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Nel 1965, in una lettera indirizzata a Leonardo Sciascia, Italo Calvino scriveva ... nei romanzi polizieschi di Sciascia da A ciascuno il suo ad Una storia semplice.
INTRODUZIONE

Nel 1965, in una lettera indirizzata a Leonardo Sciascia, Italo Calvino scriveva a proposito di A ciascuno il suo:

Caro Leonardo, ho letto il tuo giallo che non è un giallo, con la passione con cui si leggono i gialli, e in più il divertimento di vedere come il giallo viene smontato, anzi come viene dimostrata l’impossibilità del romanzo giallo nell’ambiente siciliano. 1

Con la consueta immediatezza, e il consueto nitore, Calvino riesce a condensare in poche righe l’aspetto più interessante e problematico della narrativa poliziesca sciasciana che, attraverso l’infrazione delle regole e il paradosso, mira a rappresentare non solo “l’impossibilità del romanzo giallo nell’ambiente siciliano”, ma l’insensatezza di un genere letterario che afferma l’onnipotenza della ragione umana come strumento che assicuri una conoscenza integrale e completa del reale. Una simile considerazione è stato il punto di partenza di questo lavoro. Per tentare di comprendere la decostruzione del ferreo codice narratologico del poliziesco sciasciano, che da A ciascuno il suo in avanti si fa sempre più marcata (fino agli esiti estremi di Todo Modo), si è preferito, piuttosto che una lettura lineare dei romanzi, approfondire un singolo elemento formale, ed eminentemente letterario, come il procedimento del rimando intertestuale, con particolare attenzione all’insieme di “prestiti”, citazioni ed echi riferiti ad altre opere “gialle”. Per due motivi. Innanzitutto perché l‘opera di sensibilizzazione di Sciascia rispetto al fenomeno della mafia prima, ed al problema della giustizia in Italia poi, che ha giustamente suscitato l’interesse di tanti studiosi, valendogli

1

anche

la sgradita

I. Calvino, I libri degli altri, Einaudi, Torino 1991, p. 538. 5

qualifica di “mafiolologo”, rischiava di far perdere di vista la natura prima del suo lavoro, che consiste, essenzialmente, nel raccontare storie. In secondo luogo perché la figura retorica della citazione intertestuale si dimostra, soprattutto nelle opere degli anni settanta, l’elemento caratterizzante della

poetica sciasciana; una sorta di punto

nevralgico, verso cui convergono i “motivi ricorrenti”, le urgenze espressive e i “grandi temi” della sua narrativa. Il rapporto oppositivo, critico ma anche ludico con la memoria di genere, con la rigida ossatura del poliziesco classico, si eleva dall’apparente divertimento parodico per farsi segno di una metafisica “frana” che coinvolge qualsiasi pretesa di razionalità, ordine e logica. La struttura del giallo classico, del giallo a enigma, o “vittoriano” (come sarà definito dallo stesso Sciascia in un articolo degli anni cinquanta) diventa allora una sorta di limite, o di confine, perennemente ripreso e oltrepassato, richiamato e infranto, proprio attraverso la prassi della citazione metagiallistica. Il riferimento ad altri importanti polizieschi del passato, dalle novelle del ragionamento di Poe, ai disperati requiem di Dürrenmatt, dalla narrativa “di consumo” di Agatha Christie alla “disarmonia prestabilita” di

Quer Pasticciaccio

Brutto de via Merulana di Gadda, induce il lettore ad un costante aggiornamento e confronto con il bagaglio di regole e divieti che caratterizza la memoria di genere. Proprio grazie alla relazione con i suoi ipotesti l’opera di Sciascia rivela la graduale e inarrestabile “frana” dei presupposti logici, narratologici e metafisici, di un universo che, per dirla con il dottor H. de La promessa: “può essere perfetto, possibile, ma è una menzogna”.2 Il primo capitolo di questo studio sarà quindi dedicato ad una ricostruzione, scandita dagli interventi critici dello stesso Sciascia, della serie di presupposizioni e stilemi che costituiscono lo schema del giallo classico, dalla caratterizzazione dei vari attanti (investigatore, eventuale spalla, criminale, rosa dei sospettati), alle implicazioni logiche 2

