metodi di insegnamento soprattutto nel campo della disabilità, perché il cane è
uno .... 3 B. McConnel P., All'altro capo del guinzaglio, TEA S. p. A. Milano, 2003
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INTRODUZIONE Questo mio lavoro di ricerca, analisi ed esperienza unisce due poli fondamentali nella mia vita: la passione per gli animali e in particolare per i cani e il piacere che provo quando lavoro o comunque interagisco con i bambini. La prima mi è stata trasmessa dai miei genitori, che mi hanno permesso di crescere insieme a tanti e diversi tipi di animali, mentre la seconda deriva da un’esperienza personale di insegnamento svolta al termine delle scuole superiori, che mi ha poi portata a decidere di intraprendere la strada dell’Università e di approfondire in particolare l’ambito della pedagogia speciale. L’animale può rivelarsi una strategia alternativa ai tradizionali metodi di insegnamento soprattutto nel campo della disabilità, perché il cane è uno stimolo vivo e reale, che sollecita il fare del bambino soprattutto da un punto di vista affettivo e comunicativo. L’apprendimento, infatti, viene motivato dal legame profondo, che il bambino instaura con il cane, ma anche con l’educatore e di conseguenza interiorizzato, perché derivante da una situazione significativa. Il bambino disabile trova nel cane un amico vero, che si pone sul suo stesso piano, perché lui, a differenza di molte persone, non si ferma davanti alla diversità, ma riesce a guardare oltre l’apparenza donando sempre il suo affetto. Tra il cane e il disabile si sviluppa una sorta di intesa derivante dall’uso di un linguaggio più immediato rispetto a quello delle parole, caratterizzato da percezioni, gesti e atteggiamenti reciproci. Il cane, quindi, può essere una risorsa molto utile nei percorsi individualizzati ideati dall’educatore sulla base dei bisogni e delle capacità del bambino disabile, che hanno lo scopo di ridurre l’handicap, portarlo verso una maggiore autonomia e aumentare la sua autostima. Inoltre il cane, inserito nelle attività scolastiche, può divenire una fonte di conoscenza grazie alla quale poter apprendere, attraverso 3
la pratica e il contatto diretto, le caratteristiche appartenenti ai cani, a quella particolare razza e, più in generale, agli animali. È da quest’ultimo assunto, che è nata l’idea del mio progetto “Io e il cane”, realizzato durante il tirocinio del quarto anno di Università presso la scuola elementare “Albergati” di Zola Predosa. I suoi scopi sono stati principalmente due: conoscere il cane e le sue abitudini di vita per imparare a rispettarlo e l’integrazione di una bambina disabile all’interno della classe. Per attuarlo ho utilizzato la modalità laboratoriale dove ogni bambino ha un ruolo importante per i compagni e per il percorso stesso, al fine di giungere ad un risultato condiviso. La risorsa fondamentale sono stati proprio i bambini, il loro lavoro attivo, ma anche le loro conoscenze, grazie alle quali è stato possibile avviare uno scambio reciproco di informazioni, che ha portato ad un apprendimento significativo. Questo dialogo collettivo possiede un’importanza fondamentale, perché porta ad una crescita oltre che culturale, anche e soprattutto relazionale, che deriva dall’incontro con l’altro. L’insegnante ha partecipato all’esperienza insieme ai bambini, non ha trasmesso loro dei concetti astratti, che spesso vengono semplicemente memorizzati e dimenticati dopo poco tempo. Ha svolto il ruolo di regia educativa predisponendo il contesto, si è posta anche lei in ascolto degli altri e ha aiutato i bambini nelle attività senza sostituirsi a loro. Ha rispettato i loro bisogni e i tempi di ascolto, attenzione e apprendimento di ciascuno, osservando l’intera situazione e tenendo sempre presente le diversità appartenenti a ognuno. L’uso di questa modalità all’interno della scuola può dare grandi risultati, perché ogni bambino non è un soggetto passivo che incamera nuove nozioni solo ascoltandole o scrivendole, ma vive un’esperienza importante insieme ai suoi compagni e collabora con loro in un percorso dove ciascuno possiede un ruolo fondamentale per l’altro e per la riuscita del percorso stesso. 4
