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inadeguatezza del PIL e degli indicatori statistici che lo compongono per
spiegare.
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PRODOTTO INTERNO LORDO E CAPITALE UMANO: FANTASY E FINCTION NELL’ECONOMIA NON DIRETTAMENTE OSSERVABILE Alfonso Marino Professore associato di economia e organizzazione aziendale presso la Facoltà di Ingegneria della seconda Università degli Studi di Napoli Il Prodotto Interno Lordo è, riprendendo il discorso d’inaugurazione di Kennedy, inadeguato alla misurazione della creazione e distribuzione della ricchezza economica, delle singole Nazioni e delle differenti aggregazioni che compongono le aree economiche di competenza. Ecco il discorso di R. Kennedy del 1968: “Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow - Jones, nè i successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo. Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine - settimana. Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando
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sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani.” Università del Kansas, 18 marzo 1968 discorso di Robert Kennedy Il 19 e 20 novembre 2007 si è tenuta a Bruxelles la conferenza internazionale “Beyond GDP” (“Oltre il PIL”) organizzata dalla Commissione europea, dal Parlamento Europeo, dall’OCSE e dal WWF. La conferenza ha richiamato leader politici, rappresentanti di governo ed esponenti di istituzioni chiave come la Banca Mondiale e le Nazioni Unite con l’obiettivo di chiarire quali possano essere gli indicatori più appropriati per misurare il progresso. Sempre a testimoniare la crescente attenzione del mondo politico per il tema, il presidente francese Nicholas Sarkosy nel febbraio 2008, ha chiesto a, Joseph Stiglitz, Amartya Sen e Jean Paul Fitoussi (premi Nobel per l’economia) di creare la commissione denominata: “The Commission on the Measurement of Economic Performance and Social Progress”. L’iniziativa dopo due anni è stata notata anche dalla stampa nostrana che con una serie di
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articoli sottolinea l’inadeguatezza del PIL e degli indicatori statistici che lo compongono per spiegare l’andamento dell’economia. Avvenire, del 15 gennaio 2010, riporta sia le perplessità dell’attuale Presidente della Camera che del Ministro competente, in materia di Prodotto Interno Lordo, anche il Corriere della Sera, stessa data, presenta una riflessione sul perché gli indicatori tradizionali non catturano le grandezze reali e, Il Messaggero, sempre il 15 gennaio 2010, evidenzia come, con la crisi il mondo cerca alternative al PIL. Il Sole 24 Ore, stessa data, evidenzia come non solo il PIL, ma anche cultura e cibo sono global asset e, la Stampa riflette sul fatto che c’è un PIL da ripensare che non fotografa bene l’Italia. Il giorno precedente, il 14 gennaio 2010, il Corriere della Sera, presentava una riflessione in materia di ricchezza degli Stati e quanto conta la felicità. Il Foglio del 15 gennaio 2010, spiega perché le riflessioni avanzate sul PIL devono essere importate in Italia. Anche il Riformista del giorno 15 gennaio 2010, spiega che se volete la felicità, dovete iniziare con dimenticare il PIL. La Repubblica nella stessa giornata evidenzia come bisogna ripensare al Welfare, mentre il PIL è composto da indicatori insufficienti. Tanto tuonò che piovve? No, siamo nella nostra Italia, ancorati al Prodotto Interno Lordo. Anche la valutazione del capitale umano,1 presenta elevate zone d’ombra. Partendo dalla sua definizione, necessita per essere studiato di informazioni: necessarie, esistenti e mancanti. Le informazioni necessarie si compongono di indicatori formativi e riflessivi. Gli indicatori formativi sono: età; sesso; regione di nascita e di residenza; stato civile; 1 Per una introduzione all’argomento si veda G.S. Becker, Il capitale umano, Laterza, 2008 e “Capitale umano risorsa per lo sviluppo” AVSI, Milano, 2008.