F. Dürrenmatt, La Promessa, Feltrinelli, Milano 1996. 6

e metafisiche (la “grazia”, la “provvidenza”, le polarità dicotomiche), fino al ruolo centrale del lettore implicito. Il secondo capitolo si occuperà invece di analizzare, anche in rapporto con importanti tentativi di categorizzazione formale, come quelli genettiani, la figura dell’intertestualità. Le procedure metagiallistiche sciasciane saranno prima classificate secondo un ordine decrescente di esplicitezza, poi rispetto al rapporto che si istituisce con l’ipotesto (aderente o critico), in relazione all’effetto che il lettore implicito sperimenta, dal semplice arricchimento connotativo alla complicità, la beffa, la sfida e l’indizio, e infine rispetto al versante della voce citante. Un ultimo accenno spetterà alle motivazioni del plurilinguismo delle citazioni sciasciane. Si passerà poi ad analizzare nel dettaglio le singole citazioni metagiallistiche presenti nei romanzi polizieschi di Sciascia da A ciascuno il suo ad Una storia semplice. Il giorno della civetta è stato escluso da questa analisi perché, sebbene caratterizzato da un massiccio impiego della citazione letteraria, non presenta alcun riferimento completamente esplicito, e riconoscibile, ad altri gialli. I polizieschi sciasciani non saranno presentati secondo un ordine cronologico (dopo A ciascuno il suo sarebbe infatti il turno de Il contesto e non di Todo Modo), si tratteranno prima i romanzi che presentano detective dilettanti, come il professor Laurana o il pittore, e successivamente quelli che presentano inquirenti ufficiali. La figura del detective, che in tutti i casi, salvo l’eccezione di Una storia semplice, si caratterizza come principale voce citante, personaggio maggiormente fornito dell’abilitazione a citare, è sottoposta nel caso di A ciascuno il suo e Todo Modo ad una decostruzione talmente forte che finisce per trasformarsi in inganno ai danni del lettore implicito, che statutariamente, “per contratto”, di quella voce è tenuto a fidarsi. Dalla “positiva ottusità” del professor Laurana, che lo rende incapace di risolvere il caso in tempo per salvarsi la vita, alla palese inattendibilità del pittore, che in Todo Modo è anche narratore della storia, si passerà quindi, ne Il contesto come ne Il cavaliere e la morte e Una storia semplice ad 7

un tipo di detective più competente, e moralmente retto, e quindi più tradizionale, almeno nel senso dell’affidabilità. Saranno approfonditi inoltre, sempre in relazione alla citazione metagiallistica, alcuni dei principali temi o “motivi ricorrenti” della narrativa sciasciana,

dalla

contraddittoria

rappresentazione

della

parola

scritta,

al

donchisciottismo, dal rapporto con Pirandello, che presenta tutti i contrasti di una edipica relazione con “il padre”, alla rappresentazione della donna e del desiderio sessuale, fino all‘eco, principalmente in Todo Modo, della letteratura soprannaturale ottocentesca.

8

CAPITOLO 1 - TEORIA DEL GIALLO

1.1 Letteratura del giallo e Appunti sul giallo, due interventi critici degli anni cinquanta

La prima riflessione di Sciascia sul genere poliziesco appare su Letteratura nell’Aprile del 1953, in un articolo intitolato Letteratura del “giallo”3. Si tratta di una divagazione, breve e incisiva, sulla sorte che sembra toccare in Italia a quella particolare zona del “sottobosco letterario” comunemente detta “giallo”4. A far “ben sperare per l’avvenire” concorrono gli studi critici di recente pubblicazione su altri generi di letteratura di consumo: il saggio di Anna Banti sul romanzo rosa, l’intervento di Lugli (sempre su Letteratura) su sport e stampa sportiva; la sensibilizzazione della critica coinvolge anche il giallo, come testimoniano gli studi teorici di Chandler o quelli di Oreste del Buono. L’editoria risponde iniziando la pubblicazione di collane di gialli: Longanesi propone Dashell Hammet, Garzanti invece esordisce con Spillane. Ma la grande fioritura di gialli, che sembra proliferare nelle edicole, tende a snaturare il prodotto che perde “quella caratteristica di rompicapo o puzzle narrativo, spesso brillante e non privo di intelligenza” per assumere i toni cruenti, atroci, esplicitamente pornografici ben rappresentati dalle vicende del Mike Hammer di Spillane. Nei romanzi di Spillane, che vengono presi da Sciascia come definizione in negativo di tutto ciò che il giallo non dovrebbe essere, “il senso di vacanza del giallo tradizionale va disgregandosi in una ricerca di effetti morbosi, in rappresentazioni propriamente sadiche cui fa da naturale controparte l’erotismo e la pornografia”5.

