del corpo umano, abbandonarono progressivamente i modelli rigidi e schematici della tradizione bizantina.

Il Crocifisso di Berlinghiero Berlinghieri 1. Le proporzioni della figura sono realistiche? Il corpo di Cristo (fig. 25) appare piuttosto sproporzionato: la testa è troppo grande rispetto all’ampiezza delle spalle, il volto è allungato e le braccia sono sottili. 2. Qual è l’andamento dell’asse di simmetria del corpo? L’asse centrale è verticale e ciò conferisce al corpo un aspetto rigido e statico. La volontà dell’artista di schematizzare la figura è evidente anche nella simmetria quasi perfetta. 25 Berlinghiero Berlinghieri, Crocifisso, 1210-20, tempera su tavola, h 176 cm (Lucca, Museo Nazionale). Nei due scomparti laterali sono ritratti la Vergine e san Giovanni. Nelle estremità dei bracci si trovano i simboli degli evangelisti e, di nuovo, la Madonna. 25

3. La figura appare bidimensionale o tridimensionale? Perché? L’immagine appare bidimensionale, piatta, a causa della quasi totale assenza di chiaroscuro: luci e ombre sono infatti pressoché inesistenti. 4. Quale messaggio comunica all’osservatore? La croce mostra un corpo costruito sulla base di uno schema rigido, tipico della tradizione bizantina, che tende a conferire un carattere ultraterreno alla figura di Cristo. Questo è inoltre rappresentato con gli occhi aperti e con il volto non segnato dalla sofferenza, per mostrarne la natura divina.

Il Crocifisso di Cimabue 1. Le proporzioni della figura sono realistiche? La figura (fig. 26) appare più proporzionata di quella dipinta da Berlinghieri: le spalle sono più larghe, i muscoli e le forme del corpo sono ben disegnati e appaiono più realistici; solo la testa è piuttosto piccola. 2. Qual è l’andamento dell’asse di simmetria del corpo? L’asse di simmetria forma una linea curva sinuosa che suggerisce l’idea della caduta e del peso del corpo, conferendo nello stesso tempo un senso di dinamismo ed eleganza alla figura. 26 Cimabue, Crocifisso, 1290 circa, tempera su tavola, h 341 cm (Firenze, Museo dell’Opera di Santa Croce). I busti della Vergine e di san Giovanni sono ritratti nelle estremità del braccio orizzontale, mentre i due scomparti laterali sono arricchiti da decorazioni geometriche.

3. La figura appare bidimensionale o tridimensionale? Perché? Il chiaroscuro suggerisce la tridimensionalità della figura, che appare più realistica grazie anche al limitato uso della linea di contorno. 4. Quale messaggio comunica all’osservatore? Cimabue ha rappresentato Cristo con la testa reclinata, gli occhi chiusi e un’espressione dolente per metterne in evidenza la sofferenza, del tutto simile a quella di qualsiasi altro uomo. Questa rappresentazione aveva quindi lo scopo di rendere i fedeli più partecipi del dramma di Cristo ed è testimonianza del-

26

12

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

LA FIGURA UMANA NELL’ARTE

la nuova religiosità del tempo, che tendeva ad avvicinare Dio all’uomo. L’eleganza della composizione, la raffinatezza delle linee curve e le forme affusolate del corpo, tipiche, ancora una volta, dell’arte bizantina, smorzano però la drammaticità dell’immagine.

Il Crocifisso di Giotto 1. Le proporzioni della figura sono realistiche? La figura dipinta da Giotto (fig. 27) è ormai distante dagli schemi bizantini e appare ben proporzionata. Anche i muscoli e i particolari anatomici del corpo – come mani, piedi e ginocchia – sono rappresentati con precisione e realismo. 2. Qual è l’andamento dell’asse di simmetria del corpo? L’asse di simmetria del corpo non ha più un andamento sinuoso ed elegante, come nella figura di Cimabue, ma spezzato. La posizione è realistica, perché la testa e il corpo danno l’impressione di cadere in avanti, verso il basso: in questo modo Cristo sembra avere non solo un volume ma anche un peso. 3. La figura appare bidimensionale o tridimensionale? Perché? Il senso di tridimensionalità della figura è molto intenso, poiché Giotto, utilizzando le sfumature, abolisce le linee di contorno dei muscoli e crea delle zone di luce e delle zone di ombra che appaiono reali. 4. Quale messaggio comunica all’osservatore? Il corpo crocifisso sembra veramente provare dolore e il naturalismo del dipinto rappresenta in modo diretto il dramma sacro. La figura di Cristo appare infatti come quella di un vero uomo sofferente, capace di rendere i fedeli partecipi del suo dramma, suscitando in loro un senso di compassione.

28

28 Il Crocifisso di Berlinghieri appartiene alla tradizione iconografica del Cristo trionfante: sul suo volto non c’è traccia di sofferenza.

27

27 Giotto, Crocifisso, 1296-1300, tempera su tavola, h 578 cm (Firenze, Santa Maria Novella).

29

29 Il Crocifisso di Cimabue appartiene alla tradizione del Cristo sofferente: il suo volto mostra infatti segni di dolore.

30

30 Il Crocifisso di Giotto appartiene alla stessa tradizione iconografica dell’opera di Cimabue, ma è rappresentato con maggiore realismo.

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

13

Risorse online Attraverso le opere d’arte Gli schemi di derivazione bizantina Nel Medioevo gli artisti elaborarono diversi sistemi di rappresentazione della figura umana. Tali sistemi, derivati dalla tradizione bizantina, non richiedevano l’osservazione diretta della realtà, e, basandosi su rigidi schemi grafici, erano particolarmente adatti alla realizzazione di figure bidimensionali dal significato simbolico. La costruzione della figura umana avveniva secondo un metodo basato su un’unità di misura, pari alle dimensioni della testa, che, ripetuta nove o dieci volte, determinava la lunghezza totale del corpo. Questa unità di misura, suddivisa in sottomoduli, serviva anche per individuare le dimensioni del tronco, degli arti e dei principali elementi del volto ed era perciò più funzionale alla costruzione della figura sul piano bidimensionale rispetto ai complessi rapporti del canone classico. La tendenza alla schematizzazione tipica del Medioevo è ben evidente anche nel sistema dei tre cerchi concentrici (fig. 31), utilizzato per la rappresentazione della testa, e negli schemi basati su poligoni (fig. 32). Questi ultimi si allontanavano ulteriormente dalla tradizione classica, poiché le figure geometriche utilizzate non erano legate alla struttura organica e alle proporzioni del corpo umano, ma indicavano semplicemente la direzione in cui si sviluppano le membra poste in una determinata posizione.

La pittura medievale di derivazione bizantina è inoltre caratterizzata da una svalutazione degli indicatori di profondità quali lo scorcio, i gradienti e il chiaroscuro: i piedi dei personaggi, ad esempio, non sono rappresentati frontalmente, ma sono posti in tralice e paiono penzolare da sotto le vesti; le figure si sovrappongono senza alcuna relazione spaziale; le linee sono dominanti rispetto al chiaroscuro (fig. 33).

L’allontanamento dagli schemi bizantini Nel corso del XIII secolo numerosi artisti, soprattutto italiani, abbandonarono i modelli bizantini e gli schematismi medievali per avvicinarsi progressivamente alla riproduzione di quanto osservavano intorno a loro. Tale ricerca di naturalismo è evidente soprattutto nell’evoluzione della raffigurazione del corpo umano. Questo, infatti, rappresentato inizialmente secondo rigidi schematismi, visto frontalmente, simmetrico e allungato, si approssimò sempre più al vero e divenne libero di muoversi in modo naturale. Tale evoluzione è legata alle trasformazioni nella religiosità e nella cultura del tempo. Durante i secoli dell’Alto Medioevo e del romanico, infatti, la divinità era considerata un’entità lontana e l’uomo, concentrato sulla spiritualità, non dava alcuna importanza alla natura e alla realtà terrena.