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anni di scolarità; numero di figli; area di residenza (regione e ripartizione geografica); tipo di laurea; voto; anno di laurea; età in cui si è entrati nel mercato del lavoro; anni di settore lavorativo. Gli indicatori riflessivi sono: ricchezza totale famiglia (attività reali + finanziarie); reddito da lavoro (dipendente + autonomo - ammortamenti + pensione + aiuti CIG); risparmio e debito familiare; grado di istruzione; tipo di lavoro e settore lavorativo di ciascun genitore. In Italia oltre l’analisi empirica, la principale fonte per stimare il capitale umano in termini di indicatori formativi e riflessivi, sono la Banca d’Italia con l’indagine sui bilanci delle famiglie italiane (indicatori sia formativi che riflessivi), i dati dell’Istat con l’indagine forze di lavoro e l’indagine sull’inserimento professionale dei laureati. Le informazioni mancanti attengono alla differenza tra la scolarità e la durata legale del percorso, alla condizione da studente e al tipo di scuola frequentata se pubblica o privata. Inoltre sono assenti informazioni sulla contribuzione posseduta dall’intervistato e quindi se già lavoratore part- time o full time o di altra natura, il numero di anni di disoccupazione, i tipi di lavoro svolti nel passato e il grado di coerenza percepito con il proprio titolo di studio e l’età d’ingresso nel mercato del lavoro. Poco presenti le informazioni in termini di reddito e cultura della famiglia di provenienza e di quella attuale. La storia del pensiero economico si è sviluppata trascurando quasi completamente l’analisi di una variabile fondamentale per ogni economia nazionale: il capitale umano. La teoria mercantilista, metà settecento, imponeva di quantificare la ricchezza di un Paese in base all’eccedenza delle esportazioni sulle importazioni. I fisiocratici spostarono l’attenzione sulla produzione agricola come fattore fondamentale
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di ricchezza per un Paese. Gli economisti classici aggiunsero il settore industriale e commerciale. Il primo degli economisti ad introdurre la variabile capitale umano fu Adam Smith, che propose l’analogia tra gli uomini e le macchine in termini di produttività. Il concetto espresso da Smith fu successivamente considerato da altri studiosi ma, non fu mai sviluppato, forse Marshall - Alfred Marshall (1890), che più di cento anni dopo Smith, definì il capitale umano come “...quell’insieme che comprende le energie, le facoltà e le abitudini che contribuiscono direttamente all’efficienza produttiva degli uomini” è stato lo studioso che coglie l’importanza del tema e il suo approfondimento. Alla metà del nostro secolo grazie ai lavori pionieristici di J. Mincer (1958), T. Schultz (1960) e G. Becker (1964,1975), favoriti senz’altro dallo stimolante clima di ricerca dell’università di Chicago, si registrano interessanti riflessioni di merito. In particolare, l’istruzione/formazione è da considerarsi come attività che aumenta lo stock di capitale umano e può facilitare le esperienze di apprendimento, dunque oltre al fine culturale teorico, l’istruzione/formazione migliora le capacità delle persone, nella gestione del proprio lavoro e contribuisce all’aumento del reddito individuale e nazionale con una migliore distribuzione dello stesso. La disuguaglianza del reddito e dei guadagni è correlata positivamente con la disuguaglianza dell’istruzione e delle conoscenze (differenziali nel grado di istruzione), così come la disoccupazione è negativamente correlata al grado di scolarità e conoscenze acquisite. Questi contributi, partendo dal capitale umano e in particolare dalla variabile - anni di scolarità e l’esperienza professionale nel lavoro - considerate variabili esplicative delle
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funzioni di guadagno individuali, evidenziano una forte discontinuità con il pensiero economico precedente e del periodo in corso. Prima dello sviluppo apportato dalla scuola di Chicago, la maggior parte degli economisti infatti, si è limitata ad osservare l’importanza delle abilità acquisite, delle capacità, dell’istruzione come fonti esplicative dei differenziali salariali, seguendo essenzialmente le argomentazioni di A. Smith. La ragione principale invece che motiva l’attenzione per la relazione scolarità - esperienza professionale risiede nella considerazione che la crescita di capitali fisici, misurabili e/o misurati in contabilità, spiega una parte relativamente bassa della crescita del reddito in molti Paesi. Il tentativo di spiegare questo gap ha favorito un largo dibattito sul capitale fisico e sugli input impiegati, fino a considerare nei modelli di crescita il capitale umano e, in misura minore, il cambiamento tecnologico. Recentemente ci sono stati contributi inerenti il tentativo di riformare il sistema di Contabilità al fine di calcolare il capitale umano. In particolare, gli Stati Uniti hanno proposto un nuovo sistema di contabilità per l’economia che include attività di formazione del capitale per la crescita economica. Il capitale umano2 è stato considerato una delle leve strategiche anche dell’Europea: Unione Europea (OECD, 1998), Trattato di Amsterdam (1997), e poi Lisbona; l’impegno era raggiungere entro il 2010 un tasso di occupazione nell’Unione del 70% della popolazione in età di
2 La vasta letteratura sull’argomento impone un richiamo sintetico: è da intendersi, sia il metodo prospettivo che retrospettivo. Alcuni indicatori usati per la valutazione del capitale umano sono: l’approccio prospettivo (generare reddito), performance educativa, abilità cognitive. Negli ultimi anni si è irrobustita la letteratura teorica e operativa sul tema del capitale umano e distribuzione del reddito studiando ad esempio il capitale umano partendo dalle famiglie.
