Introduzione

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Introduzione

Cenni biografici L’essenza del Cristianesimo1 di Feuerbach rappresenta senz’altro uno dei classici della filosofia della religione, al di là dell’esito negativo al quale ci conduce, dato che per quanto riguarda il rapporto tra dimensione umana e dimensione divina, l’autore viene a mettere al centro di tutto proprio la componente umana, criticando in tal senso ogni modo di rapportarsi al Tutto che sia improntato ad una matrice idealistico-religiosa. Ludwig Andreas Feuerbach nacque il 28 luglio 1804 a Landshut, in Baviera, dove la sua famiglia si era da poco trasferita poiché il padre, Anselm, aveva ottenuto un incarico di docenza presso la locale università. Ludwig fu battezzato secondo il rito cattolico, nonostante la famiglia fosse di fede luterana: questo è possibile sia stato un segno di indifferenza piuttosto che di rispetto per le tradizioni locali. Nel 1807 i Feuerbach si trasferirono a Monaco e nel 1814 passarono a Bamberga, quindi, nel 1817 ad Ansbach, dove Ludwig frequentò il ginnasio, terminato il quale si trasferì ad Heidelberg. Si iscrisse in quella città alla facoltà di teologia; tuttavia l’esperienza nel locale ateneo risultò piuttosto deludente. Infatti, nel 1824 passò a Berlino, ove seguì le lezioni di Hegel e le prediche domenicali di Schleiermacher. Affascinato dalle lezioni del primo, che gli trasmettevano l’ideale di un sapere rigoroso, scientifico e universale, si distaccò definitivamente dalla teologia, dedicandosi altresì alla filosofia, alla storia ecclesiastica, alla matematica, alla fisica. In sostanza, l’esperienza giovanile del filosofo risulta bipolarizzata: da un lato troviamo una teologia in forma razionalistico-illuministica, sì come esposta dal professor Paulus a Heidelberg, e dall’altro, la filosofia nella matrice hegeliana. Pertanto, se davvero si vuol analizzare e comprendere Feuerbach, è bene considerare la presenza di un duplice influsso: da una parte il filone illuministico (che porterà al rifiuto della teologia) e, dall’altra il filone antropologico che, come vedremo,

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Ludwig Feuerbach, L’essenza del cristianesimo, a cura di Francesco Tomasoni, Roma-Bari, Laterza, 2006.

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catalizzerà la sua attenzione in particolar modo nelle opere della maturità. A tutto questo si deve aggiungere che egli respirava il clima culturale del suo tempo: non vi era una chiara distinzione tra filosofia e teologia tanto che il rapporto tra “fides” e “ratio” non trovava soluzioni soddisfacenti. Nell’aprile 1826 lasciò Berlino per trasferirsi a Erlangen, ove si addottorò nella locale università con una dissertazione dal titolo De infinitate, unitate, atque communitate rationis: in essa, Feuerbach asseriva che tutti gli uomini sono dotati della facoltà di pensare ed è proprio la ragione che unisce gli uomini in un legame avente valenza universale. Interessante notare il sapore hegeliano (ma fino a un certo punto) della tesi, come osserva giustamente U. Perone: «l’elemento hegeliano di questa tesi consiste soprattutto nel modo in cui essa è raggiunta […] Feuerbach infatti mira a mostrare l’identità della coscienza individuale con la coscienza in quanto genere»2. Risulta hegeliano sino a un certo punto, come accennato, poiché «si limita ad affermare l’identità di ciò che egli stesso ha determinato come opposto»3, conservando così in stato di irrisolutezza una condizione dialettica. Il filosofo tedesco iniziò ufficialmente il suo incarico di docente a Erlangen nell’anno accademico 1828-1829 e proseguì per un triennio, aspirando alla carica di professore straordinario, tuttavia inutilmente. Ciò fece maturare in Feuerbach un progressivo rifiuto per l’attività accademica, specie quando, nel 1837, si vide rifiutare per l’ennesima volta la sospirata carica; sposatosi quell’anno con Bertha von Löw, decise di ritirarsi a vita privata nella campagna di Bruckberg, contando sulla cospicua rendita lasciata dal padre. Nel 1830 aveva pubblicato anonimamente i Pensieri sulla morte e l’immortalità: la tematica della morte consente al filosofo tedesco di meditare sul concetto di individuo e di finito, relazionandoli con il genere e l’infinito. In quegli anni pubblicò inoltre una serie di studi di storia della filosofia: Geschichte der neueren Philosophie (1833), Leibniz (1837), Bayle (1838); sono tutt’oggi note le Vorlesungen uber die Geschichte der Philosophie, tenute a Erlangen tra il 1835 e il 1836. Tutti questi studi appaiono interessanti poiché ci consentono di rilevare come, in Feuerbach, le categorie di “necessità”4, “sistema”5 e “sviluppo”6 possano spiegare la storia della filosofia: è palese in questo la presenza della matrice hegeliana. Nel 1838 iniziò la collaborazione con gli «Annali di Halle»: gli avvenimenti politici del tempo avevano spinto a qualificare la rivista come espressione dell’hegelismo di sinistra; per questo

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Ugo Perone, Invito al pensiero di Feuerbach, Milano, Mursia, 1992, p. 30. Ivi, p. 31. Ivi, p. 44. Ibidem. Ibidem.