31 Schema bizantino dei tre cerchi concentrici per la costruzione della testa. Il cerchio più ampio definisce l’aureola dei santi e la lunghezza della barba; il cerchio intermedio stabilisce il profilo della calotta cranica e il mento; quello centrale indica l’altezza delle fronte, la lunghezza del naso e la posizione degli occhi. Le teste così ottenute venivano collocate su un corpo alto fino alla misura di dieci teste, in modo da creare figure estremamente allungate e spiritualizzate. 31

33

32a

14

32 Schemi del taccuino di Villard

33 Costantino IV consegna i privilegi

de Honnecourt, XIII secolo (Parigi, Bibliothèque Nationale de France).

alla Chiesa di Ravenna, mosaico (Ravenna, Sant’Apollinare).

32b

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

LA FIGURA UMANA NELL’ARTE

Durante i secoli del Basso Medioevo e del gotico, la realtà mondana iniziò invece ad acquisire una grande importanza, tanto che anche i santi e gli angeli divennero simili a uomini veri per commuovere, persuadere e avvicinare il fedele a Dio. L’arte gotica continuò tuttavia a raffigurare tipi umani più che individui singolarmente caratterizzati.

Oltre l’imitazione del corpo umano: la rappresentazione degli affetti Tra il Duecento e il Trecento, la pittura italiana divenne il punto di riferimento per gli artisti dell’intera Europa grazie alle ricerche dei pittori della scuola fiorentina (Cimabue e Giotto) e di quelli appartenenti alla scuola senese (Duccio di Buoninsegna e Simone Martini), che seppero dare all’eleganza e alla raffinatezza tipiche dello stile gotico una concretezza nuova. Alcuni di questi artisti, e in particolare quelli della scuola fiorentina, non si accontentarono di raffigurare corpi umani sempre più simili ai modelli reali, ma, per rendere ancora più naturalistici i personaggi delle proprie opere, cercarono di riprodurne anche i sentimenti, le emozioni, gli affetti.

Soprattutto Giotto seppe tradurre in immagini la realtà della borghesia mercantile, che aveva determinato il grande sviluppo delle città toscane. Nella Strage degli innocenti (fig. 35), ad esempio, possiamo osservare non solo corpi tridimensionali e ben proporzionati, ma uomini e donne che manifestano i loro sentimenti e la loro natura. Giotto, pur mantenendo nell’esecuzione delle figure umane alcuni schemi grafici fissi, come il taglio allungato degli occhi o la forma del naso, della fronte e delle mani, riuscì a rappresentare gli affetti dei personaggi attraverso i loro gesti eloquenti e le espressioni dei volti. Così, nell’episodio biblico che narra l’uccisione dei bambini più piccoli per ordine di Erode, re di Giudea, i personaggi da lui dipinti sono in grado di comunicare alcuni aspetti della natura umana, come dimostrano il volto disperato delle donne cui viene strappato il figlio dalle braccia e l’espressione feroce dei carnefici. I dipinti di Giotto, pur testimoniando i dogmi della fede in modo chiaro e in continuità con la tradizione artistica del suo tempo, posseggono, grazie alla semplicità e alla naturalezza, un grado di verità che colpì profondamente i contemporanei dell’artista.

35

34 Simone Martini, Annunciazione,

35 Giotto, Strage degli innocenti,

part., 1333 (Firenze, Galleria degli Uffizi). Simone Martini seppe trasferire la realtà aristocratica e cortese della sua epoca in un linguaggio nuovo, in cui la linea elegante e sinuosa non ha più una funzione unicamente decorativa, ma anche espressiva.

1303-305, affresco (Padova, Cappella degli Scrovegni).

34

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

15

Risorse online Attraverso le opere d’arte

Lo studio dell’anatomia umana nel primo Rinascimento Nel XV secolo l’uomo assunse un’importanza fondamentale, a differenza di quanto era avvenuto nel corso del Medioevo, quando la teologia era al centro della ricerca culturale. Questo interesse crescente per l’uomo è evidente nelle opere degli artisti del primo Quattrocento, che si dedicarono allo studio delle forme e delle proporzioni del corpo umano mediante veri e propri studi anatomici, al fine di riprodurle con realismo.

36

36 Masolino da Panicale, Il peccato originale, 1424-28, affresco, 208x88 cm (Firenze, Santa Maria del Carmine). 16

37

37 Masaccio, La cacciata dal paradiso terrestre, 1424-28, affresco, 208x88 cm (Firenze, Santa Maria del Carmine).

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

LA FIGURA UMANA NELL’ARTE

Gli affreschi della Cappella Brancacci Gli affreschi che ricoprono le pareti della Cappella Brancacci, nella chiesa fiorentina del Carmine, furono commissionati da Felice Brancacci, mercante e uomo politico fiorentino. Essi furono in parte realizzati tra il 1424 e il 1428 da Masolino da Panicale e dal il giovane Masaccio e terminati solo cinquant’anni dopo da Filippino Lippi. Masolino e Masaccio, suddivisero il lavoro secondo un preciso progetto, in modo da alternare i riquadri dell’uno ai riquadri dell’altro; Masolino cercò, nell’elaborazione dell’opera, di uniformarsi alle innovazioni introdotte da Masaccio. Le scene rappresentate narrano le storie di san Pietro e sono disposte su tre registri sovrapposti lungo le tre pareti della cappella. Le scene del registro superiore sono però andate perdute: vennero infatti distrutte in seguito alle trasformazioni della volta operate nel Settecento. Alle estremità del registro mediano sono raffigurate, una di fronte all’altra, due vicende tratte dal libro della Genesi. A Masolino si deve la scena di destra, che rappresenta Adamo ed Eva con il serpente (simbolo del Male) all’interno del paradiso terrestre (fig. 36), mentre a Masaccio si deve l’affresco di sinistra con la cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre (fig. 37).

Il peccato originale di Masolino da Panicale 1. I corpi umani appaiono simili al vero? I due corpi sono piuttosto proporzionati anche se non del tutto realistici nei particolari. I loro piedi infatti non sembrano poggiare saldamente sul terreno e, anche per questo, le figure appaiono leggere, senza peso. 2. La luce che illumina i corpi appare naturale? La luce illumina i personaggi in modo irreale: la figura di Eva risulta appiattita da un chiarore che pare emanato dal suo

stesso corpo, mentre Adamo è illuminato da un fascio di luce che proviene da sinistra e crea ombre più intense. 3. La figura femminile è aggraziata ed elegante? La figura di Eva, che abbraccia in modo innaturale l’albero del Bene e del Male, è aggraziata ed elegante e leggermente idealizzata, secondo le convenzioni dell’arte tardogotica. 4. Quale importanza hanno i gesti e le espressioni dei personaggi? Le espressioni dei volti sono indefinite e i gesti, anche se eleganti, non sono particolarmente espressivi o significativi.

La cacciata dal paradiso terrestre di Masaccio 1. I corpi umani appaiono simili al vero? Le due figure sono ben proporzionate e i particolari anatomici, come il ventre contratto di Adamo, sono riprodotti con grande precisione. I loro piedi, inoltre, sembrano poggiare saldamente sul terreno. Masaccio aveva certamente studiato il corpo umano per riuscire a riprodurlo nell’affresco con tanta accuratezza. 2. La luce che illumina i corpi appare naturale? Tra i principali elementi che contribuiscono a dare maggiore realismo alla scena vi è il gioco delle luci e delle ombre, che costruisce con forza il rilievo delle figure. La luce, che proviene da destra, colpisce infatti i corpi in modo violento e verosimile, proiettando le loro ombre sul terreno. 3. La figura femminile è aggraziata ed elegante? La figura femminile non appare più idealizzata e aggraziata: sembra piuttosto una persona vera. 4. Quale importanza hanno i gesti e le espressioni dei personaggi? I gesti e le espressioni suggeriscono efficacemente il dramma che i personaggi stanno vivendo. Adamo, infatti, si copre il viso con le mani per la vergogna, mentre il volto di Eva manifesta tutta la sua disperazione.