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lavoro. Ci siamo al 2010, ma il tasso di occupazione è lontano da quella percentuale. In economia la relazione contabilità nazionale - prodotto o reddito nazionale, è fondamentale. Questa relazione, è il risultato del valore delle risorse impiegate in consumi finali e del valore totale di risorse investite. Una delle voci componenti i consumi, è data dalle spese d’istruzione, la sanità, la sicurezza pubblica a carico dello Stato e dei cittadini, al pari dei consumi in beni materiali. L’orientamento, in alcuni Paesi, è quello di ritenere che il costo di produzione e di mantenimento dei capitali umani andrebbe inquadrato nel conto economico del Paese come investimento e non come costo; in particolare, dai costi andrebbero sottratte le spese di istruzione, formazione professionale, salute negli ambienti di lavoro, e parallelamente andrebbe creata nella contabilità nazionale la voce in capitale umano. Inoltre, mentre la capacità produttiva dei mezzi materiali si esaurisce nel tempo, quella dei mezzi umani, ovvero la sapienza, composta da saggezza e scienza, si trasmette, in parte, da generazione a generazione attraverso la conoscenza che si sedimenta nel tempo. Le proposte di revisione del PIL pongono il problema di considerare le famiglie, oltre che come unità di consumo, anche come unità produttiva di capitali umani e di servizi resi. In tale ottica, andrebbe integrato al conto economico nazionale quello delle famiglie, le cui principali voci consistono nei redditi da lavoro ma anche nei costi di formazione dei capitali umani. Così formulata, appare semplice, verificare le voci di spesa utili per migliorare la quantità e la qualità di stock personali (investimenti in capitale umano), nella realtà il compito è più arduo perché si incorre in beni e servizi di natura individuale, variabili ai prezzi di
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mercato, e beni di natura collettiva, indivisibili e non quantificabili. In tale ambito le ipotesi di contabilizzare la valutazione del capitale umano in termini di bilancio dello Stato e di PIL sono in fase di sperimentazione, ad esempio la Francia è una di queste. In Italia, com’è possibile valutare il capitale umano, utilizzare grandezze economiche più precise del PIL se il fenomeno dell’economia non direttamente osservabile (Endo) - economia illegale, sommersa, informale è in crescita? Il fenomeno Endo Nel 2009 il valore aggiunto prodotto dall’Endo è pari a circa 227 miliardi di euro, nel 2009 è pari a circa 250 miliardi di euro, stima dell’ Istituto Nazionale di Statistica. In questa forbice si colloca il settore: il primo in Italia. Un terzo del fatturato complessivo è da attribuirsi al Mezzogiorno, mentre due terzi del totale sono da attribuirsi alle imprese localizzate nel Nord e nel Centro d’Italia. All’interno dell’Endo, il Sud detiene il primato della ricchezza prodotta da lavoro illegale, il Centro-Nord detiene invece il primato della ricchezza prodotta da lavoro sommerso e informale. La tenuta dell’Endo e la sua crescita da alcuni decenni a questa parte risiedono e prosperano in imprese e attività economiche di varia natura appartenenti al circuito spesso difficile da individuare di economia illegale, sommersa e informale. L’Italia è area di crescita dell’Endo. La comprensione del fenomeno è indispensabile, perché è collegato ad obiettivi di politica economica locale, nazionale ed europea che vengono definiti dalle istituzioni governative, dall’accademia, dagli operatori economici, dalle istituzioni pubbliche e dalle organizzazioni di rappresentanza. In quest’ambito
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è utile sottolineare come l’Endo nelle sue diverse manifestazioni di economia sommersa, illegale e informale ostacola la crescita economica, lo sviluppo di opportunità d’impresa, la diffusione della democrazia, un diverso approccio alla cultura d’impresa. In particolare, l’impresa artigiana ad esempio, è stata spesso rappresentata nel dibattito economico e sui media come impresa che non possiede forza di crescita, piccola, un residuo sia economico che imprenditoriale, tacendo che il sistema d’impresa è costruito per la grande impresa e poi adattato alla Pubblica Amministrazione. Il settore dell’artigianato invece è il motore di una parte rilevante dell’economia del nostro Paese, è composto da circa 1.400.000 imprese che rappresentano il 33% del numero complessivo a livello nazionale. Questa realtà ha bisogno di pacchetti integrati di agevolazione. In molte imprese