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tale rivista divenne ben presto bersaglio polemico di coloro che, in nome di Hegel difendevano la religione dalle istanze razionalistiche. In questo periodo, il filosofo pubblicò due scritti: Per la critica della filosofia hegeliana (1839) e Filosofia e cristianesimo (1839). Nel primo, introduce i germi della futura critica a Hegel, asserendo che quest’ultimo manca di un autentico rapporto con la realtà, in quanto si limita ad operare continue classificazioni e differenziazioni, mentre la realtà conosce anche coesistenze; nello specifico, si afferma che «Hegel è dunque il culmine di un processo, ma un culmine solo logicoastratto»7, “Filosofia e cristianesimo” (1839). Nel secondo, sostiene l’inconciliabilità tra religione e filosofia, soprattutto perché quest’ultima si presenta come un sapere scientifico e rigoroso, che parla alla ragione, mentre la religione, basata sulla fede e sul miracoloso, parla all’animo, anche se la teologia ha inutilmente tentato di dare una parvenza di razionalità alla fede. Si osserva peraltro, nel saggio, come ricorda U. Perone, un continuo e febbrile tentativo da parte di Feuerbach, di «sottomettere al vaglio del cristianesimo la verità della filosofia»8 e non se ne comprende bene la motivazione. Nel 1841 esce L’essenza del cristianesimo, su cui mi soffermerò nel punto successivo, nella quale si analizza la religione cristiana nella sua essenza. Anche negli scritti successivi, è possibile rinvenire un’accezione del fenomeno religioso, in virtù della quale quest’ultimo sarebbe espressione di una futura verità per l’uomo: è il nucleo del progetto feuerbachiano di un nuovo sapere che è l’esatto opposto dell’Aufhebung hegeliana; infatti questo nuovo inizio si qualifica come una Auflösung, in quanto, come osserva U. Perone, «avendo a che fare con lösen, sciogliere, implica un portare, come nella chimica, un determinato elemento a una trasformazione che, togliendo il suo stato precedente e trasformandolo in uno nuovo, ne sprigiona però talune proprietà […] infine ha cura che il processo di trasformazione sia irreversibile»9. Nondimeno è necessario che, in opposizione alla passata filosofia, entri in gioco il cuore, ossia il principio della sensibilità, al fine di innescare un processo dialettico con l’intelletto: «la filosofia vera sarà la filosofia che pone al centro del proprio interesse l’uomo nella sua interezza»10. Nelle Tesi provvisorie per una riforma della filosofia e nei Principi della filosofia dell’avvenire, opere pubblicate nel 1843, individua quelle che sono le basilari tappe della formazione di questa nuova filosofia: una consiste nella dissoluzione religiosa ad opera del protestantesimo e l’altra, di matrice teoretica, «è la dissoluzione razionale del Dio della religione in contenuto interno della

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Ivi, p. 58. Ivi, p. 65. Ivi, p. 109. Ivi, p. 110.