38 Il volto di Eva,

39 Nell’affresco

nell’affresco di Masolino da Panicale, è inespressivo, distante. La mano tiene con eleganza il frutto dell’albero della conoscenza.

di Masaccio, Adamo ha le mani sul viso; il volto di Eva è sconvolto dalla disperazione e le mani cercano di coprire la nudità del suo corpo.

38

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

39

17

Risorse online Attraverso le opere d’arte La rappresentazione dei corpi reali Il confronto tra le due opere permette di comprendere la portata della rivoluzione compiuta da Masaccio, e più in generale quella dell’arte del Rinascimento rispetto alla tradizione tardogotica, di cui Masolino era un esponente. Mentre, infatti, le figure dipinte da quest’ultimo hanno un aspetto elegante e un atteggiamento composto e distaccato, quelle realizzate da Masaccio esprimono la natura dell’uomo con un’intensità nuova grazie al realismo, alla semplicità e all’attenta resa degli stati d’animo: nella Cacciata dal paradiso terrestre, Adamo ed Eva paiono essere consapevoli del loro terribile destino. Nelle opere di Masaccio i personaggi sacri iniziano così ad acquisire concretezza: non viene infatti messa in evidenza la loro distanza dal mondo terreno, come invece accadeva nel Medioevo. Anche i santi delle altre scene del ciclo pittorico, ad esempio, sono raffigurati come uomini veri, semplici borghesi, e la loro dignità non è legata ad abiti eleganti, bensì alla loro profonda umanità. Tutte le figure entrano pertanto nella storia e nella realtà quotidiana, rendendo evidente la presenza del divino nel mondo che le circonda.

Lo studio dell’anatomia La cultura rinascimentale introdusse nelle arti figurative lo studio sempre più accurato sia dell’anatomia umana, sia dell’interiorità dell’uomo, attraverso l’indagine delle espressioni del volto e dei gesti. Nei dipinti di Masaccio è evidente l’interesse per la rappresentazione naturalistica dei corpi. Le ricerche compiute dall’artista si basano prevalentemente sull’individuazione delle corrette proporzioni tra le membra e sull’analisi attenta dei gesti e delle espressioni. I corpi dipinti da Masaccio, e in particolare i nudi, non evidenziano però un modellato anatomico vero e proprio: le forme appaiono, infatti, piuttosto sintetiche e talvolta rigide. Fu solo nel corso del Quattrocento che le proporzioni della figura umana furono studiate con precisione scientifica. Numerosi artisti, tra i quali Piero della Francesca, cercarono infatti di individuare i rapporti matematici che intercorrono tra le diverse parti del corpo (fig. 41).

40

40 Masaccio, Crocifissione, 1426, tempera su tavola, 83x63 cm (Napoli, Museo di Capodimonte). Le figure intorno al Cristo sono, da sinistra,

18

Maria con le mani giunte, la Maddalena con le braccia sollevate per la disperazione, e san Giovanni con il volto affranto.

41

41 Piero della Francesca, costruzione geometrica di una testa dal trattato De prospectiva pingendi, 1475 circa, h 29 cm (Parma, Biblioteca Palatina).

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

LA FIGURA UMANA NELL’ARTE

Nel primo Cinquecento, con le ricerche di Leonardo e Michelangelo, compiute anche attraverso la dissezione dei cadaveri, gli artisti raggiunsero un elevato livello di fedeltà al vero. Lo studio del corpo umano divenne sempre più scientifico. Esso contemplava, ad esempio, l’individuazione dell’esatta posizione, della forma e del funzionamento dei fasci muscolari, dei tendini, delle cartilagini e delle leve ossee, e di conseguenza facilitava la loro puntuale riproduzione (fig. 42). Gli artisti, grazie agli studi anatomici effettuati con l’aiuto del disegno, furono in grado di osservare e rappresentare con precisione le forme del corpo statico e in movimento.

42 Leonardo da Vinci, studi anatomici tratti dal Codice atlantico, 1478-1518, penna, inchiostro e matita su carta (Londra, Royal Collection). L’immagine dimostra l’accuratezza con cui Leonardo riproduceva la muscolatura umana.

Mentre studiavano il corpo umano per riprodurlo fedelmente, gli artisti rinascimentali, sull’esempio delle opere dell’antichità, ricercarono in esso anche la bellezza ideale. Seguendo le indicazioni delle teorie classiche, essi osservarono vari corpi e ne colsero le parti migliori, che vennero poi unite per ottenere figure ideali, simbolo di perfezione spirituale. Tali teorie artistiche sono evidenti, ad esempio, nelle opere di Piero della Francesca, Antonello da Messina e Sandro Botticelli (fig. 43).

42

43

43 Sandro Botticelli, La calunnia, 1494-95, tempera su tavola, 62x91 cm (Firenze, Galleria degli

Uffizi). La Verità, all’estremità sinistra del quadro, risalta per l’estrema bellezza delle forme.

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

19

Risorse online Attraverso le opere d’arte

La ricerca della bellezza ideale nelle opere di Michelangelo Nella cultura artistica del Rinascimento maturo il corpo umano continuò ad essere il principale oggetto di studio degli artisti. A questo proposito furono fondamentali le ricerche compiute da Michelangelo, che però, nelle sue opere, cercò di ottenere corpi perfetti fondendo le parti migliori di quelli che aveva osservato nella realtà.

Il David di Michelangelo Il soggetto raffigurato dalla statua, alta più di 4 m, è un giovane uomo che rappresenta David, l’eroe biblico che uccise il gigante Golia. Il giovane, in posizione stante, tiene una fionda appoggiata sulla spalla sinistra e una pietra nella mano destra. 1. Che caratteristiche ha la figura del David? Il corpo del David è atletico e perfetto nelle proporzioni. Esso ricorda, per la bellezza delle forme, ben modellate e dalla superficie perfettamente levigata, le statue dell’antica Grecia, a cui l’artista, secondo gli ideali umanistici, si ispirava pur intendendo superarle. 2. Che cosa esprime il volto del David? La testa ruotata del David, il suo sguardo attento, che sembra seguire l’avversario, e le sopracciglia aggrottate tradiscono la tensione interiore e lo stato di massima concentrazione dell’eroe biblico mentre studia il suo avversario prima di agire. 3. La figura appare vitale? La figura sembra viva e, sebbene sia stata ricavata da un blocco di marmo già gravemente intaccato da un altro artista, appare perfettamente naturale. La sua posizione non è simmetrica né statica, poiché il peso del corpo è appoggiato con grande naturalezza su una gamba, come nelle statue classiche realizzate in base al principio della ponderazione. Il corpo dell’eroe, carico di tensione, pare pronto ad agire scagliando con la sua fionda la pietra che tiene nella mano. Michelangelo, allo scopo di accentuare la vitalità della statua, ha quindi scelto di rappresentare David proprio nel momento di massima concentrazione e tensione che precede l’azione.

La committenza e la collocazione del David

44

44 Michelangelo, David, 1501-504, marmo, h 410 cm (Firenze, Gallerie dell’Accademia).

20

A Firenze, dopo la cacciata dei Medici e la repubblica del Savonarola, si instaurò una nuova repubblica borghese che cercò di richiamare, affidando loro incarichi rilevanti, i più importanti artisti fiorentini che si erano allontanati dalla città. Qui si trovarono e si confrontarono, tra gli altri, Michelangelo, Leonardo e il giovane Raffaello, che con le loro opere posero le basi del nuovo linguaggio del Rinascimento maturo. Nel 1501 Michelangelo, che nutriva simpatie per gli ideali della nuova repubblica, ricevette l’incarico di scolpire la grande statua del David dall’Arte della Lana (l’associazione degli artigiani e dei mercanti della lana di Firenze) e dall’Opera di Santa Maria del Fiore (la cattedrale della città). La scultura, a cui l’artista lavorò per circa quattro anni, fu subito molto apprezzata dai contemporanei, che la considerarono su-

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

LA FIGURA UMANA NELL’ARTE

periore a qualsiasi altra opera del mondo antico e moderno. Nel 1504, dopo un consulto tra i maggiori artisti della città, il David fu collocato in piazza della Signoria, di fronte al Palazzo Pubblico, invece che a Santa Maria del Fiore, poiché i fiorentini vi videro il simbolo della repubblica e della loro libertà.