del settore è riuscita la coniugazione della tradizione con l’innovazione tecnologica ed organizzativa. Risulta evidente che questo percorso non può essere frutto di singole capacità, ma tradursi in una capacità di governo che integrando leggi regionali e nazionali delegate, semplifica e unifica le procedure di accesso e di concessione degli interventi agevolativi, cumulando contributi regionali con le risorse statali, nel rispetto dei regolamenti comunitari in materia di aiuti di Stato che permangono come vincolo. Così si potrebbe attivare un sostegno finalizzato alle nuove attività imprenditoriali e costituire un fondo regionale di garanzia che si aggiunge al fondo di rotazione e al fondo abbattimento tassi a completamento degli strumenti per l’accesso al credito. Questi strumenti sono utili per diminuire la distanza tra le imprese artigiane e il credito istituzionale, la corsa al solo abbattimento dei costi
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del lavoro e della manutenzione degli impianti. L’Endo riferita all’economia illegale, sommersa e informale, presenta robusti problemi di misurazione. La velocità dello scambio, tra fornitore e grande distribuzione e tra distribuzione e vendita al dettaglio è superiore al passo lento della burocrazia che intercetta uno degli scambi tra i tanti avvenuti sulla parola o sulla telefonata tra imprenditori che da anni lavorano in quel settore e sono affidabili nei pagamenti. Il controllo attiene ad una singola fornitura, la modalità con la quale si relazionano fornitori, grossisti e dettaglianti è sempre la medesima e spesso tende ad evadere i controlli, dunque una volta puoi pagare: è un costo previsto che non intacca il margine costruito sull’evasione contributiva e una organizzazione del lavoro molto flessibile3. Queste due modalità sono presenti in tutta la nostra penisola. In particolare in Campania la stima del fenomeno è pari ad 11,1 miliardi di euro, e attiene all’area del lavoro, in Lombardia è di 10,9 miliardi di euro e attiene all’area dei capitale. Campania e Lombardia, sono al primo e secondo posto della classifica riguardante il fenomeno dell’Endo. Le persone, spesso in questi settori sono sottopagate e utilizzate con modalità irregolari. La valutazione del capitale umano, la sua valorizzazione invece è fortemente legata al merito, alla legalità, alla necessità di ridimensionare, eliminare, la corruzione e l’evasione contributiva e da capitale.
3 In quest’ambito, alcuni mercati, ad esempio quello ittico, ma anche dei fiori, presentano quote robuste di Endo con ordinazioni fatte “sulla parola” per telefono, alle quali segue la consegna della merce senza cartaceo o tracciabilità di accompagnamento. Di natura diversa ma con risultati simili è il settore dei servizi privati, ad esempio cure mediche e il mercato delle locazioni.
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L’Endo come cultura Il ruolo del controllo e della dimensione ispettiva non può essere determinante per combattere il fenomeno. Il ruolo ispettivo è fondamentale, ma non può essere il pilastro sul quale ipotizzare una scomparsa, un forte ridimensionamento dell’Endo. La dimensione di legalità deve coniugarsi con la dimensione burocratica. La burocrazia è definita dalla scuola di studi organizzativi francese come quell’organizzazione che non apprende dai propri errori, la legalità invece in questa dimensione organizzativa, è identificata come l’assenza di errore per la tutela dei diritti fondamentali delle persone e delle istituzioni. Un ruolo centrale quello del controllo, ma non sufficiente senza un diverso modello culturale in materia di legalità economica. La crisi economica accentua l’espansione dell’Endo, in particolare per le fasce deboli d’impresa, che si affidano all’evasione contributiva e di capitali. Come si gestisce una crisi? Qual è il modello economico e culturale sul quale vogliamo insistere, se posso, scommettere? Questo è il tema, questa è la sfida. Responsabilità del ruolo e capacità di difendere la legalità devono essere i fari del nostro pensiero. A partire dagli anni 80 l’Endo si è modificata con una tendenza alla crescita costante nel tempo. Cambiano i dati strutturali ma il settore è in continua crescita. La necessità di strumenti di accompagnamento e differenziati per settore è riflessione urgente. Nell’ittico e nell’edilizio, nell’agricoltura, ad esempio, la quota di economia informale ed illegale è elevata, ma non possiamo utilizzare gli stessi strumenti per contenere la distanza tra accertato e incassato. Il coordinamento delle attività è fondamentale, è fondamentale nella logica