3

Letteratura del “giallo”, in Letteratura , 3 , 1953. Sciascia adopera indifferentemente il termine “giallo”, che è specificamente italiano (si riferisce infatti al colore di copertina della prima collana editoriale dedicata a questo genere, i “Libri Gialli” Mondadori, inaugurati nel 1929) e il termine “poliziesco”, di matrice francese. Gli anglosassoni parlano invece di Detective Novel o Detective Story. 5 Ibid. 9 4

Già si possono mettere a fuoco due componenti essenziali della teoria di Sciascia sul giallo: una caratteristica costitutiva, legata alle idee di puzzle-rompicapo, e una di ricezione: il senso di vacanza che il lettore ricerca. I romanzi di Spillane, emblema della deriva degradante del giallo, non propongono vacanze, ma piuttosto brutali incursioni in società marcescenti: “in un solo racconto abbiamo cocainomani, omosessuali, lesbiche, qualche casa equivoca, un tipo specializzato nel reclutare prostitute nei college”, un “sommario di atrocità gratuite” in cui l’unico legame col poliziesco è dato dal fatto che “la polizia c’entra in qualche modo”. Perdendo completamente di vista il divertimento matematico del gioco combinatorio. Quello che il vero poliziesco, dai racconti di Poe, passando per Collins, Conan Doyle, Agatha Christie, Cheyney, Queen, ha mantenuto, è una certa infantilità (ecco l’altra componente) che ricorda “il giuoco che i bambini fanno del carabiniere e del ladro, ma decalcato come su un labirinto algebrico, parodiato e complicato in un dilettantismo logico e consequenziario”. Il poliziesco è fusione di gioco, drammatizzazione infantile e algebra, matematica, scienza delle cifre esatte. Nella similitudine del gioco infantile si intravede, appena velata, un’ulteriore intuizione: “guardie e ladri” è una drammatizzazione, i bambini giocano recitando una parte, impersonando personaggi fissi, che rivelano la propria natura di maschere; allo stesso modo i personaggi del giallo (detective, colpevole, spalla, cerchia dei sospettabili) sono semplificati e cristallizzati. E’ importante notare come, tredici anni in anticipo rispetto alla pubblicazione di A ciascuno il suo, sua prima “sotie”, Sciascia introduca il concetto di parodia legato ad una definizione del poliziesco. Il dilettantismo logico, di cui soffrono gli autori, sembra inclinare al di là di ogni intenzione cosciente, verso il ribaltamento parodico. Spostandosi dal piano del contenuto e della ricezione, a quello della tecnica, il giallo ha contribuito, nonostante la sua condizione di sottoprodotto, al cammino della narrativa contemporanea, in uno scambio reversibile tra “scrittori” propriamente detti e giallisti. I 10

giallisti hanno appreso da Melville, Stevenson, Conrad, Proust, Kafka. Inversamente Hemingway deve molto a Chandler, come in Soldati si ravvisano tecniche propriamente poliziesche. La stessa contaminazione che vale tra letteratura alta e bassa (tra “bosco” e “sottobosco”) scandisce i rapporti del giallo col cinema. “Chi vorrà ancora dire la sua sul realismo e sul neorealismo” conclude Sciascia “dovrà affrontare il suo bravo capitolo sul giallo”. Quegli scrittori che sono riusciti a sollevare ad arte la bruta cronaca quotidiana, tanto da affascinare un Greene o un Crommerlynck, tanto da spingerli a scrivere un vero e proprio giallo, meritano interesse e approfondimento. La riflessione si conclude con due esemplari esperienze italiane: i racconti di Soldati raccolti nel volume A cena col Commendatore e, naturalmente, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, che Sciascia si augura Gadda voglia completare.

Un secondo importante studio sul genere, intitolato Appunti sul giallo6, esce su Nuova Corrente già l’anno successivo.