Gli ideali neoplatonici nell’opera di Michelangelo Le teorie neoplatoniche, elaborate alla corte dei Medici nella seconda metà del Quattrocento, costituirono le basi della cultura artistica del Rinascimento maturo e in particolare della poetica di Michelangelo. Secondo tali teorie, ispirate al mondo antico, la bellezza ideale non può esistere in natura, ma può essere raggiunta nelle immagini prodotte dagli artisti. La bellezza esteriore, che rappresenta la perfezione e l’integrità morale dell’uomo, è un riflesso della bellezza divina e un valido strumento per elevare l’animo dell’osservatore verso Dio e verso i più alti valori spirituali. Michelangelo realizzò il David scolpendo un uomo dalle forme perfette, che costituivano il simbolo della sua grande levatura morale, e dalla possente muscolatura, emblema della sua forza interiore. Il David doveva quindi costituire per i fiorentini un modello di comportamento, poiché essi, seguendo l’esempio del personaggio biblico, erano invitati a lottare per difendere la libertà della loro città e a governarla secondo giustizia. L’artista, che pose sempre al centro delle proprie ricerche l’uomo e la perfezione del corpo sia maschile che femminile, intendeva soprattutto esprimere la forza morale attraverso la rappresentazione della potenza fisica.

La ricerca della perfezione In genere tutti gli artisti del Rinascimento maturo cercarono di raffigurare nelle proprie opere un’umanità ideale, il cui corpo avesse proporzioni perfette e forme armoniose. Per ottenere tale bellezza formale gli artisti fecero spesso ricorso a particolari accorgimenti tecnici, come lievi sproporzioni o deformazioni a prima vista impercettibili. Ne sono un esempio le mani e la testa leggermente sovradimensionate del David, che simboleggiano la capacità di agire e l’intelligenza. Significativa a tale proposito è anche la Pietà (la Madonna con il Cristo morto tra le braccia; fig. 46), scolpita da Michelangelo a soli ventiquattro anni, in cui la ricerca dell’armonia della composizione, tipica della classicità, ricopre più importanza della riproduzione fedele del vero. In quest’opera l’artista, al fine di poter inscrivere armonicamente il corpo di Cristo nella composizione piramidale formata dalla Madonna e dal suo abito, ha volutamente rappresentato quest’ultima di dimensioni più grandi rispetto al Figlio. La sproporzione è percepita solo mediante un attento confronto delle mani e delle braccia della Madonna con quelle di Cristo, che risultano nettamente più piccole. Proprio per evitare che questo accorgimento venisse notato, Michelangelo ha invece rappresentato delle medesime dimensioni la testa delle due figure. Inoltre, la ricerca della bellezza in quanto simbolo di purezza spirituale ha indotto l’artista a rappresentare il volto della Madonna come quello di una donna troppo giovane per essere la madre di Cristo.

45

45 Michelangelo, particolare

46 Michelangelo, Pietà, 1499,

degli affreschi della Cappella Sistina, la Sibilla Libica, 1508-12 (Roma, Palazzi Vaticani).

marmo, h 174 cm (Roma, San Pietro). I due corpi sono idealizzati, come dimostrano le forme perfette. 46

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

21

Risorse online Attraverso le opere d’arte

Realtà e sentimenti nei dipinti di Caravaggio Tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, Caravaggio si interessò alla realtà che lo circondava e alla rappresentazione dei sentimenti: nelle sue opere, infatti, la figura umana appare ormai distante dagli ideali di bellezza del Rinascimento.

47 Caravaggio, Morte della Vergine, 1605-606, olio su tela (Parigi, Musée du Louvre). L’opera fu dipinta da Caravaggio durante l’ultima fase del suo soggiorno romano, un periodo per lui particolarmente difficile: alcune sue opere furono rifiutate dai committenti, mentre pittori di livello mediocre ricevevano riconoscimenti ufficiali.

47

22

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

LA FIGURA UMANA NELL’ARTE

La morte della Vergine di Caravaggio L’opera, realizzata a olio su una tela di juta piuttosto grezza, fu dipinta da Caravaggio a Roma nel 1605 per la cappella dell’avvocato Cherubini, situata nella chiesa di Santa Maria della Scala, nel quartiere romano di Trastevere. L’opera rappresenta una storia sacra: la morte della Vergine, il cui corpo senza vita è posto tra Maria Maddalena e gli apostoli. L’immagine della Madonna fu però considerata irriverente e l’opera venne rifiutata dal committente e quindi ritirata, affinché nessuno potesse vederla. Il quadro fu in seguito acquistato dal duca di Mantova per la sua galleria su suggerimento del pittore fiammingo Pieter Paul Rubens, che ne rimase così colpito da organizzare una mostra pubblica a Roma prima di farlo pervenire al duca. 1. In quale ambiente è collocata la scena? La scena è inserita in un ambiente povero, spoglio, di cui si intravedono unicamente la parete macchiata alle spalle dei personaggi e piccole parti del soffitto in legno e del pavimento. Nella stanza sono presenti pochissimi mobili, un catino pieno di aceto per lavare il corpo della Madonna e un drappo rosso che pare dividere in due l’ambiente. 2. Quali elementi determinano la profondità dello spazio? La profondità della stanza è suggerita dall’utilizzo della prospettiva centrale e dalla collocazione delle figure parzialmente sovrapposte e plasticamente ben costruite dal chiaroscuro. Lo spazio appare ristretto e soffocante, in quanto risulta quasi completamente riempito, nella parte inferiore, dai personaggi e, nella parte superiore, dal drappeggio. Il vuoto che viene a crearsi in primo piano evidenzia il corpo senza vita della Madonna. Quest’ultimo non è disposto parallelamente al piano del dipinto, ma è leggermente in scorcio, accentuando così il senso di profondità dello spazio.

3. Quali funzioni svolge la luce? La luce che, provenendo dall’alto, taglia diagonalmente la scena è utilizzata dal pittore in senso narrativo per evidenziare il nucleo drammatico della scena (fig. 49). Caravaggio ha infatti voluto sottolineare con la luce il corpo della Madonna, i gesti e i volti degli apostoli, celando nell’ombra tutto ciò che egli ha ritenuto irrilevante ai fini della narrazione. In questo modo la luce, oltre ad essere uno strumento utile per rendere plastiche le figure, guida l’attenzione dell’osservatore all’interno del quadro. Essa assume inoltre un significato simbolico: inondando, al di sopra delle teste degli aspostoli, il corpo della Vergine, diviene il segno della presenza divina. 4. Quali colori sono utilizzati nel dipinto? La gamma cromatica è interamente basata sui toni dei rossi sanguigni e dei bruni, contravvenendo alle convenzioni iconografiche tradizionali, che rappresentavano la Vergine con il corpo coperto da un mantello di colore blu. In un contesto cromatico così cupo, il rosso vivo intensamente illuminato dell’abito della Vergine contribuisce ad attirare l’attenzione dell’osservatore sul suo corpo senza vita. 5. Come appaiono le figure? I personaggi sono ripresi direttamente dalla realtà degli umili. Gli apostoli, infatti, sono rappresentati come popolani a piedi nudi, con volti rugosi e abiti poveri; persino il corpo senza vita della Madonna, gonfio e scomposto nella posa, non è idealizzato e ricorda piuttosto quello di una donna comune. 6. L’artista ha operato un’indagine psicologica dei personaggi che ha ritratto? Le espressioni e i gesti spontanei degli apostoli e della Maddalena, che esprimono tutto il loro dolore e la loro desolazione per la morte della Vergine, evidenziano l’interesse dell’artista per l’indagine psicologica dei personaggi rappresentati.

48 Le linee di forza,

49 Il disegno evidenzia

dall’andamento ora rettilineo ora curvilineo, hanno direzioni prevalentemente diagonali, determinate dalla posizione delle figure, dal drappeggio e dal fascio di luce che penetra nelle stanza, e conferiscono alla composizione un senso di dinamismo e inquietudine.

le aree più chiare del dipinto. Queste corrispondono agli elementi della composizione che assumono un ruolo fondamentale nella narrazione.