Nella mia tesi ho cercato di evidenziare l’importanza del valore aggiunto nella relazione fra educatore, bambino disabile e cane nei percorsi di riabilitazione e di educazione, per questo nel primo capitolo ho trattato le analogie e le differenze tra i modi di comunicare di questi soggetti; nel secondo capitolo ho parlato della Pet- Therapy, facendo alcuni esempi di percorsi realizzati con bambini disabili a Vigheffio presso il Soccorso Cinofilo Parmense (cinoterapia), a Zola Predosa nella scuola elementare “Albergati” e nella scuola dell’infanzia “Theodoli” e a Riale nella scuola dell’infanzia (Education through pet); nel terzo capitolo ho sviluppato il progetto “Io e il cane” partendo dal presupposto, che la Pet- Therapy è un’attività trasversale, che può essere integrata all’interno del contesto scolastico. Infine ho concluso sottolineando i risultati in ambito affettivo, emotivo, comunicativo e relazionale, che possono essere raggiunti dalla Pet- Therapy e dall’Education through pet se queste poggiano su basi di tipo pedagogicoscientifico.
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CAPITOLO 1 LA COMUNICAZIONE, LE COMUNICAZIONI: L’UOMO, IL CANE E IL BAMBINO DISABILE. Oggi l’uomo occidentale si trova in una società urbanizzata dove la parola è la forma di comunicazione più utilizzata per scambiarsi informazioni e contenuti, ma assieme a questa esiste anche un’altra modalità di espressione: il linguaggio non verbale che, anche se legato a quello verbale, spesso non viene impiegato in maniera consapevole. Il linguaggio verbale è una forma di comunicazione convenzionale non sempre condivisa dai soggetti, che abitano altre dimensioni come l’animale e il disabile. L’animale comunica esclusivamente con il linguaggio non verbale, mentre il disabile, a seconda del deficit da cui è affetto, è in grado più o meno di utilizzare la parola, ma a differenza dell’animale, si serve anche di altre forme di comunicazione e di relazione. Di conseguenza l’uomo, per comunicare con il disabile e il cane, deve imparare leggere e ad esprimersi consapevolmente attraverso un linguaggio comune, che Argyle (1992) chiama “linguaggio del corpo”, il quale utilizza segnali relativi agli atteggiamenti interpersonali più potenti ed efficaci di quelli verbali, perché immediati e semplici da interpretare.
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1.1. La comunicazione tra l’uomo e il cane. La relazione con un cane comporta l’uscita da un mondo colmo di parole, per “leggere messaggi nuovi, ascoltare voci all’apparenza incomprensibili e imparare a parlare una lingua meno razionale, più istintiva e legata alle sensazioni semplici, ma altrettanto significativa ed efficace”1. Il cane è un animale estremamente socievole, che ha consolidato in migliaia di anni un sistema sociale fondato sulla gerarchia e il comando, perciò necessita di trovare un posto all’interno del contesto familiare e un capobranco dal quale dipendere, che gli insegni l’educazione. “Solo una relazione di interscambio può favorire il dialogo interspecifico; infatti l’interscambio presuppone sempre un’attenzione al partner animale. Per questo, al di là del ruolo gerarchico, si deve sottolineare l’importanza dell’attenzione, del doppio flusso di informazioni tra partner umano e animale”2. L’uomo deve imparare ad osservare il corpo del cane per capire ciò che comunica. Patricia B. McConnell, esperta di comportamenti canini, parla di una “gerarchia tra le parti”: “La prima volta che incontro un cane, la mia attenzione è concentrata soprattutto sul centro di gravità e sul respiro. Il cane è proteso verso di me, si allontana, oppure è saldamente piantato su tutt’e quattro le zampe? Il cane è immobile, respira normalmente, o al contrario ha un respiro affannoso e superficiale? Nello stesso tempo, tengo d’occhio la bocca e gli occhi del cane, che racchiudono un mondo intero di informazioni, ma faccio bene attenzione a non fissarlo direttamente. Anche la coda è importante, ma non quanto il muso”3. Per quanto riguarda la mimica del cane, una regola generale, che si accompagna all’espressione di dominanza sociale, all’aggressività, 1