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di difendere l’emerso perché la sua difesa può aiutare ad emergere. L’emersione impone una relazione con il mondo delle associazioni di rappresentanza sia nel sud (ad esempio Napoli) che nel centro (ad esempio Prato) e nord (ad esempio Milano) del Paese. La riflessione sulla quale ritengo doveroso confrontarmi con i colleghi e gli addetti del settore, attiene alla possibilità di non identificare solo con l’azione repressiva la soluzione del problema, ma prevedere anche una sorta di accompagnamento per tutte quelle imprese che non tollerano il fenomeno, ma lo subiscono all’interno di un territorio che presenta il modello economico e culturale dell’Endo come modello vincente, strutturale, paradigma da imitare, seguire, irrobustire. Conclusioni Le proposte di revisione del PIL, avanzate sia in Franca che negli Stati Uniti, pongono il problema di considerare con modalità diverse le categorie ricchezza e crescita economica, ma anche di rivedere in funzione della contabilità nazionale aggregati come le famiglie e le imprese artigiane. Le famiglie, oltre che come unità di consumo, anche come unità produttiva di capitali umani e di servizi resi. In tale ottica, andrebbe integrato al conto economico nazionale quello delle famiglie, le cui principali voci consistono nei redditi da lavoro ma anche nei costi di formazione dei capitali umani. Così formulata, appare semplice, verificare le voci di spesa utili per migliorare la quantità e la qualità di stock personali (investimenti in capitale umano), nella realtà il compito è più arduo perché si incorre in beni e servizi di natura individuale, variabili ai prezzi di mercato, e beni di natura collettiva, indivisibili e non quantificabili. In quest’ambito l’ipotesi del costo
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standard è tutta da verificare. Allo stesso modo, l’ipotesi di contabilizzare la valutazione del capitale umano in termini di bilancio dello Stato sono in fase di sperimentazione, in alcuni stati dell’area euro. Com’è possibile valutare, valorizzare il capitale umano in Italia se il fenomeno dell’economia non direttamente osservabile (Endo) è in crescita? Prodotto Interno Lordo e capitale umano sono ancora i vettori fondamentali, ma, appaiono come finction e fantasy economy in relazione alla crescita dell’Endo. La misurazione del fenomeno è difficile. Queste difficoltà attengono sia alle contingenze con le quali si manifesta nelle diverse regioni del nostro Paese l’Endo che, dalla stratificazione nel tempo di comportamenti e culture che convivono con esso senza percepire il distinguo, la differenza, tra economia illegale, sommersa e informale e attività produttiva e lavorativa dichiarata, legale. Il fenomeno osservato è presente in modo robusto nelle regioni meridionali e attiene all’evasione contributiva e da lavoro, mentre nelle regioni settentrionali si sostanzia per evasione di capitali. L’Endo si amplifica nell’attuale crisi economica. La crisi economica modifica l’idea d’impresa sia in relazione alla produzione di beni e servizi che di cultura del lavoro e della professione. Il problema diventa la differenza tra l’impresa, l’azienda legale e quella illegale, il problema diventa la legalità del territorio e la domanda di legalità del territorio. L’assenza di un modello culturale legale forte, e di una crisi economica profonda si evidenzia anche con lo scarso ricambio generazionale che si accompagna ad una frammentata conoscenza degli strumenti contabili e giuridici, dunque una perdita di interesse da parte delle giovani generazione nel seguire l’impresa di famiglia, una sorta di difficoltà nel passaggio
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generazionale che deve essere verificato e dovrebbe prevedere interventi robusti per non disperdere un patrimonio di conoscenze utile all’intero Paese. Interventi che oltre ad essere di natura sanzionatoria e repressiva in termini giuridici – controllo e sanzione forte e continuativa nei confronti dell’economia sommersa, illegale e informale - dovrebbero anche cogliere le differenze e creare opportunità, economiche e di rappresentanza nelle diverse aree della regione e nei diversi settori di appartenenza degli imprenditori. Le imprese legali rappresentano nel Paese un patrimonio di esperienza e cultura che deve essere salvaguardata evitando contatti e accordi con forme di economia già ampiamente diffuse sul territorio e classificate come sommersa, illegale, informale.