48

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

49

23

Risorse online Attraverso le opere d’arte La ricerca del realismo nella rappresentazione della figura umana Il tema iconografico della morte della Vergine era generalmente trattato dai pittori secondo i dogmi della fede, ossia rappresentando l’evento miracoloso dell’assunzione in cielo di Maria tra schiere di angeli e santi. Caravaggio scelse di riportare la vicenda su un piano terreno, raffigurando la morte della Vergine come quella di una donna comune, il cui corpo è scomposto e distrutto dalla sofferenza. La scena sacra appare quindi come un fatto quotidiano e pertanto reale ed emotivamente coinvolgente per lo spettatore. I santi e le altre figure sacre presenti nell’opera di Caravaggio paiono persone vere, contemporanee, vestite di stracci, senza scarpe, con i volti rugosi e le mani callose. I loro gesti, i loro sentimenti e le loro reazioni emotive sono spontanei e naturali. Il dipinto, rappresentando il dolore di fronte al mistero della morte, intende costituire una drammatica riflessione sul destino dell’uomo. Il realismo delle opere di Caravaggio, che permetteva ai popolani del tempo di identificarsi con i personaggi raffigurati, fu considerato da molti contemporanei una mancanza di decoro, una forma di irriverenza nei confronti della religione, e portò numerosi committenti a rifiutare i suoi dipinti, anche se l’artista trovò sempre un pubblico interessato tra gli uomini più colti del tempo.

Il ruolo della luce e dell’ombra nelle opere di Caravaggio Nella pittura di Caravaggio la luce e l’ombra sono mezzi espressivi fondamentali. La luce intensa crea ombre nette, sottolineando la drammaticità delle scene e modellando plasticamente i soggetti dei dipinti, che così appaiono reali. Nello stesso tempo l’ombra assorbe gran parte degli elementi dei quadri, in modo da condurre l’attenzione dello spettatore sugli elementi essenziali del racconto. Questi ultimi sono illuminati con forza da un fascio di luce radente, una luce non naturale che proviene da una fonte luminosa esterna al dipinto ed è simbolo della presenza divina, del miracolo che si sta compiendo. La luce è quindi un elemento realistico che conferisce concretezza ai soggetti, ma è anche una componente irrealistica, poiché assume un significato simbolico e narrativo, illuminando miracolosamente gli elementi chiave della narrazione (fig. 50).

Caravaggio interprete dello spirito più autentico della Controriforma Caravaggio si oppose alla tradizione che imponeva l’uso di modelli tratti dai maestri del passato rifacendosi direttamente

51

50 Caravaggio, La resurrezione

51 Caravaggio, Il martirio di san

di Lazzaro, 1609, olio su tela, 380x275 cm (Messina, Museo Regionale).

Matteo, 1598-1600, olio su tela, 323x343 cm (Roma, San Luigi dei Francesi). Il martirio del santo è raccontato nel dipinto come un episodio di violenza omicida. Con Caravaggio la rappresentazione della figura umana diviene realistica anche nella raffigurazione delle storie sacre.

50

24

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

LA FIGURA UMANA NELL’ARTE

al vero. Egli però non mise in subordine le proprie esigenze narrative ed espressive limitandosi alla mera riproduzione del reale: l’artista realizzò infatti – come abbiamo visto a proposito della luce e dell’ombra – opere estremamente efficaci sul piano simbolico, dipingendo figure dalla fisicità credibile e interpretando in modo realistico i fatti religiosi. Caravaggio quindi non intese riprodurre uno spaccato della vita quotidiana del tempo, né volle banalizzare gli avvenimenti religiosi riducendoli a semplici episodi quotidiani. Egli cercò piuttosto di raggiungere, attraverso l’analisi della realtà, il mas-

simo dell’intensità emotiva e spirituale, affrontando alcuni dei problemi più drammatici dell’esistenza umana, quali il rapporto tra l’uomo e la morte e tra l’uomo e la divinità. Accusato di essere estraneo ai valori religiosi, Caravaggio fu in realtà un artista molto spirituale e profondo. Egli interpretò lo spirito più autentico della Controriforma – che auspicava un ritorno della Chiesa alla povertà evangelica e un suo impegno sociale accanto ai bisognosi – e in particolare di quella corrente che si era sviluppata in Lombardia intorno alla figura di san Carlo Borromeo.

Caravaggio

52

53

Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio (1571?-1610), era un pittore di origine lombarda che si formò a Milano presso la bottega di un artista manierista, Simone Peterzano. Nel 1590, all’età di circa vent’anni, si trasferì a Roma, il più importante centro artistico del suo tempo, dove grazie all’aiuto di alcuni pittori e del cardinal Del Monte, suo protettore, entrò in contatto con diverse famiglie aristocratiche, che divennero suoi committenti. La formazione lombarda lo portò a dare grande rilevanza alla realtà nei suoi aspetti intimi e quotidiani e alla semplicità, simbolo della povertà evangelica ampiamente predicata dal clero lombardo e in particolare dal cardinale Borromeo. Caravaggio compì una vera e propria rivoluzione nell’ambito della pittura, rifiutando l’imitazione delle opere antiche e rinascimentali per rifarsi direttamente alla natura. Questo interesse per la rappresentazione diretta della realtà lo portò a dipingere con precisione oggetti, frutti e fiori (fig. 52), e a rappresentare i personaggi, anche sacri, copiandoli dal mondo degli umili. La sua prima attività romana è caratterizzata da opere di soggetto profano: risalgono a questa fase le nature morte e le figure in cui l’artista cerca di bloccare in un istante i moti più profondi e istintivi dell’animo umano, come nella Medusa (fig. 53), la cui espressione appare di un realismo stupefacente. A queste opere seguirono diversi dipinti di soggetto religioso che, per l’eccessiva umanizzazione dei personaggi sacri, furono spesso rifiutati dalla committenza ecclesiastica. L’intento di Caravaggio era quello di dimostrare la presenza di Dio tra gli umili. Nei primi anni del Seicento una serie di vicende dovute alla sua personalità irrequieta e rissosa lo portarono ad avere problemi con la giustizia, finché nel 1606 fu costretto a fuggire da Roma per aver assassinato un compagno di gioco. L’artista si rifugiò prima a Napoli e in seguito a Malta e in Sicilia. Tre anni più tardi fu gravemente ferito e nel 1610, subito dopo aver ottenuto il perdono dal papa, si ammalò di malaria e morì prima di poter rientrare a Roma. Le particolari vicende della vita di Caravaggio diedero origine alla leggenda del «pittore maledetto».

52 Caravaggio, Bacco, olio su tela,

53 Caravaggio, Medusa, olio su tela

h 95 cm, 1595 (Firenze, Galleria degli Uffizi).

applicata a uno scudo in legno, h 60 cm, 1595-97 (Firenze, Galleria degli Uffizi).

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

25

Risorse online Attraverso le opere d’arte

La deformazione espressionista della figura umana La rappresentazione dell’uomo fu uno dei temi preferiti dagli artisti appartenenti alle diverse tendenze espressioniste poiché i gesti, le forme del corpo, le espressioni del volto si prestano a comunicare con immediatezza l’interiorità dell’artista.