Sciascia opera una fondamentale distinzione tra

polizieschi propriamente detti e opere che presentano solo “spunti polizieschi”, tra cui la favola di Esopo sulla volpe, certi episodi dell’Eneide, la follia “non priva di metodo (anche di metodo poliziesco)” di Amleto. Ma una ricerca in questa direzione, che rischierebbe di includere nel genere anche l’indagine di Edipo, prototipo del “poliziotto che da la caccia a se stesso”7, si rivela per Sciascia “più brillante che utile”, un passatempo sterile. A questo proposito, sull’importanza di definire il poliziesco come genere e di classificarlo, insiste uno studio di Giuseppe Petronio8 : Ecco allora che la maggior parte di quelli che hanno cercato di definire il giallo hanno considerato elementi caratterizzanti del suo schema questi tre: il delitto, l’indagine poliziesca, e la soluzione o

6

Leonardo Sciascia, Appunti sul “giallo”, Nuova corrente, 1 , 1954 SS. Lo sdoppiamento in cui incorre il commissario, nell’atto di accendere l’interruttore nascosto nel villino della vittima, è così commentato dal professor Franzò. 8 Giuseppe Petronio, Il punto su: il romanzo poliziesco, Laterza, Roma-Bari 1985, p. 16. 11 7

scoperta. Il che significa con altre parole che un romanzo o una novella “gialla” è il racconto, più o meno ampio e circostanziato, di un delitto, per lo più un omicidio, e delle indagini che qualcuno compie a risolvere il mistero, fino alla soluzione del caso.

Dopo aver definito le tre costanti, a loro volta complicate da varianti (il luogo del delitto, il movente, la personalità del criminale, il numero e la caratterizzazione dei detective, il metodo di indagine, lo scioglimento), Petronio sembra concordare con le parole di Sciascia:

Il tentativo che ho compiuto qui addietro, di caratterizzare il giallo secondo i suoi modi narrativi, ha una sua utilità: aiuta a capire. E’ come asserire che un uomo è un vertebrato, viviparo, mammifero ecc. Aiuta, per esempio, a non pasticciare insieme cose diverse, come fa chi mette tra i gialli la storia di Edipo, rischiando così di confondersi e confondere le idee e di non capire e far capire più niente.

Sciascia riconosce, già nel ‘54, l’importanza di definire il poliziesco come prodotto letterario, basandosi contemporaneamente su considerazioni di ordine storico (e di genesi del genere) e di ordine psicologico, legato all’analisi della domanda del lettore in rapporto all’offerta della letteratura. Dal lato della storia vale per Sciascia l’intuizione di Gramsci che trova l’origine del genere nella collezione francese delle “cause celebri”, tradotte anche in Italia:

Il romanzo poliziesco è nato ai margini della letteratura delle “Cause celebri” (…) Non si tratta anche qui di “cause celebri“ romanzate, colorite con l’ideologia popolare intorno all’amministrazione della giustizia, specialmente se ad essa si intreccia la passione politica? 9

9

Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, a.c. di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975, 3, pp. 21282129 12

Ma, rettifica Sciascia, è necessario tenere presente un fatto letterario più specifico, ossia la grande fioritura del romanzo gotico inglese della seconda metà del Settecento. A cavallo tra la Francia e l’Inghilterra, tra le cronache giudiziarie dei processi di fama europea e i Tales of Terror settecenteschi, ci sono quindi gli embrioni del moderno poliziesco, la cui involuzione contemporanea segnala chiaramente la provenienza “nera” o gotica. Per il tramite di Walpole e Maturin (in cui si ravvisa per Sciascia “un presentimento di Poe”) l’autore si sposta dal piano storico a quello psicologico e di ricezione:

La richiesta del pubblico di un genere letterario fatto di contenuti in cui il delitto, l’orrore, la deformità e la pazzia facessero giuoco assoluto, senza respiro, è stata viva in ogni tempo. Era, per così dire, l’offerta che non riusciva ad adeguarsi alla richiesta. 10

L’attuale deriva sadico-pornografica del poliziesco, scrive Sciascia, “mostra, come in una radiografia, le ragioni segrete del suo successo - che risiedono prevalentemente nell’oscuro fascino della violenza e del terrore, nel gusto delle rappresentazioni atroci o addirittura sadiche”. Proprio “la più recente involuzione del genere ci mostra insomma la natura nera del romanzo poliziesco - la sua discendenza dal romanzo nero settecentesco”. Ciò che sembra connettere le giustizie quattrocento-cinquecentesche, i racconti gotici e i romanzi polizieschi è uno scopo comune: la descrizione. Il giallo moderno, che ha natura ed esigenze realistiche, prima tra tutte rappresentare lo scontro tra il delinquente e la società, conserva la descrizione come principale scopo dell’opera :