Lanna P., Piga L., Cani in famiglia, Tielleci Editrice, Parma, 2003, pag. 147. Marchesini R., Lineamenti di zooantropologia, edagricole, Bologna, 2000, pag. 100. 3 B. McConnel P., All’altro capo del guinzaglio, TEA S. p. A. Milano, 2003, pag. 39. 2
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alla paura e alla sottomissione è quella che, più il cane è dominante e aggressivo, più farà in modo di apparire grande e grosso, più è remissivo o impaurito e più cercherà di sembrare piccolo. Infatti, ad esempio, se il cane ha le zampe rigide e la postura eretta, vuole esprimere dominanza e sfida, mentre se è accucciato o semplicemente ha il corpo abbassato, manifesta sottomissione. La bocca del cane è il mezzo di espressione più importante che possiede, in quanto fornisce informazioni su dominanza, rabbia, aggressività, paura, attenzione, interesse o rilassatezza. È importante osservare se la mascella si irrigidisce o se mostra i denti, ma soprattutto come muove gli angoli che, spostandosi avanti e indietro, forniscono informazioni sulla natura dell’emozione da lui segnalata. “Lo spostamento in avanti viene attribuito a cani in cerca di affermazione. Se invece si spostano all’indietro, si tratta di un sorriso difensivo, anche se il cane ringhia e cerca di mordere; l’animale vuole difendersi e teme di perdere il cibo, oppure ha paura di ciò che sta per accadere. Il cane può mordere in entrambi i casi, ma l’importante è capire il più possibile il suo stato d’animo prima di intervenire”4. Lo sguardo diretto, fisso, a occhi spalancati, esprime una minaccia da parte del cane dominante che è pronto ad attaccare, mentre lo sguardo che evita il contatto diretto è segno di sottomissione e forse anche di paura. Quando si incontra un cane sconosciuto, non bisogna fissarlo negli occhi, perché se è dominante potrebbe considerarlo un gesto intimidatorio, mentre se è timoroso, potrebbe aumentargli la paura e provocare un attacco di panico. Con il proprio cane lo sguardo fisso è invece molto utile per averne il controllo, in quanto molti cani reagiscono con un atto di sottomissione e pacificazione per riacquistare la benevolenza del padrone.
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B. McConnel P., All’altro capo del guinzaglio, TEA S. p. A. Milano, 2003, pag. 67.
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“La posizione della coda è un importante indicatore dello stato sociale e psichico del cane”5. La coda alta si è evoluta come segnale di dominanza e quella bassa di sottomissione e insicurezza. Non tutti gli scodinzolii del cane hanno lo stesso significato. “Lo scodinzolio è un gesto prettamente sociale. In un certo senso ha la stessa funzione del sorriso umano. Gli esseri umani, pare, sfoggiano la maggior parte dei loro sorrisi quando c’è qualcuno che li guarda o quando pensano a qualcosa o qualcuno di speciale. Lo scodinzolio dei cani sembra avere le stesse proprietà” 6. Conoscere e leggere il linguaggio non verbale del cane è importante per sapere quale emozione segnala e come di conseguenza si deve intervenire. Nella relazione uomo- cane, spesso si verificano delle incomprensioni dovute ai diversi modi di comunicare. Gli esseri umani, infatti, si esprimono soprattutto attraverso il linguaggio verbale e spesso dimenticano il potere del linguaggio non verbale, che invece viene utilizzato dal cane. Per una rispettosa e serena convivenza e per non cadere in spiacevoli errori di interpretazione, l’uomo deve quindi accompagnare un uso corretto della parola alla mimica, diventando consapevole dei movimenti del proprio corpo e del loro significato, perché il cane è in grado di cogliere il contenuto della nostra comunicazione dai segnali non verbali, quali i movimenti, l’espressione del viso, il tono della voce e altre manifestazioni, per noi inconsce, delle nostre emozioni. L’uomo deve inoltre tener presente che un segnale da lui inviato volontariamente, potrebbe non avere lo stesso significato nei principi appartenenti alla società canina, perché il cane non è un uomo e non deve essere trattato come tale.