La danza di Henri Matisse Il pittore francese Henri Matisse dipinse a olio, agli inizi del Novecento, questa tela di grandi dimensioni: si tratta della seconda versione della Danza, realizzata per un committente russo, Sergei I. Schukin. L’opera fu collocata, insieme a un altro dipinto di Matisse (La musica), nel fastoso palazzo moscovita del committente. Le due opere furono esposte a Parigi al Salon d’Automne del 1910 e pesantemente criticate per la semplificazione delle forme, scambiata dai critici per rozzezza, e per la totale libertà dai tradizionali canoni di bellezza. 1. Le figure umane sono naturalistiche? A Matisse non interessava la rappresentazione realistica dei corpi umani: le loro proporzioni infatti non sono corrette e le forme sono semplificate e bidimensionali. Solo alcuni rapidi tratti delineano pochi particolari essenziali. 2. Quali caratteristiche ha la gamma cromatica del dipinto? Il colore è utilizzato per esprimere sensazioni ed è l’elemento dominante dell’opera. Matisse ha voluto creare un contrasto cromatico di caldo e freddo: il colore caldo delle figure avanza con forza rispetto al blu e al verde dello sfondo, mentre il con-

torno scuro accentua ancor più la contrapposizione. A loro volta i colori, stesi senza chiaroscuro, evidenziano i contorni lineari e fluidi delle figure. 3. In quale modo sono rappresentati lo spazio e l’ambiente nella composizione? Lo spazio in cui danzano le figure è generico. È costituito da campi di colore verde e blu privi di profondità, che ci fanno pensare all’ambiente naturale senza però definirlo: esso rimane estraneo allo spazio e al tempo reali. 4. Come sono disposte le figure all’interno della composizione? Le cinque figure nude danzano in cerchio tenendosi per mano e creano con i loro gesti e le loro posizioni un ritmo compositivo musicale, rapido e fluido, poiché basato su linee dall’andamento curvilineo o su diagonali. In particolare, la figura centrale in primo piano, che a causa del ritmo vorticoso della danza ha perso il contatto con la figura di sinistra e si lancia lateralmente per tentare, senza riuscirvi, di chiudere il cerchio, è impostata su una diagonale particolarmente dinamica. Il cerchio dei danzatori, posto in primo piano, occupa l’intero spazio della tela; quest’ultima pare contenere a malapena la loro vitalità. 54 Henri Matisse, La danza, 1909-10, olio su tela, 260x391 cm (San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage).

54

26

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

LA FIGURA UMANA NELL’ARTE

La gioia di vivere

I colori “esplosivi” della Danza

Le figure della Danza, come ha dichiarato lo stesso artista, sono volutamente prive di dettagli: «L’insieme è il nostro ideale. I dettagli diminuiscono la purezza delle linee, danneggiando l’intensità emotiva». Sempre a proposito della rappresentazione dei corpi, Matisse ha scritto: «Cerco di condensare il significato del corpo cercandone le linee essenziali». È proprio l’essenzialità delle figure, che appaiono contorte fino alla deformità a causa del ritmo vorticoso della danza, a rendere così espressivi i corpi dei danzatori. Anche la monumentalità, che accentua la dignità umana dei soggetti, è determinata dalla loro semplificazione. Le figure sembrano inoltre leggere e libere, grazie alle loro forme fluide e dinamiche, e comunicano tutta la loro gioia di vivere attraverso la danza. La loro nudità ci permette di capire che l’artista intendeva esprimere l’ottimismo e l’energia vitale dell’umanità e non rappresentare singoli individui o un particolare episodio.

L’opera di Matisse è un’esplosione di vitalità resa attraverso la vivacità dei colori contrastanti, «esplosivi come tubetti di dinamite», scelti per ciò che esprimono, per le sensazioni che suscitano in chi li osserva, non per descrivere la realtà. L’artista racconta di aver ottenuto per questo dipinto «il più bel blu dei blu», un colore intenso che esprime al meglio il carattere del blu, utilizzando un blu oltremare ricoperto di blu cobalto, e di aver seguito lo stesso criterio per il verde smeraldo del prato e per il vermiglione dei corpi. «Quando ho cominciato la Danza e la Musica di Mosca ero deciso a mettere i colori per superfici e senza sfumature. Sapevo che il mio accordo musicale era rappresentato da un verde e da un azzurro [rappresentazione del rapporto tra i pini verdi e il cielo della Costa Azzurra] e, per completare, un tono per le carni delle figure». I colori sono stesi piatti sulla tela, ma in modo da ottenere una vibrazione della superficie attraverso un gioco realizzato con un uso particolare del pennello.

Henri Matisse Matisse nacque nel nord della Francia, a Cateau-Cambrésis, nel 1869, e all’età di vent’anni si trasferì a Parigi, dove studiò giurisprudenza. Iniziò a dipingere durante un periodo di convalescenza e da quel momento si dedicò allo studio dei classici dell’arte visitando i musei parigini. Si iscrisse all’École des Beaux-Arts, e studiò attentamente le opere di Cézanne, Van Gogh, Gauguin e l’arte «primitiva». Si dedicò, con Signac, alla sperimentazione della tecnica puntinista, ma trovò ben presto un linguaggio altamente originale. Nel periodo in cui entrò a far parte del movimento dei Fauves, le sue stesure di colore cominciarono a farsi più intense, ad allungarsi e uniformarsi. La semplificazione delle forme divenne un elemento chiave della sua poetica. Egli stesso scrisse a tale proposito: «C’è la fotografia per rendere cento volte meglio la moltitudine dei particolari […] il pittore non deve più occuparsene». Durante un viaggio in Africa settentrionale, rimase colpito dalle decorazioni orientaleggianti delle architetture, dei tessuti e delle ceramiche. Da quel momento iniziò ad avvicinare la pittura alla decorazione inserendo nei suoi dipinti elementi lineari sinuosi e motivi floreali. Tale interesse lo portò inoltre a occuparsi di architettura: egli contribuì così alla progettazione di alcuni edifici, tra cui la cappella del Rosario di Vence (1951), per la quale realizzò anche la decorazione, gli arredi, le vetrate e i paramenti sacri. Matisse, che divenne amico di Picasso e dei più importanti artisti del suo tempo, passò i suoi ultimi anni nel sud della Francia, tra Vence e Nizza, dove morì nel 1954. 55 Henri Matisse, Ritratto di André Derain, 1905, olio su tela, h 28 cm (Londra, Tate Gallery). 55

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

27

Risorse online Attraverso le opere d’arte La danza come simbolo universale Il tema della danza è, a partire dal dipinto intitolato Gioia di vivere del 1905, un tema ricorrente nell’opera di Matisse (fig. 56), che si ricollega a una lunga tradizione iconografica. Numerose sono infatti le rappresentazioni antiche e medievali di figure danzanti disposte in cerchio, come presenti nella memoria collettiva sono le danze popolari provenzali, italiane e spagnole. La danza diventa per Matisse il simbolo dell’armonia del cosmo, del gioioso rapporto che lega gli uomini tra loro e alla natura. Attraverso la semplificazione e la deformazione dei soggetti, egli vuole farci percepire proprio tale significato simbolico. I dipinti assumono pertanto un valore universale che trascende la rappresentazione di un particolare avvenimento.

L’Espressionismo Il termine Espressionismo si riferisce a diverse correnti artistiche nate in contrapposizione all’Impressionismo. Gli espressionisti non intendevano rappresentare «l’impressione» visiva della realtà esterna, ossia ciò che vedevano. Essi volevano piuttosto comunicare ciò che sentivano attraverso la deformazione della realtà esterna. A tale scopo rigettarono le regole convenzionali della pittura (prospettiva, chiaroscuro, proporzione, armonia) e diedero grande rilevanza alla spontaneità dell’espressione. Si ispirarono così all’arte medievale e

soprattutto a quella africana, entrambe libere dalle convenzioni della tradizione rinascimentale e fortemente espressive, grazie al loro aspetto “primitivo”. L’arte espressionista conferì quindi grande importanza alla deformazione delle figure, al colore forte e innaturale e alla linea di contorno scura, che accentuava i contrasti cromatici, appiattiva i volumi e annullava lo spazio. Tra i movimenti espressionisti sorti in Europa, i più importanti furono quello tedesco e quello francese, entrambi nati nel 1905. Il movimento francese dei Fauves («belve, selvaggi»), che proponeva contenuti meno drammatici rispetto al movimento tedesco, raggruppava artisti come Matisse, Maurice Vlaminck e André Derain. Essi consideravano il colore elemento espressivo fondamentale della pittura e lo utilizzavano in modo violento e “selvaggio”, stendendolo in campiture piatte, spesso contornate da linee scure. I Fauves rimasero uniti per pochissimi anni, fino al 1907, anche se non cessarono di proseguire individualmente le loro ricerche espressioniste. Il movimento tedesco Die Brücke («il ponte»), che riuniva personalità quali Ernst Ludwig Kirchner, Erich Heckel (fig. 57) ed Emil Nolde, si occupò anche di grafica, utilizzando soprattutto la tecnica della xilografia. Gli artisti di questo movimento interpretarono la realtà in modo soggettivo, diretto e brutale. Le loro opere, infatti, esprimono un forte senso di angoscia e una protesta violenta nei confronti della società del tempo.