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ragione»11. In particolar modo (e qui si ritrova l’essenza delle presenti opere feuerbachiane), il filosofo traccia un iter che ha il suo punto di partenza nella finitezza del reale al fine di riproporre l’unità di “essere” e “pensiero”: in tal modo, il rapporto tra “soggetto” e “oggetto” assume una luce nuova, vive di nuova vita e di nuovo splendore, in quanto, dal momento che «ciascuno è soggetto, perché è anche oggetto agli altri»12, i pensieri del singolo possono essere pensati da altri, contribuendo in tal modo a garantire l’unità tra la finitezza e determinatezza del soggetto e il pensiero. La sensazione, propria dell’uomo in quanto consente all’uomo di toccare l’infinito, di partecipare del divino, come ricorda U. Perone, «consente a Feuerbach la rivalutazione di un pensare che si costituisce al di là della solitudine e che disegna una strutturale dimensione societaria dell’uomo»13. Nel 1844 il Nostro pubblica L’essenza della fede secondo Lutero, in cui intende radicare la secolarizzazione all’interno della fede, avendo come esempio proprio il protestantesimo: punto focale dell’esposizione è «l’individuazione, in Lutero e nella teologia protestante, di una dialettica tra l’esteriorità della parola che chiama alla fede e l’interiorità del significato di essa per il cristiano»14 . Diversamente dal cattolicesimo, che tende a riconoscere maggiormente l’umanità, il protestantesimo opta per una svalutazione, o meglio, negazione, della sfera umana, al fine, tuttavia, di legarla saldamente a Dio per riscattarla. Nel Lutero, inoltre, viene mostrato «come l’ateismo sia un prodotto immanente della religione»15. Nel 1846 pubblica L’essenza della religione, in cui sposta il fulcro della sua analisi dall’uomo alla natura: l’essenza di Dio è la natura stessa e il sentimento religioso nasce dalla dipendenza dell’uomo dalla natura; nondimeno, «l’innalzarsi dell’uomo al di sopra della natura attraverso volontà e intelligenza è all’origine del costituirsi di Dio come ente soprannaturale»16. Quale suo ultimo intervento pubblico, dal 2 dicembre 1848 al 2 marzo 1849, nella sala del municipio di Heidelberg, tiene le Lezioni sull’essenza della religione. Già a partire dal 1848, diviene sempre più evidente il declino della produzione feuerbachiana, nonché quello della sua importanza culturale. In questa fase, degni di nota sono gli scritti: Contro il dualismo di corpo ed anima, carne e spirito (1846); La scienza della natura e la rivoluzione (1850); Teogonia secondo le fonti dell’antichità classica, ebraica, cristiana (1857), in cui sviluppa le considerazioni avanzate ne L’essenza della religione, ponendo al centro del discorso la dialettica tra

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Ivi, p. 114. Ivi, p. 122. Ivi, p. 124. Ivi, p. 133. Ivi, p. 136. Ivi, p. 147.

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“individuo” e “genere” e il sentimento di dipendenza dell’uomo dalla natura; Intorno allo spiritualismo e al materialismo, particolarmente rispetto alla libertà del volere (1866). Nello specifico, due sono le tematiche che compaiono, come osserva U. Perone, in questi ultimi scritti: «la precisazione del sensualismo materialistico, inteso come rivendicazione dell’unità dell’uomo, contro ogni forma, nascosta o esplicita, di dualismo»17 e «il tentativo di costruire un’etica della felicità»18, nella quale fondamentali sono le categorie di libertà, volontà, legge, relazione con l’altro e sviluppo storico. Nel 1867, Feuerbach è vittima di un attacco di trombosi da cui riesce a rimettersi, ma ne subisce un altro tre anni dopo, dal quale esce gravemente menomato; muore il 13 settembre del 1872, dopo lunghe sofferenze. Le sue spoglie mortali furono inumate nel cimitero di Norimberga.

L’essenza del cristianesimo

In quest’opera, pubblicata, come si è detto, nel 1841, Feuerbach intende analizzare la religione cristiana considerandola puramente nella sua essenza: questo è uno dei due termini basilari dell’opera (l’altro appunto è genere), senza i quali non è possibile comprendere appieno il discorso che Feuerbach sviluppa attorno al cristianesimo. E’ un termine che va inteso nella sua derivazione hegeliana ed è indice dell’intenzione dell’autore di «cogliere nelle manifestazioni storiche della religione il loro contenuto permanente, la loro essenza»19. C’è tuttavia da rilevare che il termine Wesen assume anche il significato di “esistenza”, segno palese che detta espressione, come sottolinea U. Perone, può coprire un range di significati «che va dal particolare finito dell’esistenza concreta fino all’universale e al permanente del concetto di essenza»20. L’altro termine basilare dell’opera è appunto genere, sempre di chiara e confermata derivazione hegeliana; in particolare, «la coppia terminologica Wesen [essenza] / Gattung [genere] riconferma una costante dell’atteggiamento feuerbachiano: quello di impadronirsi di una terminologia e di una problematica consolidate, per forzarle in una direzione che ne mostri il “vero” contenuto»21. Si riscontra altresì nel discorso feuerbachiano sul cristianesimo una «duplicità di affermazione e negazione»22, di cui fa fede principalmente la suddivisione dell’opera in una pars construens (nello specifico, la parte prima del testo, intitolata «La religione nel suo accordo con l’essenza 17 18 19 20 21 22

Ivi, p. 159. Ivi, p. 163. Ivi, p. 75. Ibidem. Ivi, p. 76. Ivi, p. 77.