La realtà viene centrifugata nella descrizione; e diviene così, allo stesso modo che nel romanzo gotico gli elementi dell’immaginazione, gratuita. La centrifugazione della realtà è la specifica tecnica del romanzo poliziesco. 11

10 11

L. Sciascia, op. cit, p. 23. Ibid. 13

Sulla centrifugazione come forma costitutiva del poliziesco tornerà nel 1974 Ambroise12:

In quanto alla “centrifugazione”, essa è legata al modello puzzle che contraddistingue il giallo classico da Poe ad Agatha Christie. Riuscendo a far combaciare fra loro i vari elementi sarà possibile ricomporre la storia, sciogliere l’enigma di una morte. Il detective è appunto colui che è in grado di rimettere insieme le tessere disperse del mosaico. Il che significa anche l’esistenza di un forte movimento centripeto che, nel romanzo classico, prevale sempre. Viceversa ne Il Pasticciaccio di Gadda, per esempio, la “disarmonia prestabilita” genera un flusso di fatti e di parole sconnesso e senza fine.

La distanza tra romanzo classico (“vittoriano”, dirà nello stesso articolo Sciascia) e giallo problematico si traduce in termini fisici come divergenza tra movimento accentratore, che tende verso la ricostruzione di un nucleo, e movimento di dispersione e sconnessione, ben rappresentato dalla poetica di Gadda. Il romanzo classico unisce quanto quello problematico separa, disperde, i tasselli del puzzle. La letteratura poliziesca, sebbene gratuita, “è anche letteratura del sottosuolo umano”: “come dire che siamo nei dintorni di Dostoevskij!” aggiungerà Traina commentando il passo13. Sciascia chiama in causa Vittorini, che parla di “sottosuolo” a proposito del romanzo nero, distinguendo tra “vero sottosuolo”, ossia Dostoevskij e Kafka e “finto sottosuolo” dei Tales of Terror. Nel poliziesco quindi “sotto apparenze razionali e logiche, sotto un giuoco di schematizzazione intellettuale, si ricreano gli inconsci processi del totem e del tabù”14. Sembra intuire Sciascia che il logos, la grazia, l’ordine causale alla base dell’universo-menzogna del giallo, non sono che un involucro

12

C. Ambroise, Invito alla lettura di Leonardo Sciascia, Mursia, Milano 1974. G. Traina, In un destino di verità. Ipotesi su Sciascia, La Vita Felice, Milano 1999, p. 95. 14 L. Sciascia, Appunti sul giallo. 13

14

che cela inconsce ambivalenze. Il riferimento a Freud (Totem e Tabù è l’opera che ha avvicinato Sciascia al sistema freudiano) è ulteriormente sviluppato in rapporto all’intuizione di Vittorini che vede nella letteratura del gratuito una “manifestazione moderna del senso del sacro”. Prosegue Sciascia:

E’ senza dubbio vero che un delitto, in quanto atto rivolto contro la società, a romperne l’equilibrio, la sicurezza e quella forma di religio che va assumendo per l’uomo moderno, risveglia nel nostro inconscio sentimenti ambivalenti: da un lato una superstitio totemica per cui ci scostiamo da colui che ha osato delinquere e chiediamo che mura e sbarre lo separino da noi, lo facciamo tabù nel senso della impurità; dall’altro un senso di ammirazione appunto perché ha osato infrangere il divieto, che fa il delinquente tabù nel senso del sacro.

Il gioco delle ambivalenze, più o meno consapevole nel lettore, è per Sciascia la principale attrattiva del giallo; la commistione tra orrore e ammirazione per il delinquente chiama in causa processi inconsci. Una società che ha perduto il senso del sacro ricostruisce una religione dello stato, una religione della legge, che il criminale riesce a infrangere. Quindi:

Il timore che il delinquente venga scoperto è nel lettore pari alla esigenza che il poliziotto lo scopra. Non è vero, se non superficialmente, che le simpatie del lettore vadano al detective.