56

57

56 Henri Matisse, La danza, 1912, olio su tela,

57 Erich Heckel, Due uomini al tavolo, 1913,

(Mosca, Museo Pusˇkin).

xilografia (Berlino, Kupferstickabinett).

28

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

LA FIGURA UMANA NELL’ARTE

La deformazione della figura umana nell’Espressionismo tedesco Tra gli artisti del gruppo tedesco Die Brücke è particolarmente significativa la figura di Ernst Ludwig Kirchner, che sperimentò la deformazione espressiva delle figure ottenendo dei risultati diversi da quelli di Matisse, sia sul piano estetico sia sul piano dei significati. Nel dipinto intitolato Cinque donne per la strada (fig. 58), ad esempio, le figure femminili sono sproporzionate: la loro testa è infatti grande rispetto al corpo, che appare sottile, affilato. Le forme risultano semplificate, spigolose e dure persino nei lineamenti dei volti. I colori sono cupi e contrastanti: gli abiti scuri delle donne sono in netto contrasto con lo sfondo, un ambiente urbano descritto in modo sommario, dove si alternano il giallo e il verde-grigio. Ed è proprio la luce dei lampioni a rendere livida, quasi macabra, l’atmosfera della strada, mentre sono i colori innaturali e sporchi dei volti a conferire alle figure un aspetto lugubre e spettrale.

Attraverso la luce notturna della strada, la deformazione delle figure, le posizioni artificiose e un po’ volgari delle donne, vestite con abiti dagli ampi colli di pelliccia ed esagerati cappelli, l’opera di Kirchner intende esprimere il suo stato d’animo e la sua riflessione sulla società corrotta del tempo. Il disagio è sottolineato anche dagli sguardi delle donne, che non si incrociano mai, mettendo in evidenza l’aridità dei rapporti umani e l’impossibilità di comunicare. La grande differenza che si rileva tra il dipinto di Kirchner e La danza di Matisse è giustificata, oltre che dalla diversa personalità dei due artisti, dal diverso contesto in cui le opere sono state realizzate. In Germania, infatti, la rapida industrializzazione, la disoccupazione, la corruzione politica e morale della classe borghese accentuarono i contrasti sociali più che nel resto dell’Europa. L’Espressionismo si diffuse maggiormente in quest’area proprio perché gli artisti, sensibili a ciò che succedeva intorno a loro, sentirono il bisogno di protestare e denunciare una simile situazione attraverso opere che esprimessero il senso di disagio e di angoscia da loro percepiti.

58

58 Ernst Ludwig Kirchner, Cinque donne per la strada, olio su tela, 120x91 cm, 1913 (Colonia, WallrafRichartz-Museum). Le figure sono disposte lungo linee dall’andamento

verticale che occupano quasi interamente l’altezza della tela; isolate l’una dall’altra determinano un ritmo compositivo fortemente scandito e piuttosto rapido e duro.

59

59 Ernst Ludwig Kirchner, Marcella, 1910, olio su tela, 71,5x61 cm (Stoccolma, Nationalmuseum). La figura è fortemente stilizzata.

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

29

Risorse online Attraverso le opere d’arte

Più vero del vero: l’arte iperrealista Gli iperrealisti puntano a riprodurre la figura umana, e in generale tutta la realtà, con una precisione estrema. A questo scopo adottano tecniche particolari che prevedono l’uso della fotografia e del calco dal vivo.

La donna alla fermata dell’autobus di Duane Hanson L’artista statunitense Duane Hanson ha realizzato nel 1983 questa scultura a tutto tondo intitolata Donna alla fermata dell’autobus. 1. Quale soggetto è rappresentato nella scultura e in che modo? L’opera riproduce, utilizzando materiali sintetici (fibra di vetro e poliestere policromato), una donna che tiene in mano una borsa di plastica: essa indossa abiti molto comuni e potrebbe essere una qualsiasi donna americana in attesa alla fermata dell’autobus. La sua figura, di dimensioni naturali, non è idealizzata e la ricerca della bellezza non è certo l’obiettivo dell’artista. 2. Quali elementi rendono “vera” la donna riprodotta nella scultura? La donna appare vera perché non solo ogni particolare è reso con cura e con una capacità imitativa sorprendente, ma anche per la presenza di capelli e sopracciglia posticce, di abiti e accessori reali. 3. Per quale motivo l’artista ha scelto un soggetto tanto comune e quotidiano? L’artista ha scelto una donna comune, appartenente alla classe media e colta in un momento della vita di tutti i giorni, per permettere a migliaia di americani di identificarsi con essa. 4. L’artista ha mostrato interesse per l’indagine psicologica del soggetto? L’artista ha prestato attenzione anche all’espressione del volto del personaggio, tentando quindi di compierne anche un’indagine psicologica. 5. Che effetto ha cercato di produrre nell’osservatore? Hanson ha assegnato un ruolo fondamentale all’effetto sorpresa. Egli stesso ha affermato: «I miei pezzi sono naturalistici e illusionistici, il che comporta […] lo choc, la sorpresa e l’impatto psicologico dell’osservatore». 60 Duane Hanson, Donna alla fermata dell’autobus, resine e fibra di vetro, 1983 (New Orleans, Life-size Collection of the Virlaine Foundation). La statua porta abiti e accessori veri, oltre a una parrucca e a sopracciglia posticce. 60

30

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

LA FIGURA UMANA NELL’ARTE

Le tecniche degli artisti iperrealisti Gli scultori iperrealisti, come Duane Hanson, realizzano spesso le loro opere a partire dai calchi dal vivo, ossia calchi di persone viventi. Per ottenerli essi utilizzano resine sintetiche, il cui colore può essere graduato in modo da imitare perfettamente quello dell’epidermide umana. Alla scultura aggiungiungono poi una serie di elementi posticci (capelli, abiti, oggetti), che danno a chi la osserva l’impressione di trovarsi di fronte una persona vera. I pittori iperrealisti, invece, fissano in una fotografia ciò che costituirà il soggetto della loro opera: una figura umana, un paesaggio urbano, un ambiente interno o un oggetto. Poi, con un lavoro lungo e minuzioso, lo riproducono in tutti i particolari, sino a farlo sembrare vero, addirittura «più reale del reale». Gli artisti, per realizzare il dipinto, ingrandiscono la fotografia e la copiano utilizzando generalmente il sistema della quadrettatura: suddividono la superficie dell’immagine in tanti quadretti identici e li disegnano anche sulla superficie della tela; poi, per dedicarsi a ciascun riquadro con la massima attenzione, ne riproducono uno solo alla volta, coprendo via via tutti gli altri. In tal modo l’oggettività dell’opera è determinata dall’impossibilità degli artisti di soffermarsi su alcuni dettagli o di tralasciarne altri, essendo costretti alla riproduzione isolata e precisa di ogni parte dell’immagine. Il dipinto, pur realizzato a mano con tecniche pittoriche tradizionali, mantiene l’effetto visivo dell’immagine fotografica (fig. 61). Dobbiamo infatti osservare attentamente le opere iperrealiste per assicurarci che si tratti effettivamente di dipinti. Entrambe le tecniche (la fotografia e il calco) usate da pittori e scultori hanno come obiettivo l’oggettività e l’affermazione delle possibilità tecniche e imitative dell’arte.