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dell’uomo»23) e in una pars destruens (la seconda parte dello scritto, dal titolo «La religione nella sua contraddizione con l’essenza dell’uomo»24): tutto ciò serve all’autore per negare il valore autonomo della religione proprio al fine di riconoscere la specificità del fenomeno religioso stesso. Infatti l’essenza della religione sta in un soggetto non religioso, l’uomo, mentre la falsità e l’errore della stessa risiede proprio nella metodologia teologica utilizzata per giungere alla sopra citata verità. Sul piano relativo al metodo, si riscontra un generale rovesciamento dei rapporti di predicazione, il nucleo del quale è l’asserzione secondo cui «la verità del soggetto è espressa dal predicato»25: infatti il predicato ha la funzione di determinare e specificare quelle che sono le caratteristiche del soggetto della proposizione, permettendone la conoscenza. Lo scritto incomincia con una generale definizione dell’essenza dell’uomo e della religione: se ne evince che l’uomo, a differenza dell’animale, appare dotato di coscienza di sé come individuo e come genere; la religione, stanti queste premesse, è la coscienza, da parte dell’essere umano, dell’infinità della propria essenza, in quanto la religione si fonda sull’essere coscienti dell’esistenza dell’infinito o, meglio, dell’infinità del potenziale del genere umano. Identità, dunque, tra “uomo” e “religione”. Il discorso feuerbachiano non si limita tuttavia alla sola essenza del cristianesimo, bensì ne considera anche l’aspetto storico, se si tiene in considerazione la relazione dialettica instaurata dall’autore tra il cristianesimo moderno e quello delle origini. Ma c’è di più: per Feuerbach, l’uomo, nella religione, incontra Dio «in cui si rispecchia l’essenza assoluta dell’uomo»26. Dunque, in definitiva, incontra se stesso. In generale, seguendo lo sviluppo storico del cristianesimo, si nota come Dio sia stato dichiarato inconoscibile nella cultura moderna e sia stato altresì attuato, avviando così un processo di alienazione in virtù del quale viene appunto sottratto all’uomo ciò che ora è attribuito alla dimensione divina. I successivi diciassette capitoli, come avremo modo di spiegare compiutamente in seguito, mirano ad una «risoluzione antropologica dei contenuti del cristianesimo»27. Il punto di partenza dell’autore è il concetto di Trinità, analizzando la quale si deduce che la coscienza si fonda sull’unità tra Io e Tu: la Trinità si ridurrebbe a due Agenti, vale a dire il Padre e il Figlio, in quanto lo Spirito Santo altro non è che la personificazione dell’amore che li lega; il principio divino femminile esiste come interno a Dio, così è possibile comprendere che Egli è amore.

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Feuerbach, L’essenza del cristianesimo, indice del volume, p. 365. Ivi, p. 366. Perone, Invito al pensiero di Feuerbach, p. 78. Ivi, p. 82. Ivi, p. 86.

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E la natura? Essa è stata creata dalla divina Provvidenza attraverso un volontario atto d’amore. Un aspetto basilare della religione cristiana è costituito dal miracolo, fondamentale per il consolidamento della fede umana. Si tratta per l’autore di qualcosa di falso e nello stesso tempo scandaloso: falso, poiché è un evento che appartiene al passato, quando la religione era più viva e più vera, a differenza della modernità; scandaloso, perché sovverte le leggi naturali, pur essendo derivato comunque da un atto di amore del divino verso l’uomo; nei confronti della storia, inoltre, assume una valenza natura tipicamente didascalica. La seconda parte dell’opera (a differenza della prima che aveva come scopo la risoluzione antropologica del cristianesimo) ha come obiettivo l’analisi della contraddittorietà (in chiave teologica) del cristianesimo: dopo aver delineato il carattere prettamente pratico del cristianesimo e aver ripreso tematiche già trattate (ad esempio il miracolo e la preghiera), Feuerbach «mostra come al centro dell’interesse della religione non sia il genere, l’essenza dell’uomo, ma l’utilità che ciascuno può ricavarne»28. Nel prosieguo si analizzano le contraddizioni insite nell’esistenza, nella rivelazione e nell’essenza stessa di Dio: nello specifico, l’originaria unità tra sfera umana e divina viene scissa teologicamente nel momento in cui si avverte il bisogno di prove che supportino razionalmente l’esistenza di Dio; la rivelazione, poi, per essere autentica e completa, dovrebbe rivelare all’uomo tutti i misteri a lui inaccessibili (cosa che non avviene) e la stessa essenza di Dio appare in evidente contraddizione, se si considera che Egli viene considerato sia un Ente personale sia un Ente universale: come risolvere dunque tutto ciò? Il vero nucleo della contraddizione insita nel cristianesimo, come spiegherò in maniera più approfondita nel prosieguo dell’esposizione, risiede infine nel particolare binomio dialettico tra “amore” e “fede”. Nel complesso, si può dire che, nell’opera in questione, due siano le accezioni secondo cui il cristianesimo viene considerato: la prima, in cui è assimilato ad una mera superstizione della storia passata; la seconda, nella quale si mettono in evidenza le contraddizioni costituzionali che si ritroverebbero al suo interno.

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Ivi, p. 97.

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