Questa riflessione è valida, naturalmente, solo se si parla di detective e criminali “vittoriani”, se il giallo rimane gioco aritmetico e combinatorio, e se protagonista e antagonista mantengono la loro condizione di araldi, l’uno del bene e l’altro del male. Già al livello dell’hard boiled, quale lo hanno sviluppato Hammet o Chandler, la diffusione capillare del male produce uno scontro non tra due individui ma tra il singolo e una collettività corrotta (si pensi al consorzio pseudo-mafioso del Falcone maltese), 15

per la quale il lettore non può parteggiare. Il conflitto inconscio del lettore andrà dunque annoverato tra le caratteristiche costituive del giallo classico, che conferma così la sua componente di sfida intellettuale. A questo punto Sciascia definisce due moduli o momenti (sebbene la divaricazione cronologica non sia così ferrea) del poliziesco: una narrazione tendente alla ricostruzione razionale di un crimine che rivela una spiccata caratteristica di cruciverba narrativo”15, ossia il giallo classico o vittoriano, e un altro modulo di “ininterrotta corrente emotiva in cui il lettore si abbandona senza possibilità di reazioni intellettuali”, rappresentato dalla scuola americana dell’hard boiled. Il primo momento trae origine dai racconti del ragionamento di Poe16, il secondo dai racconti neri settecenteschi. Nel primo caso il delitto si presenta come un problema matematico, i cui dati sono gli indizi materiali e psicologici, che saranno poi vagliati attraverso dimostrazioni per assurdo. Nei racconti di Poe manca soltanto la cerchia di sospettati e sospettabili, sviluppata poi su suolo inglese, “più idoneo” a rappresentare il sistema familiare per cui “in una orbita di apparente impeccabilità e impassibilità di rapporti, ruota un piccolo universo di rancori, di ambizioni, di avidità, di complessi”. La struttura familiare inglese, che ritroveremo tra gli abitanti del paese di A ciascuno il suo completa le maschere del giallo del necessario humus sociale amplificando il problema totemico di divieti regole e trasgressioni. Il successivo trapianto del giallo, quello americano, contemporaneo alla prima guerra mondiale, porta alla nascita di un Private Eye come Sam Spade :

spietato, furbo, diabolico. E’ capace di combattere su due fronti, quello dei criminali e quello della polizia ufficiale: un po’ criminale e un po’ poliziotto: sempre pronto alla battuta cinica: sempre pronto a parlare di soldi. 17

15

La suggestione dell’aspetto ludico e combinatorio del cruciverba è forse all’origine del titolo di una raccolta di brevi saggi letterari: L. Sciascia, Cruciverba, Einaudi, Torino 1983. 16 E. A. Poe: I delitti della rue Morgue, il mistero di Marie Roget, la lettera rubata, in Opere scelte, a c. di G. Manganelli, Mondadori, Milano 1971. 17 L. Sciascia, Appunti sul giallo. 16

Con la figura del gionalista-detective, anticipata da Poe che ipotizzò una soluzione al mistero di Marie Ròget sostanzialmente attinente a ciò che provarono le indagini sulla morte di Mary Rogers, il giallo americano si lega a doppio filo con l’attualità e la cronaca senza eccessivi sforzi creativi da parte degli autori. Aggiunge Sciascia: “all’immaginazione degli scrittori europei non poteva poi offrire quegli spunti di criminalità associata alla macchina elettorale, alla politica e all’alta finanza di cui l’America era, ed è, naturalmente ricca”. Ma la trasformazione americana coincide con un invilimento del gusto matematico dell’intrigo. Il buon lettore (non il lettore di massa), quello che nel giallo cerca il divertimento intellettuale, il puzzle centrifugante, è un lettore-filologo. Questa definizione, tanto importante da dare origine a quel detective-filologo che sarà Laurana, porta una implicazione. Innanzitutto disegna un lettore-letterato, erudito, mentale più che istintuale, attento all’aspetto logicomatematico del problema e non alla suspance, alla corrente emotiva costruita dall’azione e dal ritmo dell’hard boiled. Pone poi l’accento sulla dimensione microscopica dell’indizio. La tendenza scientista del romanzo vittoriano, come emerge dalla narrativa di un Conan Doyle, si gioca su impronte, orme, invisibili brandelli di tessuto, nello stesso modo in cui i dati dell’indagine filologica sono lettere, parole, vecchi codici impolverati, minuscole varianti. L’intervento si chiude, come in Letteratura del giallo, con una breve rassegna degli scrittori che hanno sfruttato, in letteratura, i meccanismi del giallo: Crommerlynck, Gadda, Soldati e i “gialli teologici” di Greene.