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Stanley C., L’intelligenza dei cani, Mondadori, Milano, 2003, pag. 110. Stanley C., L’intelligenza dei cani, Mondadori, Milano, 2003, pag. 112.
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Dalle incomprensioni tra cane e uomo, sorgono diversi equivoci di mal interpretazione sia a livello di comunicazione non verbale, che verbale.
• Equivoci di comunicazione non verbale. Quando una persona vede un cane, si avvicina, si china verso il suo muso guardandolo negli occhi e tende la mano per accarezzarlo, per noi è un atteggiamento amichevole, perché siamo abituati a salutare un conoscente proprio andandogli incontro, guardandolo negli occhi, facendogli un sorriso e toccandolo dandogli la mano oppure baciandolo. Per i cani, invece, il contatto degli sguardi è segno di minaccia, il faccia a faccia li innervosisce, la mano sulla testa li spaventa e il sorridere è un atteggiamento aggressivo, perché si mostrano i denti, che sono la loro arma. Due cani che vogliono esprimere cortesia e tranquillità, quando si incontrano, non si fronteggiano mai, si avvicinano di lato. Un altro comportamento, come l’abbracciarsi, viene inteso in modi diversi: dall’uomo come segno d’affetto, mentre dal cane come segno di forza. In genere il padrone, per richiamare il cane, si gira verso di lui, lo chiama per nome e gli va in contro. Questo è un atteggiamento ambiguo che può solamente bloccare il cane, perché le parole esprimono il contrario di quello che comunicano i gesti. La voce, infatti, suggerisce all’animale di spostarsi, mentre con il corpo dice di stare fermo, perciò il cane, che presta più attenzione al linguaggio non verbale, rimarrà immobile, perché non riesce comprendere come muoversi. Il padrone deve correggere il suo comportamento e imparare la maniera giusta per richiamare il cane, che consiste nel voltargli le spalle, inclinarsi in avanti, battere le mani e muoversi nella direzione opposta, perché “i cani vogliono andare nella direzione in cui andate voi, che per un cane è quella indicata dal vostro viso
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e dai vostri piedi, mentre noi primati vogliamo stare di fronte al cane e parlarne”7. Altri problemi si possono verificare quando il cane cerca di capire la struttura sociale del branco familiare dove è inserito. In genere il capobranco nei canidi è colui che detiene la gestione delle risorse critiche, che viene rispettato da tutti i membri del branco e che garantisce la sicurezza, quindi è colui che ad esempio ha la priorità nell’accesso al cibo e nei saluti, controlla gli accessi e le presenze in caso di allarme e decide la direzione da seguire. Questo, nella relazione tra cane e uomo, significa: chi mangia per primo?, chi dorme nei luoghi alti e comodi?, chi decide quando iniziare e terminare i cerimoniali di saluto e i giochi?, chi controlla i passaggi critici come le porte e chi le attraversa per primo?, chi decide che qualcosa è pericoloso per il branco?,... Se quindi al cane, ad esempio, viene permesso di muoversi liberamente per la casa occupando le stanze, capisce che può andare in tutte le camere, che non gli è stato vietato nessun accesso e che non gli è stato assegnato nessun posto. Un'altra azione sbagliata si realizza quando i padroni mangiano dopo che il cane ha concluso il suo pasto oppure quando il cane mangia a tavola con loro. A questo punto il cane pensa di avere la priorità nell’accesso al cibo, che gli altri aspettano che lui abbia terminato il pasto e che può disturbare gli uomini mentre mangiano. Quando il cane non riconosce nella gerarchia del branco una persona che si comporta come un leader, si sente costretto ad assumerla lui e ciò, oltre a comportare un grande stress per l’animale, può portare ad una situazione pericolosa all’interno della casa. • Equivoci di comunicazione verbale. Il modo attraverso il quale comunica l’uomo con il suo fedele amico, spesso risulta confuso: usa le stesse parole per qualsiasi 7