Una riproduzione perfetta della figura umana I dipinti e le sculture iperrealiste raggiungono, grazie all’abilità tecnica degli artisti, all’uso di strumenti meccanici, quali la macchina fotografica, e all’impiego nel campo della scultura di nuovi materiali prodotti dalle tecnologie più avanzate, un obiettivo perseguito da molti artisti nel corso della storia: la riproduzione perfetta della realtà. I pittori iperrealisti, partendo dall’immagine fotografica, rappresentano soggetti «a fuoco» in tutti i loro dettagli. In questo modo riescono a superare i limiti della nostra percezione visiva: l’occhio umano, infatti, non è in grado di mettere a fuoco contemporaneamente soggetti posti in primo piano e soggetti lontani nello spazio. Proprio per il loro eccessivo realismo, questi dipinti appaiono quasi irreali. Più inquietanti dei quadri risultano però le sculture, copie dell’uomo simili a fantascientifici replicanti, in tutto simili a noi (fig. 62). La figura umana costituisce il fulcro dell’attenzione dell’arte iperrealista: non si tratta di una novità, perché da sempre la pittura e la scultura hanno visto nella rappresentazione dell’essere umano uno dei loro soggetti favoriti. L’innovazione iperrealista consiste nel modo “non ideale” con cui la figura umana è vista e riprodotta. Uomini e donne vengono infatti rappresentati nella loro concreta, umile, spesso banale realtà quotidiana, mentre svolgono azioni altrettanto comuni, antieroiche. La cura dell’artista si concentra così nella perfetta resa dei particolari minimi e volutamente antiestetici: visi dai lineamenti non regolari, abiti sciatti e magari consumati, atteggiamenti a volte rozzi, imperfezioni di ogni tipo. Lo scopo dichiarato è descrivere l’umanità «così come essa realmente è», ma, in verità, essa viene sottoposta a un esame tanto impietoso da rivelare spesso un severo giudizio critico da parte dell’artista.

61

62

61 Ralph Goings, One-Eleven Diner,

62 John De Andrea, Linda, part.,

part., olio su tela, 1977 (New York, O.K. Harris Gallery).

1983, polivinile, pittura a olio e capelli naturali (Denver, Art Museum).

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

31

Risorse online Attraverso le opere d’arte Le innovazioni del movimento iperrealista L’Iperrealismo (da iper, prefisso greco che significa «oltre») è un movimento figurativo che nacque negli Stati Uniti e che si diffuse nel mondo occidentale all’inizio degli anni Settanta del Novecento. Nel secolo scorso, a partire dagli esponenti delle Avanguardie storiche, la maggior parte degli artisti si dedicò a ricerche antiaccademiche e sperimentò le possibilità espressive di tutti i mezzi e gli strumenti utilizzabili, dando sempre minore importanza all’abilità esecutiva e alle tradizionali tecniche pittoriche, soprattutto se finalizzate all’imitazione della realtà. Negli anni Sessanta e Settanta, con le esperienze estreme della Body Art («arte del corpo»), dell’happening («avvenimento») e in seguito della performance, gli artisti giunsero ad agire quasi come attori, lavorando prevalentemente sul proprio corpo. L’Iperrealismo recuperò invece le tecniche artistiche tradizionali e diede grande importanza alle abilità tecniche e alle

capacità imitative dell’artista, tornando a un’arte figurativa provocatoriamente accademica e a un tipo di pittura contro cui tutti i movimenti artistici, dall’Impressionismo in avanti, avevano combattuto. I soggetti delle opere iperrealiste puntano, come quelli della Pop Art (movimento, sorto negli anni Sessanta del Novecento, che faceva riferimento ai prodotti commerciali e alle immagini dei mezzi di comunicazione di massa), alla rappresentazione di elementi tipici della società dei consumi americana: uomini e donne sono spesso riprodotti nei supermercati oppure hanno in mano borse di plastica piene di acquisti. L’Iperrealismo è stato un movimento strettamente legato al suo territorio di origine e costituisce un simbolo del disagio di una nazione che, nonostante il benessere economico, era in quegli anni tormentata dagli avvenimenti drammatici della guerra in Vietnam. Gli iperrealisti hanno cercato di dare una risposta all’inquietudine del loro tempo scegliendo l’isolamento nel virtuosismo tecnico, capace di creare una realtà apparentemente identica a quella quotidiana e caratterizzata dagli stessi difetti. 63 Malcolm Morley, Central Park, olio su tela, 1970 (Aachen, Neue Galerie).

63

32

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

Referenze iconografiche p.1: (ad) Musée d'Orsay, Parigi; (bd) D.Hanson / © by SIAE, Roma 2010; p.2: (cs) Museo Nazionale Egizio, Città del Cairo / J.Liepe, 1986; (bc) Museo Archeologico Nazionale, Reggio Calabria / A.De Luca, Roma / Electa, 1998; (bd) Museo Nazionale del Barghello, Firenze; p.3: (bs) Albertina, Vienna / Electa, 2006; (bc) P.Picasso / © by SIAE, Roma 2010 / © Digital Image,The Museum of Modern Art, New York / Scala; (bd) A.Giacometti / © by SIAE, Roma 2010; p.4: (s) Museo Nazionale Egizio, Città del Cairo; p.5: © Jupiter Images, 2010; p.6: (cs) Museo Archeologico, Firenze / A. Guatti, 1983; (bs) British Museum, Londra; (cd) Museo Nazionale Egizio, Città del Cairo; p.7: (bs) Museo Nazionale Egizio, Città del Cairo; p.8: (cs e cc) Museo Nazionale Archeologico, Atene; (cd) Museo Nazionale, Napoli / L.Pedicini, 2001; p.10: (bs) Museo Archeologico Nazionale, Atene / © Photoservice Electa / AKG Images; (bd) Museo Nazionale Archeologico, Atene / Panini, 1992; p.11: (cs) Museo del Louvre, Parigi; (cd) British Museum, Londra / Skira Archives; p.12 (as) Museo Nazionale, Lucca / © Foto Scala, Firenze - su concessione Ministero Beni e Attività Culturali; (bs) Museo dell'opera di Santa Croce, Firenze / © Archivi Alinari, Firenze; p.13: (ad) Santa Maria Novella, Firenze / © G.Tatge / Ar-

chivi Alinari; p.14: (bs) Biblioteca Nazionale di Francia, Dipartimento manoscritti, Parigi; (bd) Sant’Apollinare, Ravenna / © Archivi Alinari, Firenze - su concessione Ministero Beni e Attività Culturali; p.15: (bs) Galleria degli Uffizi, Firenze; (cd) Cappella degli Scrovegni, Padova / Electa, 1993; p.16: Santa Maria del Carmine, Firenze / Electa, 1997; p.18: (s) Museo di Capodimonte, Napoli; (d) Biblioteca Palatina, Parma / © Scala, Firenze; p.19: (ad) Royal Collection, Londra / Giunti, Firenze, 1995; (b) Galleria degli Uffizi, Firenze; p.20: Galleria dell'Accademia, Firenze; p.21: (bs) Palazzi Vaticani, Roma; (bd) Basilica di Sn Pietro, Città del Vaticano / Panini Editore, 2000; p.22: Museo del Louvre, Parigi / Electa, 1997; p.24: (bs) Museo Regionale, Messina; (bd) San Luigi dei Francesi, Roma; p.25: (as) Galleria degli Uffizi, Firenze; (bs) Galleria degli Uffizi, Firenze / Magnus Edizioni; p.26 e p.27: H. Matisse / © by SIAE, Roma 2010; p.28: (bs) H. Matisse / © by SIAE, Roma 2010; (bd) E.Heckel / © by SIAE, Roma 2010; p.29: (bs) Wallraf-Richartz Museum, Colonia; (bd) Nationalmuseum, Stoccolma; p.30: D.Hanson / © by SIAE, Roma 2010; p.31: (bs) Museum of Modern Art, New York; (bd) Art Museum, Denver; p.32: collezione Ludwig, Neue Galerie, Aachen;

© Loescher Editore S.r.l. – 2010 Realizzazione editoriale: Vittoria Napoletano, Coming Book Studio Editoriale, Novara Redattore responsabile: Maria Alessandra Montagnani Ricerca iconografica: Manuela Mazzucchetti, Giorgio Evangelisti Fotolito: Graphic Center, Torino

33