17

1.2 Il poliziesco dopo Todo Modo: il lettore, l’eletto, l’universo

La Breve storia del romanzo poliziesco, pubblicata molti anni più tardi nella raccolta Cruciverba18, è scritta dopo la pubblicazione di Todo Modo: all’esperienza di lettore di gialli si è aggiunta quella di giallista. La riflessione va intesa quindi non solo come una nuova ricognizione, aggiornata, modificata in diversi tratti, delle teorie precedenti, ma anche come frutto di una diretta esperienza autoriale. Quando in Breve storia si parla del lettore, Sciascia intende anche il suo lettore, il lettore che ha immaginato, desiderato, costruito come destinatario dei suoi romanzi. Proprio sulla figura del lettore si apre il saggio. Come di consueto Sciascia usa le parole altrui per dare sostanza alle proprie: la ragione per cui un pubblico vastissimo legge (consuma) polizieschi “crediamo di trovarla in Alain, Sistema delle arti, quando dice che l’effetto certo dei mezzi di terrore e pietà, quando li si adopera senza precauzione, è lo sgomento e la fuga dei pensieri, insomma una meditazione senza distacco, come nei sogni”. L’effetto principale che si realizza sul lettore, esposto ad un sovraccarico di terrore ma affrancato dalla problematicità dell’arte, è quindi quello di un passatempo in cui “la mente diventa una sorta di tabula rasa che passivamente registra tutti quei dati che soltanto la “mente dell’investigatore sa e deve decifrare, trascegliere, coordinare, e infine sommare e risolvere”. Il lettore di polizieschi è un lettore passivo, una tabula rasa, un lettore in vacanza; quella sfida che dovrebbe coinvolgerlo a vari livelli (contro il criminale, contro l’investigatore, contro l’autore) e su cui si basa l’essenza del patto narrativo del poliziesco viene da Sciascia svuotata di contenuto, o meglio, spostata su un piano virtuale e meno impegnativo. Il buon lettore non vuole concorrere contro il detective, non si affanna nella ricerca di indizi, false piste, trabocchetti, è consapevole che il piacere è legato all’assoluto riposo intellettuale che la narrazione gli consente, il piacere 18

L. Sciascia, Breve storia del romanzo poliziesco, in Cruciverba, p. 1181. 18

“come di chi assiste ad una partita a scacchi senza nulla sapere del gioco degli scacchi”. Qualche anno prima, in una postfazione all’edizione mondadori di L’assassinio di Roger Acroyd di Agatha Christie19, Sciascia elabora questo concetto a proposito della funzionale distrazione del lettore, che non arriverebbe mai a dubitare della buona fede della voce narrante: “il lettore di gialli è costituzionalmente disattento, si costituisce cioè in disattenzione nel momento in cui sceglie di leggere un giallo: e questo perché sa che soltanto l’investigatore, portatore di una specie di “grazia illuminante”, è in grado di sciogliere il mistero. Si vedrà, successivamente, come queste parole possano essere riferite al rapporto lettore-detective costruito in Todo Modo. L’investigatore non si delinea come figura conflittuale, da superare, da cui non si deve essere superati, ma piuttosto come nocchiere che traghetta verso l’ultima pagina. In quest’ottica si analizza anche la “spalla”, provvidenziale doppio del destinatario, che l’autore inserisce ad hoc accanto al geniale detective, a dare corpo alla lentezza e ai dubbi dell’uomo comune. E qui si manifesta, secondo Sciascia, il paradosso proprio del romanzo poliziesco, che riguarda la condizione naturale ed essenziale della lettura: “nel romanzo poliziesco il lettore si identifica col personaggio di spalla: cioè accetta a priori, per pregiudizio, per convenzione, un ruolo di inferiorità e passività intellettuale”. Se ne deduce che la condizione “naturale ed essenziale” della lettura debba essere tutto l’opposto: che implichi una partecipazione attiva, cosciente, vigile, sull’operato dei personaggi. Al di là della validità o meno di una simile convinzione è fondamentale riconoscere che Sciascia pone da un lato il lettore e dall’altro il lettore di polizieschi. La rassicurazione che il lettore ricava dal consumo di un giallo classico è dovuta all’estrema fissità dell’intreccio, che consente il “piacere del ritrovamento del già noto”, ad ogni nuova lettura si realizza la conferma dell’orizzonte di attesa. Prima di proseguire nella lettura della Breve storia, in cui si tratterà la figura del detective e il nodo centrale della 19

L. Sciascia, Prefazione a Agatha Christie, L’assassinio di Roger Ackroyd, Mondadori, Milano 1979. 19