B. McConnel P., All’altro capo del guinzaglio, TEA S. p. A. Milano, 2003, pag. 55.
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cosa il cane stia facendo, costruisce lunghe frasi, che il cane non è in grado di comprendere e ignora i segnali visivi, che invia. È solito servirsi maggior numero di parole per indicare lo stesso comando utilizzando sinonimi oppure ripetizioni, così capita che il cane, infastidito da questo sovrapporsi di suoni, rimanga fermo, perché non riesce a comprendere quello che gli viene chiesto. Diversi studiosi hanno osservato, che in casi simili, l’essere umano alza il tono della voce ripetendo sempre le stesse parole, come se ciò stimoli l’animale a reagire. Tale comportamento, trasportato nel mondo canino, può sorprendere e magari attirare l’attenzione, ma non è detto che ottenga rispetto, perché i cani più abbaiano forte, più hanno paura. I cani, quindi sono attratti da persone che parlano poco e a bassa voce, perché percepiscono in loro l’autorità, che gli fornisce sicurezza. L’uomo deve cercare di contenere la sua emotività quando impartisce i comandi, perché dalle parole trapela il suo stato d’animo, che viene immediatamente colto dal cane, che a sua volta rischia di esserne condizionato. A seguito di tali considerazioni, l’uomo deve imparare a pronunciare dei comandi, che siano: essenziali, costanti e diretti. Prima di un ordine è necessario chiamare il cane per nome per attirare la sua attenzione, poi utilizzare poche, chiare e coerenti parole, per fargli capire che ad ognuna corrisponde un certo evento, che sarà sempre lo stesso (sia per il padrone che per gli altri membri della famiglia). Per far apprendere al cane come deve eseguire determinate azioni, si utilizza un meccanismo naturale costituito da: stimolo/ risposta/ rinforzo, dove lo stimolo è il comando (“al piede”, “seduto”, “terra”, “resta”, “salta”,...), la risposta è l’atto del cane e il rinforzo positivo è la crocchetta o la carezza che gli viene data. In questo modo il cane, che riceve una gratificazione, capisce di avere eseguito un comando in modo giusto e, attraverso un procedimento per prove ed errori, imparerà come comportarsi per 12
compiacere il padrone e ricevere il premio. Solo se il cane è motivato e interessato a ciò che fa, si crea una comunicazione proficua tra i due.
1.1.1. Ogni cane è diverso dall’altro: l’individualità. Il cane è il risultato dell’unione di tre diverse memorie: - di specie - di razza - individuale. La memoria della specie riguarda la tipologia dell’animale: il cane. La memoria di razza si riferisce alle specifiche funzioni per le quali la razza stessa è stata selezionata, quindi alle attitudini naturali; l’agire sulla base di questa memoria porta il cane ad essere equilibrato e lo stimola nell’apprendimento. La memoria individuale appartiene solo a quell’unico esemplare e gli permette di ricordare diverse informazioni ed esperienze vissute. Cani della stessa razza, anche se appaiono uguali o perlomeno simili, osservandoli bene è possibile notare profonde differenze caratteriali, comportamentali, relazionali e comunicative. Ogni cane è diverso dall’altro, perché possiede una propria soggettività che è legata alla storia unica e irripetibile di quell’individuo, che deriva dall’interazione fra il patrimonio genetico e l’ambiente in cui vive. “Tra le variabili genetiche troviamo le caratteristiche della specie, le caratteristiche parentali, le peculiarità dell’individuo e le vocazioni della razza; mentre a livello ambientale i fattori che intervengono sulla formazione del carattere sono: l’educazione, le prime esperienze,
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